In tanti di quei giorni che
vivo
In tanti di quei giorni che vivo
la precarietà mi prende e avvolge alle sue
spire.
E non ricordo di avere
una madre un padre
un compagno
dei bambini
dei fratelli
delle sorelle
degli amici
un pianoforte
dei libri
dei dischi
dei risparmi
una casa.
Ricordo di aver lasciato
una casa
dei risparmi
dei dischi
dei libri
un pianoforte
degli amici
delle sorelle
dei fratelli
dei bambini
un compagno
un padre una madre.
I fuochi d'artificio
sono preludi interminabili e detergenti
per il mio mondo
che brucia in sordina,
quando l'ansia di sbozzarlo
manda in visibilio la
luna.
Per giocare a nasconderella con la
mia solitudine d'interni
Per giocare a nasconderella
con la mia solitudine d'interni
hai bendato i miei livori tumefatti
con carezze di luna stuprata.
Ho impiantato nei tuoi alveoli
senza successo di radicamento
l'intento di creare e ricreare il mondo
rimuovendo il ricordo di crepe aperte
di collisioni accese
nei dialoghi fra sordi.
Vestendo la mia caustica solitudine
d'interni
hai sorpreso sotto il corpo scorticato
tessuti sanguinanti
per le labbra arse
che non sapevano darsi convegno
in un altrove che non fosse
l'inferno del sociale.
Senza cerimonie né preamboli
mi sono smascherata
carnefice, vittima.
E dovendo espiare la colpa
di questo loro essere in me in sintonia
- una sintonia incommensurabile -
ho cominciato a predicare
la «partecipazione marginale«
convinta
di avere sempre
argilla da maneggiare.
Questa notte
Questa notte
che non sa addormentarsi
in braccia diverse dalle mie
mi è cara come una figlia:
con la paura ferma negli occhi,
l'indulgenza interrogativa
di chi non è ancora pronto a rompere gli
indugi,
vigila le tue carezze
che dalle mie mani colme
continuano a sgocciolare
sommesse,
e ad un tratto
con la voce alterata del sonniloquo
mi fa sapere
che nel punto più irraggiungibile del mio
ventre
si sta annidando
il tuo cuore.