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Prefazione
- Questa nuova
silloge di poesie, dedicata per la maggior parte alla
luna, è una prova positiva di un ulteriore
lavoro di Rino Passigato che dimostra di essere ancora
una volta attento osservatore della natura con le
suggestioni e gli incanti che luna, cielo, sole,
alberi, fiumi ed animali sanno regalare agli
uomini.
- In queste poesie
che creano una sorta di monologo personale con la luna
si aprono in continuazione nuovi scenari, si assiste a
ripetute rivelazioni in un susseguirsi di emozioni e
di abbandoni.
- Ecco allora che la
luna si fa vomere che fende le nubi fino a squarciarle
per aprirsi un varco; con i suoi raggi agghinda gli
uomini che si addormentano nelle mani della
stanchezza; fa tornare alla mente i voli spaziali alla
sua conquista e i ricordi dell'infanzia; si annuncia
pallida e si specchia sulle acque del laghetto o si fa
vergognosa e si copre con i veli d'una nube; a volte
sembra scomparsa forse impigliata tra i rami dei lecci
o dei castagni o magari nascosta nelle tane o cacciata
via dalla violenta bufera della notte.
- La luna è
tonda e bella, morbida ed evanescente, timida e
fatata; luna gelosa che spia i baci di due innamorati;
luna violata come cadavere abbandonato sulla terra: un
mite bagliore che fa tornare alla mente un firmamento
di ricordi.
- La casa rossa degli
zii con l'aroma di caffè che si spandeva nella
stanza, il campanile e i crocchi di gente riuniti alla
sera per narrare le fantasie della giornata, i ricordi
di famiglia tristi e gioiosi, la nascita del figlio,
il primo vero amore, il matrimonio, gli amici
ritrovati: e poi il periodo dell'infanzia quando da
ragazzo Rino Passigato seguiva i percorsi delle
chiocciole, sognava un mondo senza tempo, mangiava
bacche e mirtilli, beveva l'acqua dei ruscelli, si
distendeva sull'erba dei prati e correva per
abbracciare il vento, per rubare i raggi della luna,
scoprire nuove stelle e guardare le lucciole nelle
sere primaverili.
- Sono proprio i
colori della primavera, tra fiori e profumi, che fanno
ricordare il volto dolce della madre, le sue mani
screpolate dall'acqua gelata, la sua pelle odorosa di
fresche mattine e la sua voce che chiamava per
desinare. Nel frattempo la vita si rinnovava tra gioie
e dolori, in una girandola di sogni, in una folla di
desideri e le ferite della vita con le dolorose
cicatrici sembravano svanire nel magico fascino di un
arcobaleno ed il desiderio di abbandono si impadroniva
della mente fino a farsi trasportare da una folata di
libeccio quasi a voler dimenticare le presenti
angosce, le paure e le fatiche di ogni
giorno.
- In una esplosione
della natura tra rossi papaveri sparsi in messi
bionde, ciclamini e margherite di campo, fragole e
lamponi, ciliegi e tenue sfrascar dei pioppi, prati di
eriche e farfalle variopinte ecco infine riemergere
sempre quello sguardo affettuoso al passato quando
bastava così poco per essere felici e per
regalare un sorriso.
- Le atmosfere
incantate dei sentieri del bosco, le fantasticherie
sotto le fronde agitate dal vento e le meraviglie del
cielo non sono ambienti da favola ma la realtà
vissuta dall'autore che pone sempre alla base della
sua visione poetica l'idea dell'uomo e la sua
capacità di saper assaporare la bellezza
inesauribile di quel mondo.
- Conduce per mano a
scoprire i sentimenti e le suggestioni di un uomo:
ogni pensiero, ogni sogno ad occhi aperti, le passioni
e i sentimenti sfociano in un canto solo
apparentemente solitario perché alla fine non
è altro che un inno alla bellezza
divina.
-
Massimo
Barile
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- Poesie
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- IL
VOMERE DELLA LUNA
-
- Il
vomere della luna
- fende
le nubi.
- Non
più streghe a passeggio
stanotte,
- ma
chiassosi rumori dall'officina,
- dove
si continua la fatica del giorno.
-
- Getta
la lenza
- nelle
acque del fiume il pescatore;
- cattura
fragranze d'alghe,
- carezze
di nuvole.
-
- Il
vento ha visitato
- il
cimitero delle falene,
- portandovi
petali azzurri e rossi
- di
prataioli.
- Solitario
un raggio di luna
- si
ferma a far luce.
- Qualche
insetto notturno
- calpesta
i petali
- e
piange;
- ha
perso le compagne di gioco.
-
- La
luna coperta
-
- Ho
visto una saetta impigliarsi tra
- siepi
di nubi, la luna che
- tentava
di aprirsi un varco tra quella
- baraonda
di nembi e cumuli e ammassi
- di
nuvole; non ci riusciva,
- tentava
da un'altra parte, subito
- accorreva
un altro cumulo nembo
- a
tapparla nella sua tana.
- Uno
schiocco forte improvviso diede
- Inizio
alla pioggia, scrosci ispessiti
- e
radi copiosi e stantii. Era tutto
- un
correre a destra e a manca a salvare
- i
banchetti che restavano aperti
- tutta
la notte. Qualcheduno stava
- in
piedi dondolante, altri erano
- crollati
e giacevano in un mucchio
- di
roba zuppa bagnata. D'un tratto
- la
luna riuscì a passare per
quell'ammucchiata
- di
nubi e a sistemarsi bella linda
- tonda
nel cielo; più morbida
- ed
evanescente, più tonda e
bella
- brillava
nell'acqua del fiume,
- dove
un rapido vapore passando,
- la
sbrindellò.
-
- AGGHINDARSI
CON RAGGI DI LUNA
-
- Agghindarsi
con raggi di luna
- e
falene colorate,
- correre
dietro
- all'ultimo
refolo sapido di sale,
- imbavagliarlo
e nasconderlo
- dove
né il mare né il vento né
le nottole
- possono
a liberarlo.
- Saltellare
- sull'ultima
lingua d'acqua della spiaggia;
- gli
spruzzi ci bagnano
- le
natiche il petto,
- ci
arrossano gli occhi.
- allungarsi
sulla rena
- col
fiato che chiude la gola,
- avvoltolarsi
in un goloso abbraccio,
- nudi
- sotto
gli occhi del firmamento,
- mentre
lontano passeggia
- il
suono d'un vapore.
- Appisolarsi
nelle mani della stanchezza,
- fino
a che la voce della prima aurora
- non
viene a darci la sveglia...
-
- LA
CASA DEGLI ZII
-
- Casa
rossa accarezzata dal tenue
- sfrascar
dei pioppi; tutto intorno un fosso,
- interrotto
da un ponticello, scosso
- da
cricchiare di legni e traballare
- d'assi.
Casa rossa, casa degli zii;
- rossi
i papaveri tra bionde messi,
- rossa
la chioma del ligneo ciliegio,
- rossa
la soglia della grande sala,
- dove
zia Flora ci aspettava, un denso
- aroma
di caffè tra le due mani.
- Casa
rossa di quando ero bambino
- e
andavo a fare visita ai parenti.
- L'aia
schiamazzante d'animali: bianche
- oche,
il collo al cielo, bianche galline
- per
le uova, bianco calce il magazzino,
- dove
lo zio custodiva gli arnesi,
- bianco
di cipria il viso di zia Flora,
- saltellante
di gioia per il nostro arrivo.
- Giungevamo,
quando l'aria faceva
- girellare
il rosso dei papaveri
- al
sole e le rosse dalie e le zinnie
- maculate
rispondevano svelte.
- Quanto
mi sono divertito in quella
- casa
col gatto bianco, che il bravo zio
- lanciava
contro il gallo per la lotta
- cruenta!
Casa lontana nei ricordi.
- Le
zucchine, i prelibati meloni,
- che
lo zio mostrava dalla finestra
- per
invogliare la nostra gola.
- Il
viso impiccato all'ampio balcone,
- ci
metteva sotto il naso i pulcini
- e
rosse angurie. Casa rossa, casa
- degli
zii, dove nacque il nonno e il
padre.
-
- IL
NOVECENTO
-
- Te
ne sei andato, lasciandoci
- un'amara
eredità
- (sangue,
miseria e carestia).
- Sulle
spalle porti i macigni
- di
due grosse guerre,
- sul
volto gli sfregi dell'odio
- e
del sangue, che escono dalle fosse
- del
Kosovo e della Serbia.
- Te
ne sei andato senza il dono
- d'un
sorriso o un breve souvenir
- di
gioia o di piacere. Di curioso
- ci
ricordiamo i voli spaziali,
- la
conquista della luna, la nuova
- energia
atomica, che assieme
- ai
viaggi interstellari
- ha
lesionato la stratosfera
- e
ferito gli strati d'ozono,
- lasciandoci
la triste previsione
- che
un bel mattino ci sveglieremo
- col
cadavere della luna
- abbandonato
sulla terra.
-
- UN
FUGGI FUGGI
-
- Un
fuggi fuggi di desideri,
- la
mente li insegue di buona lena;
- ma
ahimè inciampa
- e
rotola nella scarpata.
- Ferita
contusa si rialza,
- preoccupata
solo dei dolorosi lividi
-
- TI
BASTAVA POCO
-
- Ti
bastava una spolveratine
- di
cipria di quella economica,
- non
profumata, un po' di nero
- intinto
col dito nella caligine
- della
pentola dei fondi del caffè e
- ti
credevi truccata come una
principessa.
- Ti
bastava poco... Il sorriso
- della
nipotina che ti correva
- dietro,
perché la coccolassi
- tra
le braccia. Una taroccata
- del
"to vecio", perché la
pastasciutta
- era
scotta. Tu gongolavi:
- "Finalmente
si è accorto che il pranzo
- l'ho
preparato io. "Ti bastava
- la
felicità dei tuoi (Figli e
nipoti).
- un
vestitino a una tinta per andar
- alla
messa. Con tanto amore,
- come
lo sapevi dare tu, mamma,
- magari
cercandolo in un mazzetto
- di
prataioli o di margherite da campo,
- preparate
sul tavolo al posto
- "Del
to vecio"...
-
- E
FU VIOLATA LA LUNA
-
- E
fu violata la luna...
- Le
scarpe di sughero,
- il
belletto sulle guance,
- ogni
sera entravi dalla finestra
- a
narrarmi le favole
- vissute
nel cosmo.
- Ti
specchiavi sulle acque del laghetto
- ed
attendevi le capriole
- di
qualche cavedano
- per
prenderlo nella rete.
- Ora
hai dovuto vendere
- le
tue fiabe all'asta
- per
esserti concessa
- ai
tuoi profanatori.
- E
non scendi più la sera
- a
raccontarmi dello gnomo
- che,
stanco di far legna nei tuoi boschi,
- si
addormentò in riva al
torrente,
- dove
stavi facendo il bagno.
- Non
sa più di ciclamino il tuo
profumo
- e
il tuo viso pallido
- non
si fa più vedere nello
stagno.
- Erano
altri tempi,
- quando
puntuale
- ti
paracadutavi sulla terra
- per
muovere un sorriso
- sulle
bocche degli ammalati,
- regalare
foulards di seta alle ragazze
- e
bonbos fiabeschi ai più
piccini.
-
- IL
PALLIDO GLOBO
-
- Do
un nome ai minuti
- perché
si muovano più lenti.
- Anche
stasera la luna
- si
annuncerà
- col
suo pallido globo
- al
bimbo che sogna
- di
sbarcarvi sopra
- per
trovare
- dove
si nascondono le Parche
- che
srotolano lo stame
- della
vita,
- la
Mente che ha creato le stelle,
- l'angolo
in cui è stato sepolto
- lo
scudo di Ettore...
-
- SOLO
CON IL VENTO
-
- Il
viale è deserto, un cane
randagio
- ferma
ad ogni pianta: sono da solo in
- compagnia
del vento, che fa tremare
- le
foglie delle piante; alcune
- cadono
e ad ogni raffica si rincorrono
- per
i marciapiedi, si nascondono
- nei
fori luce delle cantine.
- Guardo
l'ora. I primi ospiti saranno
- già
al secondo piatto. Io tranquillo
- alzo
il bavero, osservo la via deserta;
- ancora
due isolati e sarò giunto.
-
-
- LACRIME
DI LUNA
-
- Sono
lacrime di luna
- le
gocce di rugiada
- che
brillano al primo sole
- e
scherzano con i prataioli
- le
margherite le mammole
- e
se ne vanno
- dopo
aver dato l'avvio
- alle
piante
- su
cui hanno dormito.
-
- La
luna, osservata ogni cosa,
- s'è
messa il collirio
- per
decongestionare gli occhi.
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