Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordientiRino Passigato
Ha pubblicato il libro
Rino Passigato &endash; L'equazione è irreversibile Collana I gigli (poesia) 15x21 - pp. 48 - L. 13.000 - Euro 6,71 ISBN 88-8356-215-1
Prefazione
- Nei nostri momenti di riflessione o di meditazione, a volte, sognamo una vita lontana dai pericoli, senza preoccupazioni, quasi protetta sotto una campana di vetro: intoccabile e perfetta nella sua immobilità.
- Oppure, altre volte ancora, invochiamo garanzie cosmiche per le nostre azioni ed iniziative, trasformando il mondo della natura e della nostra storia in un teatro d'azione che riceve influssi benevoli.
- La parola chiave di cui Rino Passigato si serve nei momenti di riflessione è il ricordo.
- I sentimenti, la natura con i suoi ritmi, i luoghi della fanciullezza con i suoi paesaggi e ancor più intensamente l'ambiente familiare si annodano l'uno con l'altro formando il gomitolo della memoria, del ricordo: e noi sappiamo che quasi sempre i ricordi ci colgono di sorpresa.
- Anche se utilizziamo tutte le nostre energie per allontanare la nostalgia, capita di trovarci in situazioni che ci tengono prigionieri e dalle quali non sembra consentito o possibile sfuggire.
- È una situazione ammantata di durezza, non malleabile, densa di irrevocabilità sia a livello storico che esistenziale.
- L'uomo deve passare attraverso queste situazioni e cercare di capirle, venirne a capo, dipanare i grovigli di una matassa sempre più complessa: ma i fatti sono sempre irrevocabili e determinano situazioni che noi non possiamo trasformare.
- Non è possibile, se non metaforicamente, annullare il tempo, cambiare il passato: ciò che abbiamo fatto un certo giorno della nostra vita non si può cancellare.
- I nostri gesti, le iniziative intraprese, gli amori vissuti lasciano la loro traccia indelebile e si incidono nella storia con i personaggi attivi o passivi che siano e la considerazione finale è che tutto è andato/ resta solo la memoria/ a conservare qualche bel ricordo e a nulla serve sperare che il tempo inesorabile non cancelli quei giorni perché davanti ai nostri occhi abbiamo gli amici invecchiati che tentano invano di srotolare all'indietro/ il gomitolo del tempo.
- In questa continua affermazione della memoria il poeta si sofferma ad ascoltare la sua anima, s'intristisce nel vedere le rondini/ adunate sulle grondaie in attesa della partenza verso il sud; osserva le stagioni che se ne vanno, sente gravoso il passare degli anni e con forza riesce a dire mi ossessiona il passo del tempo/ da millenni/ in corsa verso l'ignoto/ sulle spalle il tascapane della fuggevole vita.
- È così che ripercorriamo allora la memoria, le nostre fantasie da bambini quando nei prati si annodavano aquiloni e dalla costa erbosa si udivano gridi di gabbiani e rumori di risacca.
- E come non ricordarsi la minuscola bici / scalcagnata e sbilenca con la quale si correva per i viottoli con gli inevitabili capitomboli e le immancabili ginocchia sbucciate; i giochi ingenui con i lacci di fieno per catturare le cicale/ le scatole per rinchiudere i grilli/ le bottiglie per imprigionare i girini del fosso.
- L'età delle illusioni e della fanciullezza quando i giochi erano innocui, la scoperta della vita era dolce e lo sguardo rivolto ad una fanciulla faceva tremare: ogni cosa è passata come in un giro di giostra e tutto è diverso.
- Non si può viaggiare sul treno dei sogni, non si possono rapire i colori dell'arcobaleno: l'equazione è irreversibile e nuovi giovani attori/ percorrono le redole ... giovani nostalgie, tiepidi rimpianti/ a cavallo d'uno scaltro refolo.
- Per non smarrire i valori della propria anima, per non dimenticare chi siamo e per affrontare il futuro a testa alta il ricordo diventa fondamentale perché ogni evento si lega ad un altro con un sottile filo che unisce il tutto: la nostra vita.
Massimo Barile
- La caffettiera
- Va sbuffando la caffettiera,
- che mi porta di là dei colli,
- attraverso paesi sparsi
- sulle montagne,
- città grandiose, dove
- perdersi è d'obbligo.
- Attraversare le vie affollate
- di vetrine. Vorresti fermarti
- ad ammirare i gioielli.
- Non c'è tempo; bisogna andare.
- La solitudine m'è compagna,
- il silenzio mi fa chiedere: "Perché?"
- E vado... Le rondini
- sono volate al caldo;
- è passata la rovente estate.
- Non c'è più la bionda barista.
- Al suo posto c'è una donna attempata
- dai capelli bianchi.
- Quanti sogni di lune verdi
- e bianche calendule
- e giorni di successo!
- Tutto è andato; resta solo la memoria
- a conservare qualche bel ricordo.
- Non cancellare, tempo
- inesorabile, quel giorno.
- Eravamo tutti alla festa
- di Capodanno. Ora mancano in molti
- all'appello. Chi è volato a migliore
- vita. Chi è invecchiato e tenta invano
- di srotolare all'indietro
- il gomitolo del tempo.
- Fantasie bambine
- Potessi ritrovare il prato dove
- venivo bambino ad annodare
- con ciuffi di vento colori
- di arcobaleni per costruire
- lesti aquiloni.
- Nodi di sole evaporavano
- le gocce di rugiada sulla costa
- erbosa e la mia
- fantasia, catturati gridi
- di gabbiani, rumori di risacca,
- sciacquii d'attracco
- li imprigionava
- nella conchiglia più capace
- per avere vicine
- le voci del mare, quando era
- costretta in sterili deserti
- a cercare un'oasi per saziare
- l'asciutta realtà.
- Ho rubato guizzi di sole
- Ho rubato guizzi di sole
- per scaldare
- il cuore degli indifferenti,
- ho raccolto favi
- pingui di miele
- per addolcire
- i sentimenti degli egoisti,
- sono stato gabbato
- dalla fiducia
- che riponevo nelle persone.
- Il cilicio degli anni
- M'intristisce il manipolo di rondini
- adunate sulla grondaia,
- in attesa di partire per il Sud.
- Se ne vanno con loro
- le giornate cariche di felici tepori.
- Il cielo brumoso
- contagia d'ittero
- le piante
- che già stanno ingiallendo.
- Un'altra stagione
- che fa i fagotti.
- Sempre più gravoso diventa
- il cilicio degli anni.
- Mi ossessiona il passo del tempo
- da millenni
- in corsa verso l'ignoto;
- sulle spalle
- il tascapane della fuggevole vita.
- Ai giardini di Porta Venezia
- Era goloso incontrarsi ai giardini
- di Porta Venezia. Avevi ogni volta
- tante curiosità da raccontarmi.
- Ero felice di avere trovato
- una compagna. Giravamo a zonzo
- per i viali. Presto dovevi andare.
- Rimanevo solo ad indovinare
- da dove veniva l'aria carica
- di fragranze d'Aprile. Sospiravo;
- ero smanioso che giungesse presto
- l'indomani mattina per riaverti.
- Mi sedevo su una panchina vuota
- e contavo i passanti; molti anziani
- a caccia di ossigeno. Raccoglievo
- le voci vicine per farne un goffo
- canestro di alti e bassi, a cui aggiungevo
- il canto di un merlo per conservare
- tutto nella memoria. Mi teneva
- compagnia per parecchio tempo. A volte
- arrivava improvvisa una bufera:
- schiocchi e balzi di saette e strati nembi.
- Dovevo fuggire via.
- Lei è felice
- Se desideri un nido di rondine,
- con gli implumi che giocano a rubarsi
- di bocca le mosche, se vuoi la voce
- delle messi che dondolano
- alla brezza, se desideri
- corde di vento per arrampicarti
- fino al nido delle aquile e acrobazie
- di delfini, le capriole di gabbiani
- che ti scortino fino alle Antille,
- nidi di cicale. Tutto ti posso
- regalare, ma i vagiti,
- che mordevano l'aria;
- quelli non te li posso far avere.
- La rosa bianca
- La rosa bianca
- cresciuta nel giardino dell'anima
- è stata predata dei petali
- dai corvi.
- Uno stelo asciutto
- sterile insensibile alle cure
- è rimasto a seccare.
- Invano ho allacciato confidenze
- con le faine dei boschi,
- cercato
- nelle tane delle bufere,
- tentato trapianti
- di virgulti
- rubati alle mani
- della fanciullezza.
- Ingenui giochi
- Se passi di qua, amico,
- entra nella casa, dove vivemmo
- fanciulli. C'è ancora la minuscola
- bici scalcagnata e sbilenca,
- con cui correvamo per le redole
- e i viottoli. I capitomboli,
- le ginocchia sbucciate.
- Non una lacrima, non un lamento.
- La bici fuori uso.
- Col fiato in gola
- fuggivamo i rimproveri di papà,
- nascondendoci nel pagliaio,
- da cui uscivamo con i capelli
- decorati di fili di paglia.
- I nostri ingenui giochi. I lacci
- di fieno per catturare le cicale,
- le scatole per rinchiudere i grilli,
- bottiglie per imprigionare
- i girini del fosso e delicati
- profumi di ninfee.
- Comparivamo nel viale davanti
- a casa con baraonde di rumori,
- canti di grilli, voci di cicale...
- Zia Clara c'inseguiva con secchi
- d'acqua bollente
- per far fuori grilli e cicale.
- Vieni, amico, ricorderemo
- i piacevoli ingenui giorni
- della fanciullezza.
- I nebbioni
- È novembre, a Milano
- in questo mese calano
- i nebbioni, che nascondono
- muri, coprono
- strade e cigolii di tram.
- Ombre intabarrate rincorrono
- la metro; sostano un istante;
- il loro fiato si mescola
- con la nebbia.
- Ripenso ai tempi, in cui giravo
- il volante alla cieca,
- su e giù dal marciapiede.
- Il fischio antipatico del vigile.
- Un gatto schiacciato sotto un'auto.
- Un "miaoo" lungo e scapestrato,
- un cencio insanguinato
- che soffriva l'agonia
- per l'investimento.
- E la corsa dei veicoli
- arrugginiti, malati di caligine
- continuava nella spessa nebbia
- che si poteva tagliare con il coltello.
- Qua un sole malato
- di ombre di fumo riluce
- sulle piante sparse di foglie morte.
- Un uomo sconfitto
- nelle lotte ingaggiate,
- il petto che sanguina,
- ripensa
- e rimpiange la lontana metropoli.
- Il naufrago
- Nell'isoletta deserta,
- dove l'onda rompe alta sugli scogli
- e la siccità
- stempia il verde dei banani,
- compagno del naufrago
- è il conversare arrabbiato del vento.
- Le notti insonni
- a sperare l'arrivo di un battello
- ad assaporare
- il salmastro profumo del mare.
- L'uomo spia
- il vuoto orizzonte,
- le invalicabili rocce alle sue spalle.
- Nessuno arriva.
- Si allunga sul modesto giaciglio
- a tessere lunghe trame di speranza.
- Attende.
- Il tempo continua
- nelle sue interminabili passeggiate.
- L'uomo
- vestito di lunghi peli
- ferma lo sguardo
- sul pertugio della grotta.
- Fuori c'è il sole;
- un oceano di luce gli viene incontro
- e lo inghiotte.
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