LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

I grandi poeti contemporanei

 

Vincenzo Cardarelli
 
Lette per voi:
 
Tratte da Poesie, 1936, 1942
 
Adolescente
 
Su te, vergine adolescente,
sta come un'ombra sacra.
Nulla è più misterioso
e adorabile e proprio
della tua carne spogliata.
Ma ti recludi nell'attenta veste
e abiti lontano
con la tua grazia
dove non sai chi ti raggiungerà.
Certo non io. Se ti veggo passare
a tanta regale distanza,
con la chioma sciolta
e tutta la persona astata,
la vertigine mi si porta via.
Sei l'imporosa e liscia creatura
cui preme nel suo respiro
l'oscuro gaudio della carne che appena
sopporta la sua pienezza.
Nel sangue, che ha diffusioni
di fiamma sulla tua faccia,
il cosmo fa le sue risa
come nell'occhio nero della rondine.
La tua pupilla è bruciata
dal sole che dentro vi sta.
La tua bocca è serrata.
Non sanno le mani tue bianche
il sudore umiliante dei contatti.
E penso come il tuo corpo
difficoltoso e vago
fa disperare l'amore
nel cuor dell'uomo!
 
Pure qualcuno ti disfiorerà,
bocca di sorgiva.
Qualcuno che non lo saprà,
un pescatore di spugne,
avrà questa perla rara.
Gli sarà grazia e fortuna
il non averti cercata
e non sapere chi sei
e non poterti godere
con la sottile coscienza
che offende il geloso Iddio.
Oh sì, l'animale sarà
abbastanza ignaro
per non morire prima di toccarti.
E tutto è così.
Tu anche non sai chi sei.
E prendere ti lascerai,
ma per vedere come il gioco è fatto,
per ridere un poco insieme.
Come fiamma si perde nella luce,
al tocco della realtà
i misteri che tu prometti
si disciolgono in nulla.
Inconsumata passerà
tanta gioia!
Tu ti darai, tu ti perderai,
per il capriccio che non indovina
mai, col primo che ti piacerà.
Ama il tempo lo scherzo
che lo seconda,
non il cauto volere che indugia.
Così la fanciullezza
fa ruzzolare il mondo
e il saggio non è che un fanciullo
che si duole di essere cresciuto.
 
***
 
Passato
 
I ricordi, queste ombre troppo lunghe
del nostro breve corpo,
questo strascico di morte
che noi lasciamo vivendo
i lugubri e durevoli ricordi,
eccoli già apparire:
melanconici e muti
fantasmi agitati da un vento funebre.
E tu non sei più che un ricordo.
Sei trapassata nella mia memoria.
Ora sì, posso dire che
che m'appartieni
e qualche cosa fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.
Tutto finì, così rapito!
Precipitoso e lieve
il tempo ci raggiunse.
Di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
Dovevamo saperlo che l'amore
brucia la vita e fa volare il tempo.
 
***
 
Ottobre
 
Un tempo, era d'estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori,
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all'autunno
dal colore che inebria,
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest'aria che odora
di mosto e di vino,
di questo vecchio sole ottobrino
che splende sulla vigne saccheggiate.
 
Sole d'autunno inatteso,
che splendi come in un di là,
con tenera perdizione
e vagabonda felicità,
tu ci trovi fiaccati,
vòlti al peggio e la morte nell'anima.
Ecco perché ci piaci,
vago sole superstite
che non sai dirci addio,
tornando ogni mattina
come un nuovo miracolo,
tanto più bello quanto più t'inoltri
e sei lì per spirare.
E di queste incredibili giornate
vai componendo la tua stagione
ch'è tutta una dolcissima agonia.
 
***
 
Da Poesie, in Opere complete, Milano, Mondadori, 1962
 
Autunno
 
Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora che passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.
 
***
 
Gabbiani
 
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
 
***
 
Alla morte
 
Morire sì,
non essere aggrediti dalla morte.
Morire persuasi
che un siffatto viaggio sia il migliore.
E in quell'ultimo istante essere allegri
come quando si contano i minuti
dell'orologio della stazione
e ognuno vale un secolo.
Poi che la morte è la sposa fedele
che subentra all'amante traditrice,
non vogliamo riceverla da intrusa,
né fuggire con lei.
Troppo volte partimmo
senza commiato!
Sul punto di varcare
in un attimo il tempo,
quando pur la memoria
di noi s'involerà,
lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
concedici ancora un indugio.
L'immane passo non sia
precipitoso.
Al pensier della morte repentina
il sangue mi si gela.
Morte non mi ghermire
ma da lontano annùnciati
e da amica mi prendi
come l'estrema delle mie abitudini.
 
***
 
Sera di Gavinana
 
Ecco la sera e spiove
sul toscano Appennino.
 
Con lo scender che fa le nubi a valle,
prese a lembi qua e là
come ragne fra gli alberi intricate,
si colorano i monti di viola.
Dolce vagare allora
per chi s'affanna il giorno
ed in se stesso, incredulo, si torce.
Viene dai borghi, qui sotto, in faccende,
un vociar lieto e folto in cui si sente
il giorno che declina
e il riposo imminente.
Vi si mischia il pulsare, il batter secco
ed alto del camion sullo stradone
bianco che varca i monti.
E tutto quanto a sera,
grilli, campane, fonti,
fa concerto e preghiera,
trema nell'aria sgombra.
Ma come più rifulge,
nell'ora che non ha un'altra luce,
il manto dei tuoi fianchi ampi, Appennino.
Sui tuoi prati che salgono a gironi,
questo liquido verde, che rispunta
fra gl'inganni del sole ad ogni acquata,
al vento trascolora, e mi rapisce,
per l'inquieto cammino,
sì che teneramente fa star muta
l'anima vagabonda.
 
***
 
Autunno veneziano
 
L'alito freddo e umido m'assale
di Venezia autunnale,
Adesso che l'estate,
sudaticcia e sciroccosa,
d'incanto se n'è andata,
una rigida luna settembrina
risplende, piena di funesti presagi,
sulla città d'acque e di pietre
che rivela il suo volto di medusa
contagiosa e malefica.
Morto è il silenzio dei canali fetidi,
sotto la luna acquosa,
in ciascuno dei quali
par che dorma il cadavere d'Ofelia:
tombe sparse di fiori
marci e d'altre immondizie vegetali,
dove passa sciacquando
il fantasma del gondoliere.
O notti veneziane,
senza canto di galli,
senza voci di fontane,
tetre notti lagunari
cui nessun tenero bisbiglio anima,
case torve, gelose,
a picco sui canali,
dormenti senza respiro,
io v'ho sul cuore adesso più che mai.
Qui non i venti impetuosi e funebri
del settembre montanino,
non odor di vendemmia, non lavacri
di piogge lacrimose,
non fragore di foglie che cadono.
Un ciuffo d'erba che ingiallisce e muore
su un davanzale
è tutto l'autunno veneziano.
 
Così a Venezia le stagioni delirano.
 
Pei suoi campi di marmo e i suoi canali
non son che luci smarrite,
luci che sognano la buona terra
odorosa e fruttifera.
Solo il naufragio invernale conviene
a questa città che non vive,
che non fiorisce,
se non quale una nave in fondo al mare.
 
ed. Mondadori, Milano, 1949
 
***
 
Da Parliamo dell'Italia
 
La cultura italiana e "La Ronda"
 
...La pericolosa originalità di questa nuova Italia consiste nell'aver rotto i ponti coi tempi che immediatamente ci precedono. Si andrà ancora avanti e si vedrà ch'essa è nata per ristabilire il corso della sua storia reale, della sua storia antica, interrotto circa un secolo fa da quelle che si chiamavano fino a ieri con tutta pompa le tradizioni liberali del Risorgimento.
Quanto a noi, letterati e classicisti, allorché diciamo senso della tradizione e ritorno all'antico non vogliamo già intendere accademismo e filologia, nel qual caso non si capirebbe perché avremmo dovuto tanto scalmanarci, dal momento che in Italia non s'è fatto mai altro. La filologia è una scienza che tutti possono imparare, ma che non può dare il gusto a chi non ne ha, giacché, tutti possono imparare, ma che non può dare il gusto a chi non ne ha, giacché, osserva Cervantes nel Dialogo dei cani, se bastasse il latino per non essere idiota, non ci dovevano essere idioti tra i latini; nel qual senso invece è naturale ed è creativo e pochi sono in grado di capirlo, non ché di possederlo.
Ma neppure ci lasciamo illudere da quel presunto rinnovamento filosofico che è l'ultimo ritrovato di una cultura la quale ha perso il ricordo della propria originalità storica, quando non addirittura un fenomeno d'impudente ciarlataneria, e crede poter supplire con delle astrazioni a un profondo difetto di costume. Questo è quel che è. Esiste o non esiste. La filosofia non può abbatterlo, se non quando è già morto. Non lo può creare, se non a patto di obliarsi come filosofia e convertirsi in attività pratica e positiva, la qual cosa implica discrezione, sentimento e conoscenza dei limiti che una determinata storia formalmente propone. Onde noi stimiamo di esser buoni filosofi concludendo che l'Italia di oggi non ha bisogno di filosofi, non ha bisogno di predicatori, e neppure di critici, ma di scrittori e di artisti. (...)
Dovevamo venire noi de "La Ronda", a rinfrescar la memoria agl'italiani, collo Zibaldone alla mano. Non l'avessimo mai fatto! Il chiasso esageratissimo sorto intorno ad un avvenimento che andava accolto solo con un po' di intelligenza e discrezione, riconoscendo che su Leopardi si potevano ancora dire cose nuove, che nell'opera sua c'era ancora qualche lato ignoto o mal noto da scoprire, senza tornare per questo a far del leopardismo scolastico o filosofico (ciò che purtroppo è avvenuto) dimostra forse come Leopardi, attraverso i nostri indegni suggerimenti, abbia còlto la giovane letteratura italiana al tutto sprovvista di ogni capacità di comprensione o di reazione seria (...)
Capire Leopardi significa capire la tradizione e la modernità ad un tempo.
Ma noi siamo egualmente lontani dall'una e dall'altra... Aver contribuito a diffondere la conoscenza dello Zibaldone, è motivo, per noi de "La Ronda", di non piccolo orgoglio. Poiché ho idea che nell'opera critica e storica di Leopardi sia definita per sempre la grande Italia spirituale che tanto si vagheggia e nella quale io credo al punto che, senza di essa, non riesco ad immaginare nessun'altra forma d'impero.
 
ed. Vallecchi, Firenze, 1931
 
Vincenzo Cardarelli
 
 
 
 
 
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Ins. 1 febbraio 2002