-
- La
vecchia penna
- Era piovuto durante
l'intera mattinata e persisteva ancora quel ticchettio
noioso e giocherellone che si divertiva a
punzecchiare, come tanti piccoli spilli, le guance di
quanti fossero sprovveduti dell'ombrello. La pioggia,
però, anche quando nel pomeriggio s'era fatta
minacciosa non aveva avuto il sopravvento sulla
frenesia degli acquisti natalizi, per cui le strade
erano rimaste affollate di gente frettolosa e
insolitamente euforica.
- Anche Giulio, un
signore sulla cinquantina impiegato al Ministero delle
Finanze, passeggiava sotto quella pioggerellina
dispettosa, ma alieno dalla febbre collettiva per il
regalo a tutti i costi anche perché vi aveva
già provveduto con due libri: "Dieci piccoli
indiani" di Agata Christie per Ivana sua figlia, e il
"Talismano della Felicità" per Eugenia sua
moglie, bene impacchettati e chiusi nella scrivania in
ufficio, in attesa d'esser collocati, al giusto tempo,
sotto l'albero. Lui, per sé, già intuiva
la solita sciarpa di lana con ennesima variante di
colori e qualità, regalo congiunto di moglie e
figlia. Ma forse no! Forse quest'anno poteva essere la
volta della cravatta, naturalmente griffata. Giulio,
così fantasticando, oziava davanti ai negozi
del Corso. Entrò in una libreria a curiosare
tra i libri bene ordinati negli scaffali. Tempo ne
aveva: con moglie e figlia si erano dati appuntamento
per le diciannove in Piazza della Rotonda, al
Pantheon, capolinea del bus 94.
- Nella storia tra
Giulio ed Eugenia non era mai esploso, neanche al suo
inizio, il grande amore, nessun fulmine li aveva
colpiti. Reduci ciascuno da una propria amarezza
affettiva, cicatrizzate tuttavia in entrambi, le
ferite, rimasti i soli segni occultati sotto i panni
del tempo, si erano incontrarti a un ballo in casa di
amici durante un'uggiosa domenica pomeriggio di fine
febbraio. Si erano attratti quel tanto che basta per
accettarsi, piacersi e condividere con tranquilla
linearità i loro percorsi incrociati in
un'unione in seguito consacrata dal matrimonio e
confermata dalla nascita d'Ivana. Non passava giorno,
però, che Giulio non pensasse al mare nel quale
era naufragata la sua più profonda aspirazione:
cicatrice visibile agli occhi della propria
intimità, anche se stemperata, nel tempo, dal
dolore iniziale. Persisteva dunque, dolce, il ricordo
che si disegnava nelle fattezze di una giovane donna
dal sorriso di ciclo in una limpida giornata d'agosto,
e che sempre lasciava immaginare la gioia di una
festa, i capelli luminosi come biondo grano in giugno.
La memoria del cuore rincorreva allora, con antico,
gioioso rimpianto, Faustina e i bei tempi del Liceo.
Faustina: storia d'amore unilaterale, vissuta quindi
nel muto vibrare di un cuore, il suo. Amarezza di
un'occasione di felicità perduta perché
prodotta non dal rifiuto di lei, ma da una sua
rinuncia: ciò non di meno cocente, specie i
primi tempi, come si fosse realmente concretizzata per
poi protendersi piena di vitalità e passione e
consumarsi, invece che unilaterale, come storia a due.
Lui, timidissimo compagno di banco e innamorato
silenzioso, si accontentava esserle vicino e
osservare, non visto, lineamenti e gesti, udirne la
voce. Faustina doveva essersi accorta del suo ermetico
sentimento e forse n'era lusingata ma non lo aveva
incoraggiato, così lui pensava, nel probabile
timore di perderne la stima; oppure, quel che
più temeva, esser costretta a opporgli un
rifiuto, nel caso... Perché, corteggiata
com'era, Faustina, un po' da tutta la classe maschile,
era proprio impresa disperata doversi dichiarare! Non
gli era stato possibile, e unico imputato altri non
poteva essere che se stesso, vittima della propria
opprimente timidezza. Forse, congetturava altre volte,
Faustina si sarebbe aspettata un approccio da lui,
mentre lui, "bah!"... Enigma senza soluzione, che lo
accompagnava, d'allora, durante tutto il tempo. I loro
rapporti erano sempre intercorsi rispettosamente
amichevoli, forse troppo. Convinto non poter mai
scalare il monte che conduceva alla vetta del cuore di
lei, nel giorno del commiato aveva compiuto un'azione
temeraria; commesso, cioè, un piccolo reato nei
suoi confronti: le aveva carpito un caro ricordo, una
penna stilografica, oggetto semplice e di non gran
pregio economico, al quale la ragazza era però
affezionata, perché regalo di Cresima avuto da
una cara zia. Per lui era stato come prenderle una
parte di quel cuore che riteneva inaccessibile. Se
n'era impossessato da ladro, certo, ma si era trattato
nient'altro che di un ingenuo gesto d'amore,
benché sotterraneo. Almeno per lui, almeno
così credeva: una compensazione, a ogni modo,
alla ferita infettasi nel rinunciare a dichiararsi, a
provare, a tentare l'apertura di una breccia nel cuore
di lei, ponendosi quindi un rifiuto alla scalata e
conquista della vetta dove quel suo irraggiungibile
cuore alloggiava. E allora aveva preferito
prenderglielo quel pezzette di cuore, impadronirsene
in quel modo fantastico e improprio, e aveva dovuto
accontentarsi: non avrebbe potuto fare
altrimenti...
- Curiosando tra i
libri, l'uomo insegue queste considerazioni miste
oramai a bianco rimpianto; le stesse di sempre, del
resto, da trent'anni a questa parte, appunto, quando
sente una voce pronunciare il suo nome. Si gira di
scatto, attirato dal timbro e dal tono, e vede che...
"Uh Oddio!" Vede che due occhi riflettenti l'azzurro
del ciclo in una non più tanto limpida
giornata, l'osservano stanchi, sorridenti
tuttavia.
- « Giulio!
» ripete la voce.
- « Faustina!
» esclama l'uomo, animato da quello
sguardo.
- « Quanto
tempo! »
- « Come stai?
»
- « Io bene e
tu? »
- « Io anche,
grazie! » Giulio rimane a contemplare incantato
la visione: erano stati i suoi pensieri a
provocarla?... "Ma no," si dice: cose che possono
sempre accadere, anche nella grande città,
perché no?
- Il bacio sulla
guancia è delicato e apparentemente disinvolto,
come tra vecchi amici o parenti. Si recano al bar
più prossimo, siedono ai tavolini increduli di
ritrovarsi l'una di fronte all'altro dopo tanto tempo;
si raccontano stupiti e radiosi i loro anni lontani,
le loro strade percorse lungo diversificati itinerari:
itinerari desertici, dove avevano incontrato, pur
nella diversa linea di scelta, qualche piacevole oasi:
lei con un matrimonio sbagliato, confortato dalla
presenza di un figlio. Giulio con la sua vita bianca,
scandita da quotidiana linearità con la propria
compagna, senza il grande amore, ma anche senza gran
dolore. Sorbendo il caffè, con l'idea di
risentirsi in futuro, spontaneamente si scambiano i
numeri telefonici, da vecchi amici che dopo tanto
tempo si ritrovano. Giulio, tradendosi, estrae dal
taschino della giacca la vecchia penna stilografica
che pone in mano alla donna, le detta il suo numero
sull'agendina che lei ha estratto dalla borsetta. "Ma
guarda guarda!" Faustina sente il cavallo da tempo
sonnecchiante nel suo cuore inaridito, mettersi a
galoppare e ad accelerare la corsa perché
riconosce, tra le dita, l'inconfondibile oggetto
sparitole trent'anni prima, proprio l'ultimo giorno di
scuola e... che credeva perduto. Fissa il pezzetto di
cuore rapitole in quel giorno lontano: non sa cosa
pensare. Lo sguardo sembra non volersene staccar
più. Alza gli occhi verso l'uomo, li socchiude
in un tiepido sorriso, scuote lievemente il capo, come
a chiedere...
- « Volevo
serbare almeno un palpabile ricordo di te, » si
giustifica Giulio.
- « E...
perché? »
- « Ora posso
confidarmi: il tempo, cancella tutto e tutto smitizza:
timori, silenzi, parole allora inespresse. »
Così argomentando, la rimira con ancora intera
la dolcezza tenutasi dentro tutti quegli anni. «
Faustina, » bisbiglia arrossendo; « io ti
amavo. Ho continuato ad amarti nel tempo; ma il tempo,
questo signore crudele non ha potuto sopprimere
né sminuire il mio sentimento per te nonostante
altra donna, altri affetti... Non posso farci niente.
Ti amo ancora Faustina, sebbene... » Preferisce
tacere. Proseguire non occorre.
- Faustina spalanca
gli occhi, i begli occhi di ciclo: « E... come
mai? » sorride visibilmente imbarazzata; le
guance si colorano anche per lei. E' come non le
riesca capire. « E perché, allora, non?...
»
- « Come potevo?
Con altri più interessanti di me che ti stavano
dietro... »
- « E non hai
mai pensato che potevi essere tu, il più
interessante di tutti, per me? »
- « No
purtroppo, anche perché, veramente, tu non mi
hai mai incoraggiato. » L'uomo, così
parlando emette un profondo sospiro, sorride, abbassa
il capo, lo rialza ponendo lo sguardo su di lei.
« E poi temevo un tuo rifiuto, al quale non avrei
saputo resistere. Mi mancò il coraggio,
ammetto. »
- « E
così abbiamo sciupato le nostre due vite.
Avremmo potuto, altrimenti... » Faustina
s'arresta; anch'essa dopo un profondo sospiro e lo
fissa negli occhi. « Non è così?
» chiede, più a se stessa che non a
Giulio.
- « Non saprei,
veramente. »
- Rimangono entrambi
a contemplarsi in silenzio.
- « Io ti ho
pensato ogni giorno usando questa vecchia penna, parte
dei tuoi affetti. E' stato, per me, come rapirti una
porticina di cuore e... ora che mi hai scoperto debbo
rendertela. » E ciò detto gliela
porge.
- Faustina la prende
e sorridendo la fa rotolare tra le dita. Lo guarda
intensamente, gli prende le mani, vi passa una
carezza, annuisce sorridente, poi lo scuote pensosa,
perché rincorre il tempo trascorso in direzione
opposta alla voce dei propri reciproci sentimenti,
fattore oramai irrecuperabile: « Anche io ti ho
pensato ogni giorno, sai? » confida; «
chiamando ogni volta mio figlio, al quale ho messo
nome Giulio. E sappi, anch'io mancai di coraggio nel
non... » La voce s'è fatta incerta; le
iridi, lucide, emettono appena impercettibili
vibrazioni. Alza la mano per accarezzare il viso
dell'uomo perduto e inutilmente ritrovato dopo un
lungo, ignaro silenzio durato trent'anni. La mano
dell'uomo scivola dietro la nuca di lei. Le labbra si
uniscono in un delicatissimo bacio, diverso da quello
soltanto amichevole e convenzionale scambiatosi nella
gioia e nello stupore del ritrovarsi, prima delle
confidenti scambievoli rivelazioni. Un bacio di
innamorati stavolta, perché finalmente, ma
troppo tardi, hanno potuto aprire le casseforti dei
loro cuori entro le quali giacevano muti e pur
vibranti, i propri reciproci sentimenti. Giulio chiude
gli occhi, come a voler sorbire parte di quella
felicità alla quale rinunciò per
timidezza. Il bacio dura in indefinibile breve tempo,
permettendo loro di recuperare in parte quello
lunghissimo trascorso nella separazione. Poi lei:
« Tienila. E' tua di diritto, » dice, e gli
rida la penna, quel suo pezzettino di cuore già
oggetto di ricordi e affetti, ora reliquia di una
storia mai svoltasi nella sua interezza, nondimeno
reale nella propria evanescente profondità e
dono, ora, con quel pezzettino di cuore, di sé,
simbolo, prova, non più furto, benché
suggerito, a suo tempo, da romantico e nobile intento.
E rapida si dilegua Faustina, dopo un'ultima carezza a
chi ha saputo mantenere con ammirevole tenacia quel
suo antico inespresso sentimento per lei attraverso le
pagine bianche formanti il libro d'oro della loro
storia, vergata a una sola mano con lettere di fumo,
stampate a margine dal numero degli anni; e fugge via
dissolvendosi nella propria solitudine fatta anche e
soprattutto di acerbo rimpianto: ora più che
mai, ora che stupita e tuttavia felice, sa, avendone
acquisito conferma. E appunto per questo, ora che sa
non vuoi sciupare tutto, tutto oramai fuori tempo,
escluso il sentimento, che è bene rimanga puro
e occultato. Una relazione guasterebbe e purezza e
sentimento, considerando le loro situazioni e le
strade intraprese.
- Giulio, dal canto
suo, scossosi dal sogno, sparita la visione, si
accorge di tenere tra le dita un biglietto da visita
distrattamente estratto dalla borsetta insieme
all'agendina, e legge : "Prof.ssa Faustina
Melià." Seguono indirizzo e telefono. Bacia e
accartoccia il biglietto fino a renderlo illeggibile,
consapevole non poter più recuperare nulla di
quanto perduto, se non coltivarne memoria. Guarda
l'orologio: già, deve recarsi là, dove
anche per lui, sebbene confortato dall'affetto per la
propria sposa, stagna una parte di solitudine e
rimpianto. Fa ruotare tra le dita il pezzettino di
cuore, solidità e simbolo del proprio
sentimento, che accarezza e ripone nel taschino della
giacca, cui proprio ora Faustina, la sua Faustina
riemersa dalle nebbie del tempo onde rendersi di nuovo
evanescente, promovendo il suo gesto d'amore, le ha
fatto dono. Ma non può, al momento, godere di
questo, che deve recarsi là, dov'è il
suo posto di sposo e di padre; sì, là,
dove si concretizza nel quotidiano, la sua scelta di
vita, là, dove si sarebbe ritrovato alle
diciannove con le sue due donne: capolinea bus 94,
Piazza della Rotonda, al Pantheon.
-
-
|
-
- La voce del
vento
-
- Soffia
irrequieta
- frusciando
tra i rami
- e ululando
nell'aria,
- la voce del
vento.
- Voce arcana,
austera
- nelle notti
di tempesta;
- e supplica e
chiama
- disperata nel
folle suo errare,
- flagellando
l'intorno
- con illusorio
suono
- di vaga
lontana campana.
- Forse
è in cerca di pace
- la voce del
vento
- come il cuore
dell'uomo
- colmo
d'angoscia e spavento.
13/8/1996
D PV Roma Tiburtina, ore 3.15 a.m. in attesa del
treno Exp 822
-
- Il respiro del
Tempo
-
- Il tuo
respiro è buio e luce,
- che
attraversi solcando l'infinita
notte.
- Tuo potere
è colmare spazi desolati,
- modellare
corpi in movimento
- nell'inimmaginabile
freddo,
- l'orrido
fuoco dei soli oltrepassando.
07/2/1996
-
-
-
- La
fonte
-
- Al confine
tra terra e cielo
- gorgheggi
gioiosa, piccola fonte.
- Vengono
creature animate
- a dissetarsi
di te
- prezioso,
querulo bene.
- Anche
creature del cielo
- si posano
vicine e con
- il piccolo
becco godono di te,
- fresca fonte
tra gli alberi,
- che ristori
non solo
- creature
animate
- e abitanti
del cielo.
- Piccola
fonte
- fa rivivere
in noi
- sazi e
irrequieti mortali,
- i perduti
sentimenti
- di purezza e
di pace.
06/5/1997
ore 8.00 Treno ETR 500 9426 Roma
Milano
-
-
-
- Fumo di
stelle
-
- Fumo di
stelle nella notte
- dietro lumi
vibranti nel buio,
- polvere
luminescente
- che antico
Saggio diede
- semplice
poetico nome,
- "Via
Lattea."
- Sentiero
invitante
- al candore e
alla pace
- dell'immenso
che è.
06/7/1998
-
-
-
-
-
- Sguardo e
sguardo
-
- Se alzo lo
sguardo
- nell'ordine e
nel silenzio,
- sorridono le
stelle del cielo
- in apparente
fissità di pace.
- Se abbasso il
capo all'altezza
- degli occhi
scorgo quel caos
- e clamore nei
quali m'identifico,
- partecipe del
soffrire e godere
- dell'umanità
rivolta con sguardo
- al presente:
umanità che ama,
- o, con moto
infelice, odia,
- nel morboso
vano desiderare.
13/03/1999
treno 34422 ore 20.21
-
-
-
- Le favole del
Vento
-
- Le favole che
il vento vagando racconta
- sono portate
dalla sua voce fioca
- o possente, a
seconda, che sibila nell'aria
- e parla
d'amore di gioia e dolore.
- Le favole
cruente e crudeli sono sospinte
- da quotidiana
onda d'elettronico vento.
- Quelle che il
mio povero estro vuol narrare
- le graffio su
carta con la mia fragile penna
- composte da
incerta mano e palpitante cuore.
22/3/2001
-
-
-
- Ritorni nel tempo
-
- Cessata la
pioggia, vaga nell'aria
- querula e
inquieta, la voce del vento;
- percorre la
notte tersa e vibrante di
- tremule luci.
La sento prendermi
- il cuore, la
voce del vento, e sinuosa
- condurmi
oltre i remoti meridiani
- del tempo,
sull'orizzonte d'eventi
- trascorsi,
avvolti da nebbia, entro la
- quale,
squarciata, intravedo un bimbo
- incantato
aprirsi gioioso alla vita.
-
- Culla la
madre il bimbo incantato, e,
- affacciata
alla finestra di un'unica
- stanza
sull'orto, gli mostra colli giallo
- verdi,
azzurri monti lontani e i colori
- del cielo, le
piante, le stelle, i fiori.
- Impara il
bambino, nell'aprirsi alla
- vita, ad
amare docili e dolci creature:
- un cane, un
gatto, suoi piccoli amici.
- Maestra
è colei che ingrato amore
- fece madre
del bimbo incantato.
-
- Cessata
è dunque la pioggia, ma
- il vento,
senza pace, persiste,
- e la sua voce
intreccia arcano
- colloquio con
chioccolio d'acque
- lungo la
gronda; e il singolare
- chiacchierio
è un commento
- sul fanciullo
dai gioiosi occhi
- incantati,
nell'atto di ricevere
- bianca ostia
di Cielo, presagendo
- già
allora non facile vita futura.
-
- Mi portano le
voci, in altro punto
- nel tempo, al
capezzale di piccola
- amica
morente. E narrano al vento,
- le acque, al
ritmo sillabando, del
- bambino
triste che la morente,
- occhi accesi
di febbre, con tenero
- gesto
consola. Saluta il vento
- gli ultimi,
tenaci clip clop della
- gronda,
anch'essa malata come
- la piccola
amica in partenza.
-
- Ora la voce
dell'usignolo annuncia
- l'aurora:
vita, luce, gioia e nel canto
- ricorda a me,
uomo stanco, il bacio,
- il primo,
euforia d'amore: trepida gioia,
- il riso, il
sorriso, il cuore che batte,
- illusione di
giorni come cielo sereno.
- Amarezza poi,
d'amore che va come
- il sole dopo
un dì radioso dietro i
- monti viola,
che l'inverno della vita
- spoglia e
ammanta di neve e di gelo.
-
- Il nuovo
giorno mi consegna al presente:
- tace il
chioccolio nella gronda, cessato
- è il
vento, riposa l'usignolo. Torno a vita
reale
- che, grigia,
disdegna i ritorni, il compiacersi
- di sé
e di quel che ne fu, tristezza e
gioia,
- ricomposte
nell'oro del mito, esplosione di
- supernova,
perduto là, oltre la nube di
Oort,
- oltre i
meridiani del tempo, in punto di fuoco
tra
- lontanissimi
Quasar, orizzonte di remoti eventi
- trascorsi,
pur conservati nella memoria del cuore.
09/9/2005
-
- Poesia
segnalata al Premio Letterario "Antologia
del Ricordo,"
a cura della Società Culturale Pragmata
il 15/10/2005 e inserita nella relativa
antologia.
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