LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
I grandi poeti contemporanei
Lino Curci
- EPIGRAFE PER UNA GENERAZIONE
- Tutto scivola sulla superficie dell'anno,
- non quel primo passo esitante
- su un altro mondo, che vedemmo d'estate.
- Tutto scivola, è già passato, le guerre
- e la pace impossibile, i governi
- della violenza, il fermento e i dolori
- d'una generazione. Sono stanco
- di negare me stesso e rifiutare la gioia,
- anche questo finirà, lo sento,
- tutto scivola con noi nell'abisso del tempo.
- Ma quel nuovo passo sulla scala dell'uomo
- e quel modo di viverlo e vederlo,
- che fummo sulla lunga ora di morte
- se non l'occhio che ha visto il piede che esplora,
- il principio di un gesto interminabile
- e l'amore felice di non compiersi.
- Il vero amore che sa tornare al silenzio,
- la vita consapevole di restare sommersa.
- Fummo gli altri dopo di noi, la parola nel vento;
- e tre uomini come noi che al ritorno pregavano in locale
- isolato.
- Guardateci nel nostro vero volto,
- noi che fummo il presente e il passato, l'amore e il tempo.
- QUANTO PIU' TI AVVICINO
- Dimmi perché questo selvaggio amore della vita in fuga,
- questa rivolta contro il tempo, è un'illusione, è vero,
- che il tempo sia, ma come incide e sgretola;
- quest'odio della polvere, la donna amata, polvere,
- l'intelligenza della mente, polvere;
- dimmi perché nel bosco questo immenso silenzio,
- tanto simile all'essere che tu sei, nascosto
- nella pietra vivente, nel segreto dell'albero;
- dimmi perché taci, operoso e immobile, in ogni frana;
- perché la farfalla sul sentiero sarà la polvere che calpesto
- e perché mi ribello quanto più ti avvicino.
- INCONTRO ALL'AEROPORTO
- "Come sei ringiovanito, Bill!" La voce allegra
- su valigie che crollano
- lungo le guide di metallo, sulla gente in attesa.
- Rimbalza come una palla sul mattino d'inverno.
- Un sorriso distratto la raccoglie,
- compiaciuto di esistere. I tuoi problemi,
- i tuoi anni incalzanti, Bill. Che fatuità
- a un crocevia dei fatti irreparabili,
- che bel mattino indifferente in cui si dissolvono i gruppi,
- ognuno corre alle uscite verso gli anni e la strada.
- Ma per un attimo
- si è sentita l'importanza di vivere,
- di vivere e di passare,
- Bill è sparito con i suoi denti candidi
- sorridendo nella luce invernale.
- Moriamo con efficienza, Bill,
- alla ribalta degli incontri indifferenti e benevoli
- dove scattano i flash per i volti del secolo,
- nella sottile emozione di attendere
- la voce che chiama il nostro volo.
- Quando compriamo giornali senza voglia di leggerli,
- sospesi tra allarme e abbandono,
- il tempo è fermo nell'alacrità
- per una luce verde tra gli aerei che passano.
- Il tempo grida dalle sue pause di silenzio in silenzio,
- da nebbiosi aeroporti dell'interno
- dove bambini piangono,
- da radianti aeroporti in riva al mare,
- folle convergono sulle terrazze a guardare partenze,
- consumare partenze, sventolano mani e bandiere,
- che gioia di essere uomini, che festa mobile,
- che danza esistenziale al crocevia della libertà.
- Consumo di speranze
- aggrappate al timone di coda
- per ogni rombo che scandisce il tempo.
- Ma l'assenza del tempo è sempre altrove.
- Salviamo la persona, Bill,
- noi società di consumo, noi fruitori, noi morte.
- Quante facce vedremo nel cielo giovane.
- Saremo vivi con le nostre macchine
- nella simbiosi che rinnova il mondo.
- Che maturazione per la nostra vita,
- che bel modo di andarsene fra luci multicolori,
- con discrezione, Bill, come sparisti
- verso le uscite nella luce bianca
- di un mattino d'inverno.
- LA CITTÀ' DELL'ORO
- Ho sognato, ma esiste, una città su un fiume,
- verde e lento con motoscafi alla fonda,
- e una chiesa con vetrate raggianti dipinte da Chagall
- che parlano inutilmente di resurrezione
- tra immagini di crolli e cattedrali disfatte,
- evangelisti e dèmoni. Nessuna risorge, nessuna
- risorgerà di queste facce spente,
- maschere grigie nei paesi della pioggia.
- Ho sognato, ma esiste, la città dell'oro
- con le sue grandi banche dai corridoi inaccessibili,
- gli abitanti hanno il volto duro dei servitori dell'idolo
- e da ogni parte vengono tributi.
- Date al dio delle nuove cattedrali,
- la persuasione striscia dai mezzi pubblici
- "preferite la nostra Banca, la Banca per tutti".
- Date al dio delle nuove cattedrali,
- la bellezza delle guglie e delle ogive è morta,
- architetture quadrate premono sulla terra,
- fortezze del potere, casseforti del mondo.
- Il fiume pigro tra le sue anse tace
- e con lui la coscienza. Ma tu, sangue
- di tante guerre, sale delle lagrime
- cristallizzato in oro
- nella città che non conosce guerre
- da secoli; sudore di tante genti
- cristallizzato in oro, deposto per sempre
- nei grandi labirinti; se poteste
- sciogliervi, scorrere e parlare,
- una voce si alzerebbe sul silenzio del fiume
- con il tuono e il tumulto delle rapide,
- cadrebbe su questi che camminano,
- sprezzanti sentinelle,
- ai confronti dell'altrui dolore.
- "Guardano il sangue della storia passare
- con vite divelte come tronchi.
- Ascoltateci, ascoltatemi,
- ascoltate il vento.
- Non conobbero il dolore, il prezzo di essere uomini.
- Non vedo le loro cicatrici.
- Nell'unico destino, nel comune pericolo
- appartati, in silenzio.
- Ma nessuno può salvarsi solo.
- Adorano un metallo sui loro altari
- e camminano nel tempo con facce di schiavi,
- sebbene assoldino per le fatiche più umili
- lavoratori stranieri".
- Sognando mi scoteva questa voce.
- Ma è vivo, è vero il ragazzo di Trento
- che suda sulle strade
- dipingendo le strisce pedonali
- del colore dell'oro, con la sua faccia aperta
- e il nudo ampio torace d'uomo dei monti.
- È viva, è vera la donna di Brescia
- che lavora negli ospedali e si lamenta:
- "siete, ci dicono, come i negri d'America".
- Basta, gridavo in sogno,
- impareremo l'importanza dei poveri,
- sapremo trattenere i nostri figli,
- e la pace non avrà frontiere.
- L'oro ritornerà
- fra i metalli più semplici.
- E la pace non sarà privilegio
- Ma un bene comune, indivisibile.
- Uomini camminavano sul lungofiume e sui ponti,
- lo sguardo indifferente e le labbra strette.
- Mostruose banche proliferanti crescevano
- chiudendo gli orizzonti,
- abbattendosi su di me come bunker.
- Nei sotterranei il sangue e il sudore dei secoli
- tacevano nell'oro, nel suo colore spento.
- Me ne sentivo responsabile, smaniando e piangendo.
- Una strana apocalisse di evangelisti e di santi
- usciva dalle vetrate con i suoi raggi e le sue rovine,
- abbandonava la città, lasciando
- l'estate faticosa e il cielo pallido.
- (senza titolo)
- Anche per questo
- ci fu data la terra,
- per patire il divino
- dentro di noi. E tutto quel che parla
- del tempo, il mutamento
- delle stagioni, l'incontro e la perdita,
- il volto che si annebbia e la durata
- della parola, è legge della terra
- condannata con noi. Passa, giardino
- dei nostri sogni, balcone sugli astri
- dove il pensiero naviga i silenzi.
- IL TUO VOLTO ASSOLUTO
- Ho lasciato il tuo volto a rispecchiarsi
- nella fanghiglia della sera, impasto
- di lagrime e di terra. Questa immagine
- della nostra natura, sulle strade
- di primo inverno.
- La tua forma di tempo e di dolore,
- di terra calpestata. Ma già lievita
- il tuo volto assoluto dalla povera
- ingiuria della mota e dei fanali.
- Lievita e sale
- al fuoco dei tuoi grandi occhi di donna.
- Così mi resti,
- smagrita in quella luce. E la pietà
- s'inchina alla tua essenza verticale.
- La vita che ti offende più t'illumina.
- QUESTO GRANO DELL'UOMO
- Ho imparato negli anni
- ad amare l'assenza, portatore
- di creature lontane. Ho spigolato
- il mio racconto d'anime. Ma è giunta l'ora
- in cui tutto cestisce e si moltiplica
- con più dolore, non so se un incontro
- mi arricchisca o divori.
- Avrei dovuto difendermi dal tuo dono,
- ma già cresce più di ogni altra la tua piccola spiga
- e per te sola pesa
- questo grano dell'uomo.
- LO SPRECO
- Tu divisa da me, una e mortale,
- sfuggi nel tempo al mio amore concreto.
- La malattia disegna la sua trama,
- e forse sarà quella
- la malattia finale. Vedo il termine
- di questa gara, prego
- di poterti raggiungere
- almeno per posare in te, nel grembo
- che sognai come l'alvo della terra.
- Non l'amore ti scava, ma un pensiero
- nudo, di morte, in te si adagia. Penso
- alla calda collana
- delle tue braccia, al desiderio immobile
- caduto nelle sue tempeste. E al modo
- in cui mi accoglierai, portato a riva
- come l'albero che il fiume mulina
- sulla corrente.
- Fuoco che perdemmo
- di ore tortuose e vive, ascolta
- il sangue che disegna il suo cammino
- sempre più stento, sale fino a te
- con oscura fatica. Ormai la vita
- rabbrividisce tutta in questo spreco,
- si inerpica testarda alla tua immagine.
- QUEL SORRISO DI DONNA
- Quel sorriso di donna
- astratto nel ricordo in pura luce,
- quelle parole: "coraggio, è il momento".
- Io passavo in barella
- sul filo di una trama &endash; era un disegno
- di sofferenza, soffice, - passavo,
- parte di un tutto, verso la mia prova.
- Si rischiarò l'ottobre
- sopra la mia convalescenza. Udivo
- il cupo acciottolìo delle barelle
- nei corridoi, gli eserciti
- dei sofferenti zoppicare uniti,
- membra di un solo corpo. Ero una parte
- di quel corpo profondo,
- anch'io la mia stampella, la mia ferita.
- Con pensieri puliti come nuvole
- sul dormiveglia. Al centro
- di un dolore trionfante, quel sorriso
- complice, senza volto,
- nasceva dal mio interno.
- E non ho mai abbracciato
- Così compatta, e così monca, la vita.
- SANGUE VERDE
- Sangue verde sul parabrezza, impronta
- di vespa o di libellula,
- attraversata dalle dolci strie
- di uno stampo simile alla foglia.
- Unità dei due regni, anche la pianta
- sente, soffre, è sensibile
- agli impulsi, al dolore... E chi saprà
- lo stupore di quel sangue versato
- sul ritmo della vita-movimento,
- né vi sarà rimpianto
- per un sangue così vegetale.
- Ogni moto ha forse bisogno
- di una piccola morte naturale.
- Fu così che danzando nell'estate leggera
- un'ala veniva a quell'incontro.
- Un sistema nervoso già compiuto
- nell'esile psiche; e come dirla
- rudimentale, se scriveva al sole
- lievemente la sua perfetta musica.
- La vita stessa dell'estate che danza,
- perché doveva venire
- in quel punto, in quell'attimo? A ferirsi,
- clorofilla e respiro, sangue e linfa,
- nella sua fratellanza originale.
- CONTROCORRENTE
- Non cederò all'invito dell'ironia dissacrante,
- non cadrò nella nevrosi così vezzeggiata dai critici
- dove il linguaggio balbetta alla radice semantica,
- non giocherò col linguaggio, non sporcherò la parola,
- non sarò di moda. La vita è seria,
- non giocherò con la vita, con i mali dell'uomo.
- Resterò come sono e scontento di esserlo,
- e che altro poteri fare ormai
- se non restare nella verità
- portandone gli insulti come un trofeo.
- Per comunicare con il Club degli autori: info@club.it
- Prima di scrivere, please, consulta le FAQ, è possibile che trovi la risposta
http://www.club.it/notiziario/bacheca/faq.html
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Inserito 19 febbraio 1999