Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
racconti di
Giuseppe Bonan
GLI OCCHI DI SELENE
 
Con la canna della pistola in bocca e il pollice sul grilletto, in quel vicolo buio, Albino non stava pensando. Le sue mani non tremavano e i suoi occhi non erano chiusi, anche se non riusciva a vedere davanti a sé il buio della notte; un buio che non era suo amico, ma nemmeno suo nemico. Il suo corpo era immobile nel silenzio di quel momento. In quel vicolo c'era tutto ciò che rimaneva di lui, e anche ciò che non ne sarebbe rimasto. Solo un'immagine distinta ma apparentemente a lui sconosciuta occupava la sua mente. E nonostante essa si fosse presentata a lui così puramente definita, Albino non era in grado di distinguerne la provenienza. In quel momento Albino non era in grado di ragionare, perché sentiva puntata addosso un'arma dalle sue stesse mani.
Ma quello che contava, in quel preciso istante, non era la pistola, non era la canna in bocca, non era il suo pollice sul grilletto e non era nemmeno ciò che era successo.Ciò che contava era che Albino non stava pensando.
 
Il sole splendeva dalle prime ore del mattino, l'aria era fresca e Albino decise di fare una passeggiata in città. Doveva comperare delle cartoline da spedire ai suoi amici e ne avrebbe approfittato per godersi all'aria aperta quella sua giornata di riposo. Quella mattina non dovette svegliarsi alle sette per andare a lavorare.
Camminava per le vie della città osservando la gente e qualche volta alzando lo sguardo per ammirare il sole splendente. Si sorprendeva, a volte, perché certe giornate sembravano fatte apposta per essere giorni di festa, o di riposo.
Passava accanto alle bancarelle, Albino, col solo pensiero di dover scegliere qualche cartolina da spedire agli amici. Già, perché bisogna far sapere agli altri quando si ha afferrato l'occasione di poter andare a lavorare in una grande e bella città, specialmente se quella città è Venezia.
Passava accanto ai tavolini dei bar, attraversava i ponti, passava accanto alle ragazze che distribuivano volantini e non si fermava.
 
Uscendo dalla cartoleria con una borsetta di plastica in mano, Albino decise di tornare al suo alloggio lentamente, perché tanto non aveva nessuna fretta.
Oltre al sole splendente nel cielo azzurro, poteva ammirare anche le ragazze carine che incrociava per strada. Ce n'erano molte, infatti.
Tornato all'alloggio, avrebbe iniziato a scrivere le cartoline, con qualche saluto formale per i suoi nuovi amici e qualcun altro più informale per gli amici più cari.
Camminava lentamente, Albino, sostava a volte per qualche attimo per porre attenzione agli artisti cosiddetti "di strada" che dipingevano vedute del luogo.
Attraversava i ponticelli e incrociava lo sguardo della ragazza che gli porgeva il volantino pubblicitario del locale più vicino. Incrociava il suo sguardo per un brevissimo attimo, senza pensare a nulla, ma accorgendosi che lei, anche se per un solo istante, lo stava guardando. E prendeva il volantino, mettendolo dentro la borsetta, perché tanto non c'era molta differenza tra il prenderlo o meno, per lui.
Solo in una notte particolare, nel suo ultimo attimo di consapevolezza, Albino avrebbe potuto rendersi conto che c'era invece una differenza sostanziale tra due cose che quella ragazza e lui avrebbero potuto fare, che però non erano il prendere o il non prendere il volantino, perché il volantino non c'entrava niente.
 
Da ormai due settimane Selene faceva quel lavoro: l'unico che era riuscita ad avere e che non le costava neanche molta fatica. Aveva già capito come non farselo pesare troppo, anche se avrebbe potuto dire che quel lavoro, se così si poteva chiamare, non la appesantiva neanche molto.
Mentre distribuiva i volantini del Burghy, cosa che non richiedeva una particolare concentrazione, Selene poteva pensare a tutt'altro, con il sorriso sulle labbra. Il suo aspetto fisico, infatti, la rendeva degna di una certa attenzione da parte dei passanti, che, a volte incantati dal suo fascino, afferravano i suoi volantini.
Selene pensava quindi ad altro, mentre li porgeva alla gente. E a volte, in certi momenti, le capitava addirittura di non pensare a niente, consegnando quei volantini, con un sorriso sulle labbra e magari incrociando lo sguardo di chi li prendeva.
 
C'era stata molta gente, quella sera, in ristorante, e Albino aveva corso parecchio per servire a tutti i tavoli. Aveva sudato molto, quella sera, ma alla fine era soddisfatto del lavoro che aveva svolto.
Alla fine del servizio si cambiò, uscì dal ristorante e si diresse verso il suo alloggio, un po' in fretta. Ma quando passò attraverso un vicolo, reso buio dalla notte, si trovò di fronte ad un uomo armato di pistola, che gli disse di volere il suo portafoglio. Albino non glielo consegnò, ma, dopo averlo preso tra le mani, lo gettò dietro di sé, affinché l'uomo si allontanasse per prenderlo. Non aveva nemmeno tanti soldi, nel portafoglio.
Ma l'uomo non si allontanò, non si mosse nemmeno da lì, da dove si trovava, e gli puntò contro la pistola, con il braccio teso, all'altezza del petto. Albino aveva paura, sperava che non gli accadesse nulla di brutto. Ma in quel momento non pensò troppo a cosa fare.
Con la velocità di un lampo, Albino afferrò la pistola puntata contro di sé, dopo aver litigato per un brevissimo attimo con la mano di quell'individuo. E ora aveva la pistola tra le sue dita, ma sempre puntata contro di sé.
L'uomo, con un'espressione più che sorpresa nel volto, spaventata, si scaraventò contro di lui, o almeno quella era la sua intenzione, prima che Albino si rifugiasse addosso ad una parete di quel vicolo. L'unica cosa che riuscì ad afferrare, quell'uomo, fu il portafoglio di Albino, per terra, dopodiché se ne andò, correndo, da quel vicolo buio.
Lasciando Albino a lottare contro il suo destino.
 
Ecco che cosa rimane di me, pensò Albino. Anzi, non lo pensò, ma si rese conto che forse avrebbe dovuto pensarlo. Già, avrebbe dovuto pensarlo, o forse avrebbe dovuto pensare qualsiasi altra cosa e non quella.
Nella sua mente si fissò un'immagine nitida e forte: quella di due occhi verdi, sconosciuti o forse no, che lo fissavano penetranti, ed in essi era riflesso il suo volto spaventato e sconvolto. Due occhi accesi, splendenti più del sole in una bellissima giornata d'estate.
Solo l'immagine nitida di un paio di pupille gli occupava la mente in quel momento. Nessun pensiero.
La canna della pistola si inseriva nella sua bocca, guidata dalle sue mani, e mentre il grilletto stava per venire premuto dal pollice, quegli occhi si chiusero.
E il suo volto svanì.
 
Continuava a distribuire volantini, Selene, sopra a un ponticello di Venezia. Continuava a farlo quasi tutti i giorni, perché non aveva trovato un lavoro migliore. Continuava a incontrare lo sguardo della gente, a volte senza pensare a niente. Anche lei, senza saperlo, si trovava spesso tra il presente e l'eternità, nello spazio tra quel ponte e l'aldilà. E non poteva quindi sapere che forse avrebbe dovuto stare attenta, ogni tanto, invece di non pensare a niente, perché averlo fatto, per Albino, si era rivelato fatale.
Selene distribuiva volantini e la sera poteva rimanere a casa oppure uscire con le amiche. Quel lavoro non le comportava nessuna scomodità.
Se anche a lei, un giorno, fosse capitato, in un momento di sconforto in cui la sua mente non avrebbe articolato nessun pensiero, di farla finita, lo sguardo di Albino le sarebbe apparso, come gli occhi di lei erano apparsi ai suoi nell'attimo fatale che lo aveva portato nell'aldilà. Ma questo non le doveva succedere, perché, anche se Selene non lo sapeva, Albino, forse senza accorgersene, aveva amato i suoi occhi nell'attimo in cui i loro sguardi si erano incrociati.
Quando Selene percorreva il tratto di strada che faceva Albino dal ristorante in cui lavorava al suo alloggio e dal suo alloggio al ristorante, poteva farlo rivivere, o meglio far rivivere il suo sguardo, perché i suoi occhi, ora, riflettevano quelli di lui.
 
 
 
IL BIVIO
 
Non riuscivo ad immaginarmi come sarebbe andato l'esame che dovevo dare prima di luglio. Cioè, sapevo gli argomenti su cui sarei stato interrogato, ma non riuscivo a immaginare me stesso lì a parlare, o a recitare pure qualcosa a memoria. Non potevo sapere chi mi avrebbe interrogato, o chi mi avrebbe posto domande a cui forse non avrei saputo rispondere.
Ma la cosa che più mi preoccupava non era la possibilità di fallire l'esame, sbagliando le risposte o facendo scena muta. E non era nemmeno il pensiero di dover studiare e ripassare chissà quanto per distruggere l'ansia che quasi sempre, in vista di un esame, mi portavo dentro.
La cosa che più mi preoccupava era il fatto che non sapevo esattamente dove si trovava la sede in cui avrei dovuto fare quell'esame. Sembra una sfortunata coincidenza, ma l'unica persona che conoscevo che aveva fatto un esame lì, Ilenia, e a cui quindi avrei potuto chiedere informazioni, era partita da tre giorni per due settimane di vacanza.
Fortunatamente, però, prima di andarsene, Ilenia mi lasciò un messaggio nella segreteria telefonica, con il quale mi spiegava, seppur approssimativamente, la strada da percorrere per giungere in quel luogo. Ilenia, qualche mese prima, aveva svolto un esame scritto al quale anch'io avevo partecipato. Avendomi conosciuto, aveva capito che ero un tipo che appariva spesso disorientato e che non mi ambientavo facilmente in posti nuovi. Così decise di lasciarmi delle indicazioni, che a me risultarono preziosissime.
Ilenia parlava di un incrocio, al quale dovevo girare a sinistra. Più avanti, avrei trovato un cimitero sulla sinistra e sulla destra un supermercato, dopo del quale dovevo girare a destra. Il percorso continuava con un rettilineo di circa ottocento metri, lungo il quale avrei attraversato un passaggio a livello e sarei poi giunto ad un bivio, al quale dovevo prendere la strada di sinistra. Dopo trecento metri circa, c'era la sede.
Riuscii a trovare la strada piuttosto facilmente, quel giorno, grazie alle indicazioni di Ilenia, e superai l'esame, con un po' d'ansia, sì, ma con la convinzione che ce l'avrei fatta.
Solamente dopo circa una settimana da quell'esame mi chiesi che cosa avrei fatto se Ilenia non avesse avuto l'accortezza ed il buon cuore di spiegare la strada ad un ragazzo sbadato e distratto come lo sono io. Sicuramente, pensai, non avrei saputo come affrontare quella situazione con una disinvoltura e una sicurezza adeguate, perché, non essendomi più possibile rintracciare Ilenia, avrei dovuto trovare il percorso da solo, impiegando per farlo una parte del tempo che mi sarebbe stato necessario per prepararmi adeguatamente.
Mi ricordai poi che nel messaggio Ilenia mi aveva particolareggiato la parte della strada in cui sarei giunto al bivio. Mi raccomandava di andare a sinistra, perché se avessi preso la destra, diceva, avrei sbagliato completamente direzione e sarei arrivato da tutt'altra parte.
Ilenia aveva ragione e direi che se non mi avesse indicato la strada da prendere, a quel bivio, forse ora io non sarei nemmeno qui a raccontare l'esito di quell'esame.
Quando Ilenia tornò dalle vacanze, andai a trovarla, un pomeriggio, se non altro per ringraziarla. Credevo di trovarla rilassata, dopo quel suo periodo di svago. Ella, invece, non mi apparve molto serena, anzi, sembrava che durante le sue vacanze fosse andata incontro a degli avvenimenti spiacevoli. Nonostante mi preoccupasse il vederla così giù di morale, non le chiesi delle spiegazioni, ma mi limitai a ringraziarla e a raccontarle dell'esame.
Ilenia era strana, quel giorno, e richiamò la mia attenzione al messaggio che mi aveva lasciato prima dell'esame. Iniziò a parlarmi dopo avermi invitato a sedere al tavolo della cucina.
"Vedi, Benjamin, tutti giungiamo a delle diramazioni, prima o poi, ma il più delle volte non ci accorgiamo, non sappiamo se quello è proprio il bivio della nostra vita. E così prendiamo la strada che ci capita, o quella più comoda, non sapendo a che cosa andiamo incontro. O, forse, credendo di saperlo, e constatiamo poi, magari troppo tardi, che si tratta del percorso sbagliato."
Ascoltai queste parole e pensai che probabilmente si riferiva a qualcosa che le era successo, ma non ritenevo opportuno chiederle nulla. Pensai che se avesse voluto svelarmi qualcosa, lo avrebbe fatto senza che io glielo avessi chiesto.
"Io ti ho spiegato la strada da percorrere per fare quell'esame e la direzione da prendere a quel bivio con un po' d'ironia, ma non avevo avuto nemmeno la vaga intuizione che tutto ciò era la metafora di quello che mi stava accadendo. Non mi rendevo conto dell'importanza della mia situazione e del fatto che se cambiavo direzione ero persa. Tutti giungiamo ad un bivio, con o senza un'idea di dove andare, e quello è il bivio della nostra vita. Basta cambiare direzione e si è fottuti!"
Finì di parlare con il viso rattristato ed in preda alle lacrime. Io non toccai nessun argomento che la riguardasse, anche perché non sapevo di cosa trattasse il suo problema. O di cosa si fosse trattato.
Cercai allora di rasserenarla senza alludere a nulla.
"Bisogna lottare, Ilenia. Dobbiamo mettercela tutta." Dissi. Lei, però, come se non mi avesse sentito, disse dell'altro, alzando la voce.
"Ma tu dimmi se ti trovi ad un bivio, poi, che cazzo fai? Dipende sicuramente da te, cazzo, ma prova a trovarti lì!"
Mi colpirono allora le sue parole. Non per come si fosse espressa, ma perché capii che si riferiva alle debolezze di tutti noi, che ci assalgono quando dobbiamo fare una scelta, più o meno importante. Pensai che quasi sicuramente, in quel suo periodo di vacanza, Ilenia avesse dovuto prendere delle decisioni particolari che per forza di cose si erano rivelate ingannevoli e lei, probabilmente, non poteva farci niente e si disperava per questa sua impotenza. Riguardo a quello che aveva detto, la capivo perfettamente e lei non aveva certo il diritto di condannarsi.
Dopo un po', quando lei si riprese da quello sfogo, bevemmo assieme del tè che aveva preparato prima.
La felicità per il mio esame svanì di fronte all'angoscia di lei come qualcosa di insignificante. E lo era sicuramente, pensai.
Parlammo per circa un'ora del più e del meno. Poi, prima di andarmene, la salutai con un abbraccio e la ringraziai ancora. Le dissi che avevo il suo numero telefonico e che l'avrei chiamata presto. Magari avremmo potuto metterci d'accordo per fare anche una gita assieme, tra un esame e l'altro.
Scesi poi dalle scale ed uscii in strada.
 
Dove ho parcheggiato l'auto ah sì in fondo a sinistra che begli alberi e che aria fresca qui in città per essere estate non è male ha scelto proprio un bel posto Ilenia dove studiare chissà magari ci viene a vivere un giorno o l'altro c'è un bellissimo tramonto nel cielo ormai scuro e cazzo non mi sono nemmeno accorto di essere andato in fondo a destra adesso dove sono...
 
 
PAGINE
 
Non avevo mai amato la lettura prima d'allora. Non c'era nessuno né nessuna cosa che mi avesse potuto convincere. Non c'era nulla che potesse avermi incollato a quel libro: un maledetto libro che mi stava distruggendo. Non sapevo se lo avessi quasi finito o lo avessi appena cominciato, sapevo solo che lo stavo leggendo. Già, lo stavo leggendo nel più assoluto silenzio da non so quante ore, forse addirittura da qualche giorno. E scorrevo le righe, girando uno dopo l'altro quei fogli che mi facevano quasi impazzire. Non avevo più mangiato da quando, per caso, avevo aperto quel maledetto libro. Sì, ancora maledetto. Mi voleva uccidere, forse mi voleva suo. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da esso, non potevo. Le parole mi incollavano, mi costringevano a continuare. E, seppure fossi così forzatamente interessato ad esso, non sapevo se quel libro fosse diviso in capitoli, se avesse degli stacchi, o se fosse compatto come un unico pensiero. Ad un certo punto la testa cominciò a farmi male, ma, pur sapendo che era a causa della lettura, non volevo smettere di scorrere i miei occhi lungo quelle frasi. Un'altra cosa non sapevo: di che cosa parlasse quel libro. Non ne avevo nemmeno una vaga idea, dovevo solo leggerlo.
Con il tempo sarebbe diventato una vera prigione per me. Non potevo bere, né mangiare. E mi dicevo che forse sarei morto proprio con quel libro in mano, con la pelle attaccata alle ossa e con la schiena curva. Solo la morte, a quel punto, sarebbe stata la mia unica amica. Solo lei, che mi avrebbe portato via finalmente da quella lettura affascinante. Sì, perché, anche senza sapere l'argomento e la storia narrati da quel libro, esso mi affascinava. Oh, sì, mi affascinava eccome, altrimenti non lo avrei aperto.
Non so ancora, o meglio non so più, che cosa mi incuriosì, perché non ricordo nessun pensiero che mi avesse attraversato la mente prima di aver aperto quel libro.
Non ricordo nemmeno se ci fosse stato un autore, ed avevo pure un vago dubbio sulla sua esistenza, perché la particolarità di quel libro era troppo rara, anzi, oserei dire unica in assoluto, perché mai prima d'ora mi era capitato un libro come questo fra le mani. Non sapevo dov'ero, non sapevo nemmeno cos'ero, certamente una creatura in grado di leggere. Ma non sapevo che lavoro facevo, se studiavo ancora o se ero già vecchio.
Non potevo sapere nulla. Solo quel libro riusciva ad informarmi di qualcosa, qualcosa di cui non posso parlare. Non perché non ne voglio parlare, e nemmeno per invogliarvi a leggere questo libro, affinché anche voi siate prigionieri delle sue parole. No, per carità, vi auguro di non trovarlo mai, di non passarci nemmeno vicino se per caso esso si trovasse nello scaffale di una libreria. Non vi voglio augurare nessun male, perché questo è il male, non poter fare altro che una cosa: leggere.
E quindi spero che voi non abbiate mai a che fare con questo libro, o comunque che, nel caso estremo, voi non lo apriate mai. Perciò vi avverto, dato che non so nemmeno il titolo di esso e sinceramente non so nemmeno se ha un titolo, ogni volta che vi capita un libro tra le mani, in qualunque posto voi siate, pensateci a lungo prima di sollevare la copertina. Vi prego, pensateci a lungo e ripensate a queste righe che voi avete letto su questa carta, che non sono altro che la reincarnazione dei miei pensieri.
Perché, come vi ho spiegato, non potevo fare più nulla, se non pensare. La mia mente non aveva più nemmeno la possibilità di coordinare i miei arti, perché era occupata a tradurre in parole quei segni ormai insignificanti che mi assillavano.
Ora non so da dove vengo, non so dove sono, non ricordo chi sono, purtroppo non so nemmeno se ci sono o se non esisto più. Non so se sono ancora vivo o se sono già morto, ma so solo che sto continuando a leggere.
 
 
Clicca qui per leggere il poesie

Torna alla Home Page

 

 

PER COMUNICARE CON L'AUTORE mandare msg a clubaut@club.it . Se ha una casella Email gliela inoltreremo.
Se non ha casella email te lo diremo e se vuoi potrai spedirgli una lettera presso «Il Club degli autori, cas.post. 68, 20077 MELEGNANO (Mi)». Allegate Lit. 3.000 in francobolli per contributo spese postali e di segreteria provvederemo a inoltrargliela.
Non chiederci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2000 Il club degli autori, Giuseppe Bonan
Per comunicare con il Club degli autori:
info@club.it
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit
 

IL SERVER PIÚ UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop |
ins. data