- Presentazione
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E' sullo sfondo magico di Parigi che si compie uno dei
due percorsi d'amore di questo romanzo, che si
perderà, poi, nelle maglie di un destino
segnato... Un amore spezzato che, comunque,
riuscirà a sopravvivere oltre la morte. Una storia
d'amore che s'icnrocia con quella, diversamente dolorosa,
di altri due innamorati a cui la felicità ha
voltato le spalle, in un giorno come tanti. Un sequestro
e una violenza ne segneranno, infatti, per sempre la
finme, tragica, inevitabile. Dolceacqua, Stellamare, le
valli di Lanzo, l'incantevole Riviera ligure diventano
così scenari di passioni, amori e atti
estremi...
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- Cuori
inquieti
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- Il piccolo aereo
correva sulla pista aumentando la velocità per
potersi staccare da terra. Decollo perfetto. Alberto
Salemi, pilota e unico passeggero, appena l'aereo
giunse in fondo alla pista, iniziò una elegante
virata di 30 gradi e puntò la prua a Nord-Est
dopo aver retratto il carrello e regolato i flaps.
Concluse le operazioni di decollo, Alberto
iniziò la manovra di salita per raggiungere la
quota prestabilita.
- Era un mattino di
giugno, luminoso, ma ancora fresco per i recenti
temporali; il sole creava riflessi multicolori. Nella
carlinga i raggi del sole disegnavano una vibrante
teoria di colori che abbagliava la vista sugli
strumenti, ma i dettagli, oltre il cristallo del
cruscotto, apparivano nitidi. Proprio davanti ad
Alberto si stagliavano i contorni delle Alpi maculate
di verde muschio e di terre bruciate. Entro pochi
minuti l'aereo avrebbe imboccato l'importante vallata
sorvolando piccoli agglomerati di case montane, boschi
e campi e mantenendo sempre la rotta stabilita,
sarebbe giunto di fronte al grande e vasto massiccio
del Monte Bianco con i suoi ghiacciai
perenni.
- La radio
trasmetteva i consueti e periodici bollettini
meteorologici comunicando tempo stabile per tutto il
giorno. Alberto quella mattina era uscito da casa
molto depresso a causa di ripetute crisi senza
soluzioni o almeno senza soluzioni a lui gradite. Per
questi motivi aveva deciso di scaricare le ansie, lo
stress, come faceva sovente negli stessi casi, volando
e disegnando tra le nuvole e sui colori del cielo. Il
senso intimo e solitario dell'arte di Alberto entrava
subito in azione nelle più inaspettate forme,
dalla pittura, alla musica, alla poesia e a brucianti
concetti di filosofia.
- Vedeva attraverso
il cruscotto paesaggi boschivi interrotti da piccoli
raggruppamenti di case dove la gente del luogo in quel
momento viveva la propria vita angustiata da
chissà quante pene. Là, più in
alto, un campanile che sembrava un pezzo di matita con
la punta all'insù, era certamente un punto di
attrazione sociale, religiosa, un punto di riferimento
per risolvere i problemi della propria coscienza, dei
problemi causati da altri e ad altri. Istintivamente
manovrò la cloche dirigendo l'apparecchio verso
il campanile in una discesa non prevista.
- L'immagine del
campanile si espandeva diventando via via più
grande mentre l'aereo lo puntava come se fosse un
obiettivo da colpire. Alberto sentiva una forza che lo
guidava e una sensazione di caldo piacevole inondava
il suo viso, il collo e scendeva fino al ventre. A
pochi metri dalla punta del campanile una forte
impennata riportò l'aereo col muso puntato
verso le nuvole bianche in direzione della
montagna.
- Pensieri e
pensieri affollavano la mente di Alberto: pensieri
cupi, circolari senza uscita; desiderio di dipingere,
disegnare con colori e ombre, movimenti e dinamiche
presenti nel paesaggio, cercare i punti di fuga e
fermare l'attimo infinito; cercare le parole uniche,
assolute, mai dette per coniugare il finito con
l'infinito. "Michelle", era questo il nome magico, la
calamita spirituale e mentale attorno cui egli
ruotava, richiamato da una forza gravitazionale sempre
più forte. Michelle era il suo buco nero a cui
si avvicinava in una corsa irrefrenabile, sedotto
fatalmente come da una sirena sull'orlo dell'abisso
infinito. Erano questi i grovigli di pensieri di
Alberto in quel mattino in prossimità della
valle che s'incuneava tra le alte montagne della Val
d'Aosta.
- Fu un leggero
odore di bruciato a distoglierlo dai suoi pensieri e
riportarlo alla realtà del volo. Un rapido
controllo degli strumenti, la valutazione della quota,
del carburante e dell'assetto di volo gli diedero un
primo esito rassicurante, poi provò la radio, i
flaps e il timone: tutto a posto. Girò
leggermente la testa all'indietro per controllare la
fonte dell'odore di bruciato che gli sembrava
diventare sempre più acre. Vide una nuvola di
fumo grigio azzurro, denso, che si avvicinava alla
cabina di pilotaggio. L'idea fu di inserire il pilota
automatico e andare a ispezionare... ma un'improvvisa
fitta nebbia investì l'aereo: non si vedevano
più le montagne, solo qualche ombra:
visibilità ridottissima. Questo nuovo fatto, lo
fece desistere dall'inserire il pilota automatico e lo
indusse a cercare immediatamente di effettuare manovre
strumentali per una rapida risalita dell'aereo oltre
la cortina di nebbia. Si stupì di sentirsi
calmo e sicuro quando iniziò la serie delle
manovre che conosceva molto bene. Improvvisamente la
nebbia sparì e vide, attraverso il cruscotto,
avvicinarsi la montagna: i comandi non rispondevano,
perdeva quota, anziché salire. Dietro di
sé sentiva lo scoppiettio delle fiamme. Un nodo
alla gola gli impedì qualsiasi ragionamento
era troppo tardi.
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- Stavo ritornando a
casa dopo il funerale di Alberto. Dovevo percorrere
oltre duecento chilometri in macchina e avevo tutto
il tempo che volevo, per fortuna, perché la mia
mente era bloccata dai ricordi dolorosi di Alberto
morto così improvvisamente, lasciando un vuoto
incolmabile nella mia vita. Alberto aveva quarantun
anni ed era vedovo già da cinque anni, viveva
solo, anche se la madre ne soffriva molto
perché sapeva che era un uomo sensibile e
avrebbe mal sopportato la perdita prematura della
moglie che aveva amato moltissimo.
- Era un ingegnere
elettronico e lavorava come direttore di stabilimento
di una azienda internazionale di costruzioni di
aeromobili che curava tutta la manutenzione
straordinaria dei maggiori aeroporti europei. Ma la
sua passione era la pittura, per la quale era capace
di dimenticare anche qualche impegno di lavoro.
Eravamo amici dal liceo e per me era la persona che
rappresentava il riferimento più immediato e
importante di tutta la mia vita, anche perché
ormai avevo perso entrambi i miei genitori.
- La madre di
Alberto, Maria Bartolo vedova Salemi, mi aveva accolto
quel mattino con molto affetto anche se era molto
abbattuta e traumatizzata per la perdita di suo
figlio. Era vedova da molti anni, da quando Alberto
era ancora piccolo. Sul suo volto si leggeva la
disperazione che cercava di mascherare con una
rassegnazione silenziosa. Mi chiedevo come avrebbe
potuto continuare a vivere senza di lui, sola e senza
altri affetti, eccetto una nipote, figlia della
sorella, che però vedeva raramente.
- Nessuno sapeva
come era accaduto il drammatico incidente. Forse si
era trattato di un malore improvviso, oppure di un
guasto, ma entrambe le ipotesi erano incontrollate e
infondate perché Alberto sembrava godere ottima
salute e inoltre, era un pignolo nella manutenzione
del suo aereo, che controllava personalmente tutte le
settimane quando lo usava per andare a casa della
mamma.
- Al funerale
c'erano tante persone che lo avevano amato: i suoi
compagni di lavoro, i rappresentanti del consiglio
d'amministrazione e della direzione della
società aerea dove lavorava, gli amici
dell'Università che frequentava come
ricercatore, pittori con cui aveva condiviso mostre e
fatto conferenze in TV, i responsabili tecnici di
tutti gli aeroporti italiani con cui aveva avuto
rapporti di lavoro e conoscenti e giornalisti della
televisione che l'avevano incontrato in varie
occasioni. Molte di queste persone le conoscevo
personalmente, altre solo indirettamente dai colloqui
avuti con lui. In tutti era visibile un profondo
dolore che si manifestava negli atteggiamenti e nelle
parole dette e non dette. Tra queste persone notai una
donna che sembrava non conoscesse nessuno, nemmeno i
parenti stretti di Alberto.
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