Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Non è cosa per cui...
Rosario LoriaCollana I gigli (poesia) 15x21 - pp. 84 -
Euro 10,00 - ISBN 88-8356-315-8
Ai miei figli, Pietro e Calogero
- Figli del sud
28.02.89 - Di marcio piscio, le parole di padroni,
- intrise, dette dal labbro luminoso: di
- sudore stagno, le marce funi, ai polsi
- delle gote strette: dolci parole non
- dette, soffocano al sole
- di trasparenti speranze morte!
- Il canto della vita, dei nidi
- agresti: di nudi mulattieri senza
- sguardo, di ferro, neri, corrono
- impazziti su righe d'asfalto
- estraneo e tenace, e inseguono
- la morte!
- Il Sud è la mia Terra Santa:
- e di lamenti e cori pii, e di terreni,
- i fiori, alla Sua finestra, da secoli
- lontani, profumano il destino di
- questi figli morti, prima che alla
- vita, alle sorti, nati oggetti che
- camminano su sentieri infocati
- dall'alito africano arroventati,
- senza un gesto, un debole grido:
- e sospirano ai calci e alle nequizie,
- persi nei guardi, di agavi e ortiche,
- stralunati.
- Nel Sud, Terra negata, le viole
- avvampano d'amarezze ignare, e sete di
- acque assenti, più non hanno.
- E di abbandono e persecuzioni legali,
- anime anonime spirano nel secco Mezzogiorno.
- Il Sud ha le sue rosse viole, di solitudine
- dannate, e sazie di paure inconfessate.
- Dai balconi delle Alpi, aleggia
- Annibale, e non s'ode lo strazio
- morente dei sospiri dei tiranni
- che inchiodano figli teneri a questo Suolo!
- Dall'attico Alpino, l'alito lontano,
- di lumache antiche nel teatro dei
- Caini, d'Annibale la Storia travìa.
- E non s'udìrò i canti spuri, nel
- vizio antico, d'una pietà lunare,
- che, da sempre, tragedie e leggende
- scrive, su questi pelli orfane e
- sudate, come pergamene, in grotte
- antiche, solatie ritrovate. Ai
- figli senza padre, di fermare il tempo,
- nessuno dice, per l'interesse storico,
- arcionato, solido e restato, sulle
- pagine, a gridare, nessuno sentìa più
- da vicino, o da lontano, abbaiare!
- La Storia del Sud, è la storia dei
- ladri, in abiti amidati, da rumori
- d'armi, di truppe e di soldati,
- di coltelli e fruste, di rapine
- laudate, di sangue e beffe illividita,
- di questa gente martire, annerita.
- Non d'ora, ma da quando è nata, ai
- secoli lontana, ignorata, dimenticata,
- da turpi bande sempre depredata, e
- di parole scarna e seducente,
- come i maghi ignudi, piena di leggende.
- Al Sud è sempre giorno chiaro,
- di un buio presto amaro, che
- occhi torvi ingoiano cantando,
- il verso del corvo che maledice,
- nel Genesi primario, ogni
- favella di beltà nascente. Qui
- non giunse mai colomba, cortese
- all'altra gente, grigia, scura
- oppure bianca, seppur le acque
- ancor non c'erano, d'un corvo
- denunciante, a Noè fidato. Di agavi
- e mirtilli, queste terre tempestate,
- d'eserciti e piedi ferrati,
- di talloni speronati, accoglienti:
- è il segno, netto, desolato, che
- ha fratellanze di dolore, in
- occhi di bimbi, gallonato,
- scritte allucinate, da paurosi
- mostri, allontanati fratelli nostri.
- Il Sud è il comodo pianoro dell'arancia,
- la sterminata plancia, dove si segna
- l'uovo del tesoro, e non va amato,
- da cugini alieni, d'orizzonti pieni.
- E di facce scure, scanalate,
- di pescatori morti, al sole
- pensolati, come fibbie di scarpe
- arrovesciate, nel ventre e
- nel sangue, di terrori sacri,
- spremuti e affastellati.
- Nella Terra di tutti e di
- nessuno, non germoglia l'amore
- per il Sud: accanto alla miseria
- del regno giugolato, di sogni pieno
- e di spine non spuntate, e alla
- schiavitù solerte, di pene ereditate,
- s'erge solenne e triste la grande dignitate...
- Queste son le terre
08.01.93 - D'agavi solenni, e di mirtilli
- casti, queste terre, tappezzate,
- agli eserciti, vecchi, nuovi e vasti,
- sempre prone le vestigia: qui non giunse
- mai colomba, scura oppure bianca,
- ma solo l'ala di una cornacchia grigia.
- È il segno dell'arsura stanca,
- di fratellanze di dolor dipinte,
- in occhi di feti muti, trasparenti,
- scritti allucinati, da paurosi mostri,
- allontanati fratelli nostri. Di
- facce scure, scanalate, di braccianti
- spaesati, disoccupati e senza sorti,
- di bruciati pescatori morti, al
- sole appensolati, come aborti,
- di scarpe arrovesciate, nel sangue,
- di terrori sacri, inchiavardati,
- servi d'un esule mutismo, insuperati.
- Queste son le terre, di tutti e
- di nessuno: e, oltre all'oltraggio
- del regno giugolato, di sogni pieno,
- e di spine non spuntate,
- nell'abbagliata, storica malura,
- l'esausta schiavitù locale, batte alle mura.
- Lamento per Borsellino
27.07.92 - Le marce funi, di sudore stagno, ai polsi delle gote,
- strette: dolci parole non dette, soffocano al sole,
- trasparenti fasce di speranze morte.
- Il Sud è la Tua Terra Santa: e, di lamenti e cori pii,
- e di terreni, i fiori, alla sua finestra, da secoli lontani,
- profumano il destino di questi figli morti,
- prima che alla vita, alle sorti.
- E non udite i canti spuri, nel vizio antico,
- d'una pietà lunare che, da sempre, tragedie e leggende
- scrive, su queste pelli orfane e sudate,
- come pergamene, in grotte antiche ritrovate.
- La tragedia greca è storia del Sud,
- di sangue e beffe illividita, di questa gente murmure,
- annerita, da quando è nata, ai secoli lontana,
- dimenticata, di turpi bande sempre depredata,
- e di parole scarna, seducente, come
- i maghi ignudi, piena di leggende.
- Al Sud è sempre giorno chiaro,
- d'un buio presto amaro,
- che occhi ciechi mangiano cantando...
- Il pastore del Belice
28.11.92 - Le ombre dei tuoi armenti,
- al sol levante, figure inanellano,
- su mobili tappeti: e le trazzere,
- d'agavi argentate, guidano il tuo
- passare, oh menestrello, allo
- zufolo attaccato.
- Osservi, la tua giornata grama,
- immobile e incantato: pastura,
- abbeverata, lane, formaggi e
- svendita pirata. Le greggi,
- nella dagala, all'ombra del
- tamericio antico, mentre le
- bandiere della gloria, alle
- montagne vanno, per l'altrui vittoria.
- Sussurrano le stelle, in cerchio,
- malinconico, senza travi, al soffitto
- ignoto, col tono acre della tua
- voce assente: e fissi il tuo sguardo,
- immobile, sulla furia del tempo
- che cancella i sogni e le contrade.
- Vagheggiano sperduti, gli amori
- del passato, sognati e accarezzati
- all'ombra dei carrubi, mentre in
- ogni farfalla, vola la ragazza amata.
- Le rinnovate tramontane, per un
- respiro dolce ad abbracciare, petto
- e occhi, stanno all'appuntamento,
- senza mai mancare.
- Il pastore del Belice, lo stesso è ristorato,
- perché ha il cuore altrove, e qui è carcerato.
- Porto Palo addio
25.08.89 - Hai bevuto schifati sputi francesi:
- hai ingoiato copiose pisciate tedesche:
- hai leccato allucinanti vomiti inglesi,
- riscaldate mestruazioni olandesi,
- e veementi rivoli di spermatozoi siciliani!
- Innocente! Innocente!
- Ti ricordi quand'eri mio? Prima di
- tremar la terra? Poi, improvvisamente
- nella tua plurimillenaria Storia,
- fosti nostro, di suole e palmi non
- grati... E, quindi, precipitosamente,
- di tutti... Ed ora, tragedia di
- polvere coperta, t'appresti ad esser
- d'altri! Innocente! Innocente!
- Porto Palo, addio! Come sono ingiuriosi
- quei lombrichi nudi, di pietra dura,
- che t'alza di fatica lo spumare,
- che ti hanno appeso alla dorata falce,
- della tua dolce baia. Quante insenature
- di cosce a forbici, sfilano sulla tua
- morbida sabbia: quanti seni vizi, e
- petti prorompenti, abbracci e baci con lo
- splendore delle tue acque terse.
- Queste moltitudini anonime e senza
- volto, che dissetano nel tuo liquido
- vitreo e temperato, il pellame bronzeo,
- ti deflorano e ti uccidono... Hanno già
- reso deserti altri posti, rese vili,
- altre autentiche cilestri dimore,
- simili a Te... No! Non ti amano! Adorano i
- loro vizi pagani, intrisi d'altari e
- chiodi sulle croci: e corse di cavalli,
- e fumo, di denari per tuniche rosse,
- e di voti fatti sullo scudo... Amano
- il tanfo delle loro lenzuola calde, e
- i respiri al morbo dei loro pozzi neri!
- Quando la Dea s'inebria dei tuoi
- granelli d'oro, disseminati sui loro
- polpacci ed i loro talloni, è altrove
- che va il loro "affetto". Sognano
- sporche cene annegate in laghi di vino
- industriale, lucciole infeconde,
- e i loro respiri mortali! Quando,
- senza passione, ma ebbri di possesso,
- osservano la tua purezza, dicono che
- sei "bello", mentre per loro sei già
- morto, ferito dall'abitudine multipla.
- Hanno alle spalle, plotoni di morti,
- distesi al sole su baie puzzolenti,
- diventate paurose discariche di coca cola.
- Hanno mietuto il grano dei loro padri,
- stanno bruciando quello dei loro figli!
- Rinnegano il passato: non hanno storia,
- non hanno memoria. Le donne si rasano
- il pube: fanno più stretti i loro
- costumi, e rendono pazza la disperata
- solitudine dei giovani galli, che non
- hanno fedi né ideali... Innocenti,
- adolescenti, rimandati a settembre,
- mostrano a tutti la pietà tribolata,
- della loro penitenza... Ha inizio
- la dannazione che erode le età: e
- quando sarà sera, al triste lume dei
- ricordi, si conteranno i morsi della
- pulce, sulla pelle cancerosa. Le orride
- lingue delle merde miste, poliglotte,
- leccano le tue acque e traboccano di
- peste. Le ragazze porgono alla tua bocca,
- i loro seni dritti e puzzano di
- deodoranti anali, coperti da impiastri
- pomatosi, che sanno di fritture,
- strusciati sulle carte di corrotto monetame.
- Le ragazze, a Porto Palo, non portano
- farfalle tra le dita, né orecchini di
- ciliegie: hanno sputato lontano la
- rosa dalle loro bocche: e vi piantano
- la sigaretta. Le loro madri, dai
- polmoni a mantice, sdraiate sulla sabbia,
- come quarti di vitello, immobili, e
- prossime alla morte, le covano con gli
- occhi, e puntano su di loro, avveniri
- impossibili, d'orgogli andati...
- Porto Palo! Addio!
- Si frantuma qui, e per sempre, la
- tua storia di verginità assoluta.
- E il riporto della sabbia del Belice,
- che fino ad oggi ti ha pasciuto.
- Ma è già morto pure lui, assassinato,
- da un pugno di laureati, sconosciuto.
- Finisce qui la superba storia del tuo
- porto ignaro.
- Chi mette l'orecchio sulla pietra
- antica, ancora vive, ascolta le calde
- voci dei carrettieri che saziavano
- di grano, le molti navi che, dirette
- in Palestina, accogliesti nel tuo seno.
- Oggi, i bianchi gusci avvelenati,
- ti saziano di petrolio e di catrame.
- La tua stupìta Torre, guarda inerme
- le sue vestigia impure: il suo immobilismo
- pietrificato, è di rancore.
- Gli eserciti del passato, i loro tacchi
- chiodati, non ebbero mai a ferirti il
- suolo: fiore eri come nei primordi,
- e fiore ti lasciàvo... Ma un destino
- atroce, ha scelto noi come tuoi cinici
- assassini... Questa baia, queste tue
- acque terse e dolci, saranno il tuo
- sepolcro e la tua croce,
- Tutto questo accade, sotto gli occhi
- di tutti, mentre gli acciai tacciono
- e le ogive s'ostruiscono.
- Porto Palo, oh ignudo
10.08.92 - Gli allegri drappelli di fantocci di bronzo,
- calcano il tallone chiodato sulle Tue
- sabbie vergini, oh Porto Palo!
- Le ragazze di banane e di nutella,
- non portano libellule tra i capelli,
- né farfalle tra le dita, né ciliegie tra le labbra,
- ma un orfano fior d'arancio dentro il cuore.
- Le loro madri, stese a terra come quarti di vitello,
- immobili, paonazze e prossime alla morte, le
- covano col fiato gelido e puntano su di loro,
- resti minimi di miseri orgogli ereditati.
- In una notte di bufera, sono morti tutti i patriarchi:
- e le moltitudini sonnecchiano: hanno reso deserti,
- molti lidi simili al tuo: adorano i loro vizi pagani,
- il tanfo delle lenzuola calde, i respiri ammorbati
- dei loro pozzi neri. Hanno alle spalle plotoni
- di vittime alitate, distese al sole su baie puzzolenti,
- paurose discariche di coca cola: hanno mietuto e divorato
- il grano dei loro padri: ora ardono il futuro
- dei loro figli. Il veemente profumo del sesso,
- rende folle la già disperata solitudine dei
- giovani galli: che non sanno nascondere la
- propria addolorata penitenza!
- E quando sarà sera, e la dannazione avrà eroso
- le età, si conteranno i morsi della pulce, sulla
- pelle cancerosa... Delle dolci battigie, l'immensa famiglia
- osserva impotente la propria disfatta... Tu, orfano nudo,
- mentre due allocchi piangono la tua morte, non credi ad un
- destino crudele che ha scelto noi come tuoi assassini,
- mentre gli acciai tacciono, e le ogive s'ostruiscono!
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