-
- Nessuna
preghiera
-
- Osservo il mondo
che mi è intorno
-
- improvvisamente
l'immenso vuoto,
- un rigido
inverno,
- dove nessuna
preghiera
- può
scaldarmi dentro
-
- così,
- stanco di
lottare,
- per l'utopico
sogno,
- d'un mare non
più mosso,
- chiudo il dolore
in me
-
- non voglio un
nuovo ricordo,
- l'undici
settembre
-
- un'immutabile
patetico mito,
- da indicare a
mio figlio
-
- e per un attimo
non oso più cercare
un'alternativa,
- impaurito dal
male che ho già provato
-
- non oso
più guardare intorno
-
- vorrei soltanto
poter fermare il tempo,
- perché la
stanchezza m'invade
-
- vorrei ora
più che mai quel mare piatto,
- quella pace
immensa,
- da leggere tra
le riga d'una colorita
filastrocca
-
- per poter
passeggiare,
- con mio figlio e
sua madre
- e con fantastica
magia,
- mostrare loro
l'incanto del breve soffio di
vita
-
-
-
- Fantasticando
-
-
nel
ripensare a lei
-
- univo
fantasticando
- il rosso
melograno,
- alla sua pelle
chiara e
- il volo
solitario d'un gabbiano
- nelle sue libere
torsioni acrobatiche,
- al piacere delle
sue curvilinee forme
-
- nella cruda
irrealtà di quel sogno
- fantasticavo
-
- e continuai a
viaggiare
- per il piacere
di ripensare a lei
-
-
-
- Curvilinee
forme
-
- Conquistato dal
fascino nascosto,
- di piccole
pieghe,
- dalle curvilinee
forme,
- osservo
incantato con occhi smarriti,
- il dorso
nudo
- di
quell'effimera bellezza
-
- dall'esile
collo,
- in giù
fino alla vita
-
- un piacere
velato
-
- e sognare il
rosa pallido di quella visione,
- al contatto dei
miei polpastrelli,
- dal pelo biondo
invisibile a vista,
- nel rendere la
pelle d'oca,
- vogliosa e sazia
di quell'interminabile istante
-
-
-
- Marinaio
-
- Il passo
stanco,
- sotto la luce
fioca
- dei lampioni sul
pontile,
- le brezza marina
che scava solchi sulla pelle,
- non curante
s'infrange,
- lungo i piloni
che lo sorreggono
-
- l'odore di
tabacco dalla pipa corrosa
- dallo stridente
fremere dei denti del pescatore,
- che dal freddo
si ripara nel suo paltò
blu
-
- e la luna riposa
sulle nuvole che
- si rincorrono
sospinte dal forte vento,
- che a spiragli
illumina il portico della locanda,
- dove vecchi
trofei
- ed indomite
leggente sul mare,
- fanno compagnia
alla penombra delle fiamme
- d'una
impolverata stufa in ghisa
-
- e i vetri
appannati
-
- e sui tavolini
assiepati dai marinai,
- l'odor di pesce
e la zuppa calda
- di pane intrisa
che al vino alterna
- il suo
piacere
-
- Ecco il grande
marinaio finalmente riposare,
- risparmiando il
fiato
- per non
appannare di più
- il suo viso
già vecchio
-
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