Prefazione
-
- Con la raccolta di
liriche "Parole rubate al vento e all'acqua" Diego
Fantin torna a mostrare il suo amore per la poesia,
una poesia, la sua, che negli anni si è fatta
sempre più intensa e vibrante, divenendo ora
strumento di trasfigurazione della realtà, ora
amara riflessione sull'esistere, ora tentativo di
riappropriarsi di emozioni vissute o sognate. Un
discorso poetico che aiuta il lettore a staccarsi
dalla materialità e ad intensificare il
rapporto con la natura, il creato e soprattutto con la
propria anima.
- L'antico istinto di
dire, di estrinsecare ciò che ha dentro, di
rivisitare e reinventare la propria presenza nel
mondo, porta continuamente il poeta a tradurre in
versi ciò che sente emergere dentro il silenzio
dell'anima...e a comunicarlo agli altri, al
mondo.
- "Noi, le anime":
l'odore, il nostro/che sapeva/di sereno e di pace.
"Dispensatrice di sogni": la notte/essenza furtiva. "I
miei pensieri": a volte non finiscono/ma si confondono
come si confondono/laggiù/il mare e il cielo.
"Affascinata invidia": e guardo affascinato/mamma e
bambino senza capire/dove finisce l'una/e inizia
l'altro/ed invidiando/quell'intimo contatto. "Verso il
calar del giorno": e poi, la vita io l'amo ancora/
...nonostante! "È troppo grande": voli/su
quella scopa/libera strega anche se è ancora
grande/forse troppo quella paura
grande/dell'ignoto.
- Nei versi di
Fantin, scavati nel profondo, si celano i temi
dell'amore, i sogni, la natura, la guerra e le
violenze, le nostalgie dell'infanzia, il bisogno di
pace, di calma e di riposo... Fantin traduce i suoi
pensieri, i suoi moti interiori in poesia intesa come
principio e speranza di un mondo migliore, un mondo
dove la bellezza conviva con la giustizia.
- In "Tempo scaduto"
escono passi senza parlare/ma passi fini e stretti
quasi... per aspettare un passato che non è mai
stato. E poi "Gli occhi del cielo", con ...colori che
sanno di pioggia e vento, e "Un tocco di" con occhi
illuminati/da un tocco di follia. "Variazioni di
bosco" ha tavolozze di colori/ora tenui ora violenti/e
in mezzo a loro cespugli di silenzio. "Nel crepuscolo"
anche le pietre si bagnano. ...e rubano la luce al
cielo.
- Una lingua deputata
a dar voce alle tensioni, ai sentimenti, alle domande,
alla presenza reale del paesaggio che pulsa sullo
sfondo di ogni lirica. Fantin parla di "Fatica", di
"Timidezza", della "Voce di vento", della "Terra di
confino" dove il tempo non parlava, del "Dio
dell'alba", di "Eternità e infinito", di "Amore
assoluto", di "Surreale" dove nasce muta l'aurora/ed
il mare non chiacchiera.
- Suggestioni che
partono da lontano, echi seducenti di emozioni
sottili, senza tempo. Dai versi di Fantin esce una
musicalità tersa che compie i percorsi della
luce e delle tenebre, alcuni sotterranei e
nascosti.
- "Parole rubate al
vento e all'acqua" nate non so dove... Non
leggerle/ascoltane solamente il suono, il ritmo,
sarà coinvolgente/Ti sembreranno/vita/e della
vita/le sentirai... padrone.
- Fin da ragazzo
Fantin amava dar vita ai propri pensieri con i versi,
ma li teneva per sé. Ora ha scelto di dare una
dimensione comunicativa a sentimenti e sensazioni, a
ciò che segna la sua vita: gioie e dolori,
malinconie, trasalimenti e stupori, riflessioni, sogni
che fanno rinascere...
- La sua produzione
poetica ha preso forma facendosi via via sempre
più consistente, tramite ritmi essenziali di
parole dove si celano proiezioni, desideri, sogni e
speranze, rimpianti... E silenzi che vanno oltre la
parola.
- E dove torna
ricorrente il bisogno di scoprire finalmente il
rifugio profondo del cuore. Attraverso una tensione
appassionata bene espressa dal susseguirsi serrato dei
versi che spesso hanno la misura di un respiro
affannoso, sia quando parla di natura, di paesaggi e
di silenzi..., che di mutamenti epocali che avanzano o
del senso del proprio destino. Un linguaggio semplice,
chiaro, che crea una fitta rete di richiami musicali,
un mondo dove la memoria è un tutt'uno con la
giovinezza del cuore.
- Ben venga allora,
in questo mondo globale dominato da internet e
intranet, dalla borsa che sale o che scende... , la
possibilità di comunicare con la poesia, un
veicolo privilegiato di emozioni e di sensazioni
profonde che danno spazio al meditare e al riscoprire
le risposte fondamentali dentro di
sé.
- Con l'augurio a
Diego Fantin che non smetta di affidare le sue
emozioni a freschi versi, senza età, che fanno
respirare il cuore e racchiudono il battito del
tempo.
-
Maria
Porra
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-
Parole
rubate al vento e all'acqua
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-
- Parole
rubate al vento e all'acqua
-
- Non
leggere
- queste mie
parole.
- Non le
capiresti
- affatto.
- Nemmeno
io
- conosco
- il loro
significato.
- Sono parole
rubate
- al vento e
all'acqua,
- nate non so
dove,
- sgorgate non
so quando.
- Le ho carpite
un giorno
- ed
imbrogliando
- spacciate
come mie parole.
- Non
leggerle,
- ascoltane
solamente
- il suono, il
ritmo,
- sarà
coinvolgente.
- Ti
sembreranno
- vita
- e della
vita
- le
sentirai...
- padrone.
-
-
Incomunicabilità
-
- Tacqui...
- sotto la
roccia bianca
- colma di urla
e sospiri.
- Tacqui.
- Non seppi le
parole
- o,
forse...
- non le volli
sapere
- e allora
tacqui.
- Lo scardinare
eterno
- del vento
contro il mare
- mi parve
ampio respiro,
- effluvio di
parole
- che non
sapevo dire
- ...e
tacqui,
-
perdendo l'attimo.
- Vociare di
gabbiani vessò
- l'aria
immobile
- quando, con
passo esatto,
- seppi
prendere il volo.
- ...dopo, fu
solo silenzio.
- Solo un
fruscio ignoto
- mi
carezzò i capelli,
- ma le
ali...
- quelle non
ebbi il tempo,
- non le potei
indossare.
-
-
-
-
Il dio dell'alba
-
- Seccò,
la pelle esposta
- al vento
delle rocce.
- Seccò
ed avvizzì all'istante.
- E tu, vergine
del tramonto,
- te ne restavi
altrove
- algida e
indifferente.
- E l'aria
secca estorse
- lacrime agli
occhi,
- le labbra
sanguinarono
- e il passo
diventò pesante.
- Seccò,
la pelle esposta
- al sole
dell'inganno.
- Nessuno
scontò
- gli anni
accumulati
- e non ci fu
un perdono.
- E il dio
dell'alba
- tramontò
domani.
-
-
-
-
Le mie streghe
-
- Io ho
vissuto
- lune nate
storte,
- le vivo
ancora
- qualche
volta.
- Ho
pianto
- la
mancanza
- della
luce
- quando
- streghe
crudeli
- me la
rubavano
- per
annerirla
- nel loro
calderone.
- Temevo
- le loro voci
stridule
- e quando le
sentivo
- arrivare
- tentavo di
fuggire,
- ma
loro
- erano
più veloci.
- Adesso
- ho
imparato
- ad
accettarle,
- a
vivere
- con quelle
voci
- accanto.
- Non fuggo
più
- ora che le
conosco.
-
-
-
-
Incoerenti
-
- È il
vento, stasera,
- che arrossa
le guance
- di un altro
tramonto.
- È il
vento!
- con le sue
proposte
- indecenti
- condite di
spezie
- rubate ai
mercati
- d'oriente.
- E le voci
indistinte
- si alternano
al banco
- dove si alza
l'aroma
- di bollenti
caffè
- inghiottiti
- guardando
lontano
- con occhi
vuoti ed assenti.
- Io e te
solamente
- seduti in
silenzio
- a due tavoli
opposti,
- mescolati
- alla gente di
fretta,
- ma da essa
distinti.
- Io e te
sconosciuti
- come
sconosciuti lo sono
- i mercati
d'oriente
- dove il vento
ha rubato
- gli odori e i
misteri.
- Io e te al
contempo
- vicini e
distanti
- con gli
sguardi vogliosi
- e i respiri
intriganti.
- Io e te,
incoerenti,
- con le
lacrime agli occhi
- ed i sogni
morenti.
-
- Noi, le
anime
-
- Piangeva il
sole
- le sue
ultime
- gocce di
luce.
- Noi, seduti a
un
- tavolo
vecchio
- di un fumoso
bistrot
- in un'angusta
via
- dell'antica
Parigi,
- guardavamo le
ore
- sorseggiare
la gente.
- Assaporando
"Anisette"
- si parlava
francese
- per restare
nel clima.
- La porta
girevole,
- cigolando gli
acciacchi,
- vomitava
persone.
- Noi, a quel
tavolo
- in mostra,
proprio
- esposti in
vetrina
- come merce di
scambio
- o di libera
vendita,
- ridevamo del
tempo.
- Proprio in
fondo,
- lontano, si
vedeva
- la torre
spiare,
- un ammasso
coerente
- di ferro e di
cavi.
- Non attirava,
comunque,
- la nostra
attenzione,
- erano altre
per noi
- le cose
importanti.
-
-
-
- Per noi il
giorno
- non era
soltanto
- un ammasso di
ore,
- ma qualcosa
di più:
- un
evento!
- e ogni
istante importante,
- da gustare,
godere,
- in religioso
silenzio.
- Alle stanche
pareti
- intossicate
dal fumo
- si sentivano
le ombre
- grattare gli
anni,
- ma il lavoro
era
- inutile e
eterno.
- Noi,
andandocene,
- lasciammo a
quel
- tavolo
solamente
- l'odore, il
nostro,
- che
sapeva
- di sereno e
di pace.
- Noi...
- le anime
morte.
-
-
-
-
I miei pensieri
-
- A
volte
- i miei
pensieri
- non
finiscono,
- ma quando
finiscono
- finiscono
là
- dove mare e
cielo
- si
confondono,
- dove non si
sa
- se sia
più mare il mare
- o sia il
cielo
- ad essere
più cielo,
- dove mare e
cielo
- nascono e
muoiono.
- A
volte
- i miei
pensieri
- non
finiscono,
- ma si
confondono
- come si
confondono,
- laggiù,
- il mare e il
cielo.
- A
volte...
- ma non so
mai
- le
volte
- quali
sono.
-
-
-
-
Variazioni di bosco
-
- Screziati
marroni
- e rossi e
gialli e verdi
- sapientemente
mescolati
- e come
contrappunto
- un cielo
azzurro e terso
- nel suo gelo.
Angoli
- pudicamente
nascosti
- ma che si
lasciano scoprire
- dall'occhio
attento e smaliziato,
- ma che presto
scompaiono
- e restano
ricordi.
- Tavolozze di
colori
- ora tenui,
ora violenti
- e in mezzo a
loro
- cespugli di
silenzio.
-
-
-
-
Dispensatrice di sogni
-
- Cadeva il
sole,
- maturo.
- Cadeva
- oltre
l'intarsio
- di
monti
- a picco sul
mare.
- Nessuno
- lo aveva
raccolto
- ed ora
marciva.
- Le stelle
piangevano
- una tremula
luce
- e la luna,
impotente,
- restava a
guardare.
- E il sole,
maturo,
- cadeva
- e
nessuno
- lo poteva
fermare.
- Nessuno
- lo aveva
raccolto
- ed ora
marciva.
- E la
notte,
- essenza
furtiva,
- tornava, in
silenzio,
- a
regnare.
-
-
-
-
Demònia
-
- Eri
lì,
- nella stanza
smarrita,
- che emanavi
mistero.
- L'occhio
avido
- ti sfiorava
il contorno,
- le tue linee,
le tue curve.
- Si
adagiava,
- illuso
deluso,
- sul tuo
labbro sensuale
- marcato di
rosso
- e il tuo
grembo cresciuto
- attraeva
- fino a farmi
star male.
- Quando un
soffio di vento
- carezzò
la tua pelle
- tu
sparisti
- tra vapori di
luna.
- E ora,
solo,
- respiro
l'odore rimasto:
- sa di
donna,
- di promesse e
tormento,
- di
desiderio.
- Ed ha un
retrogusto...
- di odore di
zolfo.
-
-
-
-
Nel crepuscolo
-
- Nel
crepuscolo,
- mi
dicevi,
- anche le
pietre
- si
bagnano.
- Ed
io
- ho raccolto
molte
- pietre
- nel
cammino,
- prima di
giungere
- al
mare.
- Senza
scarpe,
- sulla
spiaggia,
- ho
atteso.
- Paziente
- ho atteso il
crepuscolo.
- Ho
messo
- le
pietre
- nell'acqua
del mare.
- Era
vero!
- Nel
crepuscolo
- le pietre si
bagnano.
- ...ma non mi
avevi detto
- che le pietre
bagnate,
- nel
crepuscolo,
- rubano la
luce
- al
cielo.
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