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- C'ERO UNA VOLTA
IO
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- C'ero una volta io.
Sì, io. Quello laggiù. Mica tanto tempo
fa!
- Appena due giorni
sono passati, da quando ho deciso di dare una bella
lezione a tutti: ero stufo di pensarlo e basta. Sono
passato all'azione e così... una bella corda al
collo e via!
- Mentre lo facevo,
già immaginavo le facce di quegli stronzi, che
mi volevano male, che mi deridevano, isolavano...
sfruttavano...
- "... Tu, caro
Pieri, finirai male, se continui così... ho
esperienza di queste cose, credimi!" eccola, la
perfida prof di italiano, che mi voleva piegare ai
suoi voleri; credeva che alla fine avrebbe vinto
lei... povera stupida...
- Guarda che occhiali
neri s'è messa: ce li hai gli occhi rossi, eh,
brutta strega, che l'altro giorno mi hai buttato
fuori, perché non ti ascoltavo. Che ne sai tu,
piccola borghesuccia, che, quando fai la spesa, stai
sicuramente attenta a risparmiare mille lire, compri
al tre per due e mangi tutta la settimana quel
prodotto, che loro t'hanno costretto a comprare. Cosa
volevi insegnarmi, maledetta, con la tua lezioncina,
imparata sui libri...
- Ti disprezzavo,
forse lo sentivi; per questo non mi potevi vedere e mi
perseguitavi, rimproverandomi ad ogni
momento.
- Che tu possa avere
il rimorso, finché campi; che tu impari come si
trattano i ragazzi, stupida creatura, con la pretesa
dell'educatrice.
- "Questo ragazzo...
un fiore stroncato, una vita spezzata... E per cosa?
Doveva ben sentirsi incompreso, se ha voluto
andarsene, senza parlare, senza chiedere
aiuto..."
- Ma zitto, anche tu,
stronzo d'un prete! Ma che prete sei, tu che non leggi
nell'animo delle persone? Tu, come tutti, fermo alle
apparenze, ai capelli trascurati, alla finta
arroganza, al silenzio, che diventa l'unico modo per
non dire cose spiacevoli.
- Cazzeggiare... ecco
quello che i miei amici volevano da me: quando facevo
il buffone, tutti a ridere... "dai, su, sei il
meglio
". Poi, se avevo bisogno di parlare del
vuoto, che era la mia vita, anche loro non c'erano. Ma
sì, è proprio così: che noia
parlare di cose serie, che paura sentire uno che ti
dice... "hai mai pensato di farla finita?" e loro ti
guardano, credono che tu scherzi anche in quel momento
e allora tu la butti a ridere, non c'è altro da
fare.
- Vuoto, solitudine,
un buco sempre più grande; ti affanni a trovare
un aggancio, ma non ci riesci o forse non
vuoi.
- E poi... ad un
certo punto del tuo percorso su questa terra di merda
non sai più che fartene dell'aggancio, della
comprensione, dell'aiuto.
- Quando eri ancora
in tempo per tornare indietro, nessuno l'ha capito,
dopo era troppo tardi.
- Ora, guardali!
Tutti a frignare, a sentirsi in colpa per non aver
compreso, ascoltato, ognuno chiuso nel suo egoismo,
nell'ovatta della propria vita... eh, già...
Come potevate capire, non sapete come ci si
sente...
- Però
è una figata! È una festa in mio onore,
belle parole, bei ricordi, singhiozzi, rimorso, che si
taglia a fette: proprio una bella festa... come quella
volta, in cui vinsi un premio per una poesia. Come mi
sentivo bene, tutti mi volevano toccare, baciare...
"ma che sentimenti questo bambino..."
- Quanto era bello,
allora. I miei avevano gli occhi lucidi d'emozione,
d'orgoglio. Poi è successo qualcosa. Guardali,
ora, vicini, ma estranei. Seduti accanto, si tengono
la mano...
- ...ma che cazzo di
mano vi date, ora, se prima non siete stati capaci di
perdonarvi niente. Niente, accidenti a
voi!
- La casa è
diventata un inferno, muto e pesante, quando andava
bene. E ti stupisci che non ci volevo stare, che
restavo fuori più del dovuto, che ero
apatico?
- L'ho sperato che
tutto passasse, che tornassero i bei tempi; poi sono
cresciuto ed ho scoperto che i sogni e le speranze
sono cose da bambini.
- Sono... ero troppo
grande, per aspettarmi l'impossibile e troppo stufo di
fare da capro espiatorio dei vostri
litigi.
- Quando tu, mamma,
te la prendevi con me, perché avevi discusso
con papà, non lo sopportavo; ero incazzato con
te, non sai quanto.
- Fu allora, che
cominciai a pensare a quanto sarebbe stato bello
morire per farti piangere... sai la scena di te, che
sei in cucina a fare qualcosa e vedi volare tuo figlio
dal piano di sopra, dove l'hai lasciato a studiare...
e si schianta lì, davanti ai tuoi occhi, dopo
una sfuriata contro di lui, accusato di essere
svogliato, infingardo, immaturo... "con tutti i
problemi che mi ritrovo, ci manchi solo
tu..."
- E perché
avrei dovuto essere un non-problema?
- Dov'era scritto che
io dovessi esser più maturo di voi due
deficienti, che vi siete distrutti la vita a suon di
braccio di ferro?
- E ora, giù a
piangere, eh?! Proprio come immaginavo... che
soddisfazione...
- Disperatevi.
- Io, quassù,
onnipotente come un Dio cattivo, godo della vostra
sofferenza.
- E quelli chi sono?
Chi li ha mai visti... perché piangono? Oggi
è un delirio collettivo. La signora, magari,
sta lì a frignare perché pensa che
potrebbe essere suo figlio quello lì,
perché pensa che l'ha trascurato, che forse
anche lui si sente incompreso. Ora ha i sensi di
colpa, ma poi, forse oggi stesso, se la
prenderà con lui, mandando all'inferno i buoni
propositi.
- Ehi, ehi, fermi,
dove andate tutti? Aspettate ancora un po', mi piace
tutto questo, non voglio finisca...
- E la prof che fa?!
Corre verso la macchina? Già pronta a rientrare
nel vortice?! Come sarebbe a dire... tutto qui quello
che sai fare... già metabolizzato il rimorso...
cane d'una professoressa, già pronta ad
attaccare uno come me, domani, ancora, senza aver
imparato la lezione!
- E voi, dove andate?
Come... parlate già di scuola, dei compiti,
dell'interrogazione di filosofia? Del compito di
matematica, da rimandare... allora siete proprio dei
figli di puttana!!!
- Ma come? Uno se ne
va, s'ammazza e state a pensare a quel cazzo di
scuola?!
- Già... ma io
non ero uno come voi ed ora vi sentite egoisticamente
protetti da simile pericolo... "certo, quando uno
è come lui, prima o poi la stupidaggine la
fa...".
- No, non può
essere; voglio credere che per qualche giorno
continuerete a stare male, ad appoggiarvi l'un l'altro
per farvi coraggio.
- Poi la vita normale
vi risucchierà nell'apatia, nell'indolente
qualunquismo.
- Non è
servito a niente, allora!?
- La macchina carica
di fiori cammina verso il cimitero.
- Ma cosa dicono
quelli? Il dentista? E tu stai a pensare al
dentista... stronzo d'uno stronzo...
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- La bara è a
terra; terra sulla bara; altri singhiozzi. Tutti se ne
vanno.
- Resta solo lei, mia
madre. Ha una panchetta.
- "Su, andiamo a
casa, è quasi buio... Domani
torniamo..."
- "...questa è
casa... se lui è qui..."
- Meno male, almeno
tu, mamma. Mi dispiace. Tu non c'entravi.
- Solo che non ce la
facevo più. O forse no.
- Potevo farcela, ma
non c'ho provato.
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