- Blue
moon
-
- Immusonita
e cocciutamente muta, Elena continuava a guardare
fuori dalla finestra. Guardare così per dire,
perché in realtà non guardava nulla...
le sembrava più che altro di 'vedere' i suoi
pensieri susseguirsi sullo schermo illimitato della
mente.
- «A
volte ti comporti come una bambina. Peggio, come una
bambina capricciosa» commentò sua madre
lanciandole un'occhiata di dissenso. «Fai drammi
per niente. E quel povero Valerio, guarda, lo capisco.
Non dev'essere affatto facile avere a che fare con le
tue reazioni esagerate, per non dire
illogiche...».
- «A
volte non c'intendiamo perché siamo diversi,
tutto qui...» biascicò Elena in un timido
rimando.
- «Ah,
sicuro. Certo che siete diversi. Solo che uno simile a
te... dove lo trovi? Nel Regno delle Fate. È la
tua ultima speranza» la rimbeccò sua
madre, che però subito proseguì «Ma
forse la responsabilità un po' è anche
mia: ti ho raccontato troppe fiabe, da bambina... poi
tu hai continuato leggendotele da sola e adesso che
sei cresciutella non riesci più a
rinunciarvi...».
- Elena
non rispose. Mamma aveva ragione, sì. Se lo
diceva spesso lei stessa che era assurdo quel suo
prendersela per situazioni che avevano il solo torto
di essere... reali, fatte insomma di ciò che
è realtà e non fantasia. Non era giusto
rimproverare agli altri, Valerio compreso,
comportamenti da persone 'vere' e non da personaggi
dei sogni. Era lei, fatta male.
- Sua
madre riprese:
- «Potrei
almeno sapere, se non è chiedere troppo, di
quale obbrobriosa colpa si sarebbe stavolta macchiato,
il ... reo?» domandò lasciando palesemente
trapelare la simpatia e l'affetto che sentiva per
Valerio;
- «Il
tuo tono dice chiaramente come tu abbia già
'deciso' che ad essere dalla parte del torto sia
io...» mugolò Elena, con una smorfietta
proprio da bambina.
- E
lo disse perché davvero sentiva di essere lei,
dalla parte del torto. Chissà da dove scaturiva
quel suo desiderio di irrealtà...
- «Allora?»
la sollecitò la mamma, affacciandosi alla
finestra accanto a lei.
- Elena
sospirò: «Non è come forse pensi,
non ho avuto discussioni con Valerio, sono solo
triste. Lui è così... pratico, concreto,
razionale... In macchina, oggi ascoltavamo la radio.
Ad un certo punto hanno trasmesso «Blue
Moon»... te la ricordi, vero? Beh, avrei voluto
dire qualcosa di romantico a Valerio, carinerie da
innamorati, ecco... Stavo per farlo, ma non ne ho
avuto il tempo perché lui se ne è venuto
fuori con un discorso scientifico sul fatto che, a
volte, la luna diventa veramente blu...
- «Davvero?»
sua madre si volse a guardarla
incuriosita.
- «Davvero,
davvero. Se l'ha detto lo scienziato, puoi
crederci» masticò Elena sarcasticamente;
«Mi ha spiegato una complicatissima faccenda di
rifrazione nell'atmosfera, una faccenda che ha a che
vedere con lo spettro luminoso che avrebbe
un'estremità rossa e una blu, se ho ben capito.
Se il pulviscolo terrestre lascia filtrare maggiori
quantità di luce dall'estremità rossa le
lunghezze ampie come il rosso e il giallo vengono
disperse, quelle corte come il blu e il grigio invece
si accentuano... rendendo la luna blu. Blue moon,
appunto. Molto romantico, non c'è che
dire...» mugugnò infine.
- «E-ehm...»
belò sua madre «Interessante... E
poi?»
- «Perché,
non ti basta?» soffiò Elena come una gatta
«Comunque non temere, me lo ha anche fatto,
qualche esempio ben concreto... di una volta che la
luna è diventata blu nel
millenovecentocinquanta a causa di tutto il pulviscolo
che invase l'atmosfera per un incendio della foresta
canadese, e un'altra volta nel... mi pare abbia detto
milleottocentottantatre, a seguito della spaventosa
eruzione vulcanica del Krakatoa...
- Si
rendeva conto di essere ingiustamente acida, Elena. ma
era come se Valerio avesse un po' sciupato un sogno,
l'immagine di sfumate emozioni.
- E
nel contempo si sentiva ingiusta, verso di lui.
Valerio era tanto caro e affettuoso... e anche
tenero... non meritava la sua ironia, non meritava la
sua acredine per quel suo essere realistico nel
ragionare... Forse stava a lei farsi meno ombrosa,
saper prendere più scherzosamente gli aspetti
'veritieri' della realtà... e forse doveva
imparare a coinvolgere di più Valerio negli
evanescenti chiaroscuri dell'immaginario, doveva
imparare a 'trascinarlo' nell'universo al di sopra
della realtà sensibile, lungo i sentieri
invisibili e rarefatti del surreale...
- La
riscosse sua madre con una carezza sui
capelli:
- «Sei
sempre la mia chiocciolina...» le
sussurrò.
- Subitaneamente
gli occhi di Elena luccicarono... il vezzeggiativo
'chiocciolina' toccava immancabilmente il suo cuore...
chiocciolina.
- Sin
da piccola, mamma aveva preso a chiamarla a quel modo.
In chiara allusione al suo temperamento da...
chiocciolina, a quel suo rifugiarsi nel guscio al
primo 'urto'. Magari, poi, pian pianino, ricacciava
fuori le antenne, ma la prima reazione era il...
rintanamento strategico.
- «Ammetterai
che non c'è nulla di male, in quello che ha
detto Valerio... anzi, è interessante...»
proseguì la mamma sorridendo e tirandole
leggermente una ciocca di capelli.
- «Lo
so...» annuì Elena, rassegnata. «Ma a
quante altre poetiche fantasie lui troverà la
'risposta scientifica'?» concluse
ostinatamente.
- «E
tu quando lo capirai che la realtà 'reale' sta
su questa terra e non sulle nuvole?»
obiettò sua madre scuotendo il capo
scoraggiata.
- Elena
non ribatté. Sapeva bene di non poter
pretendere che il suo chimerico mondo come per incanto
si materializzasse per appagare la sua sete di
fiabesche illusioni.
- Ma
per lei la luna... era la luna. L'astro della poesia,
dei sogni d'amore, degli incantesimi. La luna musa e
dea, maga e sirena... che così bene si
specchiava nel suo gusto del vago, del non definito,
dell'arcano. La luna che illumina il buio dell'ignoto,
del mistero, che è ciò che non si vede,
che non si svela, che forse inganna, che non ha
tempo... che lenta dispare e lenta riappare per poi
ancora sparire e riapparire e tornare a sparire...
fuori del tempo, senza inizio né fine. La luna
di magici miti... Anath, Levanah, Zu-en...
- «Dimmi,
mamma, forse che le emozioni, i sogni, le
fantasticherie, non fanno anch'essi parte della
realtà?»
- La
domanda di Elena, improvvisa, tremò nell'aria
proprio come un raggio di luna. E sua madre non
riuscì a rispondere.
-
- ***
-
- «Io
ti amo, Valerio... vorrei farti 'entrare' negli
spicchi più segreti della mia mente, nei
più velati recessi della mia anima... vorrei
poterti dire 'Ami pure tu un tuo mondo che non
è di questo mondo, che è dove vuoi tu,
come tu vuoi che sia, perché non è un
luogo reale, ma è un luogo dell'anima? Nel tuo
io più profondo non cerchi anche tu un infinito
solo tuo, il 'tuo' infinito? Ma se tu non mi ascolti,
io finisco con il sentirmi una minuscola favilla
lasciata sola in un cielo tutto
buio...».
- Il
trillo del campanello diede a Elena un fermo e
determinato stop. Era Valerio.
- Entrò
e subito le mise in mano un pacchettino con un gesto
delicato e dolce.
- Valerio
era così, immediato e avvincente, difficile da
arginare e prevenire... sicuro e, come in quel
momento, timido.
- «Cosa
stavi facendo?» le domandò chiudendo con
la sua mano il pacchetto nella mano di
Elena.
- Lei
lo guardò, incontrò i suoi occhi attenti
e intensi, e si ritrovò a dirgli la
verità: «Ti stavo scrivendo... una lettera
che non ti avrei dato, è ovvio... ma a volte mi
ritrovo a scrivere le cose che non so
dire...
- Si
interruppe inghiottendo a vuoto, e Valerio le
sfiorò le labbra con la mano appoggiando la
fronte alla sua: «Anch'io a volte non so dire le
cose che vorrei dire... ma stavolta dovrai farmelo
leggere, quello che mi hai scritto...
- Elena
non ebbe però né il tempo né la
possibilità di replicare perché Valerio
proseguì:
- «Non
dire nulla, lo so... le emozioni 'parlano' sottovoce,
un bisbiglio appena percettibile... bisogna saper fare
il silenzio fuori e dentro di sé, per poterle
udire... E quanto all'altra sera, in macchina... avrei
dovuto essere proprio cieco, o scemo, per non
accorgermi della malinconia che aveva velato i tuoi
occhi ai miei discorsi sul perché la luna
diventa blu... A volte ho la percezione di come i tuoi
sogni si infrangano contro o concreti 'scogli' delle
mie argomentazioni... dovrò stare attento. Io
non voglio sgretolare i tuoi sogni, le tue impalpabili
fantasie fatte di poesia... Adesso, però, apri
il pacchetto...
- Elena
guardò il piccolo scatolino, tutto a
fiorellini, con un minuscolo fiocchetto dorato in un
angolo. E sia per quel pacchettino, sia per le parole
di Valerio, il suo cuore andava come una rondine ebbra
d'azzurro...
- Lentamente
sollevò il coperchio... su un tappetino di
velluto argentato c'era un ciondolo: una piccola,
rigonfia, lucidissima luna di corallo blu.
-
- Frammenti
sull'acqua
-
- Sergio
accelerò nervosamente... sì, era troppo
nervoso. Eccessivamente ed inspiegabilmente
nervoso.
- Il
cielo e il mare si confondevano davanti ai suoi occhi
e lui, che sempre aveva amato quella perlacea fusione
azzurra, ne ebbe quasi fastidio. Accelerò
ancora... ma subito rallentò. Qualcosa aveva
attratto la sua attenzione. Non fu neppure
"qualcosa"... ma soltanto una percezione, un'emozione,
un subitaneo batticuore che lo colse d'improvviso... a
destra... sull'acqua...
- Sergio
inchiodò i freni. Uno stridìo acuto,
aspro, sottolineò l'agitazione che d'un tratto
si era sentito dentro senza un perché...
Ingranò la retromarcia... ancora un po'
più indietro... seccamente frenò: Cleo
si dondolava, lenta, muta, sola, sull'acqua coagulante
del molo. Cleo... La sua barca... La sua
ex-barca.
- Fu
come se quelle sensazioni che gli fluttuavano dentro
confuse e occulte si precisassero repentinamente in
forme nitide e definite...
- Forse
davvero il passato non muore, forse davvero le onde
sonore e luminose non si esauriscono dopo la loro
emissione rimanendo frequenze eterne... Forse davvero
si inscrivono nella sfera astrale e, alle volte, se ne
possono cogliere sprazzi improvvisi...
chissà...
- Sergio
scese dall'auto e si avviò senza neppure
rendersene conto verso Cleo...
- Superò
i gradini del molo, ingoiò la trasparente
atmosfera della marina, si lasciò
"attraversare" dal volo librato di un gabbiano... e i
rumori del mare, delle onde, del vento sull'acqua,
della spuma che si raccoglie e si disperde, lo
riportarono a quello che egli era una volta... Cleo
così vicina, così concreta, così
vera... nei suoi colori adesso stinti, smarriti...
Cleo da poter toccare...
- Perché
Cleo era il passato. Era tante passioni, tante
speranze, tante certezze, tanti sogni, tante
illusioni... e tanti suoni, tante voci... tanti
pezzetti della sua anima... Ma principalmente Cleo era
un volto... il volto di Silvia. L'enigma dei suoi
occhi, il suo palpitare di ciglia, i suoi sorrisi
celati, incompiuti... quell'apparire e dissolversi di
sfumature lievi come strascichi di velo...
- Ad
un passo dal mare Sergio si fermò. Gli parve di
riassaporare gli aromi di un tempo, gli stessi
profumi... gli parve di captare antichi fremiti e
frenesie sopite... ore che avevano segnato rintocchi
indelebili...
- Ancora
la salsedine, quel pizzicorio salmastro...
l'illogicità di ciò che spezza le
corazze del reale...
- Non
rivedeva la sua barca da quando l'aveva data
via.
- La
sua barca... sua come quel giorno... con quel cielo e
quel sole e quella luce... e Silvia accanto a lui...
Silvia che parlava, che lo stringeva e lo baciava...
Silvia che per la "loro" barca aveva scelto quel nome
di pesciolina disneyana...
- Come
in un lampo a Sergio tornarono alla mente i versi che
una volta aveva ripetuto proprio a lei, a Silvia, quel
passo della "Medea" di Seneca:
- «Verrà
un tempo nella tarda età del mondo
- in
cui l'oceano scioglierà la stretta su quanto
oggi trattiene
- e
la terra apparirà nella sua gloria.
- Tetide
scoprirà nuovi continenti
- e
Thule non sarà più l'estremo confine del
mondo».
- E
Silvia aveva riso. Perché Silvia era
così... allegra come le bollicine di spumante,
frizzante come la brezza mattutina... innamorata,
gelosa, appassionata... e poi gelida, distante,
calcolatrice... volubile e infedele...
Silvia.
- «Ciò
che una donna dice a un amante incidilo nel vento, o
nell'acqua che va, rapida», scriveva Catullo. E
lo pensava Sergio.
- Con
Silvia "era finita" Cleo. Venduta. Cancellata,
allontanata, falsamente dimenticata. Ed era finito il
tempo dei giochi, delle fantasie, delle chimere
dorate.
- Di
colpo Sergio si accorse che s'era fatto buio. A pochi
centimetri da lui l'acqua diventava cupa... le luci
del molo lo guardavano... Cleo si cullava sulla sua
stessa ombra... Cleo che non gli apparteneva
più.
- Quanto
tempo era passato, quanta vita, quanti attimi
infuocati... Nuvole e nebbie, distanze incalcolabili,
insuperabili persino con il pensiero...
- Senza
voltarsi indietro Sergio si allontanò,
salì in macchina, ripartì... la notte,
con tutte le sue stelle, lo seguiva. E a Sergio
sembrò di invidiarla, quella notte così
fuori del mondo... così lontana da una vita che
altro non è se non un cieco delirio di
inconsistenze insidiose e fatue.
- Guidava
in maniera convulsa, agitata. Tutto gli appariva
imbalsamato, fossilizzato, statico... anche quella
luna, quel vento, quelle foglie sui rami. Avrebbe
voluto un'aria pulita, rarefatta... tenue, soffice...
un cosmo ignoto, una dimensione sconosciuta, un mondo
parallelo...
- Frenò.
Si accese una sigaretta. I suoi occhi lucidi
riassumevano il cielo terso, il mare profondo... i
misteri mai svelati. Ma poi sorrise alla "sua" notte,
Sergio... alla sua barca, alla sua anima...
avvolgendole in una pastosa carezza di fumo, delicata
e fragile.
- Non
ci sarebbero state tessere sperdute nel mosaico della
sua vita. Tutto c'era e tutto rimaneva... tessere
trasparenti oppure opache, lucenti o buie.
- Nelle
pagine della mente scorrevano le righe da tanto
rimaste nell'ombra... righe che avevano tracciato la
sua storia, amare e dolci, tenere e fredde... righe
scritte dove il tempo non ha potere.
- «Come
si vede che sto invecchiando», pensò
Sergio, «Ai giovani simili attacchi di nostalgia
non capitano...».
- Ma
la nostalgia fa parte dell'animo umano. Nascosta e in
agguato. Imprevedibile.
- Sergio
ripartì. A dondolarsi sull'acqua con Cleo
c'erano i frammenti di immagini andate, scene i cui
fuggitivi riflessi si scomponevano per subito
ricomporsi in altre forme... frammenti
sull'acqua.
- Sergio
guidava più disteso, adesso. Amava la sua gioia
ma sapeva amare anche la sua tristezza, la sua
malinconia. E avrebbe sempre conservato nel cuore il
ricordo di quella sua prima e unica barca.
- Accelerò
verso casa.
- Alla
luce della luna le onde si lasciavano andare, morbide,
custodi di profondità segrete.
- Silenziosamente,
Cleo ruppe il suo ormeggio... oscillò, si
mosse... e si nascose in un blu di indaco e
zaffiro.
-
-
- Schizzo
d'Oriente
-
- Dal
minareto si estende la luce lampeggiante dei mosaici
d'oro.
- Le
sinuose linee accarezzano asterie vetrificate
sagomando ascetiche evoluzioni; il verde-acqua
sconfina nel cielo di cristallo e l'argento incombe e
si dirama tra i risvolti del tempo. Giallo e ocra
troneggiano negli echi di sventagliati millenni,
l'imponenza soggioga l'umile spirito assetato di
solarità. Intagli incastrano l'arcano stupore
meravigliato... unicità di suggestione e
splendore che annega la ragione
nell'immenso.
- Le
falde delle nuvole nascondono rimbalzanti misticismi.
Quel diverso incenso si arrampica su su per diamantate
cesellature, incognite temerarie sferzano il simbolo
dell'inaccessibile... diademi di cupole e cupolotte di
rubino, puntali e spirali di smeraldo...
- Anche
se i tappeti volanti e la lampada di Aladino sono i
ricordi delle fiabe, un incanto sfuggente e magico si
libra nell'aria azzurra... terra d'oriente, laddove i
miti pongono il Giardino dell'Eden...
- Nel
firmamento viola una grande luna arancio si specchia e
si moltiplica nei balenii di mille mezzelune...
Incantesimi sconosciuti accendono guizzi di
luminosità iridescente o di velluto, con
vascelli della mente che lenti solcano l'oceano senza
spazio e senza tempo dell'anima. I colori prendono
corpo... passato e presente, realtà e
immaginazione, si mescolano nell'apparire e
dissolversi di arabeschi di profumo... fruscii di
gonfie sete, atmosfere condensate in immagini di
riccioli bizantini... ma di tutto ciò con te
non puoi portare che il mistero.
-
-
- Ruach
-
- Il
trillo del telefono la interruppe. Fausta
staccò il ricevitore e subito la voce
fanciullesca di Carla, la sua più cara amica,
l'investì:
- «E
allora, a che punto è l'ultimo romanzo della
grande scrittrice?».
- «Sono
agli sgoccioli...» rispose Fausta con una
risatina.
- «Come
dire che, ultimato il capolavoro, potremo veramente
partire?» chiese Carla con un tono dal quale
traspariva come quasi non osasse sperarci.
- «Partiamo,
partiamo... - rise Fausta - O pensi che le Azzorre non
attraggano anche me? Inoltre mi sollecita pure Luciano
che si è già organizzato per le ferie,
in ufficio, e non ha certo giorni da perdere»
proseguì allegramente.
- Il
pensiero di Luciano era sempre un "bel" pensiero...
rasserenante ed avvolgente.
- Anche
dopo aver chiuso la chiacchierata con Carla, Fausta
continuò a pensare a lui, a Luciano. Al suo
amore. Al suo meraviglioso, straordinario, fantastico
amore.
- Luciano
era il sorriso della sua vita e Fausta non sarebbe
più riuscita nemmeno ad immaginare la propria
esistenza, senza di lui. Luciano la capiva come mai
nessuno, le leggeva dentro, nella mente e nell'anima.
Captava le sue emozioni, le sue sensazioni, bastava
che i loro sguardi si sfiorassero perché una
comunicazione piena, totale, "scorresse" tra loro. E
poi Luciano sapeva sdrammatizzare, ridere e sorridere,
sapeva alleggerire qualsiasi atmosfera... Sapeva
prenderle la mano quando lei aveva bisogno d'aver
presa la mano, sapeva accarezzarla quando lei aveva
bisogno d'essere accarezzata, sapeva... prenderla in
giro quando lei s'impennava e tirava fuori le unghie.
Ma bastavano due coccole dolci dolci a farla
capitolare miseramente.
- «Prima
o poi dovrò decidermi a scriverlo un romanzo
sul nostro amore...» pensò
Fausta.
- Intanto
tornò al suo romanzo del momento. Rilesse
l'ultimo paragrafo e continuò:
- «Non
ti seguirò più per le tue strade
sfolgoranti di luci artificiali e più non mi
accecheranno le stelle di ghiaccio che splendono in
cieli finti... fantocci di paglia e galeoni fantasma
illuderanno chi ancora non sa chi sei, dissolvendosi
lasciando solo scie di schiuma... e se nonostante
tutto una lacrima tornerà a scivolare nel
silenzio, furtiva la raccoglierà una dea della
notte...».
- «Però!
Stai andando forte, eh?» ridacchiò Luciano
che giunto silenziosissimo alle sue spalle aveva
sbirciato i suoi appunti.
- Fausta
si girò sorridendo:
- «Il
solito impiccione criticone. Perché non ti fai
i fatti tuoi?».
- «Ma
questi sono, i fatti miei! Devo pur tener d'occhio le
bestialità che scrive mia moglie!» rise
con quella sua risata chiara e limpida.
- Però
Fausta sapeva che in realtà lui era il suo
più grande e convinto ammiratore. La
punzecchiava e si divertiva a condire di sfottiture i
suoi testi drammatici, ma in effetti era "innamorato"
del suo modo di scrivere.
- Luciano
sedette accanto a lei:
- «Mi
piace, sai, questo tuo romanzo... Ruach... è
termine ebraico, vero?».
- «Sì.
È l'aria mobile, il respiro, il vento, lo
spirito che spazia...».
- Fausta
si appoggiò al marito chiudendosi tra le
braccia di lui e proseguì:
- «Mi
fa pensare allo spirito libero. Libero da qualsiasi
prigionia... tangibile, concreta, o mentale e
inafferrabile. Prigionia del corpo o dell'animo. Anche
un amore sbagliato e crudele è una prigionia,
invisibile e mortale. Se non si riesce a fuggire. Ci
sono amori... ferini, che dilaniano e
distruggono...»
- «Adesso
basta... - sussurrò Luciano - Vedrai che
Rosalba camminerà ancora, il professor Monti me
l'ha praticamente assicurato...».
- Sapeva,
Luciano, come per Fausta il pensiero della sorella
fosse una pena costante.
- Rosalba,
sorella minore di Fausta, stava su una sedia a rotelle
da alcuni mesi in seguito a un incidente con il
motorino: era stupidamente caduta per via delle
lacrime improvvise che non era riuscita a trattenere.
A causa dell'ultima litigata con Massimo. Arrogante
Massimo. Personalità dai tratti capricciosi e
vuoti, ma ragazzo di "vistoso" fascino.
- «Rinunciamo
al nostro viaggio, se preferisci...» disse
Luciano stemperando la serietà delle parole nel
gesto di scompigliarle i capelli.
- «No
- rispose Fausta - È stata proprio Rosalba ad
insistere perché partissimo - poi
proseguì - Questo mio libro è dedicato a
lei, a lei e a tutti coloro che soffrono intrappolati
in storie rovinose... anche per loro verrà la
felicità, DEVE venire... e chi gioca con il
cuore altrui prima o poi dovrà rendersi conto
del male che ha fatto...»
- "Ruach"
era un po' il romanzo della rinascita, del principio
dopo la fine, dell'armonia dopo il frastuono... della
forza vitale che risana e ricostruisce. Non lo aveva
fatto leggere neppure a Luciano, aspettava che fosse
concluso. E si stava cimentando in una forma per lei
nuova, quale diaristica.
- Le
braccia di Luciano la cinsero con più
forza:
- «Quando
ti deciderai a farmi leggere qualcosa di più...
consistente?» chiese
- «Presto»
promise Fausta.
-
- Sprofondato
in poltrona Luciano leggeva attentamente:
- «Mi
colpirono non so come. Camminavo ad occhi bassi senza
vedere nulla, con le tue ultime parole confitte nel
cuore. Non vedevo nulla, appunto... eppure li vidi:
erano quattro fiorellini piccolissimi dalla tenue
colorazione pervinca, su esili steli verde-menta, che
nella loro minuscola realtà pure svettavano,
tesi e snelli, verso il sole. Erano sbocciati in un
coagulo di fango tra le connessure divelte, lungo il
muro, delle mattonelle che pavimentavano il
marciapiede. Mi fermai a guardarli. Fiorellini dal
fango. Vita che tutto attraversa e tutto sconfigge...
Messaggio di speranza, di fiducia, di impensabili
possibilità... E pensai che io non sono come
te. Io sono io. Felice di essere soltanto una piccola
goccia di un oceano senza fine, un ignoto atomo
dell'eternità... La mia poesia è una
poesia piccina piccina, che mi saluta all'alba, si
riaffaccia al tramonto e va... navigando sulle onde
del cuore, su brividi di seta, tessendo incantesimi
d'argento in maree che sciolgono i nodi del
destino...
- Giungerà
anche per te il giorno in cui un bisogno invincibile,
una forza ingovernabile, assoluta, ti porterà
dove neanche tu puoi immaginare... e cercherai il tuo
cosmo, lo spazio che è dentro di te...
Cercherai le accese scintille che tengono compagnia a
speranze incontaminate, gli strascichi delle fate
dimenticate, la fonte pura del vento... allora mi
parlerai, mi chiederai di scriverti le favole
smarrite, di accompagnarti su nuvole sconosciute e
negli abissi azzurri delle sirene... mi parlerai, mi
chiamerai... ma io non
risponderò».
- Sulla
parola "fine" Luciano rimase assorto. E fu la gaia
voce di Rosalba a distoglierlo:
- «Ciao,
cognato! Guarda... ormai cammino senza
appoggi...».
- «Lo
dicevo, io, che il professor Monti è un mago! -
rispose allegro Luciano - Forza, vieni
qui!».
- Rosalba
sedette vicino a lui:
- «C'è
da dire che il romanzo di mia sorella mi ha proprio
portato fortuna...«.
- «L'ho
scritto apposta... - affermò sorridente Fausta
entrando con i caffè - E vorrei che potesse
portare fortuna a tutti coloro che lo leggeranno, in
particolar modo a chi ha bisogno di un... vento che
spazzi via le ombre facendo sì che ognuno possa
tornare a "camminare" nel suo raggio di
sole».
- «Ho
terminato adesso di leggere - disse Luciano guardando
la moglie - La caratteristica di questo tuo lavoro
è, secondo me, l'atmosfera che fluttua sopra il
reale, sganciata da cose e persone come se le
trascendesse... C'è poi un senso di... come
dire... riscatto, ecco. E di distacco. Tuttavia tu
rimani "presente", sei personale, rendi palpitante e
vivo ciò che scrivi...».
- Fausta
rise di cuore:
- «Vergognati!
Non si sono mai sentiti commenti meno imparziali e
pertanto meno attendibili di questi! Comunque un po'
è vero - proseguì più seriamente
- C'è quello che hai detto tu ma c'è,
anche e soprattutto, il "ritorno" alla vita. Alla
dolcezza del vivere. Da bambina mi piacevano
indicibilmente tutte quelle fiabe di "belle
addormentate", fanciulle e principesse cadute in sonni
eterni simili alla morte perché avvelenate con
la magia, punte da fusi incantati o dalle spine di
rose stregate. Ma poi il maleficio veniva spezzato e
con il risveglio non tornava solo la vita, giungeva la
felicità...».
- «Sognatrice
a oltranza, eh?» la canzonò Rosalba,
però si alzò e la strinse forte tra le
braccia.
- «E
tu? - le domandò Luciano con uno sguardo
scrutatore - Alla tua felicità, al tuo...
raggio di sole non pensi?».
- «Oh,
io sono un caso a parte. Intanto... ho te. Che sei
più di un raggio di sole, sei il sole intero. E
poi sto già pensando al mio prossimo libro...
un amore oltre il tempo... sono già "oltre"...
- e aggiunse con voluta civetteria - Nulla mi calza
meglio delle parole di Montale «Sotto l'azzurro
fitto/ del cielo qualche uccello di mare se ne va,/
né sosta mai, perché tutte le immagini
portano scritto: "più in
là"».
- «L'importante
è che, sebbene "oltre" e "più in
là", tu rimanga sempre qui con me!»
scherzò Luciano attirandola a sé e
facendola sedere sulle sue ginocchia.
- «Va
be', ho capito, tolgo il disturbo... -
ridacchiò Rosalba avviandosi alla porta -
Vedrò cosa danno in tivù. Con tanti
cin-cin a Massimo. Ma come avevo potuto non accorgermi
che Roberto è mille volte meglio di lui?
Così dolce e caro...».
- Fausta
sorrise a Luciano e lo abbracciò.
- Per
la copertina di "Ruach" aveva scelto
l'immagine di quattro minuscoli, fragili,
diafani fiorellini color del
cielo.
-
-
- Tulipano
- Valentina
si fermò. C'era tanta luce in quell'angolo
deserto di scogliera che si sentì abbagliata.
Si guardò attorno, lentamente, ed il giorno le
parve assurdo in tutto quel suo sfolgorio senza senso.
No, non c'era angolo del mondo che potesse avere
l'azzurro della 'sua' isola... il suo sole, la sua
aria limpida, il suo mare trasparente, scintillante,
come di cristallo liquido sciolto in preziose
sfumature di colori...
- "Valentina...
ti sei incantata, eh?".
- Valentina
serrò le palpebre. Quella voce sonora, giovane,
ridente... solo nella sua mente, ma per un attimo
tanto reale, vibrante, viva... chiara e certa...
Janis. La voce di Janis. Era sempre dentro di lei,
parte di lei... della sua esistenza, del suo
respiro.
- "Ti
piace la 'mia' isola, Valentina? Se vuoi, sarà
anche tua...".
- Ancora
quella voce. Ancora quel ricordo, quell'immagine...
Janis e il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi capelli
nel vento... Janis nel sole, nella luce, nei pomeriggi
d'estate...
- Valentina
sedette su uno scoglio. Era dolce il sapore di
salsedine, come era dolce accarezzare Tulipano,
morbido e caldo sulle sue ginocchia. Tulipano nero.
Valentina lo guardò... e malgrado tutto,
sorrise.
-
- ...
-
- Camminava
tranquillamente, in quel primo pomeriggio, per una
stradina della piccola isola. Una stradina stretta,
millenaria, tortuosa e 'consapevole', a pochi passi
dalla piazza. E all'improvviso, sfrecciando
chissà da dove, un gattino nero le era saettato
proprio davanti, quasi sfiorandola. Valentina si era
fermata, appena un attimo, e una voce dietro di lei
l'aveva canzonata:
- "Superstiziosa...?".
- Verso
quella voce Valentina si era voltata, e poi aveva
sorriso... Janis.
- Un
tuffo al cuore. Come sprofondare in uno stordimento
sconosciuto, in un mare inesplorato, in uno
sconvolgimento caldo e palpitante. E l'inspiegabile
certezza di 'qualcosa' che accade, di un incanto
grande e misterioso che afferra... Un diluvio di
emozioni perdute nell'infinito, ai confini
dell'irreale... Janis.
- Forse,
l'aveva amato subito.
- "La
conosci la storia del Tulipano nero?", le aveva
chiesto Janis sorridendo.
- E
Valentina aveva pensato, fulmineamente, che quel
sorriso sarebbe stato la cosa più bella di
tutta la sua vita.
- "Sì",
aveva risposto in un soffio.
- "Quel
gattino è mio. Si chiama Tulipano. Tulipano
nero", aveva spiegato Janis con scintille di luce
negli occhi.
- "Mi
piace...", aveva risposto Valentina con un sorriso
sentendosi, chissà perché,
felice.
- Felice
già allora. Quando ancora non sapeva che Janis
le avrebbe regalato Tulipano, e che con Tulipano le
avrebbe regalato l'amore dei suoi sogni. Quando ancora
non sapeva che Janis per lei sarebbe stato ciò
che la luna è per la notte, il sole per la
vita... Quando ancora non sapeva che Janis sarebbe
stato tutto per lei, tutto e più di
tutto.
-
- ...
-
- Il
mare si cullava, azzurro più azzurro
dell'azzurro, ora chiaro ora scuro, d'oro e
d'argento... fluttuanti toni di rare gemme fluide,
mescolate e cangianti...
- Valentina
si alzò e tenendo Tulipano tra le braccia si
avviò verso casa. Ma non si volse a guardarlo,
il mare... né guardò il cielo, né
i tagli di sole sugli scogli. C'era in tutto quello
splendore come qualcosa di crudele, di terribile...
una lenta, continua ansia che la divorava.
- Janis.
- Janis...
Prima del trauma cranico che l'aveva ridotto a un
vegetale tenuto in vita da angoscianti macchine in una
stanza d'ospedale, aveva fatto in tempo ad insegnarle
il batticuore, la natura e tutto l'amore, la
felicità. Ora però 'teneva'
immobilizzate con sé tutte le sue
possibilità di essere felice... o forse,
l'unica possibilità di esserlo.
- A
mano a mano che si avvicinava alla casa della nonna di
Janis Valentina avvertiva sempre più una gran
voglia di piangere...
- "Janis,
'dove' sei...? Ti amo, sai. Ti amo
sempre...".
- E
qualcosa, dentro, la soffocava attimo dopo attimo,
istante dopo istante...
- Nonna
Maria l'aspettava sulla porta:
- -
Valentina... - la chiamò a mezza
voce.
- "Valentina...".
- Sembrò
rimbalzare di muro in muro, il suo nome... di fiore in
fiore, di onda in onda...
- Valentina...
Valentina... Valent... un'eco che si perse,
lontana.
- "Janis...",
rispose il cuore.
- Valentina
strinse a sé Tulipano, e due lacrime tiepide
caddero sul suo soffice mantello di seta
nera.
- Era
così facile 'rivedere' Janis, in quella casa...
Janis.
- Senza
di lui era il buio. Senza di lui era l'annegare in un
nero completo, fitto...
- -
Hai proprio deciso di partire? - le domandò
nonna Maria con gli occhi velati di
commozione.
- -
Sì - annuì Valentina - Non posso stare
lontana da lui...
- -
Ma tornerai presto... - mormorò la nonna
sfiorandole il viso con la sua mano
rugosa.
- -
Sì, tornerò presto, nonna -
bisbigliò Valentina in un sorriso.
- "Non
tornerò, no...", pianse il suo cuore, "Senza
Janis non tornerò. Saluterò per sempre
questa piccola isola d'oro... i suoi tetti e le sue
stradine amiche, il suo profumo di salsedine, i suoi
silenzi magici, i suoi incantesimi ed i suoi sogni...
i suoi bagliori da favola, i lampi di splendori
evanescenti, le felicità
perdute..."
- Il
guizzo improvviso di Tulipano che le sfuggì
dalle braccia e corse in cucina la scosse
distogliendola dai suoi pensieri. Anche nonna Maria
seguì con lo sguardo il fulmineo balzo di
Tulipano e la sua fuga in cucina. Entrambe,
automaticamente, lo seguirono.
- Lo
trovarono seduto sul tavolo, teso e ritto, intento a
fissare immobile il telefono sul ripiano
dell'armadietto di fronte.
- La
nonna e Valentina si guardarono, silenziose, cercando
l'una negli occhi dell'altra una muta interpretazione,
ma non era facile trovarla. Sedettero al tavolo di
cucina senza che Tulipano sembrasse accorgersi di
loro, e più il tempo scorreva più
diventava difficile rompere quel silenzio che aveva
qualcosa di strano, di imponderabile.
- Quando
il trillo del telefono riempì di sé la
stanza sia Valentina sia nonna Maria sussultarono. Poi
la nonna si alzò e andò a
rispondere.
- Valentina
non aveva il coraggio di sollevare su di lei lo
sguardo, non aveva il coraggio di 'leggere' sul suo
volto...
- Con
una rapidità incredibile le vorticarono nella
mente tutte le cose che aveva letto e ascoltato sulla
sensitività degli animali, sui loro
comportamenti 'paranormali' riconducibili alla sfera
dell'extra sensoriale, sugli autentici legami psichici
che taluni animali instaurano con il padrone...
Animali che percepiscono l'imminenza di catastrofi
come terremoti e uragani, cani e gatti che captano lo
stato d'animo del padrone, ne 'sentono' il rientro a
casa con chilometri di anticipo, ne avvertono a
distanza la morte...
- Valentina,
a occhi bassi, tratteneva il respiro.
- -
È meraviglioso... - bisbigliò nonna
Maria così commossa da parlare con un filo di
voce appena.
- Contemporaneamente,
Tulipano balzò sulle ginocchia di Valentina e
si strusciò come era solito fare nei trasporti
di affettuosità.
- Valentina
adesso fissava la nonna che aveva messo giù il
ricevitore e sorrideva con occhi luminosi.
- -
È uscito dal coma... - fu tutto quello che
riuscì a dirle.
- Ma
tanto Valentina non avrebbe potuto udire altro...
correva già verso l'agenzia di viaggi lì
sul molo, non poteva perdere il primo
aliscafo...
- Tulipano
non sembrò rimanerci male nell'essere stato
tanto bruscamente nesso da parte... era un tipo
speciale, lui. Si sdraiò sulla sua poltrona
preferita e si leccò voluttuosamente una
zampa.
- Al
di là della collinetta, argentea quasi nel suo
stagliarsi verso il cielo, si dipingeva il tramonto...
arancio caldo, rosa antico, su un celeste perlaceo e
struggente. Contro gli scogli muti e selvaggi le onde
si frangevano scomponendosi negli inafferrabili
preziosi riverberi dell'iride.
|