Fabrizio De André
"da Paladin"
- Era una splendida giornata di sole. O forse una giornata uggiosa. Era il 4
- di settembre. O forse il 5. Certamente erano le 10 del mattino quando
- venni spinto o forse risucchiato dentro l'osteria "da Paladin".
- Non so per quanto tempo rimasi confuso e incerto per la luce diversa o per
- il fumo o per i suoni. Non so.
- Carlo G. abbozzava a matita l'ennesimo quadro sempre uguale: un uomo di
- spalle s'inoltrava faticosamente in un tunnel senza uscita trascinando
- alla catena una enorme palla di ferro. Ma Carlo c'era?
- Orio Z. beveva tremando la prima dose giornaliera di bicarbonato: diceva
- d'avere l'ulcera, una volpe nello stomaco.
- Giuliana M., congestinata febbricitante come d'uso, semisdraiata sul
- tavolo si accaniva sulla traduzione del "the caretaker" di Pinter. Ma c'era?
- Un ragazzotto in un angolo pizzicava le corde di una chitarra
- canticchiando sommessamente una ballata, quasi con vergogna.
- Oscar L., davanti ad una bottiglia di vino ormai vuota, armeggiava esperto
- sull'orologio da muro che ticchettava assordante. Il padrone, lo
- strofinaccio sulla spalla, lo guardava indeciso tra divertimento e
- preoccupazione.
- Leo N., in piedi al centro della sala, come tutte le mattine, iniziava a
- declamare il racconto della sua vita: "Venni al mondo leone affamato,
- corvo, serpente assetato e, nell'amare mia madre, cane arrabbiato. Eppure
- sostavo con scintillante ardore e superbo candore fra le labbra mostruose
- rosse come fuoco. Gia' alticcio d'orge commettevo il mio primo adulterio
- nell'eta' dell'oro del mio non-vivere essenziale. Leone affamato trafitto
- da sbarre d'argento che puntellavano il mio cervello tenero e opaco come
- il seme della vita. Fin d'allora una malattia torturante, flagello del
- non-essere, angoscia del non-fare, minava le mie viscere. Impotenza
- mentale. Eppure sentivo che il mio cuore s'invaghiva di angeli azzurri e
- di cuori vermigli, e azzurro era il mio incedere e vermiglio l'amare...".
- Improvviso cadde il silenzio dell'orologio e subito l'urlo di Oscar: "S'e'
- fermato!". E lo guardava con tristezza ma con un infinito e insostenibile
- senso di liberazione. Non saluto' nessuno, spalanco' la porta e usci'. Ci
- avvertirono piu' tardi che s'era sparato un colpo alla tempia.
- Il padrone prese l'orologio e lo riappese al muro.
- Orio, davanti al bicchiere vuoto di bicarbonato, disegnava una scenografia
- al ritmo delle note di Doriano S.: erano cubi e cubi e cubi, tutti vuoti.
- E dentro uno di essi Orio si dileguo'. Lo portarono di corsa all'ospedale
- dove, dopo aver vinto innumerevoli battaglie, perse definitivamente la
- guerra contro la bestia che aveva dentro.
- Carlo col foglio davanti a se', bianco.
- Giuliana e il suo "caretaker".
- Irruppe nella sala un altro pesante silenzio. Mi guardai attorno per
- capire: che cosa adesso mancava? La musica mancava. Guardai nell'angolo e
- dove prima c'era il ragazzotto che canticchiava con vergogna, vidi solo la
- chitarra appoggiata al muro, definitivamente inerte.
- Mi voltai di scatto, appena in tempo per vedere la porta che si chiudeva
- silenziosa, quasi scusandosi, alle spalle di Fabrizio.
- Paolo
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