Elisabetta Gnecchi-Ruscone

 
Canti aborigeni australiani: da canti rituali a
testi letterari, il contesto storico-culturale1
 
Fin dal loro primo incontro con gli occidentali, gli aborigeni australiani sono stati considerati i rappresentanti della cultura 'primitiva' per definizione, relegati al ruolo di esempi viventi degli antenati dell'umanità, al primo gradino dell'evoluzione della civiltà2.
Si pensa che siano arrivati dal sud-est dell'Asia circa quarantamila anni fa, quando il continente australiano era unito a nord con la Nuova Guinea. A causa del successivo e relativo isolamento culturale hanno sviluppato soluzioni ai problemi di adattamento indipendentemente da influenze esterne. Il risultato era un modo di vita stabile ed efficiente. Proprio per questa efficienza, probabilmente, gli sviluppi tecnologici sono stati lenti; questa lentezza è alla base dell'immagine, comune in occidente ma disputata dagli archeologi, della società aborigena come immutabile. Un altro stereotipo che è stato messo in discussione è quello di un popolo in balia delle condizioni ambientali. Adesso si sa che gli aborigeni hanno alterato in maniera importante l'ambiente in cui vivevano: usavano il fuoco come strumento di controllo del sottobosco per facilitare la caccia e per favorire la rigenerazione di alcune piante. Le loro azioni selettive hanno alterato l'equilibrio ecologico, favorendo l'estinzione di alcune specie preistoriche e la propagazione di altre.
Un'ulteriore costruzione dell'etnocentrismo occidentale è la definizione della cultura degli aborigeni come 'pura' e 'incontaminata'. Molti gruppi aborigeni avevano contatti e scambi regolari con popolazioni melanesiane e indonesiane, molto prima dall'arrivo dei primi occidentali. Anche tra diversi gruppi di aborigeni ci sono sempre stati scambi sociali e culturali. Lungi dall'essere statica, come sosteneva la cultura coloniale, la cultura aborigena è da sempre dinamica.
Anche in periodo pre-coloniale ondate di cambiamenti si sono susseguite attraverso il continente. Un esempio ben documentato è la fusione della mitologia del serpente Yulunggul di origine aborigena, con il mito, probabilmente importato dalla Melanesia, della grande Madre primordiale che diede luogo al complesso mitico-rituale conosciuto come Kunapipi, e che ha avuto una vasta diffusione nel nord del paese (M. Eliade, 1990: 100). Questo complesso appare nei primi due cicli di canti raccolti nel libro Canti degli aborigeni australiani (Englaro, 1999).
 
Dal Canto 2 del Ciclo di Canti d'Amore dell'isola di Goulburn (p.31)
...
Vediamo sollevarsi i petti mentre invocano
i Serpenti Yulunggul, che strisciano
con le loro spire...
Invocano i serpenti, che strisciano sul ventre
con le loro spire, mentre essi ergono
le palafitte su tutta la palude.
 
 
Dal Canto 9 del Ciclo di Canti d'Amore del Rose River (p. 94)
...
Col pensiero al rito, alla danza mandiela,
al kunapipi.
Stanno sempre là,
gente con le natiche ondeggianti,
uomini col pene subinciso...
uomini dei clan del sud, uomini del barramundi...3
Costruiscono il riparo per nascondervi le donne,
nell'ombra sacra, sistemano i rami...
 
 
Nel volume curato da Graziella Englaro (1999) sono raccolti otto cicli di canti rituali, tradotti e trascritti come 'testi letterari'. In Daughters of the Dreaming (1983:174) Diane Bell racconta che quando lei rileggeva le sue versioni dei miti cantati dalle donne aborigene durante le cerimonie religiose, loro annuivano, ma poi le spiegavano che la sua versione era un testo scritto, una forma prettamente 'bianca'. Secondo Bell, la visione culturale aborigena in cui il mito è vissuto in termini di azione è quindi contrapposta a quella occidentale che vede il mito come testo. Nel caso di questo volume, i canti sono tradotti così come sono stati registrati o trascritti, non c'è il tentativo di narrare il mito: in questo modo i canti mantengono per quanto possibile la forma originale. Ciò nonostante, e nonostante le informazioni contenute nelle introduzioni, i canti sono estrapolati dal rito e sono, necessariamente, de-contestualizzati e fissati in una maniera che non avviene nella trasmissione orale. Inoltre, il fatto stesso che siano stati registrati situa questi canti in un contesto di contatto con influenze esterne, coloniali o post-coloniali.
La consapevolezza di questo contesto non ne sminuisce il valore come testimonianza di una cultura atavica, ma piuttosto invita a una riflessione sulla capacità di sopravvivenza della cultura aborigena attraverso la tradizione orale. Se da un lato questa è vissuta come espressione di continuità col passato, di tradizioni ancestrali che permangono, dall'altro permette, tramite il processo di trasmissione da una persona all'altra, l'inclusione di elementi nuovi, conferendo alla 'tradizione' la capacità di adattarsi a cambiamenti storici e incorporare nuovi elementi. Questa flessibilità celata è negata a un testo. È in questa luce che mi propongo di offrire qualche spunto storico e culturale per situare i canti di questa antologia sia nel contesto, locale, in cui sono stati registrati mentre venivano trasmessi oralmente, che in quello in cui sono diventati testi, entrando a far parte di un sistema culturale globale.
Al momento del primo contatto con gli occidentali si stima che in Australia ci fossero tra i 250.000 e 500.000 abitanti. Si tende a pensare agli aborigeni come a un gruppo omogeneo: in realtà nel periodo pre-coloniale non esisteva un termine collettivo per descrivere il popolo aborigeno. Le differenze tra i vari gruppi erano molto importanti e continuamente sottolineate. Persino il concetto di 'tribù' è problematico nel contesto australiano. La struttura della società aborigena era basata sulla parentela. Le unità sociali erano gruppi 'residenziali' composti dalle dieci alle cinquanta persone. Questi gruppi condividevano tratti culturali con altri coi quali avevano scambi economici e rituali. Si riunivano periodicamente per motivi cerimoniali, radunando fino a cinquecento persone, ma non formavano delle confederazioni per scopi militari o di conquista del territorio.
Prima del 1788, anno del primo insediamento coloniale britannico, si parlavano circa duecento lingue, suddivise in centinaia di dialetti. In certe zone del continente la stessa lingua era parlata da individui sparsi per centinaia di chilometri, mentre in altre regioni i membri dello stesso gruppo parlavano lingue diverse. Il multilinguismo era la norma, a dimostrazione dei contatti e delle influenze tra gruppi. Come si può vedere dai canti raccolti in questo volume, le lingue aborigene non erano affatto primitive - come vorrebbe un altro stereotipo occidentale - bensì costituivano sistemi di comunicazione pienamente sviluppati, che permettevano l'espressione di concetti complessi e di forme poetiche.
C'era una grande diversità culturale tra i gruppi aborigeni, attribuibile anche alla diversità ambientale dei territori in cui vivevano. Tutti comunque vivevano prevalentemente di caccia e della raccolta di vegetazione cresciuta spontaneamente. L'economia era basata sul nomadismo. I movimenti nel territorio non erano accidentali, un girovagare casuale alla ricerca del cibo. Ogni individuo apparteneva dalla nascita a un clan totemico strettamente associato a particolari aree del territorio. Attraverso i legami di parentela e il matrimonio una persona si assicurava diritti anche su altre zone. Queste relazioni producevano una complessa rete di affiliazione e identificazione di individui con territori specifici. Il risultato era che tutti i territori del continente, seppure non abitati permanentemente, erano rivendicati da qualcuno.
Gli aborigeni intraprendevano viaggi stagionali per sfruttare le risorse e per partecipare a riti collettivi con altri gruppi. Questi movimenti erano sanciti da necessità di tipo rituale e circoscritti dalla legge tradizionale, seguivano percorsi precisi e a nessuno era permesso di viaggiare a piacere attraverso i territori altrui.
Proprio le necessità pratiche di uno stile di vita nomade in un continente senza animali da soma, hanno dato luogo a quell'aspetto che più disturba gli studiosi delle civiltà: la cultura materiale è rimasta a un livello essenziale e multifunzionale, e la creatività si è sviluppata nelle direzioni più 'portatili' e meno evidenti della mitologia e di forme artistiche transitorie (pitture corporee o su assi, che però erano cancellate dopo ogni performance).
Il sapere religioso si otteneva nel corso di tutta la vita, a partire dall'iniziazione e tramite la partecipazione ai riti collettivi. Sia gli uomini sia le donne praticavano cerimonie religiose specifiche e custodivano segmenti del sapere mitologico. Alcune cerimonie erano segrete e riservate, altre condivise e pubbliche. I canti e le danze cerimoniali riunivano gli aspetti religiosi ed estetici della cultura aborigena. Tramite i riti venivano ricreati, nutriti e curati i legami tra gli individui, i gruppi sociali, il territorio e gli esseri ancestrali. Per il sistema totemico, ogni sezione del clan aveva la responsabilità di mantenere parti specifiche del territorio vivo e fertile attraverso riti d'incremento come quelli di cui fanno parte i canti del seme di Pulawani (pp. 177-183).
 
 
 
Canto1
Foglie secche dovunque,
foglie secche sparse al suolo.
 
Canto 4
Radici secche, radici secche, ora mostrano un verde tenue.
radici secche, radici secche, ora mostrano un verde tenue
 
Canto 9
Verde, verde tutt'attorno.
piante verdi in numero consistente si levano diritte.
 
Canto 11
La pietra.
Gli uomini collocano la pietra vicino all'albero.
Sì, la collocano vicino all'albero.
Gli uomini collocano una pietra a fianco dell'albero.
(Seppelliscono una pietra ai piedi di un albero.)
 
Canto 17
Si dipingono per la cerimonia.
Si dipingono
per la cerimonia
 
Canto 21
Stanno sgusciando il seme per preparare il cibo.
Staccano il guscio di lato,
rompono il guscio e lo gettano via.
 
Dal susseguirsi dei canti in questo ciclo si può osservare che gli eventi naturali invocati sono accompagnati da azioni rituali da parte degli uomini. Azioni che non sono intese solo a favorire l'incremento di una singola pianta ma, situando questo incremento in una logica rituale più vasta, tendono a mantenere il legame tra il territorio e la gente di quel territorio, favorendo l'equilibrio cosmico e assicurando la continua emissione dei potenziali vitali di un luogo specifico, permeato dal potere di un Essere Ancestrale (Tony Swain, 1995: 25).
Un complesso sistema di suddivisione tra sezioni del clan che detenevano il diritto-dovere di eseguire i riti (un ruolo reso in inglese dal termine Boss), e altri che avevano invece il compito di sorvegliare che questi riti fossero eseguiti correttamente (Manager), serviva a contrastare la frammentazione del territorio creando una rete di gruppi con diritti e doveri sui reciproci territori. Contemporaneamente esistevano, in molte zone, tabù che proibivano ai membri dei gruppi responsabili per il mantenimento rituale di una specie animale o vegetale, di farne uso. Ogni gruppo totemico praticava riti per il beneficio economico di altri gruppi, favorendo la ridistribuzione delle risorse. Un altro aspetto vitale dei riti aborigeni, quindi, era quello della politica interpersonale e tra gruppi, parte del sapere religioso e del suo controllo: ciò che conta nel contesto rituale non è la rivelazione di una verità assoluta, ma chi fa cosa per conto di chi e in base a quale diritto. La politica, la religione, e l'estetica sono inscindibili.
Sebbene alcuni gruppi di aborigeni avessero già incontrato altri non- aborigeni, fu il contatto coi coloni europei ad avere il maggior impatto su di loro.
Dal 1788, col primo insediamento permanente degli inglesi nel sud est del continente, gli europei si diffusero gradualmente in Australia. La colonizzazione non è stato un processo uniforme, solo negli anni '30 furono contattati gli ultimi gruppi aborigeni delle zone del deserto centrale.
L'incontro tra coloni e aborigeni spesso sfociava in conflitti; si stima che morirono fino a 2500 coloni bianchi tra il 1887 e il 1930, e fino a dieci volte tanti aborigeni. I conflitti non erano il risultato di una resistenza generalizzata, scaturivano di solito in seguito ad azioni particolari dei coloni. La popolazione aborigena fu decimata anche per le malattie introdotte e per le condizioni di vita precarie conseguite dallo sconvolgimento del loro modo di vita tradizionale.
Dal censimento ufficiale del 1987, dopo duecento anni di insediamento europeo, risultano 227.654 aborigeni, su una popolazione australiana complessiva di 16 milioni. Di questi, circa il 44% sono residenti in aree rurali o remote, gli altri nei centri urbani verso i quali hanno cominciato a spostarsi negli anni '50, in seguito a una crisi del settore rurale dell'economia australiana.
La popolazione aborigena delle piccole cittadine delle zone remote dette outback ha un tasso di crescita nettamente superiore a quello dei bianchi. Il tasso di disoccupazione è altissimo, raggiunge in 75% in alcune zone, e le abitazioni, i livelli di scolarizzazione e di assistenza medica sono decisamente peggiori di quelli relativi al resto della popolazione.
Dal loro punto di vista, la conseguenza peggiore dell'insediamento degli europei è stata la perdita della terra. Le politiche dei governi australiani hanno subito molte trasformazioni. All'inizio gli aborigeni erano segregati, fatto che ne favorì la graduale estinzione. Intorno al 1930 il governo ha sviluppato la politica dell'assimilazione, sperando di arginare le malattie e la malnutrizione, rendere accessibile la terra che serviva per lo sviluppo economico, e ridurre i conflitti esistenti tra coloni e aborigeni. Queste politiche spesso risultavano nell'aggregazione forzata di gruppi ostili sullo stesso territorio, e impedivano l'economia tradizionale, obbligando gli aborigeni a diventare lavoratori salariati o a vivere ai margini della società australiana.
Solo negli anni Sessanta si è messo in discussione questo approccio. Nel 1967 un referendum ha attribuito al governo federale la competenza per gli aborigeni, togliendo potere ai governi statali. È iniziato un processo legislativo che favorisce la restituzione di terra ai proprietari tradizionali, culminato nel 1992 con la sentenza Mabo in cui la Corte Suprema sancisce l'occupazione indigena del paese prima del 1788, confutando il principio della terra nullius che ne aveva legittimato la colonizzazione. Grazie a queste riforme e a una politica di autogestione, molti piccoli gruppi di aborigeni delle zone remote si sono trasferiti dai grandi insediamenti in cui erano stati raggruppati a forza ed hanno potuto fare ritorno ai territori a cui erano tradizionalmente legati. Naturalmente questi processi sono molto più difficoltosi in zone di interesse economico, e la controversia non è ancora chiusa. I governi degli stati più minacciati dalle rivendicazioni territoriali degli aborigeni stanno lottando per ottenere una maggior indipendenza dal governo federale riguardo a queste questioni.
La restituzione agli aborigeni dei diritti sulle loro terre, come osserva giustamente Graziella Englaro (pag. 18), è basata sul riconoscimento del loro rapporto religioso con il territorio: una conseguenza della rivalutazione della cultura aborigena, come della nuova coscienza di 'pan-aboriginalità', il riconoscimento di una comunanza di intenti nella formazione di un'identità indigena in contrapposizione allo stato-nazione (Paini, 1998).
La diffusione di questa coscienza collettiva è, secondo Thomas Widlock (1997), uno degli effetti principali dei travelling rituals, quegli eventi rituali che comportano la trasmissione di sapere religioso e pratiche rituali tra gruppi, come quelli nel corso del quale è stato registrato il ciclo di canti dell'Isola di Goulburn.
 
 
Dal Canto 3 (p.34)
Portate le bacchette da suono e il didjeridu 4
perché vogliamo divertirci.
Ascoltate il battito ritmico e il canto della gente
dell'isola di Goulburn,
dei clan del Woolen River...
 
In questi scambi tra gruppi distinti, che si ritrovano periodicamente, si crea lo spazio per la trasmissione di nuovi elementi e l'incorporazione di riforme sociali: la tradizione e la trasformazione si fondono, impedendo la fossilizzazione della tradizione ancestrale. Proprio il riconoscimento da parte di alcuni antropologi della fluidità della tradizione, purtroppo, ha permesso agli oppositori del movimento dei land-rights di rimettere in discussione le procedure legali per il riconoscimento dei diritti sul territorio.
L'intenzione di questo riepilogo storico non è didascalica, ma di permettere la lettura dei canti dell'antologia di Englaro, oltre che in un contesto rituale tradizionale, anche nel loro contesto storico e politico. Alcuni di essi sono stati raccolti e trascritti negli anni '40, durante il periodo della politica dell'assimilazione, quindi probabilmente in uno sforzo, da parte dell'antropologo Berndt e degli aborigeni che hanno collaborato con lui, di 'salvare il salvabile' prima che la prevista dissoluzione della società tradizionale travolgesse questo patrimonio culturale. Altri canti sono stati registrati negli anni '60 e '70 durante un periodo in cui, come ricorda Annette Hamilton (1986: 13), la capacità di legittimare la propria identità aborigena, sia rispetto alla società allargata sia rispetto ad altri aborigeni, è diventata una fonte importante di vantaggi economici, oltre che di orgoglio personale. Non è un caso che tutti questi canti più recenti siano stati registrati da aborigeni in qualche modo riconosciuti dalla propria comunità e dai bianchi come tramiti culturali. Con questo non voglio in alcun modo sminuire il valore dei canti raccolti, voglio anzi sottolinearne il significato come atti di resistenza culturale a pressione esterne.
Dal punto di vista dei bianchi, non è un caso che il 1987, anno del bicentenario della fondazione della prima colonia penale, durante il quale si sono celebrate molte manifestazioni per mettere in luce aspetti positivi della cultura indigena, sia stata una data importante per la rivalutazione dell'aboriginalità. Questa rivalutazione va letta nel contesto della ricerca di un'identità nazionale australiana, problematica proprio per le origini poco gloriose del paese come colonia penale. Nicholas Thomas (1994: 176) mette in guardia contro il 'primitivismo' che, sotto le spoglie di movimento simpatetico alla cultura aborigena, in realtà non fa che rafforzare i vecchi stereotipi razzisti che la vogliono immutabile. Soprattutto in alcune rappresentazioni New Age la cultura aborigena è idealizzata in quanto opposta a quella occidentale, per la sua arcaicità e il suo rapporto quasi simbiotico con la natura. Uno degli effetti negativi di questa rappresentazione essenzialista è quello di emarginare coloro che non rientrano nei criteri di definizione di 'aboriginalità' autentica.
Gli effetti della colonizzazione sono stati diversi secondo la zona geografica, nelle zone più urbanizzate del sud le tradizioni sono state radicalmente modificate o addirittura soppresse. Delle duecento lingue esistenti nel 1787, solo una dozzina sono usate da più di qualche centinaio di persone. Molti elementi della cultura aborigena sono invece ancora attuali nel centro e nel nord. Pur partecipando del sistema della White Australia, alcuni aborigeni mantengono in vita credenze, pratiche sociali e cosmologie che sono più orientate verso una visione del mondo aborigena che non europea. I canti del volume di Englaro (1999) sono tutti raccolti da queste zone: il Nord Arnhem land e le zone desertiche dell'Australia Centrale. Sono una testimonianza preziosa della resistenza della cultura aborigena. Non per questo, però, vanno considerati come elementi culturali trasmessi immutati da un mondo antico, precedente al nostro: piuttosto vanno letti come esempi della vitalità della sfera religiosa e culturale, estetica e politica di alcune sezioni della società aborigena nel momento storico in cui sono stati registrati, che per definizione deve fare i conti con l'impatto coloniale. Questa lettura è importante per evitare le trappole del 'primitivismo' che, sempre secondo Thomas, è una dinamica culturale che perpetua l'asimmetria coloniale. 'Avendo rubato la terra degli aborigeni, gli australiani ora stanno rubando il Dreamtime' (1994:183). Questa visione pessimista, però, è stemperata dalla capacità creativa di alcuni aborigeni di mettere a buon uso anche le rappresentazioni più New Age della loro cultura5.
Nell'attuale panorama culturale di capovolgimento, in cui i 'difetti' attribuiti nel secolo scorso agli aborigeni sono diventati qualità desiderabili, il valore del libro curato da Graziella Englaro sta proprio nel rispetto con cui i canti degli aborigeni sono presentati fedelmente, senza travisamenti, ma soprattutto senza tentativi di appropriazione.
Da un punto di vista antropologico, vorrei offrire alcune riflessioni su un aspetto che mi ha particolarmente colpito. L'analisi dei tre aspetti dell'amore (l'erotico, il sociale, e il rituale) rappresentati in questi canti (Englaro, 1999) è illuminante, ed è sorprendente che siano tutti canti maschili. Dico questo pensando al dibattito presente nella letteratura antropologica sul valore relativo della religione maschile e femminile in Australia. Diane Bell (1983) ha confutato l'opinione corrente secondo la quale le donne sono escluse dalla sfera religiosa asserendo che uomini e donne sono responsabili di aspetti diversi ma complementari della religione. Altri, come Tony Swain (1995:33-36), sostengono comunque una maggiore autonomia della sfera religiosa maschile. Parte del suo argomento è che i riti delle donne possono essere utilizzati anche per attirare gli uomini - un interesse 'privato' considerato di minor valore rispetto a quello sociale della religiosità maschile. Swain concede che anche gli uomini fanno uso di canti d'amore di valenza magica, come i Djarada del terzo ciclo, ma sostiene che essi sono più nettamente separati dai riti più prettamente religiosi.
 
Canto 7 dei Canti D'Amore Djarada (p. 126)
Lui le invia un mazzo di penne di emu,
scosse dal vento...
Invitandola a uscire nel bush...
 
Canto 18
Ecco il pube ricoperto di peli sotto la gonna...!
 
Canto 28
L'ho messa io incinta, e lo spirito del bambino
è entrato dentro di lei
 
Il ciclo dei canti d'amore degli Uomini Formica-del Miele (pp.143-154), registrati durante lo svolgimento di una cerimonia sacra, sembrano contraddire questa tesi.
 
Canto 7
L'Uccello Rosso, il Messaggero,
svegliò una donna colpita da magia.
Le altre proseguirono nel loro cammino,
mentre la donna si destò.
 
Canto 12
Alla donna l'uomo apparve diverso,
con costole ben visibili,
aveva una camminata particolare.
 
Canto 30
Cugino amato,
contrastato,
amore proibito.
 
Canto 34
Indicando con chiarezza il bersaglio,
l'Uccello Rosso, Il Messaggero lo tenne puntato,
mentre danzava.
 
Canto 37
La donna lasciò
il suo paese,
a malincuore.
 
Canto 39
Le bellissime decorazioni sul mio corpo
la condurranno verso di me.
 
Canto 43
L'uomo iniziato,
danzando, visitò lo spirito di lei.
 
Canto 48
Si abbracciarono con tenerezza,
i suoi pensieri colmi di lui.
 
Canto 49
Pensieri colmi di lui, incantati,
intrappolati, estasiati.
 
Con il suo nuovo accento sul tema dell'amore nelle sue molteplici manifestazioni, questa raccolta di canti ci rivela quanto gli aspetti più privati, come l'erotismo, e quelli più pubblici, sociali e religiosi, siano correlati tra loro rientrando nella cosmologia aborigena.
Di spunti per così dire antropologici, questo volume ne offre molti altri. Da anni etnografi e antropologi hanno analizzato i canti rituali aborigeni per trarne conclusioni sulla religione primitiva. Solo recentemente, invece, ci si è accorti dei pregi letterari di questi canti come opere d'arte oratoria in se stessi, pregi che questa eccellente traduzione riesce a rendere molto efficacemente6.