Da: Il passaggio d'
Enea
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- I - Didascalia
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- Fu in una casa rossa:
- la Casa Cantoniera.
- Mi ci trovai una sera
- di tenebra, e pareva scossa
- la mente da un transitare
- continuo come il mare.
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- Sentivo foglie secche,
- nel buio, scricchiolare.
- Attraversando le stecche
- delle persiane, del mare
- avevano la luminescenza
- scheletri di luci rare.
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- Erano lampi erranti
- d' ammotorati viandanti.
- frusciavano in me l' idea
- che fosse il passaggio d' Enea.
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- II - Versi
- «A l' accent familier
- nous devinons le spectre»
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- La notte quali elastiche automobili
- vagano nel profondo e con i fari
- accesi, deragliando sulle mobili
- curve sterzate a secco, di lunari
- vampe fanno spettrali le ramaglie
- e tramano di scheletri di luce
- i soffitti imbiancati? Fra le
maglie
- fitte d' un dormiveglia che conduce
- il sangue a sabbie di verdi e
fosforiche
- prosciugazioni, ahi se colpisce l'
occhio
- della mente quel transito, e a
teoriche
- lo spinge dissennate cui il
malocchio
- fa da deus ex
machina!...Leggère
- di metallo e di gas, le vive piume
- celeri t' aggrediscono - l' acume
- t' aprono in petto, e il fruscio, delle
vele.
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- T' aprono in petto le folli falene
- accecate di luce, e nel silenzio
- mortale delle mobili cantilene
- soffici delle gomme, entri nel
denso
- fantasma - entri nei lievi
stritolii
- lucidi del ghiaino che gremisce
- le giunture dell' ossa, e in
pigolii
- minimi penetrando ove finisce
- sul suo orlo la vita, là
Euridice
- tocchi, cui nebulosa e sfatta casca
- la palla morta di mano. E si dice
- il sangue che c' è amore ancora, e
schianta
- inutilmente la tempia, oh le leghe
- lunghe che ti trascinano - il
rumore
- di tenebra, in cui il battito del
cuore
- ti ferma in petto il fruscio delle
streghe!
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- Ti ferma in petto il richiamo d'
Averno
- che dai banchi di scuola ti
sovrasta
- metallurgico, il senso è in quell'
eterno
- rombo di fibre rotolanti a un' asta
- assurda di chilometri, sui lidi
- nubescenti di latte trovi requie
- nell' assurdo delirio -Trovi i
gridi
- spenti in un' acqua che appanna una
quiete
- senza umano riscontro, ed è nel
raggio
- d' ombra che di qua penetra i
pensieri
- che là prendono corpo, che al
paesaggio
- di siero, lungo i campi dei Cimmeri
- del tuo occhio disfatto, riconosci
- il tuo lémure magro (il
familiare
- spettro della tua scienza) nel
pulsare
- di quei pistoni nel fitto dei
boschi.
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- Nel pulsare del sangue del tuo Enea
- solo nella catastrofe, cui sgalla
- il piede ossuto la rossa fumea
- bassa che arrazza il lido. Enea che in
spalla
- un passato che crolla tenta invano
- di porre in salvo, e al rullo d' un
tamburo
- ch'è uno schianto di mura, per la
mano
- ha ancora così gracile un
futuro
- da non reggersi ritto. Nell'
avvampa
- funebre d' una fuga su una rena
- che scotta ancora di sangue, che
scampo
- può mai esserti il mare (la
falena
- verde dai fari bianchi) se con lui
- senti di soprassalto che nel punto
- d' estrema solitudine, sei giunto
- più esatto e incerto dei nostri anni
bui?
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- Nel punto in cui, trascinando il
fanale
- rosso del suo calcagno, Enea un
pontile
- cerca che al lancinante occhio via
mare
- possa offrire altro suolo - possa
offrire
- al suo cuore di vedovo (di padre,
- di figlio - al cuore dell'
ottenebrato
- principe d' Aquitania), oltre le
magre
- torri abolite l' imbarco sperato
- da chiunque non vuol piegarsi. E,
- con l' alba già spuntata a
cancellare
- sul soffitto quel transito, non
è
- certo un risveglio la luce che
appare
- timida sulla calce. Il tremolio
- scialbo del giorno in erba, in cui
già un sole
- che stenta a alzarsi allontana anche in
cuore
- di quei motori il perduto ronzio.
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- III Epilogo
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- Sentivo lo scricchiolio,
- nel buio, delle mie scarpe:
- sentivo quasi di talpe
- seppellite un rodio
- sul volto, ma sentivo
- già prossimo ventilare
- anche il respiro del mare.
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- Era una sera di tenebra,
- mi pare a Pegli, o a Sestri.
- Avevo lasciato Genova
- a piedi, e freschi
- nel sangue i miei rancori
- bruciavano, come amori.
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- M' approssimavo al mare
- sentendomi annientare
- dal pigolio delle scarpe:
- sentendo già di barche
- al largo un odore
- di catrame e di notte
- sciacquante, ma anche
- sentendo già al sol, rotte,
- le mie costole, bianche.
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- Avevo raggiunto la rena,
- ma senza avere più lena.
- Forse era il peso nei panni,
- dell' acqua dei miei anni.
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