Scrittori italiani contemporanei
Secondo Morino
Ha pubblicato il libro
 
Secondo Morino, Solitudini, editrice Montedit, 1998,
pp. 482, Lit. 7.500, ISBN 88-86957-44-0
 
Prefazione
 La solitudine è uno dei mali del nostro tempo, non lo si ripeterà mai abbastanza. Questo secolo che sta per finire è fatto dalla somma di più individualità giustapposte tra loro senza che si verifichi mai un incontro vero. Tante individualità, tante solitudini. Ciascuna diversa, ciascuna connessa a un dolore, presente o passato. Solitudini che si portano con orgoglio o con sofferenza, consapevolmente o no. Ma, sempre, solitudini.
Come quelle dei personaggi racchiusi nei racconti di questa singolare opera prima di Secondo Morino, poeta e scrittore torinese che in queste pagine alterna una prosa briosa, accattivante e dal lessico semplice a poesie più ardue, dai toni rarefatti e dal linguaggio ricercato, in qualche caso sino all'esasperazione.
Ci troviamo di fronte, a quanto sembra, a due modalità di scrittura profondamente diverse, a due soluzioni stilistiche contrapposte che esprimono, tuttavia, identiche tematiche. Soprattutto, si diceva, la solitudine. Anzi, le solitudini. Non a caso il sostantivo è stato declinato al plurale. L'autore vuole in tal modo suggerire l'idea che non esiste una solitudine tipo, valida per tutti: il concetto stesso di isolamento ne risulta come amplificato e moltiplicato all'infinito, assumendo di volta in volta caratteristiche profondamente connesse alla storia individuale di ogni uomo.
Ecco allora che vediamo sfilare tante solitudini: due omosessuali, una depressa, una zitella, un fioraio emarginato dal mondo dei giovani cosiddetti moderni. Quest'ultimo ci appare eroico nella sua umile dignità, e la benevole partecipazione del narratore alla sua vicenda appare chiaramente dal finale simbolico in cui lo vediamo stagliarsi nitido in mezzo alla luce del sole, lasciandosi alle spalle, nel buio di uno squallido bar, i suoi antagonisti. Negli altri casi i protagonisti sono presentati senza interventi di tipo moraleggiante, e se l'autore si concede qualche licenza da questa regola, intervenendo qua e là, è solo per il gusto di arricchire la vicenda con qualche colpo di scena. Ci sembra insomma che Morino ammicchi al lettore cercando di catturarne l'attenzione, e talvolta il sorriso, con espedienti narrativi classici (il colpo di scena finale, l'ambiguità svelata solo nelle ultime righe); senza mai, tuttavia, perdere di vista il suo obiettivo, che è quello di fotografare i mille volti della solitudine che incombe su ognuno di noi. Con l'implicita conclusione finale che la solitudine è parte della vita stessa, e ciò che di meglio si può prefiggere l'uomo è convivere dignitosamente con essa, senza diventarne schiavo. Conoscere il proprio nemico, in fondo, è un po' anche sconfiggerlo. Forse per questo la vicenda del fioraio, il quale è ben conscio della sua diversità morale, assume tinte eroiche; mentre quella della zitella, inconsapevole vittima di se stessa e del suo isolamento, sfuma nell'ironia. Diverso il caso di Ottavia, la depressa, per la quale il registro adottato è molto cauto, attento a non sfociare da un lato nella pietà (neppure l'autore vuole cedere al gioco suicida della protagonista) e dall'altro nella condanna senza appello di chi rifiuta di vivere. A Ottavia sono riservati i toni più delicati e sommessi di tutta la raccolta, come un omaggio alla sua fragilità psicologica e fisica. Infine, i due omosessuali. L'incontro delle loro solitudini, nella sua fugacità, non fa che confermare l'idea portante, quella per l'appunto dell'impossibilità di una reale comunione con l'altro da sé.
Anche nelle poesie la solitudine emerge come tema fondamentale. "Memore d'addio", in particolare, ci sembra particolarmente rappresentativa sia delle scelte contenutistiche che di quelle stilistiche dell'autore. Si è già accennato al fatto che il linguaggio poetico di Morino si mostra piuttosto ricercato: fatto tesoro della lezione ungarettiana, l'autore elimina la metrica tradizionale e con essa la punteggiatura. I versi sono brevi o brevissimi (una sola parola) scanditi sulla pagina con particolare attenzione alla loro disposizione grafica. Le parole sono trovate con cura e accostate con particolare riguardo alle assonanze e consonanze e alle rime interne ("mancati amanti; andalusi fianchi / perduti sensi; turbe d'urbe; silenti urlanti; il caldo nettare / d'un caldo Calvados"), segno di una ricerca, certo non casuale, di ritmo e musicalità che accompagni e amplifichi il senso. Il quale può talvolta apparire oscuro proprio a causa del costante sforzo in direzione della concentrazione di più significati in una stessa parola. Ed è per questo che la lettura di queste liriche dovrebbe necessariamente accompagnarsi all'ascolto, sì da far sentire con la viva voce la musica che ne scaturisce. Del resto, ogni poesia dovrebbe sempre essere letta, o almeno pensata, ad alta voce. Anche l'uso insistito di parole troncate, o ormai cadute in disuso, contribuisce a confermare l'idea di una poesia volutamente ardua, scritta per essere penetrata. Una poesia, inoltre, che tende a recuperare per se stessa il ruolo di sistema di comunicazione nobile, eletto, lontano dalle forme abusate del linguaggio quotidiano. In questo senso "Memore d'addio", posta com'è in inizio di raccolta, ci sembra una vera dichiarazione di poetica che va coraggiosamente controcorrente: immerso nella fredda luce della notte il poeta rivendica il suo diritto alla solitudine e il suo dovere di ascoltare l'immenso silenzio delle stelle, dando loro una voce che non si sia mai udita.
 
Bianca Cerulli
 
Per leggere alcune poesie tratte dal libro "Solitudini"

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Inserito il 25 luglio 1998