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Edoardo Corbetta

8° classificato nella sezione narrativa nel concorso Il club dei poeti 1997 con questo racconto:

 

Profondo sud

 

La strada sterrata che dalla Nazionale portava al paese, arroccato sulla collina, all'inizio ben liscia ed ordinata, man mano che si avvicinava all'abitato diventava sempre più sconnessa, con le buche sempre più numerose e profonde. Arrivando alle prime case, si mimetizzava con esse a tal punto da confondersi con i cortili, i vicoli, le soglie delle case stesse. Era persino in sintonia con i pavimenti delle abitazioni, poveri, irregolari, come se le costruzioni fossero state erette direttamente sul terreno esistente, senza preparazioni di carattere tecnico ed estetico.

Le sospensioni della macchina, pur collaudate a simili disagi, venivano messe a dura prova, il turbinio di polvere sollevato dal mezzo, tentava inutilmente di trattenere l'intruso, di impedirgli di proseguire la sua corsa.

La calura opprimente infieriva sulla volontà degli abitanti superstiti, riducendo notevolmente i movimenti fisici ed annebbiando quelli mentali. Solo le mosche, i tafani ed un imprecisato numero di insetti molesti, sembravano indenni dall'implacabile tormento, anzi, vivacissimi, andavano punzecchiando tutti quanti. Sembrava fosse loro compito tentare di svegliare quella gente dal diffuso torpore che la caratterizzava.

Il medico guidava con il fazzoletto in mano, per potersi asciugare il sudore della fronte ad intervalli sempre più brevi. Quell'aria così trasparente da infastidire, era accompagnata dal sole cocente, che sembrava accanirsi allo scopo di essiccare ogni cosa. Il letto del fiume, attraversato da un vecchio ponte, sofferente anche al minimo peso, era completamente asciutto. La sola vegetazione esistente era rappresentata dai cardi, dagli sterpi spinosi, dai rovi e da qualche raro albero di medio fusto, fatalmente destinato ad una imminente fine.

La strada proseguiva con una serie di curve in salita, le case bianche e piatte venivano dapprima nascoste per riapparire improvvisamente, poco dopo. Il paese era tagliato in due dalla via principale sulla quale si affacciavano le porte delle squallide dimore, legate l'una all'altra in cerca di una reciproca protezione contro la miseria ed il caldo. Poche donne, la cui età non era ben definibile a causa del comune aspetto dimesso ed il vestito lungo e nero, erano sedute sul lato in ombra, silenziosamente impegnate in lavori di cucito ed in mute conversazioni.

Al suo passaggio, il medico riceveva brevi cenni di saluto, ai quali rispondeva alzando la mano. Giunto sul crinale, parcheggiò nello slargo che generosamente veniva chiamato la piazza, al quale si affacciava la vecchia chiesa, usata raramente per la Messa domenicale e quotidianamente quale rifugio per l'anziana popolazione maschile, in cerca di conforto.

L'edificio sacro, reso abbastanza fresco dallo spessore delle mura, offriva sufficiente protezione dall'implacabile flagello.

La mente di ognuno andava al proprio pensiero fisso, infinitamente ripetuto, verso i figli lontani, i quali, grazie al loro lavoro, riuscivano a garantire una pur misera sopravvivenza ai cari familiari rimasti qui.

Anche a loro il dottore rivolse un silenzioso saluto, avviandosi verso il vicolo in discesa che portava alla sua meta.

Appena superata la soglia, dovette fermarsi per abituare gli occhi all'improvvisa semioscurità, gustando nel contempo un poco di frescura, o meglio, una lieve diminuzione della temperatura.

Nell'angolo più buio del locale giaceva un uomo dall'aspetto sofferente, la pelle aderiva alle ossa come l'edera al tronco, gli occhi incavati ma vivaci e mobili, dimostravano una ostinata volontà di lottare contro il male che l'aveva reso infermo. Il medico salutò prima la giovane figlia e poi il malato con espressioni quasi gioiose, nel tentativo di creare una parentesi alla sofferenza dell'uomo ed alla tristezza della ragazza.

Lei, oltre agli impegni domestici, si adattava a qualsiasi lavoro, pur caratterizzato dalla provvisorietà, per guadagnare i pochi spiccioli che permettessero di mantenere entrambi in vita.

Nel lasciare alcuni flaconi di medicinali (che diversamente non sarebbero mai arrivati), l'uomo si raccomandò di alimentare il malato con cibi liquidi. Gettato in giro lo sguardo, ora avezzo alla penombra, poté ammirare la pulizia che regnava in quel triste locale. Non sempre la povertà è sinonimo di sporcizia. La cucina, l'acquaio, posti vicino alla finestra, erano lindi, il pavimento in mattoni rossi non presentava segni di polvere, la tenda fiorata che nascondeva il giaciglio della giovane, presentava sì qualche rammendo, ma non esibiva segni di trascuratezza. Il tavolo in legno povero, le sedie spaiate, la vecchia credenza, le pareti non imbiancate da tempo, denotavano comunque una manutenzione periodica, attenta, anche se necessariamente poco efficace, dal punto di vista estetico.

«Posso offrirle un bicchiere d'acqua? È buona, l'ho mantenuta nel sottoscala, che è l'angolo più fresco, apposta per lei».

«Sì, grazie, lo prendo volentieri».

Solo qui il medico accettava di lenire la sua sete, conoscendo la scrupolosa igiene che la ragazza manteneva in casa. Prima di riavventurarsi sulla strada assolata, tirò un profondo respiro, per pigliare il necessario coraggio ad affrontare la stradetta di sassi in salita e raggiungere la macchina.

Dopo essersi accertata che il padre non abbisognasse d'altro, anche Maria tirò un sospiro, con una motivazione profondamente diversa, rivolse lo sguardo all'immagine sacra appesa alla parete ed uscì, per sedersi sulla panchina di pietra, appena fuori dalla porta. Qui l'ombra ancora permetteva una sosta, mentre più in là i sassi, riscaldati dal sole, trasmettevano un calore che toglieva il respiro.

Non aveva alcun lavoro da svolgere, già da qualche giorno e si stava preoccupando seriamente per l'immediato futuro.

Aveva quasi abbandonato ogni sogno di migliorare la propria esistenza quando, morendo la madre, si trovò a custodire il vecchio padre, di salute molto precaria. Lui le diceva spesso di lasciarlo solo, qualcuno in paese l'avrebbe accudito, ma lei non riusciva nemmeno ad immaginare di sopravvivere al rimorso di non aver almeno alleviato la sofferenza del suo caro papà, sempre così buono e generoso con lei. Non poteva cancellare l'immagine del suo viso sorridente quando, da bambina, lei si ammalava o era perseguitata dalle giovanili inquietudini, la confortava. Risentiva la gioia che la possedeva quando la portava in bicicletta nei vicini paesi a far visita agli amici o parenti, mostrandola a tutti come una regina dalle innumerevoli eccezionali qualità.

La giovane aveva preso dal padre la vivacità espressiva, ora oscurata da un perenne velo di tristezza, dalla madre la pelle bianca, liscia e delicata. La sua esile figura, sufficientemente slanciata, e donava una certa innata signorilità. Sarebbe stata ben apprezzata, in una condizione di vita almeno normale, in mezzo a giovani della sua età, nel turbinio di popolosi borghi. Avrebbe potuto sicuramente raccogliere buone soddisfazioni dal proprio contegno, naturalmente eretto e dal carattere aperto, qui profondamente castigato. La speranza però non l'aveva del tutto abbandonata, anche in questo assomigliava al padre.

Dopo un poco sentì un rumore prolungato di motori: erano i soldati che ogni tanto capitavano in paese in cerca di distrazioni e di piccoli acquisti, provenienti dalla vicina caserma. Per il piccolo centro urbano, l'esercito rappresentava una fonte pur irrisoria che comunque ne alleviava l'estrema povertà.

Ella si agitò, il suo cuore cominciò a battere forte, il viso divenne paonazzo per l'intima vergogna di quel che avrebbe dovuto fare di lì a poco, ma non c'era altra scelta.

Dopo qualche minuto, ecco arrivare dal fondo della strada un gruppetto di soldati in tenuta da libera uscita, aspetto sano, fresco, pulito, baldanzoso, con in corpo l'allegria dei ventenni.

Uno alla volta si separarono ed uno di loro si fermò davanti a lei.

Era un giovanotto alto e robusto, occhi chiari, forse onesti, capelli cortissimi e biondi, fronte alta, con il segno del basco che doveva sempre essere calzato, in ogni periodo dell'anno. Da quando era arrivato in quell'angolo dell'Italia Meridionale, aveva eletto lei come oggetto di attenzioni e svago, sebbene i suoi commilitoni avessero spesso tentato di trascinarlo altrove. Non era più bella delle altre, anche poco spigliata, ma a lui piaceva tanto e non volle mai seguirli.

Senza parlare, entrarono in casa, si sedettero al tavolo, si guardarono negli occhi, per un attimo solo però, perché lei abbassò subito lo sguardo, mentre il rossore sulle guance riapparve spontaneamente.

«Andèmo, ché lo sai, quando torno a casa sistemo i due locali al piano di sopra, nella casa dei miei genitori, poi ti vengo a prendere, te e pure tuo padre, magari con l'aria del nord guarisce! Vedrai, staremo bene in campagna, tutti quanti».

Accennando col capo un sì poco convinto (tante volte aveva udito quel genere di promesse, anche se questa volte sembrava fosse stata formulata con convinzione e sincerità), Maria volse gli occhi al quadro, dal quale un volto dolce di donna le sorrideva, quasi a confermarle la sua approvazione. Spostando lentamente il telo fiorato, per non disturbare il padre, precedette il soldato verso la branda.

L'uomo aveva gli occhi chiusi, la sua sofferenza maggiore, in quel momento, non era fisica. Mentre pregava, stringeva le ciglia, ma uscirono ugualmente quelle lacrime di cui era ancora capace.

Poche gocce, ma di una forza superiore alle sue. Avrebbe tanto voluto trattenerle, ma non vi riuscì. Illudendosi di risparmiare alla figlia l'esternazione dell'ulteriore dolore, si era girato verso la parete, respirando rumorosamente, come chi dorme di un sonno profondo.


Sulla home page di Edoardo Corbetta puoi leggere un altro bel racconto

 


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