| ALESSANDRA TOSO 2°
            classificato 
               Departure Quando questa storia è
               iniziata, guardavo lento lo scorrere dei titoli al
               tabellone delle partenze dei treni. Deciso a prendere
               il treno per Roma delle 20.05, nebbia in testa e zaino
               in spalla, avevo deciso di tagliare corto, nessuno mi
               avrebbe fermato più
 Giravo e rigiravo
               quel biglietto di non ritorno. Me ne andavo. Ribelle.
               Costretto in una gabbia, seppure d'oro, automa dentro
               una scatola di giochi. Che cosa sono io? Mi trovavo
               lì, per questo, per capire.L'orologio della stazione
               segnava le 20.00
 solo 5 minuti di tunnel, e
               sarei stato salvo. Alle spalle la vita vegetale, come
               l'ebreo che osserva la camera a gas attraverso la
               cortina di ferro, dopo anni di supplizi, libero dalle
               paure. Ma porto ancora il marchio, io, bestiame senza
               padrone. Ho sempre creduto negli eroi e mi sentivo uno
               di loro, fuori dall'uscio, scese le scale
               Obiettivo? Non tornare mai più. Per me, per
               loro, per noi. Raggi di luce penetravano come strali
               le rotaie, rotti da nuvole di respiro. Stavo
               raccogliendo le forze per salire sul treno e trovare
               il mio personaggio nel racconto. Quasi se sospettassi
               di essere in un racconto
               Assurdo!Mi risvegliai dal torpore in
               cui mi trovavo. Un passeggero sconosciuto mi aveva
               sfiorato con lo sguardo. Destinazione:
               oscurità. Il fischio del capostazione
               violentò i miei pensieri sulle nuvole. Vedevo
               gli occhi degli altri scrutarmi con curiosità,
               ero entrato e avevo preso posto col muso lungo. La
               tasca aveva ancora la forma dei miei biscotti. Ne
               approfittai per alleggerirla.Il ragazzo che mi stava seduto
               di fronte aveva acceso il registratore. Il volume alto
               mi disturbava, note infinite ci
               separavano.Iniziai a guardare fuori dal
               finestrino, giocando a contare le luci che scorrevano
               come titoli di coda fino alla prima stazione. Scoprivo
               con piacere che allontanandomi migliorava il mio
               umore: sgranocchiando biscotti, la mia immagine mi
               sorrideva soddisfatta.Una ragazza si sistemò
               vicino a me. Il suo sorriso bianco era così
               delicato da somigliare ad una piuma: è strano
               come la vita ti passa accanto e ti riscalda in un
               abbraccio
Sentivo freddo. Gli spifferi
               del finestrino mi mitragliavano il collo, mentre il
               registratore del mio vicino sputava
               musica.Vuoi? - una mano affusolata e
               candida mi invitava a scegliere da un incarto
               colorato. Un "grazie" a mezza voce e un sapore dolce
               in bocca dichiararono il mio trionfo. Ero guarito, ed
               ero lontano. Tentai l'attacco con domande formali, ,
               in un terreno dove la mia insicurezza germogliava. Di
               dove sei, cosa fai, quanti anni hai. Parole, e ancora
               parole che nascondevano la potenza del fiume in piena.
               Frasi che scorrevano su rotaie impazzite, torrenti di
               sguardi e di sorrisi. Mai avevo confidato
               nell'incontro con l'Umanità. Nell'elica del
               DNA, si sa, la pigrizia è uno
               standard!Successe proprio in quel
               momento. Mentre bevevo il suo sorriso. Uno scossone,
               il buio, il risveglio.La fievole luce di una torcia
               mi liberò dalla presa feroce del treno. Accanto
               a me, senza vita, ciondolava una mano lunare, piccola,
               muta. Avrei voluto rimanere dentro l'incidente.
               Stretto a lei. Ma la vita passò e non me lo
               permise.Il ritorno a casa,
               ripercorrendo gli stessi binari, fece ripiombare un
               doveroso silenzio accanto a me. Gli scambi avevano
               subito un guasto. Dissero. Ma io non ascoltavo.
               Sognavo. Sognavo ancora di stringere una mano bianca
               di un angelo candido. |