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Federico Cerrai Chiara di luna CHIARA (4 maggio 1995)
Cosa potrò scriverti per lenire il tuo dolore.
Cosa potrò dirti, quando mi correrai
incontro con quelle tue manine strane.
Solo: ti amerò per sempre!
LETTERA A CHIARA
Piccolo Amore,
so che è duro accettare la realtà e forse lo sarà più per te che per me. Io e mamma cercheremo di darti la migliore qualità di vita, termine che noi insulsi dottori usiamo per cercare di soffocare il nostro egoismo.
Spero solo che non me ne vorrai quando in futuro ti guarderai allo specchio e non ti riconoscerai, perché ti sarai accorta di essere diversa da tua sorella e da tutte le altre bambine. Certo, tutto è successo per caso e la sfortuna ha infierito su di te che non lo meritavi; in fondo sei l'unica vera innocente di questa storia tragica.
Sai, io e mamma ci siamo sentiti truffati del diritto di avere un'altra figlia normale (ma normale da che punto di vista?) e bella (ma secondo quali canoni?).
Lotteremo insieme!
Forse, in un aldilà che non esiste, ci siamo già guadagnati la nostra fetta di paradiso.
SENZA TITOLO
E alla fine anche Dio morì.
Impallinato in una strada di Sarajevo da un cecchino serbo; in un drogato all'ultima overdose; nel viso attonito di una bambina innocente nata malformata; sotto un ponte della ricca California durante un terremoto. E poi, nelle strade di Bombay, nei villaggi africani dove la gente si massacra per il colore della pelle e nei vicoli delle favelas di Rio dove i poliziotti sparano ai bambini.
Quello che rimase di Lui si allontanò, come una piuma sospinta dal vento, decidendo di abbandonare questo pianeta miserando al suo tragico destino.
E Gesù parlò allora alla Madonna.
«Madre mia, ma perché questo popolo non ha imparato nulla?»
«Figlio diletto, l'esperienza passata spesso inganna! Ogni individuo cerca sempre di arrivare alla felicità, prevaricando la volontà altrui!»
«Ma esiste un posto, in questo universo, dove la gente viva senza danneggiarsi?»
«Esistono altri mondi, ma dove tutto è nato dalla chimica del carbonio, come sulla Terra, la Natura è matrigna e spietata!»
«E allora cosa rimane, Madre mia!»
«Forse, solo la speranza!».
STATI MENTALI
Il mio attuale stato d'animo è paragonabile ad un deserto continuamente flagellato da un fortissimo vento gelido. Non riesco più a fare serenamente quello che facevo prima. Lavorare, scrivere. Non riesco più ad avere idee.
Lavorare, poiÉ! Non se ne parla nemmeno. Qualcuno mi ha detto che questa vicenda mi farà diventare un medico più umano.
Non credo proprio. È vero invece il contrario. Non mi interessa più la sofferenza altrui. Non posso essere più coinvolto; la mia vita è rivolta solo verso Chiara, quel fagottino un po' deforme che ora dorme nel suo lettino, senza sapere quello che l'attenderà tra qualche tempo.
La guardo e penso a quanto la natura si sia accanita verso questo esserino senza colpe, che sta pagando per qualcosa che non può avere commesso.
E chi è il responsabile di tutto ciò? Vorrei tanto averlo davanti per poterlo guardare negli occhi. Non sarebbero necessarie parole; basta lo sguardo per esprimere tutto l'odio che ho dentro.
Spero solo di non avere condannato questo piccolo fiore strappato, ad una solitudine insopportabile. Non riesco più a vedere uno scopo nella mia vita, che non siano le sofferenze che saremo costretti ad infliggerle.
E quando sarà la fine? Forse non ci sarà mai una fine. Io e Silvia cerchiamo di condurre un'esistenza normale, sapendo benissimo che normale non lo è più; anche i rapporti tra noi due sono cambiati, ed io non riesco neppure più a rammaricarmi per questo.
Forse, l'unica cosa è andare avanti e sperare che un mattino, un sorriso di affetto su una bocca piccola come un bocciolo di rosa, ci liberi da questo tunnel buio, dove siamo cascati.
Non so più cosa sperare!
A cosa è servita tutta questa storia se non ad aumentare la sofferenza.
Guardo il sole che sta tramontando nel mare luccicante e mi chiedo se saremo di nuovo capaci di apprezzarlo. Ora non è possibile; i nostri occhi sono offuscati solo dalla tristezza.
STATI MENTALI (II)
Non scorderò mai il viso di mio padre quando mi disse: «Siamo arrivati a settant'anni per questoÉ?»
Mi guardava con due occhi che esprimevano un dolore talmente profondo e radicato che ho provato pietà e sconforto per lui.
So cosa voleva dire con quella frase rimasta in sospeso. Sdraiata nel lettino di quella cameretta fredda ma stranamente ospitale, come possono esserlo le stanze dei reparti di pediatria, c'era Chiara, nata solo venti giorni prima e già segnata da un destino di lunghi ricoveri e sedute operatorie.
«E siamo a questo punto!», avrei voluto dire al mio vecchio per concludere la frase.
Ma non c'era bisogno di altre parole!
Mia figlia è nata con una sindrome malformativa talmente rara, che sarebbe stato più facile fare un tredici miliardario al totocalcio. La guardo nel lettino mentre, assopita, cerca di recuperare le forze dopo tutto quello che le abbiamo fatto.
"È sola! E lotta per sopravvivere!", penso.
I neonati sono macchine fatte per sopravvivere.
Da quando è qua dentro, ha avuto di tutto; infezioni intestinali, infezioni respiratorie. E per nutrirla le hanno messo un catetere venoso in atrio destro.
Io e Silvia viviamo continuamente momenti di sollievo alternati a momenti di sconforto e la sera riusciamo ad addormentarci giusto perché siamo sfiniti.
Qualche giorno fa i medici curanti hanno prospettato l'ipotesi di farle una tracheotomia per farla respirare meglio. Ma vi rendete conto di cosa voglia dire gestire una paziente con una tracheotomia? Intanto, deve essere ricoverato in un reparto di rianimazione (almeno all'inizio), poi deve essere bronco aspirato spesso e monitorato continuamente, per prevenire le infezioni delle vie respiratorie che in un esserino come Chiara possono essere fatali.
È nata solamente da venti giorni e già penso a quanto mi mancherebbe se dovesse volare via.
È un'angoscia continua!
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