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Antonio
Cirillo
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- Vorrei scrivere di ciò che so,
- ma non conosco cosa alcuna,
- non ho storia né ricordi
- né grandi sogni da realizzare.
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- Scrivo versi, è vero,
- ma sono cose da poetucoli,
- parole senza capo né coda,
- di nessuna qualità.
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- Capita così un po' per tutti quelli
che
- come me, in questa assurda fine
secolo,
- si credono novelli Petrarca.
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- E giù sproloqui e paroloni
- e cose prese a pegno
- in Biblioteca, giù a Babele.
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- Io manco lo conosco, 'sto Petrarca,
- ma so che quando sono più
- i poeti che i lettori
- non se ne può cavare un tubo.
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- È così da Millenni:
- la Storia è un posto
- riservato a pochi.
- Tra un secolo sapremo
- se sarò Nemo o Antonio Cirillo.
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- La libellula
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- Ancora io ti penso,
- Ancora io ti canto,
- E nel mio triste incanto voli tu,
- Piccola libellula d'argento
- Che dentro il vento vai,
- Sospesa all'infinito, in aria,
- Mentre ancor gaia ronzi
- Con le compagne tue del peripato.
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- Scende la neve
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- Non so di che parlare. Non so
perché.
- Non so che cazzo mi sta succedendo
- e non riesco a spiegarmi le cose.
- Forse sto solo diventando grande,
- o, magari, sto diventando matto,
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- o paranoico, o psicolabile,
- o è la vita che mi sta
cambiando.
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- Se tutto ciò è diventare
grande,
- allora voglio tornare bambino
- perché ora questo mondo mi fa
paura
- e le vertigini già mi prendono,
- e un capogiro mi fa svenire,
- sprofondandomi per sempre nel niente.
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- Ora scende la neve, ed io mi perdo
- nel suo ventre, trasportato
dall'oblio,
- come il dolce vino di Dioniso
- che vendi ad un angolo di strada.
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- Ti ho sentita respirare
piano
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- Ti ho sentita respirare piano:
- non volevo svegliarti;
- così ho vegliato accanto a te,
- e sono rimasto lì a guardarti,
- stanotte, mentre il buio sussurrava.
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- Nella penombra tenue
- ho baciato le tue labbra socchiuse,
- lievemente, 'che tu non ti svegliassi.
- Per guardarti ancora.
- Per sfiorarti ancora.
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- Per toccarti, se lo vuoi
- ma ho tanta paura a chiederlo,
- 'che potresti dirmi no.
- Così rimango seduto sul letto,
- a te di fianco, con la luce spenta,
- ad aspettare che l'alba ritorni
- e riporti la luce dei tuoi occhi.
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Il mondo in fondo al
viale
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- Il mondo in fondo al viale
- piano va tramontando,
- all'ombra di un cipresso,
- e, spesso, ancora passa un gatto,
- che, sornione, coda dritta, se ne va.
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- Vedo lontana una figura,
- scura, indefinita. Lenta va
camminando;
- E ancora mi ricordo di mio nonno.
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- Come
nasce una poesia
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- Matura lentamente un'emozione.
- Prende vita. Invecchia come vino.
- Bolle come il sangue nelle vene,
- e ti balla nella testa per un po',
- finché scoppia come Sole
all'alba,
- coi raggi che, d'un tratto,
t'investono.
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- E la vedi nascere dalle mani,
- torrente d'inchiostro su di un foglio
- che, rigo dopo rigo, si trasforma
- nei versi d'una poesia, magari brutta,
- imperfetta, ma comunque figlia tua.
- E perciò la ami anche così
com'è.
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- Ma non ti basta. C'è un quid che non
va.
- Forse la tua poesia merita di
più.
- Allora la levighi, la smerigli,
- la improfumi, le dai giù di
bombé.
- La lecchi come l'orsa i cuccioli,
- dandole respiro ed ambizioni.
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- Potrà sembrare strano ai
profani,
- ma, in fondo, così nasce una
poesia,
- sia essa un verso od un mattone,
- come goccia che pian piano diventa
- oceano, come sogno che si fa
realtà,
- un'emozione che diventa musica.
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