- GLI OCCHI DI SELENE
-
- Con la canna della pistola in bocca e il pollice
sul grilletto, in quel vicolo buio, Albino non stava
pensando. Le sue mani non tremavano e i suoi occhi non
erano chiusi, anche se non riusciva a vedere davanti a
sé il buio della notte; un buio che non era suo
amico, ma nemmeno suo nemico. Il suo corpo era
immobile nel silenzio di quel momento. In quel vicolo
c'era tutto ciò che rimaneva di lui, e anche
ciò che non ne sarebbe rimasto. Solo
un'immagine distinta ma apparentemente a lui
sconosciuta occupava la sua mente. E nonostante essa
si fosse presentata a lui così puramente
definita, Albino non era in grado di distinguerne la
provenienza. In quel momento Albino non era in grado
di ragionare, perché sentiva puntata addosso
un'arma dalle sue stesse mani.
- Ma quello che contava, in quel preciso istante,
non era la pistola, non era la canna in bocca, non era
il suo pollice sul grilletto e non era nemmeno
ciò che era successo.Ciò che contava era
che Albino non stava pensando.
-
- Il sole splendeva dalle prime ore del mattino,
l'aria era fresca e Albino decise di fare una
passeggiata in città. Doveva comperare delle
cartoline da spedire ai suoi amici e ne avrebbe
approfittato per godersi all'aria aperta quella sua
giornata di riposo. Quella mattina non dovette
svegliarsi alle sette per andare a lavorare.
- Camminava per le vie della città osservando
la gente e qualche volta alzando lo sguardo per
ammirare il sole splendente. Si sorprendeva, a volte,
perché certe giornate sembravano fatte apposta
per essere giorni di festa, o di riposo.
- Passava accanto alle bancarelle, Albino, col solo
pensiero di dover scegliere qualche cartolina da
spedire agli amici. Già, perché bisogna
far sapere agli altri quando si ha afferrato
l'occasione di poter andare a lavorare in una grande e
bella città, specialmente se quella
città è Venezia.
- Passava accanto ai tavolini dei bar, attraversava
i ponti, passava accanto alle ragazze che
distribuivano volantini e non si fermava.
-
- Uscendo dalla cartoleria con una borsetta di
plastica in mano, Albino decise di tornare al suo
alloggio lentamente, perché tanto non aveva
nessuna fretta.
- Oltre al sole splendente nel cielo azzurro, poteva
ammirare anche le ragazze carine che incrociava per
strada. Ce n'erano molte, infatti.
- Tornato all'alloggio, avrebbe iniziato a scrivere
le cartoline, con qualche saluto formale per i suoi
nuovi amici e qualcun altro più informale per
gli amici più cari.
- Camminava lentamente, Albino, sostava a volte per
qualche attimo per porre attenzione agli artisti
cosiddetti "di strada" che dipingevano vedute del
luogo.
- Attraversava i ponticelli e incrociava lo sguardo
della ragazza che gli porgeva il volantino
pubblicitario del locale più vicino. Incrociava
il suo sguardo per un brevissimo attimo, senza pensare
a nulla, ma accorgendosi che lei, anche se per un solo
istante, lo stava guardando. E prendeva il volantino,
mettendolo dentro la borsetta, perché tanto non
c'era molta differenza tra il prenderlo o meno, per
lui.
- Solo in una notte particolare, nel suo ultimo
attimo di consapevolezza, Albino avrebbe potuto
rendersi conto che c'era invece una differenza
sostanziale tra due cose che quella ragazza e lui
avrebbero potuto fare, che però non erano il
prendere o il non prendere il volantino, perché
il volantino non c'entrava niente.
-
- Da ormai due settimane Selene faceva quel lavoro:
l'unico che era riuscita ad avere e che non le costava
neanche molta fatica. Aveva già capito come non
farselo pesare troppo, anche se avrebbe potuto dire
che quel lavoro, se così si poteva chiamare,
non la appesantiva neanche molto.
- Mentre distribuiva i volantini del Burghy, cosa
che non richiedeva una particolare concentrazione,
Selene poteva pensare a tutt'altro, con il sorriso
sulle labbra. Il suo aspetto fisico, infatti, la
rendeva degna di una certa attenzione da parte dei
passanti, che, a volte incantati dal suo fascino,
afferravano i suoi volantini.
- Selene pensava quindi ad altro, mentre li porgeva
alla gente. E a volte, in certi momenti, le capitava
addirittura di non pensare a niente, consegnando quei
volantini, con un sorriso sulle labbra e magari
incrociando lo sguardo di chi li prendeva.
-
- C'era stata molta gente, quella sera, in
ristorante, e Albino aveva corso parecchio per servire
a tutti i tavoli. Aveva sudato molto, quella sera, ma
alla fine era soddisfatto del lavoro che aveva svolto.
- Alla fine del servizio si cambiò,
uscì dal ristorante e si diresse verso il suo
alloggio, un po' in fretta. Ma quando passò
attraverso un vicolo, reso buio dalla notte, si
trovò di fronte ad un uomo armato di pistola,
che gli disse di volere il suo portafoglio. Albino non
glielo consegnò, ma, dopo averlo preso tra le
mani, lo gettò dietro di sé,
affinché l'uomo si allontanasse per prenderlo.
Non aveva nemmeno tanti soldi, nel portafoglio.
- Ma l'uomo non si allontanò, non si mosse
nemmeno da lì, da dove si trovava, e gli
puntò contro la pistola, con il braccio teso,
all'altezza del petto. Albino aveva paura, sperava che
non gli accadesse nulla di brutto. Ma in quel momento
non pensò troppo a cosa fare.
- Con la velocità di un lampo, Albino
afferrò la pistola puntata contro di sé,
dopo aver litigato per un brevissimo attimo con la
mano di quell'individuo. E ora aveva la pistola tra le
sue dita, ma sempre puntata contro di sé.
- L'uomo, con un'espressione più che sorpresa
nel volto, spaventata, si scaraventò contro di
lui, o almeno quella era la sua intenzione, prima che
Albino si rifugiasse addosso ad una parete di quel
vicolo. L'unica cosa che riuscì ad afferrare,
quell'uomo, fu il portafoglio di Albino, per terra,
dopodiché se ne andò, correndo, da quel
vicolo buio.
- Lasciando Albino a lottare contro il suo
destino.
-
- Ecco che cosa rimane di me, pensò Albino.
Anzi, non lo pensò, ma si rese conto che forse
avrebbe dovuto pensarlo. Già, avrebbe dovuto
pensarlo, o forse avrebbe dovuto pensare qualsiasi
altra cosa e non quella.
- Nella sua mente si fissò un'immagine nitida
e forte: quella di due occhi verdi, sconosciuti o
forse no, che lo fissavano penetranti, ed in essi era
riflesso il suo volto spaventato e sconvolto. Due
occhi accesi, splendenti più del sole in una
bellissima giornata d'estate.
- Solo l'immagine nitida di un paio di pupille gli
occupava la mente in quel momento. Nessun
pensiero.
- La canna della pistola si inseriva nella sua
bocca, guidata dalle sue mani, e mentre il grilletto
stava per venire premuto dal pollice, quegli occhi si
chiusero.
- E il suo volto svanì.
-
- Continuava a distribuire volantini, Selene, sopra
a un ponticello di Venezia. Continuava a farlo quasi
tutti i giorni, perché non aveva trovato un
lavoro migliore. Continuava a incontrare lo sguardo
della gente, a volte senza pensare a niente. Anche
lei, senza saperlo, si trovava spesso tra il presente
e l'eternità, nello spazio tra quel ponte e
l'aldilà. E non poteva quindi sapere che forse
avrebbe dovuto stare attenta, ogni tanto, invece di
non pensare a niente, perché averlo fatto, per
Albino, si era rivelato fatale.
- Selene distribuiva volantini e la sera poteva
rimanere a casa oppure uscire con le amiche. Quel
lavoro non le comportava nessuna
scomodità.
- Se anche a lei, un giorno, fosse capitato, in un
momento di sconforto in cui la sua mente non avrebbe
articolato nessun pensiero, di farla finita, lo
sguardo di Albino le sarebbe apparso, come gli occhi
di lei erano apparsi ai suoi nell'attimo fatale che lo
aveva portato nell'aldilà. Ma questo non le
doveva succedere, perché, anche se Selene non
lo sapeva, Albino, forse senza accorgersene, aveva
amato i suoi occhi nell'attimo in cui i loro sguardi
si erano incrociati.
- Quando Selene percorreva il tratto di strada che
faceva Albino dal ristorante in cui lavorava al suo
alloggio e dal suo alloggio al ristorante, poteva
farlo rivivere, o meglio far rivivere il suo sguardo,
perché i suoi occhi, ora, riflettevano quelli
di lui.
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- IL BIVIO
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- Non riuscivo ad immaginarmi come sarebbe andato
l'esame che dovevo dare prima di luglio. Cioè,
sapevo gli argomenti su cui sarei stato interrogato,
ma non riuscivo a immaginare me stesso lì a
parlare, o a recitare pure qualcosa a memoria. Non
potevo sapere chi mi avrebbe interrogato, o chi mi
avrebbe posto domande a cui forse non avrei saputo
rispondere.
- Ma la cosa che più mi preoccupava non era
la possibilità di fallire l'esame, sbagliando
le risposte o facendo scena muta. E non era nemmeno il
pensiero di dover studiare e ripassare chissà
quanto per distruggere l'ansia che quasi sempre, in
vista di un esame, mi portavo dentro.
- La cosa che più mi preoccupava era il fatto
che non sapevo esattamente dove si trovava la sede in
cui avrei dovuto fare quell'esame. Sembra una
sfortunata coincidenza, ma l'unica persona che
conoscevo che aveva fatto un esame lì, Ilenia,
e a cui quindi avrei potuto chiedere informazioni, era
partita da tre giorni per due settimane di vacanza.
- Fortunatamente, però, prima di andarsene,
Ilenia mi lasciò un messaggio nella segreteria
telefonica, con il quale mi spiegava, seppur
approssimativamente, la strada da percorrere per
giungere in quel luogo. Ilenia, qualche mese prima,
aveva svolto un esame scritto al quale anch'io avevo
partecipato. Avendomi conosciuto, aveva capito che ero
un tipo che appariva spesso disorientato e che non mi
ambientavo facilmente in posti nuovi. Così
decise di lasciarmi delle indicazioni, che a me
risultarono preziosissime.
- Ilenia parlava di un incrocio, al quale dovevo
girare a sinistra. Più avanti, avrei trovato un
cimitero sulla sinistra e sulla destra un
supermercato, dopo del quale dovevo girare a destra.
Il percorso continuava con un rettilineo di circa
ottocento metri, lungo il quale avrei attraversato un
passaggio a livello e sarei poi giunto ad un bivio, al
quale dovevo prendere la strada di sinistra. Dopo
trecento metri circa, c'era la sede.
- Riuscii a trovare la strada piuttosto facilmente,
quel giorno, grazie alle indicazioni di Ilenia, e
superai l'esame, con un po' d'ansia, sì, ma con
la convinzione che ce l'avrei fatta.
- Solamente dopo circa una settimana da quell'esame
mi chiesi che cosa avrei fatto se Ilenia non avesse
avuto l'accortezza ed il buon cuore di spiegare la
strada ad un ragazzo sbadato e distratto come lo sono
io. Sicuramente, pensai, non avrei saputo come
affrontare quella situazione con una disinvoltura e
una sicurezza adeguate, perché, non essendomi
più possibile rintracciare Ilenia, avrei dovuto
trovare il percorso da solo, impiegando per farlo una
parte del tempo che mi sarebbe stato necessario per
prepararmi adeguatamente.
- Mi ricordai poi che nel messaggio Ilenia mi aveva
particolareggiato la parte della strada in cui sarei
giunto al bivio. Mi raccomandava di andare a sinistra,
perché se avessi preso la destra, diceva, avrei
sbagliato completamente direzione e sarei arrivato da
tutt'altra parte.
- Ilenia aveva ragione e direi che se non mi avesse
indicato la strada da prendere, a quel bivio, forse
ora io non sarei nemmeno qui a raccontare l'esito di
quell'esame.
- Quando Ilenia tornò dalle vacanze, andai a
trovarla, un pomeriggio, se non altro per
ringraziarla. Credevo di trovarla rilassata, dopo quel
suo periodo di svago. Ella, invece, non mi apparve
molto serena, anzi, sembrava che durante le sue
vacanze fosse andata incontro a degli avvenimenti
spiacevoli. Nonostante mi preoccupasse il vederla
così giù di morale, non le chiesi delle
spiegazioni, ma mi limitai a ringraziarla e a
raccontarle dell'esame.
- Ilenia era strana, quel giorno, e richiamò
la mia attenzione al messaggio che mi aveva lasciato
prima dell'esame. Iniziò a parlarmi dopo avermi
invitato a sedere al tavolo della cucina.
- "Vedi, Benjamin, tutti giungiamo a delle
diramazioni, prima o poi, ma il più delle volte
non ci accorgiamo, non sappiamo se quello è
proprio il bivio della nostra vita. E così
prendiamo la strada che ci capita, o quella più
comoda, non sapendo a che cosa andiamo incontro. O,
forse, credendo di saperlo, e constatiamo poi, magari
troppo tardi, che si tratta del percorso
sbagliato."
- Ascoltai queste parole e pensai che probabilmente
si riferiva a qualcosa che le era successo, ma non
ritenevo opportuno chiederle nulla. Pensai che se
avesse voluto svelarmi qualcosa, lo avrebbe fatto
senza che io glielo avessi chiesto.
- "Io ti ho spiegato la strada da percorrere per
fare quell'esame e la direzione da prendere a quel
bivio con un po' d'ironia, ma non avevo avuto nemmeno
la vaga intuizione che tutto ciò era la
metafora di quello che mi stava accadendo. Non mi
rendevo conto dell'importanza della mia situazione e
del fatto che se cambiavo direzione ero persa. Tutti
giungiamo ad un bivio, con o senza un'idea di dove
andare, e quello è il bivio della nostra vita.
Basta cambiare direzione e si è fottuti!"
- Finì di parlare con il viso rattristato ed
in preda alle lacrime. Io non toccai nessun argomento
che la riguardasse, anche perché non sapevo di
cosa trattasse il suo problema. O di cosa si fosse
trattato.
- Cercai allora di rasserenarla senza alludere a
nulla.
- "Bisogna lottare, Ilenia. Dobbiamo mettercela
tutta." Dissi. Lei, però, come se non mi avesse
sentito, disse dell'altro, alzando la voce.
- "Ma tu dimmi se ti trovi ad un bivio, poi, che
cazzo fai? Dipende sicuramente da te, cazzo, ma prova
a trovarti lì!"
- Mi colpirono allora le sue parole. Non per come si
fosse espressa, ma perché capii che si riferiva
alle debolezze di tutti noi, che ci assalgono quando
dobbiamo fare una scelta, più o meno
importante. Pensai che quasi sicuramente, in quel suo
periodo di vacanza, Ilenia avesse dovuto prendere
delle decisioni particolari che per forza di cose si
erano rivelate ingannevoli e lei, probabilmente, non
poteva farci niente e si disperava per questa sua
impotenza. Riguardo a quello che aveva detto, la
capivo perfettamente e lei non aveva certo il diritto
di condannarsi.
- Dopo un po', quando lei si riprese da quello
sfogo, bevemmo assieme del tè che aveva
preparato prima.
- La felicità per il mio esame svanì
di fronte all'angoscia di lei come qualcosa di
insignificante. E lo era sicuramente, pensai.
- Parlammo per circa un'ora del più e del
meno. Poi, prima di andarmene, la salutai con un
abbraccio e la ringraziai ancora. Le dissi che avevo
il suo numero telefonico e che l'avrei chiamata
presto. Magari avremmo potuto metterci d'accordo per
fare anche una gita assieme, tra un esame e
l'altro.
- Scesi poi dalle scale ed uscii in strada.
-
-
- Dove ho parcheggiato l'auto ah sì in fondo
a sinistra che begli alberi e che aria fresca qui in
città per essere estate non è male ha
scelto proprio un bel posto Ilenia dove studiare
chissà magari ci viene a vivere un giorno o
l'altro c'è un bellissimo tramonto nel cielo
ormai scuro e cazzo non mi sono nemmeno accorto di
essere andato in fondo a destra adesso dove
sono...
-
-
- PAGINE
-
- Non avevo mai amato la lettura prima d'allora. Non
c'era nessuno né nessuna cosa che mi avesse
potuto convincere. Non c'era nulla che potesse avermi
incollato a quel libro: un maledetto libro che mi
stava distruggendo. Non sapevo se lo avessi quasi
finito o lo avessi appena cominciato, sapevo solo che
lo stavo leggendo. Già, lo stavo leggendo nel
più assoluto silenzio da non so quante ore,
forse addirittura da qualche giorno. E scorrevo le
righe, girando uno dopo l'altro quei fogli che mi
facevano quasi impazzire. Non avevo più
mangiato da quando, per caso, avevo aperto quel
maledetto libro. Sì, ancora maledetto. Mi
voleva uccidere, forse mi voleva suo. Non riuscivo a
distogliere lo sguardo da esso, non potevo. Le parole
mi incollavano, mi costringevano a continuare. E,
seppure fossi così forzatamente interessato ad
esso, non sapevo se quel libro fosse diviso in
capitoli, se avesse degli stacchi, o se fosse compatto
come un unico pensiero. Ad un certo punto la testa
cominciò a farmi male, ma, pur sapendo che era
a causa della lettura, non volevo smettere di scorrere
i miei occhi lungo quelle frasi. Un'altra cosa non
sapevo: di che cosa parlasse quel libro. Non ne avevo
nemmeno una vaga idea, dovevo solo leggerlo.
- Con il tempo sarebbe diventato una vera prigione
per me. Non potevo bere, né mangiare. E mi
dicevo che forse sarei morto proprio con quel libro in
mano, con la pelle attaccata alle ossa e con la
schiena curva. Solo la morte, a quel punto, sarebbe
stata la mia unica amica. Solo lei, che mi avrebbe
portato via finalmente da quella lettura affascinante.
Sì, perché, anche senza sapere
l'argomento e la storia narrati da quel libro, esso mi
affascinava. Oh, sì, mi affascinava eccome,
altrimenti non lo avrei aperto.
- Non so ancora, o meglio non so più, che
cosa mi incuriosì, perché non ricordo
nessun pensiero che mi avesse attraversato la mente
prima di aver aperto quel libro.
- Non ricordo nemmeno se ci fosse stato un autore,
ed avevo pure un vago dubbio sulla sua esistenza,
perché la particolarità di quel libro
era troppo rara, anzi, oserei dire unica in assoluto,
perché mai prima d'ora mi era capitato un libro
come questo fra le mani. Non sapevo dov'ero, non
sapevo nemmeno cos'ero, certamente una creatura in
grado di leggere. Ma non sapevo che lavoro facevo, se
studiavo ancora o se ero già vecchio.
- Non potevo sapere nulla. Solo quel libro riusciva
ad informarmi di qualcosa, qualcosa di cui non posso
parlare. Non perché non ne voglio parlare, e
nemmeno per invogliarvi a leggere questo libro,
affinché anche voi siate prigionieri delle sue
parole. No, per carità, vi auguro di non
trovarlo mai, di non passarci nemmeno vicino se per
caso esso si trovasse nello scaffale di una libreria.
Non vi voglio augurare nessun male, perché
questo è il male, non poter fare altro che una
cosa: leggere.
- E quindi spero che voi non abbiate mai a che fare
con questo libro, o comunque che, nel caso estremo,
voi non lo apriate mai. Perciò vi avverto, dato
che non so nemmeno il titolo di esso e sinceramente
non so nemmeno se ha un titolo, ogni volta che vi
capita un libro tra le mani, in qualunque posto voi
siate, pensateci a lungo prima di sollevare la
copertina. Vi prego, pensateci a lungo e ripensate a
queste righe che voi avete letto su questa carta, che
non sono altro che la reincarnazione dei miei
pensieri.
- Perché, come vi ho spiegato, non potevo
fare più nulla, se non pensare. La mia mente
non aveva più nemmeno la possibilità di
coordinare i miei arti, perché era occupata a
tradurre in parole quei segni ormai insignificanti che
mi assillavano.
- Ora non so da dove vengo, non so dove sono, non
ricordo chi sono, purtroppo non so nemmeno se ci sono
o se non esisto più. Non so se sono ancora vivo
o se sono già morto, ma so solo che sto
continuando a leggere.
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