Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Carmine Rubicco
Con questo racconto si è classificato decimo al concorso Marguerite Yourcenar 1999

Mr. Smith

 
Era un personaggio come tanti altri, andato a vivere in quella strada quasi per caso. Il classico postaccio dove ci si trova gomito a gomito con della gente non proprio raccomandabile, come si suol dire. Ma questo non sembrava infastidirlo molto. Dopo tutto conduceva la propria vita come meglio credeva, senza interferenze.
Sotto di lui abitava una famiglia piuttosto rumorosa a causa dei numerosi figlioli e delle molteplici feste che questi organizzavano. Non era certo un motivo sufficiente per rovinare i rapporti di pacifica convivenza o per togliere loro il saluto. A ben vedere lui era fuori per la maggior parte della giornata, e una volta a casa aveva altro a cui pensare che a un'orda di adolescenti. Cercavano solo di divertirsi in qualche modo.
Reporter per un giornale di media grandezza. Solo. Tirava avanti tranquillo, agli occhi degli altri. Un tipo che si sapeva arrangiare da sé. Ambizioso quanto basta per non morire nel quotidiano marasma di banalità e per darsi quella carica sufficiente a non rammollirsi. Le giornate si susseguivano con la solita frenesia.
Lavorare per una testata, qualsiasi essa sia, non è esattamente rilassante. Sempre sotto pressione per i servizi, con la perenne ossessione di non commettere errori troppo gravi. Lo stress di consegnare in tempo i pezzi e quindi stare addosso a chiunque come un mastino senza mollare l'osso per nessuna ragione. Poi a casa. Nel traffico che ti inghiotte senza pietà. In una pazza folla di pendolari che tornano in famiglia, navigando spaventati su quel possibile Acheronte.
 
Gente che quando guardi nelle macchine ti chiedi sempre cosa stia mai pensando. Chi sa chi sono. Dove vivono. Quali problemi hanno. Tutte domande senza risposta. Spostandosi verso la periferia della città il fiume di automobili si fa meno pericoloso. I mezzi si diradano e vanno a perdersi in strade anonime. Non immagineresti mai possano portare da qualche parte.
Arriva a casa quasi a passo d'uomo per evitare i corpi vuoti che gli si parano improvvisamente innanzi. Il palazzone in cui abita si perde tra le nebbie cittadine. Nebbie non si capisce se provocate da agenti atmosferici o da qualche strano fenomeno di inquinamento. Si vede solo un grigio che si estende a macchia d'olio. Scale antincendio fanno bella mostra di sé al visitatore sprovveduto. Finestre che non si riescono a chiudere salutano i passanti come tanti grandi occhi ammiccanti. Si spegneranno quasi contemporaneamente ad una certa ora.
Ferma la macchina sull'elevatore e va giù fino al quarto livello.
Il posto gli è stato assegnato con l'appartamento. Scende meccanicamente e si dirige verso l'ascensore. Sale per ben diciotto piani, vive al quattordicesimo. Finalmente si trova davanti alla porta. Ha la chiave già in mano. I soliti rumori. Le solite urla. I soliti schiamazzi.
 
In testa non ha nulla. E non c'è nulla di ciò che accade fuori che possa riuscire a coinvolgerlo.
Entra nella stanza buia e poggia il soprabito sulla sedia.
Richiude l'uscio e senza accendere la luce si dirige verso il frigorifero. Passando accende lo stereo. La musica sembra seguire i suoi passi. Sente canzoni d'altri tempi. Sono solo note metropolitane. Quelle che solo Lou Reed riesce a far uscire dal proprio strumento e sorregge con la propria voce.
Apre il frigorifero. La lampadina illumina per un attimo la stanza. Le finestre con le veneziane perennemente alzate. La porta della camera da letto aperta. Il salottino e la tv. Si versa da bere e al buio si dirige verso una poltrona posta strategicamente innanzi alla finestra più grande. Offre una splendida vista della città illuminata.
D'un tratto si accende il condizionatore. Si allenta la cravatta e si slaccia il primo bottone della camicia.
Scende lo scalino che porta nel salottino e sprofonda nei cuscini. Vuole godersi il primo momento di tranquillità della giornata. Con la testa appoggiata a quello che si è trasformato in un talamo, beve a piccoli sorsi. Non gli piacciono gli alcoolici, almeno non in certi frangenti. Beve coca.
Mette i piedi sul tavolino e guarda fuori.
 
Le luci si confondono. Brillano solo le insegne pubblicitarie poste sui palazzi più alti. Un altro giorno è scivolato via senza pretese. Lentamente ripensa alla fatica affrontata. Alle interviste fatte. A quanto sia stronzo quel tale o idiota il tal altro. Continua a tirare piccoli sorsi.
Non ha voglia di pensare cosa mangiare. Vorrebbe solo che quegli attimi di serenità non avessero mai fine. Sono le sole occasioni in cui è in pace con se stesso. Quando si è troppo stanchi per pensare, ma non abbastanza per smettere di farlo del tutto. Sono così difficili da trovare, pensa tra sé e sé. Così, con i soli momenti finali che variano, trascorre le sue settimane. Negli spazi liberi ascolta musica o legge o lavora a quello che vorrebbe fosse il suo primo romanzo. Da fuori è un tipo cordiale. Educato. Ma lui spesso non si sente così tranquillo.
Non capisce se ci si è ritrovato per caso in quella vita di single che pensa al lavoro o l'ha cercata.
Le risposte sono alterne tra le due soluzioni. Laureato in lettere. Ha rifiutato l'insegnamento perché troppo riduttivo e perché bloccato per almeno quindici anni. Vive da solo da sette.
Il suo letto ha visto alternarsi diverse amanti.
Mai nulla di serio o di definitivo, anche qui non sa se per volontà o per sfortuna.
Lentamente, mentre appoggia per terra il bicchiere vuoto, salgono dall'appartamento adiacente il rumore di una porta che si apre ed i toni aspri di due persone che discutono. Sono i Jackson. Due coniugi. Non hanno figli. Lavorano entrambi. Lui in un'agenzia di cambio. Lei in una che organizza viaggi. Trattiene per un attimo il respiro, sperando di riuscire a captare il motivo di quell'acceso scambio di idee. Inutile. Fallito il tentativo comincia a fantasticare su cosa potrebbe essere accaduto. Forse la gelosia di uno dei due? O magari i conti di fine mese che non quadrano. Forse uno vorrebbe un figlio e l'altro no. Chi sa. A questo dibattito ne fa eco un altro proveniente dal piano di sotto. Questo coinvolge più persone. Il pianto di un bambino. Dei passi si dirigono verso quella che nel suo appartamento sarebbe la stanza degli ospiti. Il pianto si calma. Le voci non accennano a diminuire d'intensità. Questa è la famiglia Perry. Due impiegati con prole. Saranno sicuramente alle prese con i conti da pagare. Come al solito avranno intimato alla figlia più grande di stare meno al telefono, se non vuole vederselo sequestrato. In questi casi gli piacerebbe poter essere invisibile. Saper oltrepassare i muri per calmare gli animi e risolvere con calma le situazioni.
 
Ma l'idea subito scompare.
La mano si allunga morbidamente verso il telecomando. Accende la tv posta di fianco alla finestra. Un bagliore improvviso gli fa stringere gli occhi abituati all'oscurità. Classico zapping. Si ferma su uno dei tanti telegiornali. Intanto la musica continua ad avvolgere soffusamente la stanza. La blocca ed alza appena il volume del televisore.
La giornalista di turno - chissà perché anche per i notiziari è importante la presenza di un personaggio femminile avvenente - enfaticamente espone il bollettino della giornata appena terminata. Capi di stato si sono incontrati ed hanno discusso su come risolvere la piaga della disoccupazione. La polizia è intervenuta durante una manifestazione antirazzista. Feriti, contusi e arrestati. Critiche ai premiers che non sanno svolgere il proprio lavoro. Intervista alla mamma della ragazzina stuprata e ai genitori del suicida. Gesto ovviamente inspiegabile. Pubblicità sulle immagini della guerra infinita che si sta svolgendo da qualche parte nel mondo e per la quale tutti si rammaricano. Facce truccate e fotogrammi di come dovrebbe essere la vita. Su come fare per sembrare sicuri. Consigli su cosa indossare il prossimo inverno. Tornano le facce impertinenti dei bambini brasiliani destinati al massacro per mano degli squadroni della morte e subito si passa alle notizie sportive.
Nessun accenno al fatto che due famiglie su tre vivono al limite della povertà o al fatto che tutti si stiano impegnando per dare una mano ai barboni. Mega servizio riguardante l'incontinenza del figlio del tal capo di stato che, andando in bagno, se l'è fatta addosso, ma nessun accenno del povero ragazzo che al bagno non ci va da chissà quanto tempo e chissà ancora per quanto non ci andrà. Non ha nulla da evacuare.
È questa una parte odiosa del suo lavoro. Perché adattare le notizie a quello che la gente vuole sentirsi dire e non piuttosto fare un'opera di sensibilizzazione. Perché permettere a dei dirigenti che non sanno nemmeno dove sta di casa la lingua correntemente parlata di commentare i fatti del giorno, e non stimolare invece la gente ad acculturarsi un po'.
Viaggiando sulle nuvole di questi utopici pensieri abbassa il volume della tv e riaccende la radio. Tornano le note a fare da sottofondo a immagini che di per sé hanno perso qualsiasi significato. Sembrano tanti pezzi di vecchi film tagliati male e messi assieme in maniera ancora peggiore. Sprofondando di più le spalle tra la morbidezza dei cuscini, pensa a come si starebbe tutti meglio se invece di perdere tempo a parlare di cose inutili ci si concentrasse di più su quello che accade intorno a noi.
In questo modo le due famiglie che ancora non hanno esaurito gli argomenti per le discussioni, tuttora furiosamente in corso, forse avrebbero meno problemi. Magari sarebbe più facile per i Perry arrivare alla fine del mese o per i Jackson avere un figlio, ammesso stiano parlando di ciò.
Lentamente sullo schermo, al posto della fin troppo familiare faccia della speaker, cominciano a prendere forma immagini di ciò che lui ha visto durante la giornata. Quelle immagini a cui nessuno fa caso ma che toccano da vicino. La ragazza vista piangere di sfuggita all'angolo della strada, passando in macchina. Quel ragazzo steso per terra inerme. Il viso di quell'uomo, incrociato nell'auto che veniva di fronte, con gli occhi lucidi dalla gioia ed un sorriso che ha solo chi è diventato papà da qualche giorno, o magari solo da qualche ora. Le voci dei vicini di casa che si azzuffano tra loro. La faccia del caporedattore provata da un dolore incommensurabile, ma che non deve assolutamente trasparire. Sarà mica questo contrasto che gli crea quella smorfia idiota sul muso? La voce di un padre, il tuo magari, che improvvisamente irrompe nella tua vita dopo anni di insofferenza.
Questo ricordo gli crea ancora adesso non pochi scompensi. Ma da fuori non si vedono. Forse sono gli stessi problemi che ha avuto il tuo compagno di banco o il tuo professore più stronzo. Comunque non devono essere svelati. Sono forse questi gli oscuri segreti che uno si porta fino alla tomba e che riescono a scuotere un'intera esistenza, volenti o nolenti? Pensando a questo gli sale dal cuore una immensa tristezza. Ma nessuno saprà mai che lui è capace di provare sentimenti di tale portata. Sentimenti che non si sa per quale strano motivo riescono a volte a tenere insieme delle persone per una vita intera. Si tratti di matrimonio o di semplice amicizia. È giunto il momento tanto temuto. È arrivato l'attimo in cui tutto scompare. La tranquillità costata un intero giorno di annientamento svanisce. E non c'è nulla da fare. Comincia a perdersi nel groviglio dei pensieri. Tenta di rimettersi in gioco. Non c'è nulla da fare.
Ma lui non urla. Forse dovrebbe, così i suoi vicini si renderebbero conto che è vivo. Si accorgerebbero magari di non essere gli unici ad avere dei problemi. Forse se urlasse muterebbero i rapporti con i coinquilini. Si interesserebbero di più a lui, considerandolo una persona e non semplicemente un bravo ragazzo.
 
Magari così anche lui potrebbe veramente dare una mano senza bisogno di essere invisibile.
Cercando una soluzione che già conosce, lascia cadere il telecomando. Accende la piccola lampadina di fianco alla poltrona. Prende il libro lasciato lì la sera prima e si rimette a leggere da dove aveva smesso. La radio continua a trasmettere musica per i pensieri, le urla continuano a battere contro le pareti, pur senza alcuna intenzione di sfondarle.
Le pagine candidamente illuminate dalla lampada - si creano delle strane ombre tra le parole - sono quelle scritte da un autore sconosciuto ai più. La storia di per sé non è nulla di particolarmente originale. Poco importa. Gli interessa come sono trattati i personaggi. Ciò che cerca in realtà, in quello come nella maggior parte dei testi raccolti negli anni, sono delle risposte. O per meglio dire validi punti di vista alternativi ai suoi sulla vita. Dal comportamento di uno dei protagonisti, così reali, vuole trarre degli spunti. Non si tratta di una fuga o di un progressivo spegnersi dei pensieri. Le immagini che lo circondavano quando ha preso in mano il libro sono ancora lì. No, vorrebbe che queste prendessero vita e vagassero per quei luoghi che da solo non può raggiungere.
 
Tra quelle righe ci sono incastrati i suoi ricordi. Si trovano fossilizzati i suoi tormenti. La faccia del personaggio che tranquillamente cammina, sulla sponda del fiume che spacca in due la storica città, in realtà è la sua faccia. O almeno vorrebbe fosse così.
Passando alla pagina successiva un'imponente ombra si affaccia alla finestra. Sono ormai le undici passate. È il solito elicottero della polizia. Si diverte a non farsi gli affari propri. È sempre così, almeno due volte la settimana. È diventato un fatto abitudinario.
Sul foglio che avidamente attende il suo sguardo, ci sono altri simboli da decifrare. Altri passi dell'anima. I pensieri però hanno la meglio. Poggia il libro aperto sullo stomaco, lasciando una mano libera di andare a sostenere la testa frastornata. L'altra giunge inavvertitamente sul bracciolo della poltrona. Lo sguardo si fissa sugli ipnotici bagliori alterni della tv ancora accesa. La musica si allontana e così la mente. Sentieri spesso battuti, ma ancora insicuri. Sente uno strano tremito salire dalle ginocchia e percorrergli il corpo. Lentamente si addormenta camminando su una strada assolata di un villaggio in riva al mare.

 

Classifica Concorso Marguerite Yourcenar 1999 sezione narrativa
 
PER COMUNICARE CON L'AUTORE speditegli una lettera presso «Il Club degli autori, cas.post. 68, 20077 MELEGNANO (Mi)». Allegate Lit. 3.000 in francobolli per contributo spese postali e di segreteria provvederemo a inoltrargliela.
Non chiedeteci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©1999 Il club degli autori Carmine Rubicco
Per comunicare con il Club degli autori: info<clubaut@club.it>
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit

Rivista Il Club degli autori

Home page Club dei poeti
|Antologia dei Poeti
Concorsi letterari
Arts club (Pittori)
TUTTI I SITI CLUB
Consigli editoriali per chi vuole pubblicare un libro
Se ti iscrivi al Club avrai un sito tutto tuo!

Inserito 5 novembre 1999