- Elia,
il faro e la cometa
- Capitolo
primo
-
- È noto che il
diavolo, forse per le sue origini aristocratiche, ha
sempre avuto un debole per le anime elette. Qualche
lettore forse si ricorderà di Giobbe, di
sant'Antonio là nel deserto, dei molti asceti ed
eremiti che dovettero vedersela con lui per tutta la
vita.
- Insomma, paradossale
ma vero: i prediletti da Dio lo sono anche dal diavolo,
tanto che, a quel che raccontano, persino il Figlio
-
- Ora, una sera d'estate
di non molti anni fa, nel suo perenne vagabondare, Satana
decise di fermarsi proprio nell'angusta valle di
Leschamps, una valle serrata da superbe montagne, in
tempi lontani bonificata dal lavoro d'innumerevoli monaci
e percorsa in pace e in guerra da pellegrini e
soldati.
-
- Addossata ad una
parete di roccia e quasi nascosta dalla vasta foresta di
larici, la mole dell'antica abbazia rifletteva,
affievolendoli, i raggi sanguigni del giorno morente. Con
la prima oscurità essa veniva acquistando il suo
aspetto più arcigno, che metteva un brivido nelle
ossa degli ultimi turisti e li faceva sfollare in gran
fretta. La sera riportava in quel luogo il silenzio dei
secoli e qualche monaco, dello sparuto gruppo superstite,
che durante il giorno, in foresteria o altrove, aveva
potuto indulgere coi visitatori a una parola di troppo, o
lasciarsi un po' andare con le ragazze o le signore di
passaggio, ora sentiva più stringente l'invito a
raccogliersi e il rimorso dell'infedeltà. Da poco
era suonata la campana e ciascuno, dai vari angoli del
monastero, confluì nel coro per la recita dei
Vespri. Al cenno dell'abate furono accese le lampade e la
liturgia si avviò, cantilenata e solenne; uomini
ancora ben saldi, pur nell'incipiente canizie, qualche
raro novizio, diversi anziani molto in là con gli
anni si accordavano al meglio, anche per turare le falle
vistose che negli ultimi tempi si erano prodotte nella
comunità, con l'abbandono di molti suoi
figli.
- I fragili bagliori del
crepuscolo arrossavano qua e là la buia navata
della chiesa, oltre il coro e l'altare, riverberando
tinte sulfuree tra le volte, accendendosi violentemente
sulle sacre immagini o sul volto assorto d'un vecchio
monaco.
- Conclusi i Vespri,
spente le luci, i monaci tornarono ciascuno alla propria
cella, per l'ora di preghiera personale prima della
cena.
- Il silenzio si era
fatto profondo, penetrante, al punto che nessuno, per
quanto abituato ed esperto, poteva mai evitare, sulle
prime, un ben noto e oscuro disagio. Era di quei momenti
in cui l'anima, smarrita, sa che può attendersi
l'incontro con Dio e, povera e sola, si lascia trovare,
oppure cerca ansiosamente la fuga in terre più
accoglienti e familiari.
- Rientrato nella sua
cella, Elia, un novizio poco più che trentenne, ne
ripercorse più volte il breve spazio, in preda ad
un'ansia che la pacificante liturgia serale non era
bastata a spegnere; tornò infine a sedersi, come
al suo solito, al piccolo tavolo rustico, di fronte alla
finestra bassa e stretta che dava su un cortiletto
erboso, racchiuso da portici. Nascondendo il capo tra le
mani, cercò di richiamare e di custodire, nel
vuoto doloroso del cuore, il passo della Scrittura
proclamato nei Vespri. Era tolto dal Vangelo di Luca; ne
ricordava soprattutto la conclusione: "Nella perseveranza
guadagnerete le vostre anime".
- Elia quella sera si
sentiva straordinariamente stanco e quelle parole gli
suonavano lontane, irraggiungibili. Riaprì gli
occhi e lasciò che lo sguardo scivolasse sul
cortile aldilà della cella; rivide come sempre le
strette volte degli archi, sostenute dagli esili pilastri
in cotto, il pozzo di pietra, slabbrato, al centro, il
sottile tappeto d'erba che ricopriva il terreno tra il
porticato e il pozzo. Dall'alto spioveva l'incerta luce
della sera e l'erba era a tratti sfiorata da strani
riflessi cinerei.
- "L'occhio non è
mai sazio", pensò, "eppure lo so perfettamente,
è l'ora di rientrare, di passare per il cieco
cunicolo che dal di fuori porta di dentro, l'ora di
chiudere tutte le porte in attesa di Lui; come tanti
altri prima di me, in questa medesima cella. Chiudere,
lasciar fuori anche i ricordi, senza più nulla,
non diversamente da loro".
- Da poco avevano
dissepolto diversi monaci per far spazio nel cimitero del
convento; i loro teschi erano stati allineati in un
angolo su varie file sovrapposte. "Come loro",
ribadì a se stesso Elia, "ora e per tutto il resto
del tempo".
- Mentre inseguiva
questi pensieri, gli sarebbe bastata la decisione di un
attimo per troncare ogni esterna dispersione; un attimo
solo per staccare gli occhi da quell'erba che
trascolorava pigramente all'ultimo baluginare del giorno.
Eppur gli pareva che quell'ultima curiosità lo
tenesse attaccato alla vita, alla vita del mondo intero,
e ad ogni istante la separazione si faceva più
dolorosa. Perché poi tanta durezza nei confronti
di se stesso? Era forse peccato concedersi una breve
dilazione e separarsi dolcemente dalle cose, dopo un
lungo addio? Continuando a fissare quell'erba sentiva
intanto riaffiorare dentro di sé, vagamente
consolatrice ed inquietante ad un tempo, un'antica
emozione, provata nella sua prima giovinezza. Aveva
sì e no dieci anni, quando, un mattino di
primavera, attraversando la nativa campagna, ancora umida
di pioggia dopo un temporale, s'era improvvisamente
imbattuto in un vortice di vento, e una girandola di
luci, che si rincorrevano tra l'erba e il fogliame degli
alberi, sembrava addensarsi intorno a lui in uno strano
girotondo, tanto che per un attimo aveva temuto d'essere
sollevato nell'aria e portato chissà dove.
Fortunatamente il sole si riaffacciò con violenza
dalle nubi e la campagna tornò a distendersi nel
chiarore del mattino. Ma l'impressione d'essere rapinato
del suo corpo s'era confitta tenacemente nella sua
memoria. Ancora molti anni dopo, nella sua tribolata
giovinezza, poteva accadergli che di colpo, mentre
camminava tra la gente per le vie della città, per
una specie di sortilegio, gli uomini, le case stesse gli
paressero dissolversi nell'aria, e lui si sentisse come
lievitare, risucchiato a forza fuori da quell'intreccio e
colto da vertigine. Era un po' come se in quei momenti
gli si squarciasse davanti la corteccia del mondo e
dovesse accorgersi, con un misto di stupore e di pena,
come tutto alla fine fosse inconsistente.
- "Di nuovo?,
pensò, inseguendo con gli occhi quel singolare
guizzo di luce e di tenebra fra le zolle erbose del
cortile. Ricordò ch'era dolce abbandonarsi a
quelle impressioni, sentirsi volteggiare leggermente tra
gli uomini, essere un po' come il vento e accorgersi che
la vita è un rapido soffio. Ma ora non poteva
più essere così. Era adulto ed era monaco.
La prima virtù del monaco è la
stabilità; la ben nota " stabilitas in monasterio
"che san Benedetto aveva giustamente prescritto nella sua
Regola.
-
-
-
- Nicodemo
- ATTO
PRIMO
-
- Scena
prima
-
- (In un vicolo di
Gerusalemme, a pochi passi dalla casa di Nicodemo.
Nicodemo, Giuseppe d'Arimatea).
- NICODEMO Inutile,
inutile, non ce la farai ad arrivare fino a casa. Per una
volta la tua bella mogliettina aspetterà. Non
senti che gocce da una libbra cominciano a cadere? E fra
poco potrebbe anche essere grandine. Vieni, fa' un salto
su da me. Vedrai che non muore, se non ci sei per il
pranzo; capirà che è colpa del
temporale...
- GIUSEPPE Tu lo sai
che, se faccio tanto d'entrare, poi...
- NICODEMO Allora vuoi
prenderti l'acqua? Vuoi arrivarle davanti bagnato come un
pulcino?
- GIUSEPPE Bene, vengo,
ma guarda che appena smette di piovere... Una moglie
è una moglie, mio caro; non si può far quel
che si vuole. Tu questo ancora non lo capisci...
- NICODEMO Non
avrò modo di capirlo, come ben sai; comunque penso
che tu esageri, come sempre... Muoviti, entra, che fra
poco vien giù il diluvio.
- GIUSEPPE Un altro?..
Lasciami almeno metter la moglie nell'arca...
- (Salgono qualche
gradino, fino alla porta di casa di
Nicodemo).
- GIUSEPPE Aspetta
ancora un momento. Guarda!
- NICODEMO
Piove!
- GIUSEPPE Qui sotto il
pergolato, tanto, per qualche minuto non ci si bagna.
Guarda Gerusalemme, com'è bella di questa
stagione! Sembra un sogno, non è vero?
- NICODEMO Sì,
è vero.
- GIUSEPPE Con tutti
questi alberi in fiore, e quel mare di verde, sulla
collina, là, oltre il Cedron... Lo senti il
profumo della primavera?
- NICODEMO Sì, lo
sento, ma comincio a sentire anche l'acqua.
- GIUSEPPE Hai visto? Le
nuvole vengono su dal mare. Una manna per la campagna; si
coprirà d'erba anche il deserto.
- NICODEMO Se non
grandina.
- GIUSEPPE Hai fatto
caso che la torre d'Erode è già tutta nel
buio e che sul pinnacolo del tempio, invece, brilla
ancora il sole? Che spettacolo! Che delirio di luce e di
tenebra! Non credo che pittore al mondo...
- NICODEMO E' vero,
è vero. D'altronde, se luce e tenebra non si
scontrano qui, dove mai?... Però adesso
sarà il caso d'entrare. Non senti che quasi siamo
sollevati dal vento? (Apre la porta). A me il vento
piace, ti dirò, ma quando soffia così trovo
meglio la casa. E tu no?
(Entrano e Nicodemo richiude la
porta).
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