Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Rosario Scavetta
Ha pubblicato il libro
Rosario Scavetta - Le inchieste di Dario Svaldi
 
 
 
 
 
 
 
Collana I salici (narrativa) 14x20,5 - pp. 64 - Euro 7,80 - ISBN 88-8356-572-X
Prefazione
Incipit


Prefazione
Tre brevi racconti che vedono protagonista il giornalista Dario Svaldi alle prese con le morti sospette del Mistero di Procida, pericolose operazioni di narcotrafficanti a Cuba e per finire un misterioso omicidio in Intrigo a Milano. Con la sua scrittura frizzante e scorrevole, Rosario Scavetta, si fa leggere con estrema facilità e godibilità, qualità fondamentali per interessare il lettore odierno. Nel raccontare e rendere vive le inchieste di Dario Svaldi non è mai prolisso e non insiste sulle scene con inutili descrizioni: si limita all'essenziale, all'utile narrativo, a ciò che il lettore vuole subito sapere e non è un caso che i racconti abbiano nella brevità una loro caratteristica peculiare che depone decisamente a favore della sua intenzione di rendere pienamente in poche pagine il quadro completo della scena e degli eventi che di lì a poco si succederanno.
Il giornalista Dario Svaldi è il protagonista indiscusso e nel primo racconto "Mistero a Procida" sembra capitarvi per caso dopo alcune inchieste da lui condotte che avevano coinvolto dei funzionari ed erano state mal digerite da qualche politico coinvolto nelle stesse: ecco allora che avevano pensato di relegarlo lontano da Milano e spedirlo a Procida per una sorta di punizione. In fin dei conti la situazione non lo rattristava più di tanto: poteva essere una buona occasione per staccare finalmente la spina, magari risistemare le idee a dire il vero leggermente confuse, o alla peggio prendere la palla al balzo per viaggiare un po'.
Nel tentativo di venire a capo dell'arcano si troverà alle prese con la misteriosa morte dei coniugi Lembo e poi con l'inspiegabile assassinio del sacrestano Arturo. Sarà messo a dura prova dalle circostanze delittuose ma verrà a capo del mistero come riuscirà a risolvere l'intrigo milanese dove si troverà a far fronte all'assassinio di un imprenditore dell'alta moda con la passione per le belle donne: non mancheranno strane relazioni, singolari episodi legati a torbidi e loschi affari, e, per finire, pericolose situazioni legate al mondo dei transessuali.
Non v'è dubbio che la miscela degli ingredienti è esplosiva e la narrazione risulta interessante grazie alle storie assai differenti tra loro sia per ambientazione che per intendimento dell'Autore.
Con le inchieste del giornalista Dario Svaldi, l'Autore riesce a selezionare solo ciò che reputa utile ad una migliore resa del racconto: brevi assaggi di vita quotidiana, personaggi utilizzati ad hoc, spezzoni di emozioni, fragilità debolezza e crudeltà, traffici illeciti, eventi delittuosi, donne affascinanti e conturbanti. Tutto è reso con una scrittura lineare e sempre ben dosata negli effetti e nella capacità di passare da un racconto ad un altro senza eccessivi attriti: non è un caso che riesca a coinvolgere ed interessare il lettore in queste sue singolari inchieste.
 

Massimiliano Del Duca

 


 
Le inchieste di Dario Svaldi

IL MISTERO DI PROCIDA
 
 

"Non si sa mai: lo straniero potrebbe intendersi d'arte (magica) nel qual caso non gli sarebbe difficile spezzare l'incanto ed impadronirsi degli oggetti preziosi."

 

(Douglas 1909)

 

Dario Svaldi stava quasi per raggiungere l'isola. Lo capì vedendo le case dei pescatori, accatastate l'una vicino l'altra, colorate da tinte tenerissime, e da altri edifici con le loro facciate completamente bianche, dove era possibile vedere il cielo attraversando con lo sguardo gli archi che li sovrastavano.
Ancora pochi minuti di navigazione lo separavano dal traghetto sul quale viaggiava e la terra ferma. Quando sbarcò sulla grande banchina del porto di Marina Grande, si trovò di fronte Salvatore. Era proprio come l'aveva descritto la segretaria dell'Ente Provinciale del Turismo. Un ragazzo corpulento ed abbronzato, che indossava una polo beige, infilata in un paio di jeans stropicciati.
"Buonasera duttò. E benvenuto a Procida".
Salvatore riconobbe Svaldi perché non aveva l'aria di essere uno dei soliti turisti. Lui se ne stava imbottigliato nel suo vestito grigio, districandosi tra le valige e la borsa che conteneva il computer portatile.
"Posso darvi una mano?".
Non ebbe neanche il tempo di rispondere e Salvatore cominciò a caricare le valige nel cofano di una Nissan blu.
"Dove vi devo accompagnare?".
A quel punto Dario Svaldi, infilò la mano in una delle tasche della borsa che aveva tenuto con se e cercò l'agenda.
"Al numero 152 di Via Solchiaro". Gli mostrò l'indirizzo scritto su di una pagina.
"A Solchiaro, duttò. È vero che stiamo a fine stagione, ma c'è ancora tanta gente sull'isola. Potevate scegliere un posto meno isolato!". Il giovane si sforzò a non parlare in dialetto per farsi comprendere.
Svaldi si era recato sull'isola per lavoro e fu lui a chiedere un luogo tranquillo per il suo soggiorno.
L'incarico di raccogliere informazioni e storie inedite sui Campi Flegrei gli era stato assegnato dal direttore in persona. Era già stato a Pozzuoli la settimana precedente, e da lì si era imbarcato per Procida.
In verità il suo viaggio in Campania fu una punizione. Alcune sue inchieste che avevano coinvolto funzionari corrotti del comune di Milano, non erano andate giù a qualche politico implicato nella vicenda. Accettò anche se mal volentieri l'incarico, per evadere e riordinare un po' le idee. Era da tempo che non viaggiava.
L'auto di Salvatore cominciò a sfrecciare lungo le stradine strette e caratteristiche dell'isola, cercando di evitare pedoni, turisti disorientati e le tendine dei negozi dimenticate abbassate. Ad un tratto incrociarono un pulmino arancione della SEPSA (l'azienda di trasporto pubblico). Era un pulmino della linea numero due. Ebbero modo di vedere l'insegna illuminata, per la tempestiva frenata dell'autista che riuscì ad evitare l'impatto con un centauro spericolato. Attraversarono Via Libertà, il Corso Vittorio Emanuele, poi raggiunsero la spiaggia della Chiaiolella e finalmente risalirono verso Solchiaro.
Il monolocale che Svaldi aveva prenotato, si trovava all'interno di un vecchio casolare in ristrutturazione. Gli interni in stile moderno, si completavano con una bella cucina di IKEA e quadri che raffiguravano alcuni scorci dell'isola. Davanti al cortile due sedie da giardino e alcune piante, "respiravano" da giorni l'arietta frizzante della brezza marina. Più avanti scendendo circa quindici scalini si raggiungeva la scogliera.
"Duttò, vi piace l'appartamento?".
"Veramente grazioso". Disse il giornalista mentre alcuni gattini, dal giardino affianco, cominciarono ad avvicinarsi incuriositi dall'arrivo dei due.
"Va bene, allora io me ne vado. Il numero del mio telefono lo conoscete, quando dovete andare via mi chiamate, e io vi riaccompagno al porto". Salvatore stava per andare, ma Svaldi lo fermò.
"Solo un attimo! Cosa c'è di interessante da vedere sull'isola?".
"Duttò, il bagno lo potete fare alla spiaggia della Chiaiolella. Lì ci sono diversi lidi ben organizzati. Poi di sera nei locali c'è tanto movimento". Dall'espressione del viso, Salvatore capì che il giornalista si riferiva a tutt'altro.
"Ah ho capito. Vuje, scusate (si corresse). Voi parlate dei monumenti. Allora dovete andare alla Terra Murata. Là c'è il carcere antico, l'ex bagno penale e l'Abbazia di San Michele. Quella veramente è na' bella chiesa".
"Come si arriva a questa Terra Murata?".
"Basta che salite per Via Principe Umberto, sulla sinistra c'è l'ingresso dell'istituto nautico, ma voi andate avanti, dovete arrivare a Piazza dei Martiri e poi...". Salvatore cominciò a parlare talmente veloce che Svaldi non riusciva a stargli dietro, sembrava che le sue parole fossero più veloci dei suoi pensieri. Poi aggiunse.
"Va bene duttò, domani mattina ho un po' di tempo libero, vi accompagno io. Ci vediamo alle 10,30, devo prima prendere alcuni turisti, poi sono tutto per voi".
Si lasciarono con una vigorosa stretta di mano. Svaldi rimase colpito da quel personaggio che era Salvatore, frenetico, ma allo stesso tempo furbo e scaltro. Non viveva sull'isola e ogni sera ritornava a Napoli, dove abitava con la sua famiglia.
Sul tardi, Svaldi, sopraffatto dalla stanchezza si concesse una doccia rilassante. Si addormentò leggendo una breve guida di Procida che qualcuno aveva gentilmente lasciato sul tavolo della sua stanza.
 
 
L'appuntamento con il curato, Svaldi lo fissò telefonicamente. L'elenco dove recuperò il numero lo chiese ad una gentile coppia domiciliata accanto al suo monolocale. Prima di entrare nell'Abbazia di San Michele, dopo una breve salita che lo portò al centro del borgo della Terra Murata, attese l'arrivo di Salvatore, che nel frattempo era andato a parcheggiare l'auto. I due varcarono l'ingresso secondario, ed attraversando un piccolo corridoio, si trovarono nella sacrestia. In una stanza adiacente alcune donne, guardavano minuziosamente i libri sacri. A Svaldi sembrarono testi antichi.
"Sono Padre Ernesto Maria Liguori, il custode di questa chiesa". Una voce severa alle loro spalle, interruppe il sacro silenzio dell'ambiente nel quale si trovavano.
Girandosi Svaldi notò un prete accanto ad una scrivania affollata di carte, con indosso una t-shirt e dei pantaloncini corti.
"Lei deve essere il giornalista che mi ha telefonato".
"Sì Padre. Sono Dario Svaldi, del Corriere di Milano, sono qui per...". Lo interruppe.
"So il motivo per il quale lei è venuto. Vede l'isola è piccola, e le cose si vengono subito a sapere". Svaldi guardò Salvatore convinto che fosse stato lui l'informatore segreto.
"Ma vorrei approfittare della sua presenza per parlarle d'altro". Aggiunse il prelato.
Padre Liguori accompagnò Svaldi e Salvatore su di una terrazza davanti al suo ufficio dalla quale ammirarono un panorama stupendo. Da lì videro il Monte di Procida e in lontananza Pozzuoli, mentre il cielo cominciava a coprirsi di nuvole grigie che minacciavano pioggia.
"Scusate se vi faccio accomodare fuori, ma oggi è una giornata afosa". Con le sue parole il prelato cercò di giustificare l'abbigliamento, certamente poco consono per il ruolo che ricopriva.
"Non si preoccupi Padre. Di cosa vuole parlarmi?". Svaldi cercò di arrivare subito al nocciolo della questione. Per carattere era sempre diretto col suo modo di fare.
"È da alcuni mesi che succedono cose strane sull'isola". Il tono di voce del prelato cominciò a cambiare.
"Cosa intende, non riesco a capire?".
"Vede dottor Svaldi". Aggiunse.
"Prima del tradizionale corteo dei misteri che chiude le celebrazioni del venerdì Santo, una coppia di fedeli attivissimi in questa parrocchia, i coniugi Lembo (Alfonso e Mariolina) sono stati trovati morti nella loro abitazione. Dopo una settimana, invece, al ritorno da un pellegrinaggio che ho personalmente organizzato, Arturo, il sacrestano non si trova più. E per diverse notti estranei si sono introdotti nell'Abbazia per cercare qualcosa".
"Scusi Padre, ma i Carabinieri non hanno svolto indagini per i singoli casi?". Svaldi cercò di approfondire il discorso che cominciava a farsi interessante.
"Certo. Il maresciallo Cozzi della stazione dei Carabinieri, ha archiviato il caso dei Lembo considerandolo suicidio plurimo. Per la scomparsa di Arturo, si cerca di rintracciare il fratello che vive in Umbria. Hanno ipotizzato che sia andato lì per qualche motivo. E per le effrazioni in chiesa, purtroppo, non ci sono agenti disponibili per approfondire la questione. Si attendono rinforzi da Napoli. Io sono convinto dottore, che altri gravi episodi accadranno. La prego ci aiuti a capire cosa succede". Svaldi si mostrò meravigliato dalla richiesta del prete.
"Ma padre, io sono un giornalista, come crede che possa aiutarvi?".
"Lei ha conosciuto fatti di cronaca, è un giornalista di fama nazionale ed è abituato a situazioni strane. Sono sicuro che potrà fare chiarezza su di una vicenda che ha già assunto caratteri tragici, con la morte dei Lembo".
Svaldi vista l'insistenza del prelato si riservò dal prendere una decisione. Pensò comunque di fare una visita alla stazione dei Carabinieri, per raccogliere maggiori elementi e capire se i sospetti del curato fossero realmente fondati.
Andarono via dall'Abbazia che era passato mezzogiorno, la chiesa era già piena di fedeli in attesa dell'inizio della messa domenicale. Fu lo stesso padre Liguori a celebrarla.
Si diressero nuovamente verso il porto, mentre Salvatore era alla guida della sua auto a Svaldi ritornarono in mente le parole del direttore che gli raccomandava di stare lontano dai guai. Per questo motivo, decise momentaneamente di non telefonare in ufficio e non dire niente di ciò che accadeva, neanche ai suoi colleghi.
Il maresciallo Cozzi era siciliano di Lipari. Prestava servizio alla caserma dei Carabinieri di Procida da circa due anni. Quel pomeriggio mentre spiegava la dinamica del presunto suicidio dei Lembo, si accaniva su di una mela, addentandola nervosamente. Lo stesso ritratto del Presidente Ciampi, alle sue spalle sembrava disturbato nel guardarlo.
"Li abbiamo trovati nella camera da pranzo. La signora Mariolina era vestita, mentre il signor Alfonso aveva appena finito di farsi la doccia, ed era avvolto da un accappatoio color vinaccia. La donna è stata fulminata da un colpo al cuore sparato dal marito. Lui invece si è suicidato sparandosi alla nuca. Il muco gli fuoriusciva dal naso e dalla bocca e si raccoglieva in una pozza di sangue vicino alla mascella". Svaldi cominciava a disgustarsi non tanto per il racconto minuzioso del suicidio, ma per il modo in cui il maresciallo mangiava la mela.
"Ma lei è proprio sicuro che si è trattato di suicidio?". Chiese Svaldi.
"Sicuro! Quando abbiamo trovato i cadaveri, accanto c'era un biglietto. La signora aveva scoperto di avere un tumore, è stato un gesto disperato di due persone che si ameranno in eterno". Concluse languidamente il maresciallo. A Svaldi sembrò la fine dell'ultimo atto di una commedia teatrale.
"E della scomparsa di Arturo il sacrestano, cosa mi può dire?".
"Quello è stato sempre un poco di buono, uno sbandato, non mi ha meravigliato questa sua sparizione improvvisa. Dottore, Procida è un'isola tranquilla, non dia ascolto alla voce di un visionario che vede complotti dovunque". Il maresciallo Cozzi si riferiva al curato.
"Sì, ma non può negare che qualcuno si è introdotto nell'Abbazia".
"Succede sempre. Nei mesi estivi sull'isola girano tanti estranei e tra questi capita sempre il solito ladruncolo. Comunque per sua maggiore tranquillità legga pure il rapporto che ho stilato. Quando avrà finito vedrà che non c'è niente di strano in questa storia".
 
 
Quell'oretta di sonno a prima mattina non aveva fatto altro che provocargli un fastidioso mal di testa. Per tutta la notte Dario Svaldi aveva pensato e ripensato al suicidio dei Lembo. Ma c'erano alcuni particolari della vicenda che non gli quadravano. Perché i Lembo avevano deciso di farla finita proprio nei giorni delle festività Pasquali? Per quale motivo il signor Alfonso - Svaldi lo aveva letto sul rapporto del maresciallo Cozzi - aveva preparato un vestito pulito prima di fare la doccia, se aveva l'intenzione di suicidarsi? Ma soprattutto perché farlo con l'accappatoio indosso? Questi tre quesiti ai quali non riusciva a dare risposta cominciavano a spazientire il giornalista quando squillò il suo cellulare.
"Duttò, so' Salvatore. Il maresciallo Cozzi vi vuole parlare, ha scoperto qualcosa di interessante. Passo a prendervi tra mezz'ora".
Per essere lunedì mattina, giorno generalmente caotico per il traffico dell'isola, giunsero alla caserma dei Carabinieri in pochissimo tempo. Il maresciallo Cozzi stava armeggiando seduto davanti al computer del suo ufficio nel tentativo di "aprire" un file registrato su di un floppy disk che recava un'insolita scritta: VIVARIUM.
"Ho fatto perquisire l'appartamento di Arturo, il fratello l'abbiamo rintracciato e da lui non c'è mai stato. Questo l'abbiamo trovato nascosto in un vecchio armadio". Gli mostrò il dischetto che era nero con l'etichetta bianca e rossa.
"È un floppy disk, come tanti che si trovano in giro, cosa c'è di strano maresciallo?". Domandò il giornalista.
"È strano averlo trovato in casa di Arturo, quello a stento sa leggere, figuriamoci vederlo usare un computer".
Il maresciallo finalmente riuscì a cliccare con il suo mouse sull'icona del file, era un documento Word. Comparvero sul monitor alcune pagine scritte in latino, probabilmente ricopiate da qualche libro. Le cose a Svaldi cominciarono finalmente ad essere chiare, soprattutto quando Cozzi gli disse che Alfonso Lembo, prima di andare in pensione aveva insegnato latino e greco al liceo ginnasio Casanova di Napoli. I tasselli del puzzle, stavano lentamente tornando al loro posto. Il collegamento, tra la morte dei Lembo, la scomparsa di Arturo e i tentativi di furto nell'Abbazia, c'era sicuramente.
 
 
La sensazione che Padre Liguori nascondesse qualcosa, Svaldi l'aveva avuta fin dal primo momento del loro incontro. Ma addirittura la scomparsa di un documento, trafugato dalla biblioteca dell'Abbazia, non l'aveva immaginato.
"Lo scritto VIVARIUM è stato rubato prima della morte dei Lembo".
Mentre il prelato parlava alla presenza del maresciallo Cozzi, Svaldi guardava estasiato gli scaffali di legno impolverati che contenevano i secolari volumi della biblioteca.
"Perché non ha detto nulla della scomparsa del documento? Si rende conto che facendo così ha ostacolato le nostre indagini?". Alle domande incalzati del maresciallo Cozzi, il curato cominciava a mostrarsi risentito, rendendosi conto dell'errore che aveva commesso.
"Pregai il professor Lembo di non dire niente, lui stava lavorando alla traduzione di quel documento, ritrovato durante i lavori di ristrutturazione di alcune "segrete". Ritenni giusto di non divulgare la notizia per non allarmare la collettività. Vede maresciallo, sull'isola la credenza popolare è molto forte e nei tempi passati la profanazione dell'Abbazia è stata sempre considerata come cattivo presagio".
"Padre capisco le sue buone ragioni. Magari lei l'ha fatto inconsapevolmente ma può essere accusato di favoreggiamento, visto che al momento Arturo rimane l'unico sospettato".
"Sospettato di cosa?". Chiese ingenuamente il curato.
"Dell'omicidio dei Lembo! Perquisendo la casa di Arturo, abbiamo trovato il floppy disk sottratto al professor Alfonso, sul quale era stato copiato il documento. Ed un biglietto della compagnia Procida Lines per l'imbarco di un'auto. L'indagine è ormai in corso Padre, rimanga a disposizione, nel frattempo i miei uomini raccoglieranno una sua deposizione".
 
 
La certezza che Arturo non aveva mai abbandonato l'isola Svaldi e il maresciallo Cozzi non l'avevano, ma il biglietto non utilizzato ritrovato nel suo appartamento era un indizio da tenere in considerazione. Si recarono presso gli uffici della compagnia di navigazione Procida Lines che si trovavano a Marina Grande.
L'impiegata addetta alla cassa sembrava altissima, seduta sul seggiolone dietro allo sportello della biglietteria. Era bionda con due occhi azzurri che ricordavano a volte il colore del cielo e in altri momenti quello del mare, a seconda di come il sole che penetrava dalla finestra illuminava il suo viso.
"Arturo? Lui non è mai venuto qui ad acquistare il biglietto. Io lo conosco bene, abita proprio vicino casa di mia zia". Disse la donna al maresciallo Cozzi.
"Guardi attentamente Rossella (era il nome dell'impiegata), questo biglietto è stato emesso una settimana prima di Pasqua. Faccia uno sforzo e cerchi di ricordare chi l'ha ritirato". Il maresciallo sentiva che quella era la strada giusta da seguire.
"Nessuno sforzo, maresciallo. Ricordo perfettamente quel biglietto. In quel periodo sull'isola non ci sono molti turisti e quell'uomo io non l'avevo mai visto prima. Sa l'isola è piccola e almeno di vista ci conosciamo tutti. Era un uomo maturo, alto e affascinante, ma non sembrava italiano. Poteva avere all'incirca cinquant'anni. I capelli erano bianchi come la sua barba. Mi disse che sull'isola c'era stato molto tempo fa, prima della chiusura del carcere. Anzi se ricordo bene...Ah sì, sì ricordo, disse che lui era stato addirittura rinchiuso nel carcere. Ma non diedi peso alle sue parole, sa a volte voi uomini dite tante fesserie per far colpo sulle donne".
"Non le disse nient'altro?". Aggiunse Cozzi. "È importante per l'indagine capisce?".
"Ad un certo punto gli squillò il telefonino, e sembrò molto agitato, mi chiese di stampare velocemente il biglietto e andò via. Da allora non l'ho visto più".
Il maresciallo Cozzi e Svaldi non sottovalutarono le parole dette dall'uomo misterioso all'impiegata della biglietteria. Anzi a Svaldi venne un'idea mentre il maresciallo Cozzi metteva in moto la sua Fiat Punto d'ordinanza.
"Dobbiamo consultare l'archivio centrale del Ministero di Grazia e Giustizia e cercare la lista delle persone rinchiuse negli ultimi anni nel carcere".
"Dottore, ma si rende conto che si tratta di centinaia di persone ?". Disse il maresciallo poco convinto della realizzazione del piano.
"Non credo siano molte, se il carcere è stato chiuso nel 1988, i detenuti rimasti dovevano essere ben pochi. Se l'età del nostro uomo misterioso corrisponde alla descrizione fatta dall'impiegata della Procida Lines, penso che potremmo individuarlo facilmente. Inoltre non dimentichiamo che il curato è stato il cappellano del carcere, con il suo aiuto lo smaschereremo".
"Mi ha convito dottor Svaldi, nel frattempo però l'accompagno al suo appartamento. È stata una giornata movimentata per lei ed io purtroppo devo rientrare in caserma". Disse poco entusiasta a causa del turno di notte che si apprestava ad effettuare.
Svaldi aveva appena finito di mangiare la solita pizza acquistata lungo la strada, quando vide che erano passate le 22,00. Accese il suo computer Compaq, lo collegò al telefono cellulare e consultò la casella di posta elettronica. Notò con enorme piacere la presenza di una e-mail del suo collega e amico Eugenio Silvestri:
 
Caro Dario,
innanzi tutto volevo rassicurarti di non aver fatto parola al direttore di ciò che ti sta capitando, così come mi avevi chiesto. Ti riassumo la traduzione del testo che mi hai mandato.
Vivarium, ovvero "Vivaio" è in sostanza la descrizione di una piccola isola. La sua vegetazione, tipica della Macchia Mediterranea, spazia dalle specie Arboree (Querce, Lauro, Olivo) e quelle Erbacee (Mirto, Edera, Trifoglio ecc.). Ma la cosa interessante e che, contrariamente a quanto creduto in precedenza, oltre alla presenza di modesti materiali della Età del Bronzo (XVI - XIV secolo A.C.) si trovino custoditi in alcuni anfratti reperti di pregiato valore artistico. Alcuni addirittura di oro zecchino. Domani ti invierò la traduzione completa.

Eugenio





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Ins. 15-10-2003