Risultati di concorsi
Premio di Narrativa e Poesia
La Montagna Vallespluga
 
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La Giuria della seconda edizione del premio letterario organizzato daIndetto e organizzato dalla Pro Loco di Campodolcino con il Patrocinio dei Comuni di Campodolcino e Madesimo, della Regione Lombardia, della Provincia di Sondrio, della Comunità Montana Valchiavenna, del Consorzio di Promozione Turistica della Valchiavenna, di Hyundai e Mitsubishi Italia, con la collaborazione tecnica e letteraria de Il Club degli autori, composta da prof. Franco Melotti (presidente), Guglielmo Scaramellini, dott. Marco Sartori, prof.ssa Maria Teresa Piccoli, prof. Marino Balatti, dopo attenta analisi e valutazione delle opere pervenute ha stabilito di non premiare la sezione poesia dialettale, in quanto non è pervenuto un sufficiente numero di elaborati da poter permettere la valutazione degli stessi, ed è giunta a stilare la seguente classifica finale:
 
Sezione Narrativa
 
1° classificata: Remo Stanzani di Bologna con Delitto di un pensionato
Vince Lire 700.000 - pubblicazione di un libro di 32 pagine di cui verranno consegnate 100 copie all'autore - Attestato di merito - pubblicazione dell'opera vincitrice su Il Club degli autori e sul sito Internet per un anno.
2° classificato: Marianna Scibetta di Guidonia (Rm) con La montagna: il bosco e il torrente
Vince Lire 400.000 - pubblicazione di un quaderno di 32 pagine con copertina di cui verranno consegnate 100 copie all'autore - Attestato di merito - pubblicazione dell'opera vincitrice su Il Club degli autori e sul sito Internet per un anno.
3° classificato: Arrigo Filippi di Pianico (BG) con Il grido
Vince Lire 150.000 - pubblicazione di un quaderno di 32 pagine autocopertinato di cui verranno consegnate 100 copie all'autore - Attestato di merito - pubblicazione dell'opera vincitrice su Il Club degli autori e sul sito Internet per un anno
 
Sezione Poesia
 
1° classificata: Rosalba De Paoli di Zibido (MI) con Incantesimo e La cascata
Vince Lire 700.000 - pubblicazione di un libro di 32 pagine di cui verranno consegnate 100 copie all'autore - Attestato di merito - pubblicazione dell'opera vincitrice su Il Club degli autori e sul sito Internet per un anno.
2° classificato: Ambrogina Sirtori di Carate Brianza (MI) con Bosco e torrente
Vince Lire 400.000 - pubblicazione di un quaderno di 32 pagine con copertina di cui verranno consegnate 100 copie all'autore - Attestato di merito - pubblicazione dell'opera vincitrice su Il Club degli autori e sul sito Internet per un anno.
3° classificato: Andrea Comalini di Gravedona (CO) con Val Loga e Frontiera
Vince Lire 150.000 - pubblicazione di un quaderno di 32 pagine autocopertinato di cui verranno consegnate 100 copie all'autore - Attestato di merito - pubblicazione dell'opera vincitrice su Il Club degli autori e sul sito Internet per un anno.
4° classificata: Silvestro De Simone di Terracina (LT) con La vetta
Vince Coppa o Targa o Medaglia - Attestato di merito - pubblicazione dell'opera vincitrice su Il Club degli autori e sul sito Internet per un anno.
5° classificato: Domenico Livoti di Prata (SO) con Canzone del merlo acquaiolo e dell'emigrante
Vince Attestato di merito - Pubblicazione della lirica sulla rivista Il Club degli autori e sul sito Internet www.club.it
 
 
Segnalati dalla giuria con Attestato di merito
e pubblicazione dell'opera vincitrice su Il Club degli autori e sul sito Internet per un anno:
 
6° classificata: Elena Sideri di Ostia Lido (Roma) con Senza titolo
7° classificata: Giuliana Buratti di Verbania con Tra voci sfuggenti
8° classificata: Mara Favaretto di Padova con Grande montagna e Valle Spluga
9° classificata: Fernanda Nicolis di S. Martino B. (BR) con Senza titolo
10° classificata: Adriana Scarpa con Si infiammano le cime dei larici
 
 
La cerimonia di premiazione è avvenuta a Madesimo venerdì 10 agosto alle ore 21 presso la Palazzina Servizi (piano superiore APT).

Testi Sezione Narrativa Testi Sezione Poesia


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Testi Sezione Narrativa
1° classificata
Remo Starzani
 
 
Delitto di pensionato
 
Le acque che scorrono fresche e veloci in fondo alla Valle di San Giacomo, come se avessero fretta di recare al grande fiume Adda il loro equoreo tributo, segnano profondamente l'ambiente con l'inconfondibile marchio della loro origine alpina.
A loro si deve, infatti, il rigoglio dei boschi che ne ombreggiano le rive, ove larici, abeti, pini, ontani e frassini sono testimoni e artefici di una natura bella e confortevole; a loro si deve il primaverile trionfo dei fiori, quando primule, viole, margherite, mimose, campanule, genziane, sassifraghe e colorata compagnia floreale fanno a gara per esibirsi; a loro si deve il vellutato manto verde dei prati, come la generosa fertilità dei campi e degli orti che ne accompagnano il corso; a loro si deve la vita degli animali che vi si abbeverano, quella dei grandi abitatori delle alte montagne incombenti sul Passo dello Spluga - camosci, caprioli, stambecchi, timidi e sospettosi per l'umana presenza perché ancora memori di recenti stragi inconsulte - e quella delle numerose colonie di bestiole da tana - marmotte, tassi, martore, donnole, scoiattoli e perfino ermellini - una fauna varia e vivace, sulla quale aleggiano gli uccelli rapaci - aquile, falchi, poiane, gheppi e sparvieri - che calano fulminei per artigliare le prede più incaute.
Poteva il ragioniere Cassiano, dopo quaranta anni di onorato servizio presso una banca di Chiavenna in qualità di vice capoufficio addetto agli assegni circolari e collocato in pensione per raggiunti limiti di età, rimanere insensibile al richiamo dell'aria balsamica dell'alta valle e all'invito seducente delle limpide acque del Liro?
Poteva il neo pensionato Cassiano ignorare la serena voluttà di beate sieste all'ombra amica di un frondoso albero, con il sommesso sottofondo dell'acqua in perenne colloquio intimo con sassi e ciottoli, quasi un gorgogliante invito alla pace dei sensi e nello spirito, immerso in un ambiente sano e incontaminato?
Non poteva.
Il signor direttore della banca aveva convocato il personale dipendente: "Oggi il nostro caro ragioniere Cassiano chiude la sua carriera dopo quaranta anni di servizio prezioso e apprezzato", disse visibilmente commosso. "Lo accompagnano i nostri sinceri auspici per una vita da pensionato lunga e serena", aggiunse stringendogli calorosamente la destra. "Egli è stato un ammirevole esempio di serietà e di professionalità", continuò con enfasi, battendogli affettuosamente sulla spalla".
"La nostra banca, che sa essere per noi anche madre munifica e provvida sorella, intende per mio tramite dimostrare tangibilmente al caro ragioniere Cassiano tutto il suo apprezzamento per l'opera svolta con costante abnegazione in perfetta sintonia con i nobili fini economici e sociali che ne ispirano la secolare attività, ognora pensosa della prosperità della sua eletta clientela", concluse a braccia alzate e occhi al cielo mettendogli il mano una busta sigillata.
Applausi, strette di mano, pacche sulle spalle, auguri, battute scherzose, parole buone ed effusioni varie. Un quarto d'ora dopo il ragioniere Cassiano si trovò sulla strada con la sua busta in tasca e con la testa che gli ronzava. Tre mesi dopo l'assegno circolare contenuto nella busta - il primo da lui non personalmente compilato - si era trasformato in una cassetta di cinquanta metri quadrati, con giardinetto e orticello, in riva al Liro.
Per un paio di settimane fece quello che fanno quasi tutti i bancari che vanno in pensione: s'inventò qualcosa per riempire la giornata, dato che non aveva moglie che provvedesse all'uopo. S'affaccendò con lena nella sua casetta fino a renderla lustra e graziosa come una bomboniera; si dedicò con entusiasmo di neofita al giardino e all'orto, incurante dei danni arrecati alle aiuole, non ché degli scempi su cipolle, prezzemoli, rape e raperonzoli, lattughe e verdure varie; trafficò attorno alla siepe di ligustro che riuscì a sopravvivere malgrado l'imperizia dell'improvvisato giardiniere; s'impegnò, insomma, in imprese fuori della portata di un bancario che ha trascorso una intera vita di lavoro a compilare assegni circolari, e che s'illude che basta la buona volontà per fare bene cose mai fatte prima.
Passata che fu la sbronza dell'attivismo manuale si dedicò al miglioramento della propria cultura, rimasta ferma alla partita doppia e al calcolo degli interessi composti. Si procurò ponderosi volumi enciclopedici per affacciarsi - diceva - al fascinoso mondo dei pensatori che sanno muoversi fra i problemi esistenziali dell'umano genere.
Con intenso sforzo di volontà riuscì ad arrivare fino alla pagina diciassette della 'Filosofia dello spirito" di Benedetto Croce, che gli fece capire - se non altro - di non essere tagliato per la speculazione filosofica.
Ripiegò allora sulla più accessibile filosofia del pescatore di acque dolci. S'iscrisse al "Circolo della lenza"; s'abbonò alla "Rivista della Pesca Sportiva"; comprò tutto l'armamentario consigliato dalla più raffinata tecnica pescatoria; si procurò un pastrano impermeabile di un ripugnante colore verde-marcio, di un giaccone con venti tasche, di un cappellaccio buono per il solleone come per la pioggia, di stivali gommati a tutta coscia, e sistemò in giardino il più numeroso e qualificato allevamento di vermi, larve di mosca, lombrichi e anellidi varii di tutta la Valchiavenna.
Con il raziocinio pignolo proprio dei bancari in pensione ripartì la sua giornata: un terzo alla cura della casa e della persona, un terzo al riposo notturno e un terzo ai pesci del torrente, metà al mattino e metà al pomeriggio.
Una ricetta sicura per ripulire gli asfittici polmoni intasati da fumo passivo con l'aria balsamica del bosco, per distendere i nervi logorati dalla stressante vita di banca e per sollecitare la mente a pensieri grandi, ben al di sopra gretta logica del dare e dell'avere. Una ricetta che consentiva di vivere in armonia con l'umanità, tenuta a rispettosa distanza, e con il Signor Iddio Creatore, che pare vicino e presente quando si è immersi nella primigenia malia del creato.
Benedetto il giorno del pensionamento! Il ragioniere Cassiano era felice.
Ma quando mai la felicità si protrae nel tempo, che ha ritmi e misure diverse da quelle degli uomini?
Fu in un afoso pomeriggio estivo che al pescatore pensionato capitò qualcosa d'imprevisto.
Il ragioniere Cassiano si era sistemato, in completo assetto pescatorio, sulla riva destra del Liro, in un punto ove la corrente è forte e l'acqua abbastanza profonda per insidiare qualche preda significativa. Ma le ore passavano senza che il galleggiante della sua lenza desse segni di vita. Calma piatta e noia crescente. Un leggero torpore si era impadronito del pescatore, preludio ad una salutare siesta, quando un rumore inconsueto lo fece sobbalzare. Un cane si era piazzato accanto a lui. Niente di straordinario, beninteso. I cani sono liberi di girovagare a loro piacimento anche sulla riva destra del Liro. Ma quel cane - un magnifico esemplare di pointer - aveva un comportamento strano: zampettava lungo la riva, quasi volesse tentare un guado, impossibile in quel punto; scuoteva la testa emettendo brevi guaiti; scodinzolava freneticamente e saltellava, in preda a palese agitazione; tremava in ogni fibra e sollevava di tanto in tanto una delle zampe anteriori. Poi s'avvicinò al pescatore, lo fiutò accuratamente, e lo fissò.
Cassiano era abbastanza informato sui pesci d'acqua dolce, ma non sapeva niente sui cani. Tuttavia capì che quel cane ce l'aveva con lui. Con quegli occhi canini puntati addosso non era il caso di pescare, e neppure di dormire. Tanto più che il pointer era privo di collare e di museruola. "Con i pesci si va sul sicuro - pensava il ragioniere - ma con un cane grande, robusto e dotato di poderosa dentatura qualche rischio c'è".
Stava arzigogolando sullo strano incontro quando sulla scena comparve un altro attore che strappò a Cassiano un grido di meraviglia: una grossa lepre che iniziò a saltabeccare sulla riva del torrente con l'evidente intenzione di tentare la disperata impresa di guadagnare l'opposta sponda.
Cassiano era trasecolato: un cane grande e forte che non si cura di una lepre quasi cadutagli fra le fauci! E una lepre che non degna di uno sguardo il suo atavico nemico!
"Qui si sovvertono le leggi della natura!", pensò l'esterrefatto pescatore.
Ma pre odore di bruciato gli aggredì le nari, sulle ali di un vento caldo, mentre una densa nube di fumo nero invadeva tutta la zona. Era chiaro: quelle due creature, nemiche per natura, erano uguali e non più nemiche di fronte all'incombente pericolo.ura, erano uguali e non più nemiche di fronte all'incombente pericolo.
Bofonchiando contro la sorte ria che gli stava rovinando la giornata il ragioniere
Cassiano s'accinse, con flemma da pensionato, a sgombrare le postazione di pesca, ma non tardò ad accorgersi che non era il caso d'indugiare. La cortina di fuoco avanzava veloce e l'aria diventava irrespirabile. Tossendo e lacrimando si mise sulla via di casa, ma fu respinto dopo un centinaio di metri da un fronte ardente di crepitanti fiamme che lo ricacciarono in riva al torrente. Quivi trovò il cane e la lepre, fianco a fianco, con gli occhi sbarrati per il terrore e fissi all'altra sponda, che significava salvezza.
Ma il turbinoso flutto era un ostacolo insormontabile per un uomo. Figurarsi per due piccoli animali che con l'acqua non hanno dimestichezza. Cassiano brancolava lungo la sponda, ansimando penosamente e incespicando, lo sguardo spento e la testa vuota, stordito per la sopravvenuta emergenza e terrorizzato per la possibile morte atroce.
L'istinto gli suggerì di riportarsi dove il cane e la lepre stavano tremanti a guadare oltre le ostili acque del Liro. "Chissà mai - riuscì a pensare - forse l'istinto animalesco è più affidabile di quello umano". Il calore era insopportabile. Cassiano dovette liberarsi in fretta dei pesanti paludamenti da pescatore e arrancò faticosamente fino alla postazione di pesca. Occhi umani, canini e leporini, tutti dilatati dalla paura, chiedevano al vorticoso Liro il salvacondotto per la vita.
Fu la lepre che per prima decise, da provetta saltatrice. Ma l'opposta sponda era troppo lontana. Sparì dibattendosi nell'impietoso vortice.
Il cane fissava l'uomo. Da lui attendeva qualche salvifico lume. Ma la ragione dell'uomo vacillava, la sua voce era un rantolo e i suoi occhi erano abbuiati. Il pointer capì allora che da quel fantasma tremante di paura era vano attendere scampo alla morte incombente. Assunse perciò il comando delle operazioni. Con garbo canino addentò gli orridi mutandoni a righe verticali bianche e celesti, che erano l'unico indumento rimasto addosso al ragioniere; tirò abbastanza forte per fargli capire che urgeva muoversi di lì, ma abbastanza delicatamente per non lasciarlo nudo come un verme. Poi puntò deciso verso il fronte fiammeggiante, rasentando la sponda del torrente, ove la vegetazione era meno folta.
Come un sonnambulo in piena crisi Cassiano lo seguì. Qualche passo fra le vampe, dietro al cane; transitorio obnubilamento della mente, grida di dolore soffocate nella strozza e cuore tumultuante: un prezzo accettabile per salvare la vita. Il fuoco era alle spalle. Il ragioniere Cassiano poté svenire in pace.
Il cane è un animale intelligente, non c'é dubbio. Se è un pointer è anche rapido nell'azione. Se è senza collare perché abbandonato nel bosco da un padrone incosciente, o stupido, oppure incosciente e stupido, sa come cavarsi d'impaccio.
 
Quando il ragioniere Cassiano riprese coscienza non ebbe motivo di rallegrarsi per averla scampata: due uomini erano chini sopra di lui. Erano giovani, e indossavano la divisa dei carabinieri. Un terzo uomo, più anziano, stava eretto a un passo di distanza, con l'aria di chi comanda. Esibiva un mostaccio terrificante inquadrato fra due basettoni metà bianchi e metà neri. Dalle sue labbra strette sui denti in segno di palese schifo uscirono parole ferrigne: "Si è finalmente svegliato, il piromane?"
Avuta la conferma estrasse una tessera con l'emblema della Polizia e la mise sotto il naso del Cassiano che stava tentando di capire perché si trovava lungo disteso a terra, in mutande, sotto una coperta militare, sovrastato da tre sconosciuti che, evidentemente, ce l'avevano con lui. Percepì a fatica la voce di uno dei carabinieri:
"Lei è in stato di arresto. Declini le sue generalità". Fra violenti accesi di tosse il ragioniere rantolò nome e cognome, aggiungendo, con bancario scrupolo, la paternità, l'indirizzo, il codice fiscale e il gruppo sanguigno. Poi farfugliò:
"In stato di arresto? Ma che cosa ho fatto di tanto grave?" La voce aspra del funzionario di polizia calò su di lui come una staffilata: "Si guardi attorno, e vedrà quello che lei ha fatto!" Il povero ragioniere allibì: tutto era nero. La natura era morta. Ovunque sterpi inceneriti, rami e tronchi combusti. Alcuni residui focolai mandavano al cielo le ultime faville. Cassiano era annichilito. Le parole che uscirono dalla bocca del funzionario dal truce cipiglio non giovarono di certo al suo morale:
"Nel nome del popolo italiano io... (e giù una sfilza di nomi, cognomi, patronimici, casati e ascendenze illustri), in base a precisi elementi di prova forniti dai carabinieri di... (e giù una sequela di paesi, borghi, località, frazioni e perfino casolari) accuso lei, in flagranza di reato, per i delitti di cui al vigente Codice Penale... (e giù una litania di articoli, capitoli, titoli, commi e sottocommi, decreti, regolamenti, ordinanze, disposizioni e leggi varie), che prevedono l'arresto immediato e la detenzione in attesa di giudizio".
Quasi nudo sotto la coperta militare pietosamente prestatagli il malcapitato pensionato Cassiano ormai basiva. Infilato in mutandoni a righe verticali bianche e celesti decisamente osceni e bruciacchiati, lo sfortunato pescatore affamato, assetato, stremato, arrabbiato ed abbacchiato, boccheggiava gemendo sotto lo spietato incalzare delle pesanti accuse. Ma un bancario ultra settantenne in pensione possiede una forza di reazione al fato avverso tale da contrastare validamente ogni sventura. Come la bella Rosina immortalata da Gioacchino Rossini diventa cattiva e vendicativa se la toccano nel suo debole, così Cassiano reagì al diluvio delle cervellotiche contestazioni con la rabbia di un aspide disturbato nel suo covo. Per di più il suo accusatore si era espresso con accenti e toni di lontane regioni meridionali non facilmente percepibili in Valchiavenna, talché il Cassiano aveva intuito, più che capito, la gravità degli addebiti portati contro di lui. S'aggiustò sulle spalle la coperta militare, ma mo' di toga senatoria, gonfiò il petto quel tanto che gli consentì la sua rachitica cassa toracica, si schiarì al meglio la voce arrochita, e così declamò:
"Ringrazio per le informazioni gentilmente fornitemi, e mi scuso per il mio abbigliamento, che è la conseguenza di eventi fuori dalle mie possibilità di controllo. Non è mia abitudine girare in mutande per i boschi, né appiccarvi fuoco. Qui c'è un evidente errore di persona. Non sono io il piromane che cercate. Io sono invece una vittima di quei mascalzoni che distruggono il nostro patrimonio forestale. Sono vivo per miracolo.
Stavo tentando di pescare in riva al torrente quando mi sono trovato con il fuoco a pochi metri. Non avevo scampo. Se non ci fosse stato il cane sarei morto".
La mutria del funzionario ebbe una lieve contrazione. "Il cane? Quale cane?", domandò. Il ragioniere riferì per filo e per segno la sua disavventura, senza omettere la faccenda del cane salvatore e della lepre suicida. La grinta del funzionario non s'addolcì granché. "Mi parli del cane. Di quale razza era?", chiese, con una punta di sarcasmo.
Cassiano rispose che i pescatori s'intendono di pesci, non di cani. Tuttavia lo descrisse. Non si dimenticano le caratteristiche fisiche di chi porta la salvezza. Il funzionario ascoltò con distaccata degnazione, poi sentenziò: "Lei ha visto un cane da caccia. Mi spieghi che cosa faceva un cane da caccia al fianco di un pescatore".
Il viso di Cassiano s'imporporò. Tuttavia il bravo pensionato riuscì a trattenersi: "Non avevo mai visto quel cane. Anche lui cercava scampo dal fuoco, come la lepre. Avevamo lo stesso problema, io, il cane e la lepre: evitare di morire arrostiti. La lepre ha cercato la salvezza oltre il torrente. Ma il salto non è riuscito, ed è morta. Il cane ha deciso di affrontare il fuoco, e si è salvato. Per mia fortuna io l'ho seguito, e sono qui malridotto e impresentabile, ma salvo. Ero ben lontano dall'immaginare di dovere giustificarmi per reati che non ho commesso. Mi dica, adesso, in base a quali elementi di prova lei mi accusa?"
Il ceffo del funzionario assume un'espressione ancor più arcigna: "Lei è la sola persona presente sul luogo del delitto. Adesso compare un cane. Ma non riesco ad attribuire al cane la responsabilità dell'incendio". Si produsse in una smorfia che trasformò il ceffo in un ghigno inquietante. Poi cavò dai precordi una risata che precipitò Cassiano nell'afflizione più cupa: "Non rimane che incriminare la lepre suicida!", concluse mentre le sue nere pupille dardeggiavano lampi sinistri.
L'eco della risata era ancora nell'aria quando s'udì il rompo di un motore. Apparve una camionetta militare dalla quale scese un colonnello dei carabinieri, che fece un cenno. Il funzionario s'avviò, dopo aver ordinato ai due carabinieri: " non perdete di vista l'indiziato".
"Non sono gli uomini a dominare la sorte, ma è la sorte a dominare gli uomini", afferma Erodoto. Il grande storico greco non era fra gli autori preferiti da Cassiano, che meglio se la cavava con i manuali sulla pesca in acque dolci, ma c'è da giurare che l'ex-bancario sarebbe insorto contro il fatalismo di Erodoto.
Si sarebbe piuttosto schierato con Schopenhauer: "Il destino mescola le carte, e noi giochiamo". Era una partita difficile e pericolosa quella che il ragioniere Cassiano doveva giocare. Ma lui sapeva che ogni partita non giocata è persa. Avrebbe lottato, lui, anche se era sconvolto per la desolazione del bosco incenerito; anche se si sentiva ridicolo a causa di quei mutandoni a righe verticali bianche e celesti, con segni evidenti di bruciacchiature, e assai disdicevoli per la dignità di un pensionato di banca; anche se accusato di delitti orrendi; anche se sorvegliato a vista, come se fosse un lestofante o un malavitoso incallito; anche se solo, abbandonato dagli uomini, e forse anche da Dio. Ebbene lui, ragioniere Cassiano, pensionato, avrebbe trovato la forza e l'orgoglio per dimostrare a Erodoto che non sempre la sorte riesce a dominare gli uomini, e per insegnare a Schopenhauer che l'importante è giocare bene le proprie carte.
Tre ore passarono prima che il funzionario dai basettoni comparisse davanti all'indiziato pensionato Cassiano. "Mi guidi al punto dove lei stava pescando", ordinò con tono perentorio. Si formò un piccolo corteo formato da Cassiano, più che mai abbiosciato, affiancato da due carabinieri e seguito dall'accigliato funzionario. Nello spettrale scenario della natura mortalmente ferita, fra sterpi carbonizzati e residui focolai d'incendio, il quartetto giunse in riva al torrente. Anche lì il fuoco aveva compiuto la sua opera devastatrice: tutto era annerito dove prima era un rigoglio di verdi fronde; la fresca aria balsamica si era trasformata in una soffocante cappa di sapori acri, che facevano tossire i quattro uomini. Nello squallore di tanta rovina una lenza semi bruciata era l'unico indizio evidente di una scalognatissima giornata di pesca.
Con un fazzoletto premuto sulla bocca il funzionario iniziò una meticolosa perlustrazione. Ad un certo punto si chinò, raccattò qualcosa, esaminò accuratamente il reperto. Poi si piantò di fronte al Cassiano, che ne seguiva i movimenti mogio mogio.
"Ecco la sua licenza di pesca, signor Cassiano. - disse porgendo il documento qui e là annerito - Da questo momento lei è un libero cittadino. Il colonnello mi aveva informato dell'arresto di una persona a carico della quale sono emersi gravi indizi di colpevolezza. Ma per convincere me non bastava. Ci voleva la prova che lei, signor Cassiano, non si trovava nel punto ove fu appiccato il fuoco. Questa sua licenza di pesca è quello che cercavo. Adesso, se lei si sente in vena, può di nuovo pescare. La saluto, e le auguro buona pesca".
Il ragioniere Cassiano impallidì. Per un pescatore non c'è augurio più iettatorio.
Ma riuscì, ancora a dominarsi. D'altronde che altro c'era da aspettarsi da quello scostante funzionario piovuto in Valchiavenna chissà da dove, brutto e arrogante, pieno di albagia inquisitoria, altezzoso e tracotante, che tratta gli indiziati come rei confessi, che fa di un vago sospetto una prova irrefutabile e che calpesta ogni umano sentimento con spocchia altezzosa? L'avrebbe strozzato volentieri, quel tanghero, lo sdegnato pensionato! Ma come si può vendicare il sopruso patito quando si è abbigliati con mutandoni a righe verticali bianche e celesti!?
La calma è la virtù dei forti. Il ragioniere Cassiano era forte, anche se non se ne era mai reso conto. Comunque si comportò da forte, e seppe trattenere le ire ultrici che gli turbinavano in testa. S'inchinò con sussiego biascicando un "grazie" grondante di formale cortesia, restituì la coperta militare ad uno dei carabinieri e restò impalato ad osservare i tutori della legge che si allontanavano, nell'atteggiamento più dignitoso che i mutandoni osceni gli consentivano. Poi crollò a sedere in riva al torrente, con la testa fra le mani.
Quivi rimase a lungo per tentare di mettere ordine nella ridda dei suoi pensieri.
Quando riemerse dallo stato confusionale gli venne alla mente una frase che il suo direttore di banca - cultore per diletto delle filosofie orientali - voleva citare, a proposito ed a sproposito: "L'uomo che vince se stesso è il grande dei conquistatori".
In verità Cassiano non aveva l'aria di conquistatore, così discinto, male in arnese, stanco e depresso qual'era. inoltre gli pesava come una cappa di piombo la solitudine che in quelle passate ore convulse gli procurò angustie devastanti. Aveva lui, Cassiano, imposto giustamente la sua vita da pensionato? Era forse fallace l'antico motto latino 'beata solitudo, sola beatitudo'? Non era forse meglio trascorrere gli ultimi anni di vita con qualcuno che, all'occorrenza, potesse porgere una mano amichevole? E affrontare il rischio d'incappare nel qualcuno sbagliato? Schopenhauer - ancora lui - che di solitudine s'intendeva, ammonisce, dall'alto della sua eruzione pessimista che 'la solitudine è la sorte di tutti gli spiriti eminenti'. Ma c'è da fidarsi di un filosofo fatalista che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto? Non è meglio abituarsi a pensare che è mezzo pieno?
Mentre il tapino s'arrovellava in siffatta guisa un lieve rumore alle sue spalle gli fece voltare il capo. Il pointer era lì, a un metro di distanza, e lo fissava, come solo un pointer sa fissare. Dalle fauci gli penzolava il pastrano impermeabile color verde-marcio che, stropicciato e bruciacchiato qual'era, faceva più schifo di prima. Ma era pur sempre un indumento che serviva a nascondere la vergogna dei mutandoni a righe verticali bianche e celesti, e avrebbe consentito il rientro a casa senza scandalizzare nessuno.
Quasi piangeva, il Cassiano, recuperando l'abominevole giubbone, e non poté fare a meno di pensare, rabbrividendo, che se l'avesse trovato il funzionario dei bassettoni lontano dalla postazione di pesca, gli si sarebbero spalancate le porte della galera.
Lo indossò, e si mise in cammino. Giunto in vista della sua casetta, si voltò. Il pointer era lì. Se lo caricò sulle spalle, allegro come non mai, e aprì la porta con aria trionfante. "La solitudine non è la sola beatitudine - pensò - ma se al tuo fianco c'è un cane puoi vincerla, Cassiano, e nel contempo evitare le umane compagnie pericolose".
 
Un cane non parla, ma sa farsi capire. Se è un pointer sa farsi rispettare. Se è un pointer senza collare sa anche comunicare pensieri canini con il solo ausilio degli occhi e della coda. Così quegli occhi parlavano al ragioniere Cassiano: "Com'è lunga e noiosa per un cane da caccia la giornata in riva al torrente accucciato al fianco di un pescatore pigro e con la testa fra le nuvole! Almeno catturasse qualche pesce! Non dico una trota, impresa proibitiva per questo mio nuovo padrone, ma almeno un cavedano, anche sotto misura!"
Andò a finire che il signor Cassiano capì il muto messaggio canino, e si convinse che occorreva cambiare vita. Basta con le crebre giornate rigorosamente cadenzate su schemi predisposti, tutte uguali, tutte monotone! Basta con l''aurea mediocritas' che inganna il tempo senza costrutto, e finisce con l'approdare all'arido terreno della futilità! Basta con l'inerzia, basta con l'isolamento egoistico, basta con la vita da cenobita che non medita né prega!
Moto ci vuole, dinamismo, e uno scopo nobile da perseguire!
Fu così che un pescatore d'acqua dolce divenne cacciatore. Il ragionier Cassiano, pensionato bancario ultra settantenne, di indole mansueta e di buon carattere, oltre che dotato di buona salute, comprò un fucile a canne sovrapposte e cominciò a girare su e giù per la Valchiavenna dietro al suo cane che ostentava un collare nuovo e impreziosito da borchie d'ottone. Una vita dinamica, e piena di moto, non c'è dubbio. Ma Cassiano ora aveva anche un nobile scope da perseguire: quello di difendere la rigogliosa e provvida natura della Valchiavenna dai vili attentati di inconsulti guastatori piromani.
L'uomo e il cane si erano equipaggiati come un 'commando' incaricato di una missione rischiosa in terra nemica, ma non incutono spavento perché tutti sanno che non farebbero male neppure a una mosca. Perfino gli scoiattoli, i tassi, le lepri, i ricci e le talpe, perfino gli uccelli che nidificano fra gli alberi hanno capito che non v'è alcun motivo di temere il fucile di Cassiano, né i denti del cane.
Perché uomo e cane non sono normali cacciatori: infatti vanno a cassia solo di piromani. Solo i balordi seminatori di rovine e di morte, i miserabili incendiari furtivi distruttori della ricchezza che una prodiga natura elargisce, hanno buoni motivi per stare alla larga dal fucile di Cassiamo e dai denti del suo pointer. Un fucile speciale, che spara solo cartucce da lui fabbricate personalmente. Sono caricate con sale grosso misto a polvere di peperoncino siciliano. Non ammazzerebbero neppure un coniglio, ma chi le ha assaggiate non vorrà di certo correre il rischio di una nuova esperienza.
Il ragioniere Cassiano le chiama 'piccanti bocconcini antipiromani'. La gente della Valchiavenna guarda con simpatia quell'anomalo cacciatore. Qualcuno lo ferma, e gli chiede: "Come può lei, ragioniere Cassiano, individuare con certezza un piromane?"
"È sufficiente avere un cane che è stato addestrato a fiutare il petrolio ed altre sostanze incendiarie" - è la risposta - "È più facile che fiutare droga". Poi aggiunge: "Chi s'aggira per boschi recando quantità sospette di materiale incendiario ha quasi sempre malvage intenzioni. Il mio cane s'avvicina e fiuta. Poi punta il potenziale piromane. Non sbaglia mai. La faccenda si conclude spesso con un po' di sale al peperoncino nel deretano. Tre giorni d'impacchi freddi, e tutto passa. Anche la voglia di appiccare fuoco ai boschi".
Così parla il ragioniere Cassiano, ultra settantenne bancario a riposo. Se in Valchiavenna - ma non solo lì - si troverà chi l'ascolta e ne sostiene il civico impegno la piaga degli incendi boschivi potrà essere santa.
 
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2° classificata
Marianna Scibetta
 
 
La montagna: il bosco e il torrente
 
C'era una volta un gigante e, nascita o risveglio che fosse, una mattina aprì gli occhi. "Buongiorno, chi sei tu che pervadi la valle?" domandò il gigante alla montagna riflessa in uno specchio d'acqua. "Io non pervado la valle, la sovrasto". Rispose la montagna con tono pacato. "Sono io che la sovrasto; io sono il gigante!" rispose quello guardando ancora nello specchio d'acqua. "Se tu decidessi di voltarti a guardarmi, capiresti che è solo un'immagine riflessa quella che ti inganna". Il gigante allora si voltò e si accorse che la montagna era molto più grande di lui: "Hai ragione, se tu che sovrasti la valle e sopra di te, solo il sole può toccare le tue cime" ammise il Gigante. "Allora, se tu sovrasti la valle, sei anche la più saggia" dedusse ancora il gigante. "Ti sbagli, più saggio di me è il torrente" echeggiò la montagna. "Il torrente? Che cosa può sapere più di te che sovrasti la valle?" Allora la montagna indicò un punto in cui il suo cuore di ghiaccio incrinandosi al calore della primavera, si scioglieva in cento rigagnoli di acqua pura.
"Il torrente è l'origine e il corso. Corso d'acqua che raggiunge la valle, la attraversa e la trapassa fino al limitare della terra, per dileguarsi nell'onda del mare" rispose la montagna e continuò: "Io sono ferma da tempo immemore su queste rocce, non posso che riflettermi nell'acqua del lago, ascoltare il grido dell'aquila e il fischio del vento". "Ho capito... il torrente è più saggio perché arriva lontano." "Voglio conoscere il torrente! Ma dov'è il suo letto, il tratto in cui placa la sua corsa? " chiese il gigante.
"Potrai incontrarlo al limitare del bosco, lì il suo scorrere si fa più dolce". Il gigante si incamminò seguendo il rumore dell'acqua, finché, questo da fragore non divenne che un gorgoglio confuso al richiamo degli uccelli. Intanto era calata la notte, il buio era divenuto fitto, più fitto man mano che, il gigante si addentrava nel sentiero del bosco. Arrivato, ai margini dell'ombra più allungata delle fronde, sul limitare del bosco, il gigante fu investito dalla luce dorata della luna, guardò in basso e si stupì. A fior d'acqua vide risplendere una infinita quantità di piccole luci, alcune delle quali si alzavano dal torrente e sciamavano verso la sagoma informe del bosco. "Chi siete?" domandò il gigante, pensando che le luci fossero fate. "Siamo lucciole, veniamo ad incontrare le nostre sorelle nel torrente" risposero quelle in coro. "E perché venite ad incontrarle nel torrente le vostre sorelle?" chiese il gigante. "Perché solo in questo riverbero possiamo ricongiungerci alle stelle... lo spirito del bosco volle lucciole in cielo e lucciole in terra. Così, possiamo incontrarci solo nell'acqua pacata del torrente". Poi iniziò la loro danza scandita dal canto leggero della notte sul fiume di luce. "Sei davvero il più saggio!" esclamò il gigante rivolgendosi al torrente che sembrava addormentarsi, al ronzio leggero dei canti senza suoni delle lucciole. "Davvero, mi reputi il più saggio?" chiese il torrente in un flutto improvviso. "Oh sì! Me lo ha detto la montagna e lo vedo con i miei occhi giacché puoi riflettere le stelle". "C'è qualcuno che è più saggio di me, perché sa deviare il mio corso, domare la mia irruenza come un cavallo docile alla briglia" fluttuò il fiume al gigante.
Fu allora, che il gigante udì il sibilo del vento, il canto delle cicale e il suono monotono del gufo. "Chi sei?" chiese il gigante spaventato al nulla "Sono lo spirito del bosco, che anima l'oscurità della notte con i versi risonanti degli uccelli e colmo lo spazio del silenzio con le ombre parlanti dei rumori" rispose il bosco. "Dimmi, chi è più saggio della montagna e del torrente" domandò il gigante in cerca della verità. "La montagna è la grande madre e il torrente suo figlio, ma c'è qualcuno che può scalare le vette e piegare la piena" sospirò il bosco. "Chi può fare questo è più grande di me che posso guardare la montagna negli occhi e deviare il torrente con una mano?" domandò il gigante che non riusciva ad immaginare. "No, gigante ti sbagli, in verità è più piccolo dell'abete, della montagna, del torrente e di un gigante... ma il suo pensiero può superare il guado, scalare le cime delle montagne e rivolgersi alle stelle" risposero le molte voci del bosco. "È davvero straordinario!" esclamò allora, il gigante "Dimmi, chi è in grado di fare tutto questo?" incalzò il gigante. "Guarda quelle luci nella radura" lo spirito indicò un punto, oltre la riva opposta del torrente. "Sono stelle quelle luci? " chiese il gigante.
"No, sono i fuochi, attorno ai quali vive l'uomo" rispose il bosco. "L'uomo? I fuochi?" domandò il gigante che voleva capire. "Il fuoco serve all'uomo per rischiarare la notte e per perpetuare il racconto" rispose il bosco. "E che cos'è il racconto?" chiese ancora il gigante che sedutosi, appoggiò la sua mano sull'erba umida, carezzandola piano. "Il racconto è il suono del tempo che l'uomo fa vibrare come una corda tesa, suono che colma la radura, pervade il bosco e risuona nella valle, perpetuato dalla luce delle stelle".
"Voglio conoscere l'uomo!" esclamò infine il gigante. Allora il gufo interruppe il canto, il vento tacque la sua voce nel gorgoglio muto dell'acqua, lo spirito del bosco si assopì, e il silenzio avvolse la notte. Il gigante attraversò la radura e si fermò presso i fuochi, lì vide uomini e donne, vecchi, giovani e bambini. Si accorse che non tutti erano saggi alla stessa maniera; quelli che lo erano in maggior misura si ponevano in ascolto e il racconto proseguiva sempre nella medesima cadenza, come un canto, come un rito... il rito del tempo che si perpetua. Poi, il gigante guardò nel cuore degli uomini e vide radure costellate di speranze, e vide dirupi adombrati dalla tristezza e vide deserti cosparsi di malvage cupidigie e dive pareti rocciose grondanti di dolore. Allora il gigante capì la natura dell'uomo e il suo impervio e sterile campo del non rispetto e finalmente, conobbe. Decise a qual punto di tornare indietro, attraversò la radura fino al bosco, lì bevve nelle acque del torrente, riempì le sue orecchie dei canti stregati della notte, mangiò le radici delle conifere dei boschi, traendole piano dalla terra, in cui per ultimo depose le sue lacrime. Poi raggiunge la montagna e si distese ai suoi piedi, posando la testa ad oriente. Così, disteso, aspettò la pioggia che lo tramutò in albero, in terra, in acqua, in spirito. Nessuno seppe di lui e della sua sete di sapere, ma intorno al fuoco, gli uomini perpetuarono il racconto del gigante, fa uno della montagna e delle lucciole che incontrano le stelle sulle acque del torrente al limitare del bosco, questa è la sua leggenda.
 
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3° classificata
Arrigo Filippi
 
 
Il grido
 
Il suo nome, Giovanni. La sua anima un canto di pietra e acqua. Il suo cuore, un nodo di silenzio e passione...
Autunno. Sto rientrando da un'escursione in alta montagna, lungo un ripido sentiero ormai vellutato dalle prime ombre crepuscolari.
Mi aspettano diverse ore di cammino. Troppe. Giunto a una casupola, decido di chiedere ospitalità per la notte. Il giorno dopo raggiungerò la valle, con calma.
Il vecchio Giovanni mi accoglie con silenziosa cortesia.
Da tempo ha lasciato il mondo per rifugiarsi tra montagne solitarie, incrostate di silenzi, coperte di boschi ombrosi.
Protetto dal magico eremitaggio delle altezze è diventato un essere senza tempo, ruvido di riservatezza, franoso di malinconie, ispessito di sogni...
Ah, i sogni dei vecchi, fiammeggianti spirali di solitudine e veggenza, nostalgia e pietà!...
Ceniamo.
Chiuso nella sua animalesca diffidenza, asciutto come un alveo in secca, l'uomo scodella poche parole, una minestra calda e sorsi di vino denso e nero come la notte, appena scesa sulle montagne.
Accenno alla mia avventura, al paese, alle vicende recenti, ma non sembra interessato a questo tipo di argomenti. Si limita ad ascoltare, se veramente è ascoltare, il suo.
Dopo cena siede di fronte al camino, assorto in chiusi pensieri. Se pensieri sono, i suoi...
Poi si alza, spalanca uno stipo, estrae un sigaro e lo accende. Dense volute di fumo odoroso si spandono intorno. Raggiunge la finestra. Immobile contempla la notte.
"Nevicherà... tra un po' nevicherà..." vaticina con lungimirante sicurezza.
"Forse..." rispondo io.
Echi di quelle parole vibrano a lungo nella stanza. Poi, silenzio.
Il vecchio torna a sedere.
Le fiamme gli riverberano sulle gote arrossandone la pelle coriacea, mentre una corona di luce gli fa risaltare il corpo, sgravandolo di ogni peso, elevandolo misticamente...
Così i vecchi giocano a fare i fantasmi...
D'improvviso ripenso a figure dell'infanzia, vecchi dai volti innocenti e luciferini, visitati dall'inesprimibile, zappati dal tempo, butterati dal mistero.
Vecchi dai visi di roccia e sangue, terra e carne.
Vecchi dalle mani di pietra e ossa, fango e vento, dai visi impagliati di giorni, infuocati di mosto, lavati d'aria.
Ripenso alle loro pupille acuminate e visionarie, sempre in agguato tra ispidi rovi di ciglia muscose, con gli sguardi arrugginiti da antichi dolori, bracieri in cui perenne ardeva una conoscenza taciuta.
Rivedo i loro teneri sorrisi bucati e le fronti solcate da improvvise mareggiate di rughe, eternamente frangenti sulle rocce dell'anima.
Vecchi imbottiti di silenzio, odorosi di parole segrete, lasciate ad ammuffire in una cantina di visceri scontrosi, tenute a fermentare nei tini di un ruvido, antico riserbo. Poi all'improvviso sturati, i visceri, per un ingorgo di parole, venute su tutte insieme a gorgogliare in un catino di labbra, ammassate nei recinti di lunghi racconti serali, per una baldoria di pelose paure e allegre sorprese.
Bambino, sostavo sull'orlo precipite di quelle labbra come il cacciatore sta in agguato della selvaggina ai bordi della boscaglia. Aspettavo il guizzo improvviso di un suono, il frullare d'una verità bruscamente levatasi in volo... poi sparavo, sparavo all'impazzata raffiche di stupore!...
Ah, le parole nude e crude, brusche e dolci, magicamente eterne dei vecchi!...
Mi ridesto dai sogni. Giovanni continua a fissare il fuoco. Dal mio posto percepisco ogni rumore nella stanza: il cicalare della fiamma e il gracidare dell'uscio ad ogni soprassalto di vento, la tosse di una vecchia cassapanca, lo squittio dell'imposta, il pausato respiro del vecchio, e persino l'agitarsi dei pensieri nel chiuso della sua mente...
I vecchi hanno pensieri che fanno un rumore di tuono...
A un tratto si alza e raggiunge di nuovo la finestra; guarda nel buio ma calmo, imperturbabile, come celebrando un rito eternamente ripetuto.
Fuori ogni cosa è soggiogata dal l'incontrastato dominio dei silenzio che spegne i passi dei vento, asciuga il respiro dei bosco, cancella il motore sempre acceso dei ruscello.
Il bosco è muto, fermo, imboscato in un silenzio di ferro, la sua anima è alla deriva nel mare grande della notte di montagna. È una macchia sul cuore, il bosco di notte, un carbone acceso che arde nel camino dell'attesa e infiamma l'anima di dolce spavento.
E la notte di montagna è un cane che morde lo sguardo, lappa i pensieri, scorre le praterie dei sangue e lo inchiostra di una paura rabbrividita.
È anche un pigolio molle e felice, la notte di montagna, canto sottile all'orecchio del mondo, il muscolo del buio che d'improvviso si contrae e solleva gli sguardi degli uomini al mistero elettrico dell'inesplorato.
Sì, la montagna di notte, quando non è che una vela al largo tra i marosi del silenzio, il fantasma di una verità scolpita nella pietra, dolce, spettrale visione che non si può reggere a lungo... perché è una felicità che fa male, fa male al cuore, la montagna di notte!...
Il vecchio è sempre alla finestra e mostra una calma perfetta e sapiente. Una calma modellata negli anni, cresciuta nella gioiosa temerarietà di innumerevoli notti come questa, avvezza agli incanti trasfigurati delle vette solitarie, dei boschi addormentati in grembo al buio, dei ruscelli che tramano parole col filo del silenzio.
A un tratto accenna un sorriso. Mi chiama con la mano a sé. Mi alzo. Lo raggiungo. Fuori qualcosa di grande e ineffabile è accaduto: radi fiocchi vaporosi solcano lo spazio deserto e scrivono sulla pagina dei buio una bianca felicità tutta da contemplare...
Aveva ragione lui: sta nevicando!...
Il mondo lentamente si trasforma sotto i nostri occhi. La neve, fluendo leggera e ipnotica, ci trascina nel vortice di un ritmo narcotico, lattea pulsazione che batte una musica infinita.
"Là... guardi là!..." esclama a un tratto il vecchio.
Scruto ma non vedo nulla e il buio cancella con inoppugnabile uniformità ogni distinzione, smussa rilievi, appiana identità.
Eppure il mondo è sempre, indubitabilmente là, più segreto e reale che in qualsiasi altro momento, avvolto nella cortina fumosa della notte di montagna...
Il mondo si rivela... scomparendo...
"Laggiù... guardi meglio... laggiù!..." mi sollecita ancora una volta, il vecchio.
Osservo intensamente, fino al limite del bosco, dove una luce pallida e irreale spiove da un imprecisato punto dell'Universo, inargentando le chiome di un abete solitario: laggiù, laggiù una figura fantastica, semovente e inquietante mi appare all'improvviso.
Cosa sia non capisco. Ma il vecchio mostra di saperla lunga.
"Ne ero certo... eccolo!..." mormora raggiante di soddisfazione. "Eccolo...chi?" domando.
"Quando c'è neve, scende a quote basse" risponde lui trasognato.
La creatura resta immobile, stagliata nella fredda luce che spiove dall'alto e lo avvolge in un rarefatto sudario incantato.
E mentre la notte si libra come un uccello enorme sopra noi, un'atmosfera d'attesa stringe il vecchio, me, la montagna, e la nera sagoma laggiù, laggiù, muta e solitaria ai confini estremi del bosco, del mondo...
Ma chi è quella figura spettrale comparsa all'improvviso?... Uomo?... Animale?... Il cuore segreto della terra?... L'anima del mondo?... L'ombra furtiva di Dio?...
Forse tutte queste cose insieme...
"Chi è?" domando ancora.
Ma il vecchio non risponde... e guarda... e sorride... sorride...
Ah, come a volte sorridono misteriosi, i vecchi!...
D'improvviso un grido roco, selvaggio, ultraterreno... La tenebra sussulta... Il silenzio sviene... La montagna si alza... e il cuore precipita in ginocchio...
"Cos'è stato?...".
"L'amore!..." risponde il vecchio.
"L'amore di chi?".
"L'amore!..." ribadisce Giovanni...
Un secondo grido risuona folle e dolente, cupo e glorioso, carta vetrata sulla cruda nudità del silenzio.
Il grido ascende pendii, colma anfratti e abissi, rimbomba in caverne e dirupi, turba quieti immutabili... poi s'inarca sotto la nera volta del cielo e lo strappa al suo letargo autunnale...
Sì, quella che ascoltiamo è la voce della creatura misteriosa, il lampo sonoro del suo immenso e straziato desiderio, il brivido bollente del suo sogno amoroso...
Lo sa bene, il vecchio: quel grido è anche il nostro grido, la nostra pena, il nostro desiderio più profondo. Quella voce... siamo noi!...
E mentre l'urlo s'inabbissa in più vaste lontananze, la quiete torna a regnare sulla montagna deserta.
E forse anche la creatura, adesso, ci sta guardando e ascolta i nostri cuori battere all'unisono col suo. Anche lei, come noi, dispersa nella notte trascendente...
All'improvviso, laggiù, la figura è scomparsa. Il vecchio lascia la finestra e torna a sedere di fronte al fuoco...
"È l'amore!..." seguita a dire.
La parola "amore" gli crepita fra le labbra nell'istante in cui la fiamma guizza nel camino con sorprendente, inesplicabile coincidenza.
E ancora una volta risuona il grido dolce e terribile...
Ma stavolta è nel cuore, soltanto nel cuore sconvolto del vecchio, che risuona il grido dolce e terribile...
E il suo sguardo all'improvviso, s'illumina bellissimo, commosso d'infinita pietà per l'intero creato, mentre parole leggere come fiocchi di neve gli salgono alle labbra: "È l'amore!... l'amore!..."...
Il suo nome, Giovanni. La sua anima un canto di pietra e acqua. Il suo cuore, un nodo di silenzio e passione...
 
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 Testi Sezione Poesia
 

1° classificata

Rosalba De Paoli Pozzi
 
Incantesimo
 
Passa tra gli abeti il vento
ed è musica.
Canne d'organo, delicate arpe
sono i tronchi e i rami del bosco
e tu guardi sul limitare
la lama di luce
che si muove col vento.
Il canto degli uccelli
è grida di bambini
e lontano il torrente
sussurra tenere parole.
Il vento accarezza
e scuote ogni cosa.
Ma poi viene la sera.
Si ode appena il tenue respiro del bosco,
il lontano fruscio del torrente:
e tu naufraghi,
seguendo la prima stella.
_______
 
La cascata
 
Bosco scosceso
macchiato di sole,
una gola coperta di muschio
e lucide, piccole foglie
di rododendro.
Davanti al muro di roccia
fili d'argento:
è l'acqua che casca.
Verde tappeto
le umide alghe.
Il sole filtra quest'ombra oscura
dal leggero sentore di morte.
 
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2° classificata
Ambrogina Sirtori
 
Bosco e torrente
 
Garrulo torrente
dalla voce canterina
dimmi: che vedi in Valle Spluga,
lungo il tuo cammino?
 
Amico bosco,
vivo l'incanto d'albe e tramonti
che colorano rocce torreggianti.
Vedo bianche case adagiate
sul molle velluto dei prati
come dadi su tappeti da gioco,
laghetti azzurreggiati
e boschi misteriosi come te.
Vedo valligiani operosi
ripulire boschi, arginare torrenti...
 
Amico che saltelli tra le rupi
conosco i valligiani:
gente tenace, paziente
abbarbicata alla sua terra,
innamorata dei suoi monti!
Le montagne sorridono, contente.
E cingono la Valle
in un materno abbraccio.
 
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3° classificata
Andrea Comalini
 
Val Loga
 
Camminare tra i massi
leggeri
e rotolare
su muschio brucato
rialzarsi e camminare.
Annusare il pascolo
cercare
lontano il muggire
rumore come di pace
campanacci
suonare.
Rigenerarsi nell'acqua
immergere
le mani e ripartire
dove il cielo cade
sorridere.
_________
 
Frontiera
 
Montespluga è bella
con gli amici
la chiamiamo Frontiera
è come se l'Alaska
fosse dietro al Groppera.
Gracchio nero
ombra di stambecco
cozzanti corna
corallino becco.
Tana di marmotta,
buco da ermellino,
sprofondando negli Andossi,
scivolando su ghiaccio alpino.
Semplice,
leggera,
poesia
forse preghiera
tra le mura,
la notte
fuori la bufera.
 
 
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4° classificata
Silvestro De Simone
 
La vetta
 
Per valli ombrose
di faggi millenari,
seguendo aspri sentieri
che l'occhio
fra l'erbe alte
roride di rugiada
a fatica distingue,
ho raggiunto la vette
baciata dal sole.
 
Quant'è piccolo
il mondo laggiù,
quanti nani s'affannano
in misere cose!
 
Qui l'aria è fina
ed i pensieri più puri,
vedi fiori solitari
di rara bellezza,
odi il ruscello cantare
nel suo letto di pietra
ed il vento sussurrare
infiniti silenzi.
 
Qui, nel dolce
appassire dei sensi,
l'anima nuda
incontra se stessa.
 
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5° classificata
Domenico Livoti
 
Canzone del merlo acquaiolo e dell'emigrante
 
C'è un ricordo di aride fiumare
nel mio aspro cuore d'emigrante,
c'è un bisogno di acqua corrente
per diluir quelle immagini amare.
 
"Cos'è quel magico volo
sulle note di acque ridenti?"
 
"È la gloria di un merlo acquaiolo
è il riflesso di ali lucenti!"
 
La mano tenta di fermare il flusso
ma i pensieri la sorpassano veloci
alla ricerca di quegli attimi felici
che per un animo straniero sono un lusso.
 
"Dov'è quel merlo dal petto bianco
che spia il canto d'argentati temoli?"
 
"È lì su un masso al sole, forse stanco
ebbro di danze e di voli fievoli!"
 
Non tenterò di rotolare a mare,
fermerò qui al nord la mia mente,
racconterò la mia storia al torrente,
a star con me dirò a lei di provare!
________
 
Bagliori d'oro nel bosco novembrino
 
Affrettato!
Se no non vedrai
brillare al sole
l'oro vecchio dei larici
negli ultimi sussulti di Novembre!
Affrettati!
Già si fonde nel fulgore della neve
la gialla patina di nobiltà antica
di un bosco che s'appresta a ritirarsi
sotto il bianco manto dell'Inverno.
Affrettati!
Sono queste le cose buone del mondo.
Le ricchezze
che s'accumulano nel cuore
per render lieve lo Spirito Immortale.
 
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6° classificata
Elena Sideri
 
(senza titolo)
 
Sono arrivato su per un sentiero
con gli occhi alla terra
e le spalle curve.
Giunto alla cima
ho lasciato lo sguardo
perdersi in tanto splendere.
Cime bianche
lontano e vicine,
cieli su cieli
nuvole dentro nuvole
toni di colore che illuminano l'anima.
Ho respirato a pieni polmoni
ma il respiro s'è rotto a metà.
Mi sono voltato
t'ho cercato accanto a me
ma tu non c'eri a continuare il mio respiro.
A fondere i tuoi battiti nei miei
come quando arrivavamo insieme
e ci lasciavamo rapire dall'infinito spazio.
 
La lacrima me l'ha asciugata il vento
che mi ha avvolto come in un abbraccio
scuotendomi dallo sgomento.
È stato il tuo abbraccio.
Ho girato il capo
e nella montagna che mi guardava
ho trovato il tuo essere roccia
sulla quale ho riposato ricevendo forza.
Nel silenzio che mi ha calmato
c'erano le tue carezze lievi piene d'amore
a consolarmi il cuore.
Il volto libero dell'aquila
che ha disegnato per me
lettere d'amore nel cielo terso
è stato il tuo volo, libero, nell'infinito
dove so che mi attendi.
 
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7° classificata
Giuliana Buratti
 
Tra voci sfuggenti
 
Guarda, figlio mio
come ti vien vicino il bosco
nel varcare l'arco dei castagni,
guarda il tappeto steso dalle foglie,
il saluto delle felci
e i rovi, che ti prendono per mano.
Guarda nei solchi odorosi,
i muschi, gli anfratti,
gli alberi curvi,
sotto l'eterno peso del cielo
e lor radici, salde e vive,
nella terra fonda.
Ascolta, figlio mio,
come tra voci
e rumori sfuggenti,
s'ode correre il corrente.
Ascolta come nei gorghi
girar fa l'acqua,
curva sui sassi, rimbalza,
gorgoglia, salta e cade
in un seguir d'audaci cascatelle.
Ascolta come fremendo
lascia la valle, si trova una via
per andar lontano
a regalare la sua spuma
che, di neve, ancor profuma.
Guarda e ascolta,
figlio mio,
e immagina, adesso,
che io sia
del bosco la quiete
e tu,
dirompente, quell'energia.
 
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8° classificata
Mara Favaretto
 
Grande Montagna (Valle Spluga)
 
Cappelli bianchi adornano
il tuo capo
alta imponente austera
in un'aureola turchese
abbracciata dal sole
silenziosa emergi
dal profondo valle
dama preistorica
vestita di verde a fiori variegati
antichi sentieri incontaminati
intrecciano vispi torrenti
in una natura senza fine.
_________
 
Valle Spluga
 
Camminare a valle
tra arbusti fitti e boschi variopinti
in un'esplosione di primule gialle
scaldarsi ai raggi del sole
che sveglia dal letargo
lo spirito più stanco
ascoltare il silenzio della natura
lo sfregarsi dei rami degli alberi
mossi dal vento
sentire profumo di resina e pino
che inebria la mente
in un'estasi di libertà
per ricaricarsi
bagnarsi al torrente
che impetuoso scorre a valle
portando con se ciottoli
bagaglio amorfo
di antica data.
 
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9° classificata
Fernanda Nicolis
 
(senza nome)
 
L'acqua canta e sogna
sotto la trina fitta del bosco
e la sua canzone
è sospiro di cristallo
e il suo sogno
è tremolio di stella
 
e nell'acqua chiara
abeti sdraiati...
giunchiglie gialle
e pensieri - come ricordi -
dormono cullati
da braccia d'argento.
 
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10° classificata
Adriana Scarpa
 
Si infiammano le cime dei larici
 
Cascatelle e vortici
ruscellano nel sottobosco
fanno sonora l'abetaia.
Nella penombra
le creature dell'acqua
sciolgono a filigrana
i lunghi capelli, li ornano
con fiori di rododendro.
Tra i cespugli bassi del mirtillo
un picchio
lascia cadere scaglie di pigna.
Presenze invisibili
riempiono l'aria di brusii, di voci.
Percepisco appena
il balzo fulvo dello scoiattolo
tra i rami alti che ancora
impigliano qualche trina di nebbia.
Poi si infiammano
le cime di larici e faggi,
un diadema di colori
si accende sopra la mia testa
e incorona re il bosco grande
in questi giorni splendidi
d'autunno.
________
 
Fra le cime dei larici
 
Piccoli lumi nella notte
i frammenti di costellazioni
che filtrano
tra le cime alte dei larici.
 
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