Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
- Roberto Silleresi
- Grandangolo
Collana Le schegge d'oro
- (i libri dei premi) 21x15 - pp. 68 - Euro11,50
- ISBN 978-88-6037-410-3
In copertina: "Grandangolo"
formato 40x30 cm. - inchiostro Van Dyck e all'interno dipinti di Celesta Botti
Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l'autore è 1° classificato nel concorso letterario «Poeti dell'Adda» 2000
Prefazione
- In questa nuova silloge poetica, Roberto Silleresi, con un personale obiettivo con ampio campo di presa, offre, ancora una volta, le immagini e le rappresentazioni della vita con la sua consolidata e sorprendente capacità da alchimista-poeta.
- La parola gioca con il tempo, con la fragile condizione umana, interpretando segmenti e frammenti con la consapevolezza che la sopravvivenza delle opere poetiche dipende solo dal loro valore e a nulla servono "i tentativi di valorizzare grandezze morte" riprendendo la citazione di Hermann Hesse posta all'inizio di questa raccolta.
- Roberto Silleresi "ha spiato l'alfabeto della terra/intrapreso la rotta delle parole" e la poesia come "spezia" si sparge sulle pagine della vita dove "serve una buccia di camaleonte": sempre pronto a costeggiare "le parvenze" e procurarsi la "vertigine" che può essere effimera "come il gusto della neve sul palato".
- Una continua immersione nel profondo dell'esistenza, "Io so ancora declinare l'azzurro/che si barattano mare e cielo/e sollevare le ciglia sino/alle stoppie dei sepolcri"; un catapultarsi nel cuore del desiderio, nell'alternarsi della vicenda umana con la percezione che è "meravigliosa avventura forbire/quanto resta del destino".
- La sua parola rincorre l'invisibile e le "verità rinviate" come a voler distillare la colonna sonora della vita mentre in sottofondo le falene sbattono sulle lampade che illuminano la notte, per ricordare all'uomo il suo malessere imploso, la sua "pena di credere".
- Quasi in un'atmosfera sulfurea, il poeta estrae da alambicchi dimenticati le personali sostanze evanescenti, la vocazione dell'ossimoro, il medicamento per le fenditure dell'anima e disseppellisce la voce clandestina, il fremito del buio, il fruscìo della vita, la "ruggine del tramonto".
- La solitudine filtra dalle palpebre in questo tempo "scricchiolante", il simulacro del lamento avvolge l'Uomo quando si ferma a scandagliare il cosmo. Davanti alla tribuna del mondo portiamo le nostre misere carni, i nostri "capricci frustrati" e le "alchimie di specchi deformanti": fino a giungere al capolinea, dove è custodito l'enigma della nostra identità.
- Il tempo condensa, registra le umane nequizie e il poeta, inseguendo i sogni, alimentando le visioni con il suo sguardo sempre accompagnato dal destino, può creare e ricreare, plasmare e disintegrare la materia di cui è fatta la vita,
- La semina nel terreno dell'umana esistenza è sempre proficua e Roberto Silleresi, con la sua esperienza letteraria ormai consolidata, elimina le distanze, afferra le illuminazioni e le idee che nascono ai confini d'una tempesta o d'una quiete dell'anima: la visione è raffinata e ricercata ed ogni sequenza catturata dall'obiettivo viene riportata sulla pagina in modo straordinariamente efficace.
- Il lirismo alimenta l'esistere senza infingimenti ma solo con la parola pura, elegante, preziosa.
- La poesia di Roberto Silleresi è complessa ed enigmatica e, al contempo, penetrante ed affascinante: sempre giocata sui continui recuperi dalla saggezza poetica, da un classicismo rivisitato, da un esperto utilizzo della parola fino all'incantamento poetico. Costantemente pervasa da un personale stile e lirismo ai massimi livelli.
- La figura d'un uomo che "sorride con il silenziatore" quasi a distrarsi dai sogni, fedele alla propria terra, prima Uomo e poi Poeta, in ombra a "incartare il dono del silenzio" tra "l'odore di muschio" e le "infinite allegorie" del suo mondo.
- Infine un doveroso apprezzamento alle tredici opere dell'artista Celesta Botti che, con acquerelli e inchiostri colorati, ha interpretato con la sua Arte le risultanze della poesia di Roberto Silleresi ed ha cromaticamente espanso la verità poetica.
Massimo Barile
Grandangolo Un ringraziamento speciale all'amica pittrice
Celesta Botti per aver plasmato la reticenza
della materia alla propria arte, fino a
sintetizzare la verità nelle immagini,
trasformando il nero inchiostro delle parole
in magmatica cromia.
Dedicato ad Umberto Montefameglio
"Per fortuna, la sopravvivenza e la fama di opere poetiche migliori, non dipende dai
giudizi dei dotti. Grazie a Dio, quel che è
buono e utile si è sempre preservato da solo, mentre anche i tentativi più zelanti di
valorizzare grandezze morte, raramente
hanno avuto successo".
(Herman Hesse)
"Le poesie sono cristalli che sedimentano
dopo l'effervescente contatto dello spirito
con la realtà".
- SCARPE
- Ognuno possiede una storia
- imbastita col filo rosso del cammino
- tratteggiato da scarpe sicofanti
- degli anni che davvero si hanno.
- Cuoio traspirante al quarto di luna
- in forma di lussuoso vagabondo,
- satura nel miele selvatico
- richiamo per vanitose sfingi.
- Scarpe musicanti uno stormire di tulle
- sopra il lago dei cigni,
- stiletto di venere da copertina,
- incudine di guerra nella cadenza
- dei militi eruditi a sanguinare.
- Scarpe come orpelli del piede
- nel daffare quotidiano,
- liberazione di mani,
- perno di sagome erette
- ed orientate nel senso delle stelle,
- appoggio di falcate che
- s'accorciano pestando malferme
- contro il dilatare del tempo.
- Fino a quando allentano i lacci
- e l'ultimo paio
- - lucidato a champagne -
- si dà in pegno per un palco
- al perduto teatro d'Ellenia
- dove nessun figurante calza
- più alti zoccoli per sovrastare
- lo spazio dei corpi mortali.
- RILEGGERSI NEGLI ANNI
- Scriveva al passato,
- dal quinto piano
- della casa di suo padre,
- sopra un lunario dalle tinte reticenti
- e le pagine in odore di chiuso.
- Taccuini appesi alle capriate
- così alti da non potersi rileggere.
- Pinturicchiava notturne effervescenze
- di lingue e posture
- da sciogliere nell'oscurità.
- Aveva istinto d'ape, buono
- per stringere composte amicizie
- con creature vestite a strati,
- come le millefoglie
- che edulcoravano gli appunti.
- Accerchiava il mondo di parole,
- col fermacarte tratteneva
- il desiderio tardivo di vivere di attimi.
- Sulle vesti dell'angelo profugo
- passava la pietra abrasiva.
- La memoria dell'alveare cucciolo
- era solo il pretesto
- per scindersi dalla fiaba ovale
- che la terra quotidiana riscrive
- piroettando intorno al sole.
- I 100 NATALI DI PETER PAN
- Di questo secolo compiuto
- senza crescere mai
- Conservo le forcine
- Cadute dalla chioma
- al seno azzurro delle fate.
- S'alzavano a Natale
- in volo radente
- Rapinando i malati sogni
- Dagli occhi verdi
- d'un parente bambino.
- Anche stamani i mercanti di neve
- hanno sparso trappole di pane
- Per assistere al tumulto dei passeri.
- Ripiego in braccio a Barrie
- a soffrire l'eclisse delle luminarie
- E di pudica indigenza
- addobberò il mio arbusto
- Con le fibbie di fata.
- Ali che battono
- al tempo della giovinezza
- Il cielo spariglia un'altra sera
- su questa pausa di mondi
- Ricuciti all'isola che non c'è.
- Meravigliosa avventura forbire
- quanto resta del destino
- con sapone di cenere.
- L'EBBRO SOMMELIER
- Niente resta alla taverna dove
- capitola il mio risentimento,
- secretato dietro uno steccato
- di gotti e banconote gualcite.
- Sulla bocca, una striscia di carta
- assorbente vocaboli raffermi,
- un compasso a cerchiar di grafite
- l'apicale singulto della carne.
- Tra oscuri campiti corre l'uomo
- dalla bifida lingua di ventosa
- che più non sa dire del fortunale
- plasmatore di pascoli e nubi.
- In lui brucio i miei colori, come
- la protea nell'ora germinale,
- né dimestico il dio carpentiere
- d'inferriate per frugoli rapiti.
- La grandine risiede nella polla
- più stretta del cielo sfinito, dove
- l'arcangelo fustella mandragole
- e ne spreme il tossico siero.
- Trapelo accolite vertigini
- che cagliano sull'ossidata cute
- come rugiada sul tetto dell'auto,
- alcova di sesso in contropelo.
- Lavo le moine del paraninfo
- dal mio palato d'ebbro sommelier,
- degusto l'addiaccio dell'agra notte
- elusiva messinscena del sonno.
- I CAMALEONTI
- Sai quanti uomini si sono
- arrampicati sino ai tralci
- più bassi dell'invasiva realtà
- ed hanno dipinto l'anima propria
- coi colori del fogliame?
- Una cavezza di carta velina
- li ha addestrati alla vita
- e calzano guanti di velluto
- per schiaffeggiare il vento, quando
- trasporta l'effluvio degli stenti.
- C'è solo città nei loro corpi
- accalcati sulla scala mobile
- diretta al paradiso e fanno colazione
- con sciroppo d'ortica senza
- badare al sonno giusto delle api.
- Quando imbattersi in un'alba
- corrusca è solo inutile vicenda
- vuol dire che i cardini
- del tempo iniziano a cigolare.
- Io so ancora declinare l'azzurro
- che si barattano mare e cielo
- e sollevare le ciglia sino
- alle stoppie dei sepolcri.
- Non devo chiedere il permesso
- di essere, cometa senza fragore
- o cicala dal raspìo monocorde,
- comunque effimero come
- il gusto della neve sul palato.
- VENEZIA
- Certi giorni
- il mare di Venezia
- colora di mercurio,
- senti solo le voci annerite
- delle bocche di porto
- dove i camalli scaricano
- le munizioni della loro sopravvivenza.
- Sono i giorni
- dell'oblio accumulato
- su questa perla salmastra
- e ritornare alla laguna del Canaletto
- è un attimo di poesia
- che traluce nel senno
- dell'ultimo gondoliere.
- Carnevale, e Venezia s'orna di specchi,
- appare un diamante impazzito
- che riverbera infinito
- il galleggiante portamento di San Marco
- in un vetro alitato di Murano.
- Venezia, come una fata,
- sbocciata dalle risate del mare,
- sparpagliate su cento e più calli.
- Se, un giorno,
- dai tuoi frammenti
- poseranno un mosaico al lèmure,
- volgerò lo sguardo altrove
- e conterò le mie impronte
- tra velme e barene
- ammiccando alla città anfibia
- sconfitta dai sogni.
- RADIOFONIA NOTTURNA
- Lasciami ancora rapire
- da una lemma senza volto,
- è l'eco dell'uomo solo
- impaurito dal silenzio.
- Per lavoro osteggia l'invisibile,
- usa la bocca a guisa di cerniera
- tra parodia e verità rinviate
- ai precari rimpalli dell'etere.
- Nostromo delle onde corte,
- stucca sui vicoli una guerra
- tra schioppi di legno e cerbottane
- puntati sulla polla
- di un fumoso domani.
- In un separé di cristallo
- distilla la colonna sonora
- del vespro sonnambulo
- e la cuffia lo preserva
- dall'arruffato sottofondo delle falene.
- Parole, a caldo consumate,
- screpolano i battenti
- dell'ultimo metrò,
- variegato bouquet
- d'amore e stanchezza.
- Sulla scansia dove archivia
- il malessere imploso,
- un obsoleto transistor
- - come perla nella spazzatura -
- alza la gonna al mondo.
- LA PENA DI CREDERE
- Altri fratelli sono passati
- per la cruna della guerra
- nel nome di religioni cromate dal sangue
- ma ho già dato le spalle al video
- che farnetica di opulenti deserti
- e sabbia negli occhi di dio.
- Un sorso d'avvelenata astenia
- mi darà la forza per ascoltare
- il verso dello sciacallo,
- poi stenderò una terra di riporto
- sui crisantemi prescelti per costellare
- i sagrati di nuove croci.
- La mia casa è senza camini
- perché niente di ciò che mi è caro
- possa finire nel fumo, inaudibile
- come una pausa del destino.
- Ebbene sì, ho paura di sentirmi odiato
- per aver rinnovato le pedisseque
- intenzioni del catechismo;
- trasalgo al sibilo del treno
- che imbocca la tronca rotaia
- e trepido di morire nel profetico
- eccidio di un emblema rinascimentale.
- Per questo lapsus di terrore
- ho commissionato al Figlio del falegname
- una gradinata che mi conduca
- dallo stillicidio del nulla
- fino alla pena di credere
- oltre il rantolo estremo.
- IL PREZZO DELLA FANTASIA
- Un ceppo di pino fatato
- zampilla sulfureo
- in questo pianoro
- di uniformi entusiasmi.
- Otto sassi di fiume
- ridanno un sorriso
- alla statua di neve.
- Sotto gli evanescenti ombrelli
- di un coro di meduse
- lambicca il tempo
- sulla cosmesi di un istrione.
- Sono cresciuto tra le lamine
- di un calendario di sogni
- con la vocazione dell'ossimoro.
- Ho un pastello di torba
- per imprimere il prezzo
- della fantasia
- sulla forma del vento,
- fodera invisibile ai miei gesti.
- MONOLOGO AD OCCHI SPENTI
- Anche il nero ha un suo aroma.
- Basta chiudere gli occhi
- e zittire l'avidità delle immagini,
- confidando nel fremito del buio
- che rischiara i frantumi protervi
- della città e s'esprime col fruscio
- di una goccia di pioggia.
- Lo scrutinio dell'indice
- disseppelisce la voce dal viso;
- è lettura clandestina e dolente,
- spartiacque tra la notte che inzuppa
- questa vita ed un muco di candela
- che si spalma nella bugia
- d'un mielato ansimo di fiamma.
- Soltanto in sogno si riscaldano
- le mani intorno ai pastelli
- che dipingono umbratili sporgenze
- dove l'anima s'impiglia e riparte
- nell'orgasmo leggero di sottrarsi
- alla ruggine del tramonto.
- Un marsupio di solitudine
- è quanto filtra dalla feritoia
- di queste palpebre, tendaggio sulle
- ustioni d'una realtà vacante.
- Resta un tempo scricchiolante
- per costruire l'immagine propria,
- puntellata alle efelidi
- d'una reversibile figura.
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Agg. 07-11-2003