LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
I grandi poeti contemporanei
Giorgio Caproni Da: Il passaggio d' Enea
- I - Didascalia
- Fu in una casa rossa:
- la Casa Cantoniera.
- Mi ci trovai una sera
- di tenebra, e pareva scossa
- la mente da un transitare
- continuo come il mare.
- Sentivo foglie secche,
- nel buio, scricchiolare.
- Attraversando le stecche
- delle persiane, del mare
- avevano la luminescenza
- scheletri di luci rare.
- Erano lampi erranti
- d' ammotorati viandanti.
- frusciavano in me l' idea
- che fosse il passaggio d' Enea.
- II - Versi
- «A l' accent familier
- nous devinons le spectre»
- La notte quali elastiche automobili
- vagano nel profondo e con i fari
- accesi, deragliando sulle mobili
- curve sterzate a secco, di lunari
- vampe fanno spettrali le ramaglie
- e tramano di scheletri di luce
- i soffitti imbiancati? Fra le maglie
- fitte d' un dormiveglia che conduce
- il sangue a sabbie di verdi e fosforiche
- prosciugazioni, ahi se colpisce l' occhio
- della mente quel transito, e a teoriche
- lo spinge dissennate cui il malocchio
- fa da deus ex machina!...Leggère
- di metallo e di gas, le vive piume
- celeri t' aggrediscono - l' acume
- t' aprono in petto, e il fruscio, delle vele.
- T' aprono in petto le folli falene
- accecate di luce, e nel silenzio
- mortale delle mobili cantilene
- soffici delle gomme, entri nel denso
- fantasma - entri nei lievi stritolii
- lucidi del ghiaino che gremisce
- le giunture dell' ossa, e in pigolii
- minimi penetrando ove finisce
- sul suo orlo la vita, là Euridice
- tocchi, cui nebulosa e sfatta casca
- la palla morta di mano. E si dice
- il sangue che c' è amore ancora, e schianta
- inutilmente la tempia, oh le leghe
- lunghe che ti trascinano - il rumore
- di tenebra, in cui il battito del cuore
- ti ferma in petto il fruscio delle streghe!
- Ti ferma in petto il richiamo d' Averno
- che dai banchi di scuola ti sovrasta
- metallurgico, il senso è in quell' eterno
- rombo di fibre rotolanti a un' asta
- assurda di chilometri, sui lidi
- nubescenti di latte trovi requie
- nell' assurdo delirio -Trovi i gridi
- spenti in un' acqua che appanna una quiete
- senza umano riscontro, ed è nel raggio
- d' ombra che di qua penetra i pensieri
- che là prendono corpo, che al paesaggio
- di siero, lungo i campi dei Cimmeri
- del tuo occhio disfatto, riconosci
- il tuo lémure magro (il familiare
- spettro della tua scienza) nel pulsare
- di quei pistoni nel fitto dei boschi.
- Nel pulsare del sangue del tuo Enea
- solo nella catastrofe, cui sgalla
- il piede ossuto la rossa fumea
- bassa che arrazza il lido. Enea che in spalla
- un passato che crolla tenta invano
- di porre in salvo, e al rullo d' un tamburo
- ch'è uno schianto di mura, per la mano
- ha ancora così gracile un futuro
- da non reggersi ritto. Nell' avvampa
- funebre d' una fuga su una rena
- che scotta ancora di sangue, che scampo
- può mai esserti il mare (la falena
- verde dai fari bianchi) se con lui
- senti di soprassalto che nel punto
- d' estrema solitudine, sei giunto
- più esatto e incerto dei nostri anni bui?
- Nel punto in cui, trascinando il fanale
- rosso del suo calcagno, Enea un pontile
- cerca che al lancinante occhio via mare
- possa offrire altro suolo - possa offrire
- al suo cuore di vedovo (di padre,
- di figlio - al cuore dell' ottenebrato
- principe d' Aquitania), oltre le magre
- torri abolite l' imbarco sperato
- da chiunque non vuol piegarsi. E,
- con l' alba già spuntata a cancellare
- sul soffitto quel transito, non è
- certo un risveglio la luce che appare
- timida sulla calce. Il tremolio
- scialbo del giorno in erba, in cui già un sole
- che stenta a alzarsi allontana anche in cuore
- di quei motori il perduto ronzio.
- III Epilogo
- Sentivo lo scricchiolio,
- nel buio, delle mie scarpe:
- sentivo quasi di talpe
- seppellite un rodio
- sul volto, ma sentivo
- già prossimo ventilare
- anche il respiro del mare.
- Era una sera di tenebra,
- mi pare a Pegli, o a Sestri.
- Avevo lasciato Genova
- a piedi, e freschi
- nel sangue i miei rancori
- bruciavano, come amori.
- M' approssimavo al mare
- sentendomi annientare
- dal pigolio delle scarpe:
- sentendo già di barche
- al largo un odore
- di catrame e di notte
- sciacquante, ma anche
- sentendo già al sol, rotte,
- le mie costole, bianche.
- Avevo raggiunto la rena,
- ma senza avere più lena.
- Forse era il peso nei panni,
- dell' acqua dei miei anni.
- ©1999 Il club degli autori, Giorgio Caproni
Per comunicare con il Club degli autori: info@club.it
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Agg 26 marzo 1999