- Un secolo fa, il sedici
ottobre del 1899, nasceva nelle Langhe Antonio
Monserrato, uno degli autori più significativi e
sconosciuti del nostro secolo. Poche le pubblicazioni al
suo attivo. La prima è del 1926, una raccolta di
racconti stampata a Venezia presso l'editore Calle dei
sogni, raccolta che conteneva tra gli altri Viaggio in
treno all'est e Metamorfosi. Altra opera meritoria, che
illustrò meglio di altre l'influsso di Kafka nel
nostro, fu La barca d'argilla, testo assai denso che gli
valse il plauso di certa critica. Mai un romanzo
però, non bastandogli le forze, come ebbe modo di
dire lo stesso autore. E soprattutto mai un chiaro
successo, nemmeno da morto e malgrado il modo - fu
colpito da un fulmine mentre stava a letto -, cosa strana
se si pensa che la gloria postuma illumina ingegni assai
meno meritori. L'amarezza in vita fu così grande
che Monserrato, all'ennesimo e non più cordiale
rifiuto editoriale, decise di non tentare più.
Dapprima assottigliò lo stile, che agli inizi era
stato coniato da un amico come Surreale-barocco, poi
sfoltì il volume delle pagine prodotte, divenendo
un maestro del frammento e infine arrivò al suo
capolavoro, Il toro bianco, che è un romanzo non
scritto.
- Questa scelta antologica
è stata curata da Pier Giuseppe Cavalli, che vive
e lavora in provincia di Padova
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- Breve
antologia.
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Il
primo brano racconta l'incubo di ogni viaggiatore
notturno, in treno, e appartiene al periodo giovanile (si
noteranno infatti le esuberanze dello
stile).
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- Nel
secondo brano Pietro Pesce, il protagonista, dopo essere
morto chiede e ottiene udienza a un burocrate
dell'aldilà.
In
questo racconto l'io narrante ha deciso di non alzarsi
più dal letto, dando vita a una situazione alla
Bunuel.
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- Mentre viaggio, ciò che
mi piace è la vista dal finestrino, l'orizzonte e
il cielo con le nuvole che cambiano. Mi basta guardare e
la polvere che mangio per le strade, gli scarafaggi negli
alberghi, gli uomini sudati in canottiera che mi sbattono
la porta in faccia, le donne coi vestiti unti che
cambiano marmocchi urlanti, tutte queste cose
scompaiono.
- A volte però in treno si fanno incontri
spiacevoli. Non parlo del signore che sta seduto lontano
da me, il più lontano possibile, e che non ha mai
tentato di intavolare qualche sciocco discorso, ma dei
passeggeri che sono saliti alla stazione precedente
(stazione che giuro non ho mai sentito nominare e che per
conto mio hanno costruito loro). Facendo un chiasso
infernale, uno suonando addirittura uno strumento, si
sono seduti ovunque: otto sui sedili che sono solo sei,
il resto sui ripiani per le valigie e accoccolati sul
poco pavimento rimasto libero, come rospi.
- Naturalmente mi precludono la vista del
finestrino, e io sento che soffocherò. Ho provato
a protestare, ma non mi sentono, gli strumenti in
realtà sono due, flauto e tamburo, una vera banda,
che tra l'altro non sa minimamente come si suona e che
è peggio di quella al mio paese, che tutti
prendevamo in giro. Alzandomi poi, ho visto che i
passeggeri a terra giocano con le mie scarpe, mi
sciolgono i lacci: potessi, li prenderei a calci. Ma mi
è bastato muovermi e ho perso il posto. (da
Viaggio in treno all'est)
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- Finito di parlare il
funzionario fece per spostare la lancetta dell'orologio,
ma era resistente. Allora si alzò, tenendo sempre
d'occhio Fish (che gli sembrava più un fannullone
che un eretico) e si fece su di maniche mostrando braccia
nerborute. Ci mise un po', ma alla fine riuscì a
spostare la lancetta sul lato sinistro, all'inizio della
corsa. In quell'istante l'universo si fermò, il
raggio di luce che proprio allora entrava dal finestrone
rimase lanciato a metà nel vuoto. Fish
sentì una voce dentro di sé che diceva:
Fantastico, l'universo si ferma per me, l'Universo!, per
Pietro Pesce di Minneapolis, 322 quarta strada, e tutti
in riga ad aspettare!
- Ma la voce subito sparì dentro nuvole
ovattate, al cui centro gorgogliava un tuono, il
funzionario che si schiariva la voce.
- "Dunque, qui c'è scritto il vostro nome,
Pietro Pesce, e la data col luogo di nascita. Un orfano,
a quanto vedo, e ciò sta a vostro favore, intendo
nel computo finale. Ecco la Partita doppia, quella che ci
interessa. Inutile che vi ricordi la mirabile
funzionalità di questo strumento, da quando
è stato introdotto - dietro il suggerimento di San
Tommaso d'Aquino, anche se non è lui ad averne il
brevetto ma un arabo dal nome impronunciabile che
naturalmente non si poteva premiare -, da quando è
stato introdotto, dicevo, non commettiamo più
errori. Nessun errore, anche se voi dite il
contrario.(...) Ecco le colonne, su quelle di destra (coi
segni celesti) ci sono le cose buone fatte e pensate,
naturalmente convertite in cifre, essendo il numero
l'essenza dell'universo. A sinistra, che è la
mancina di Dio, ci sono le cifre rosse." (da L'Angelo
della morte)
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- Dopo aver convinto mia madre,
dormii per tutta la mattinata: ma non era un riposo
tranquillo, dalla realtà mi giungevano rumori che
non avevo mai sentito, insopportabili. Gente che urlava
per le scale, venditori che sbraitavano, automobili,
porte che sbattevano, e il vento che trascinava lo
strepito ingigantendolo. Era un mondo nuovo e odioso per
me, abituato a viverlo da dentro, cioè da fuori
rispetto a dove ero adesso. Eh sì, un muro spesso
un palmo mi proteggeva dalla strada: come avevo potuto in
tutti quegli anni uscire e affrontare cose immonde come i
clienti, il capoufficio, le bollette, insomma la
cosiddetta vita sociale? Mi stirai cambiando per la
decima volta posizione.
- Mangiato il pranzo, posai il vassoio per terra e
mi rigirai a pancia in basso per dormire. E' un mio
difetto, perché così si possono avere solo
degli incubi. Nel dormiveglia sentii mia madre che veniva
per gli avanzi. Quando mi svegliai, la sera, la prima
cosa che vidi fu il riflesso del lampione acceso sul
muro, e sentii un clacson. Ancora gente in giro,
pensai.
- "Come stai?" Era lei.
- "Mmm" feci io, tornando sotto il cuscino. Non
avevo voglia di rispondere, mia madre si alzò e mi
lasciò solo.
- Quella notte dovetti combattere la prima delle mie
battaglie. Mi ero addormentato da un pezzo, quando fui
preso dal Demone del Movimento. E' il mio peggiore
nemico. Entra dentro di me come la mano nel guanto e fa
di tutto per muovermi. Cominciai a grattarmi, mi girai e
mi rigirai come un verme, le gambe pareva volessero
saltare giù dal letto, mi prese una smania di
correre che non avevo mai avuto. Ma vinse l'inerzia. Ho
camminato troppo, Signor mio, è il momento di
riposare, pensai, e fu l'ultimo pensiero cosciente prima
del sonno liberatore.
- Il mattino dopo mia madre entrò di buon'ora
a spalancare la finestra. Accese il lume e mi scosse:
"Sveglia, sveglia!"
- "Ma', ho sonno, sto poco bene, torna a letto anche
tu...
- Niente, continuò a scuotermi. Aveva gli
artigli di un gatto, "Svegliati!" continuava a dire. (da
Memorie di uno che è fermo)
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