- Vincenzo
Cardarelli:
- Lo
stile come necessità
assoluta
-
- Vincenzo Cardarelli (che
in realtà si chiamavaNazzareno Caldarelli) )
nasce a Corneto Tarquinia il 1° maggio 1887.
La madre si chiama Giovanna Caldarelli ma sui
registri dello stato civile non risulta nessuna
menzione del padre, Antonio Romagnoli. All'origine
del cambio del nome v'è certamente una
considerazione di ordine estetico perché,
per un giovane che desiderava diventare uno
scrittore e poeta famoso, doveva sicuramente
suonare meglio il nome prescelto in un secondo
tempo. Ma dietro al mutamento onomastico si
nasconde il dramma del figlio illegittimo che ha
lasciato profonde tracce nelle poesie malgrado
l'orgoglioso poeta abbia cercato di dissimularlo
per quanto fosse possibile. L'innata fierezza lo
portava a non essere sincero con se stesso, a non
ammettere l'umile origine e la sua condizione di
uomo costretto a scrivere per sbarcare il lunario.
Nelle conversazioni al caffè con gli amici
parlava delle sue origini con un tono fantasioso e
leggendario quasi volesse sfuggire alla
realtà ben più misera e tutto
ciò lo portò a costruirsi, direi
quasi ad inventarsi, una seconda infanzia, un suo
mondo favoloso e mitico. Lo stesso mutamento del
nome è ispirato dalla volontà di
nascondere la verità, di mescolare la
fantasia e la realtà: nel momento della
consacrazione e del successo a grande poeta pensava
che tutto si sarebbe dissolto come neve al
sole.
- A Corneto Tarquinia,
cittadina dall'aria antica, a una decina di
chilometri da Civitavecchia, la vita doveva
risultare alquanto difficile per il giovane
Cardarelli: il nomignolo che gli avevano affibbiato
era «bronchetto del bisteccaro», termine
che indicava una persona che non aveva una
posizione sociale solida e, come se non bastasse,
anche il termine di «bronchetto»
perché aveva una mano anchilosata. Come
possiamo ben immaginare la realtà non era
certo delle più felici.
- Ma ancor più
difficile era la situazione del padre, Antonio
Romagnoli. Un uomo sceso in Maremma a cercar
lavoro, senza una professione e senza una
condizione regolare. Per anni ed anni esercita
tutti i mestieri: «carrettiere, vetturino,
bettoliere nelle macchie o presso i bagni penali
... sempre cambiando e desideroso di non dipendere
che da se stesso...»
- Dopo questo continuo
girovagare, riesce a fare il caffettiere e gestisce
il buffet della stazione di Tarquinia. Un padre
tirannico e dispotico fino a cacciar di casa il
figlio, un padre che non riconosce mai nulla di
buono nel figlio, un padre che non ispira amore ma
soggezione. Abbandonate le severe osservazioni che
sembrano «dovute», Cardarelli si lancia
in una evocazione che fa assurgere il padre quasi
ad un personaggio mitologico, inventa un elemento
mitico, una figura tra il Patriarca e
l'avventuriero: «Sarebbe stato più
prolifico di un Patriarca. Ma la vita faticosa e
randagia non gli permise di accostarsi alla donna
se non molto tardi, e conobbe il concubinaggio ed
il matrimonio, male incontrandosi coll'uno, e
assaporando con parsimonia la breve incredibile
felicità dell'altro. Dopo di che, oppresso
da una cupa tristezza, si chiuse in una
castità perfetta fino alla fine dei suoi
giorni».
- La figura del padre viene
ricordata con la magia delle parole, con effetti
degni di una evocazione mitica che porta il poeta a
dire: «Ma io non sono che una piccolissima
parte indegna della sua lunga, leggendaria
esistenza». La vita del padre diventa una
esistenza che non si potrebbe raccontare che come
una favola.
- La realtà era
molto diversa e questa aurea leggendaria derivava
dalla volontà del poeta di plasmare una
riabilitazione e affermare una rivincita nei
confronti del luogo natìo. Cardarelli
parlerà del suo paese sempre con una
commistione di amore ed odio, a volte prevale il
dolore ma non manca certamente l'invettiva:
«Un paese di spettri / dove nulla è
mutato fuor che i vivi / che usurpano il posto dei
morti. / Qui tutto è fermo, / incantato nel
mio ricordo. / Anche il vento».
- Ma non saranno
l'invettiva e nemmeno l'elegia gli strumenti per
descrivere il mondo dell'infanzia: un micrososmo
che sarà rievocato in modo favoloso
attraverso i personaggi, le vicende, i luoghi
sempre permeati da una patina mitica e da una
visione fantastica. Grazie a questa conversione a
«favola cardarelliana» il paese
natìo diventa il simbolo del paradiso
perduto. Il poeta infatti è fondamentalmente
attratto ed interessato molto più dalle
sensazioni e dalle immagini piuttosto che dai fatti
reali, dalle vicende umane delle persone in quanto
tali: ecco allora che la favola è la forma
più adatta per rivivere come in un sogno la
sua infanzia ed il paese che lo ha visto
nascere.
- La favola come il sogno
regala alle cose un alone meraviglioso e miracoloso
e le vicende di quel mondo acquistano un valore che
tende ad affascinare il lettore.
- Il paese che Cardarelli
osserva è Corneto Tarquinia sul quale
aleggia una «tristezza inevitabile»,
«un paese di Maremma, antico e dal suolo
cavernoso e sconquassato, dove tre civiltà
giacciono l'una sopra l'altra». E nella favola
cardarelliana sarà proprio la civiltà
etrusca, misteriosa e mitica, ad affascinare il
poeta: «L'Etruria primigenia si compone in un
irresistibile slancio verso il monte. Navigano le
greggi sulla pianura ventosa, che si avvia
rapidamente a diventare altipiano, pilota
l'aratore, ondeggiano le messi e le groppe
schiumose dei cavalli balzani».
- La realtà serve
soprattutto da sostegno alla metafora,
all'immagine. La memoria per Cardarelli è un
fatto poetico, una «memoria poetica non
romanzesca».
- Salvare del passato solo
quello che ha o sembra possedere un valore poetico:
nella sua memoria di adolescente, piena di
turbamenti e fantasticherie, si sono depositati una
quantità di fatti straordinari che non si
sono mai avverati.
- È vero comunque
che lontano da Tarquinia Cardarelli si è
sempre sentito un uomo senza radici. Appena ritorna
al suo paese, l'oasi felice con la sua visione
idilliaca scompaiono e la realtà appare
molto diversa dal sogno: il passato, il peso dei
ricordi, gli inganni della memoria, le antiche
ossessioni, le ombre dell'infanzia. Ogni volta
rimane deluso, sanguinante, corroso dal passato e
consapevole che solo alla sua morte potrà
liberarsi della memoria e riposare in pace in
quella terra. E' questo il dramma umano di
Cardarelli che appena tocca il suolo di Tarquinia
vorrebbe già ripartire a causa di un
«rigurgito di impressioni e di memorie buone e
cattive, liete e tristi e l'amara constatazione
che le ragazze del paese presso le quali non ebbe
mai grazia nessuna si domandano: Chi è
quell'antipaticone?»
- Anche la madre di
Cardarelli è una donna di umile condizione
che si muove per campi a raccogliere la cicoria ed
altre verdure per venderle al mercato. Segue la
mietitura prestando manodopera e svolgendo i
più diversi servizi. Quando Cardarelli
è ancora piccolo il padre interrompe la
convivenza con Giovanna Caldarelli, cacciata di
casa e costretta ad andare raminga per il mondo, e
sposa un'altra donna che morirà tragicamente
solo pochi anni dopo. Negli scritti del poeta
ritroviamo spesso il tema della madre assente ed
alcuni riferimenti al dramma familiare. Ne è
un esempio significativo la lirica Ballata:
«Qui antiche donne vivono, mai sazie / di
ricordare./ E narrano una storia / ch'io so a
memoria e non vorrei sapere./ Narrano la mia storia
famigliare./ Dicono che una notte,/ col cuore
fasciato / di crudeltà e d'ira fredda, / un
uomo fece guasto / senza pietà nei suoi
affetti più sacri, / disperse una famiglia
appena in fiore./... Lamentose quale un funebre
canto, / alla pietà l'invettiva alternando,
/ mi rammentano come, ancora in fasce, / m'abbia
poco la sorte vezzeggiato».
- Nonostante tutto il poeta
non ha mai condannato né giudicato la madre
ma ha sempre guardato a lei con dolorosa nostalgia.
Nella lirica giovanile Solo... , con uno stile
ancora acerbo, parla della pena di un uomo al quale
il destino ha negato l'amore materno:
«C'è stato forse un viatico d'amore /
materno per il mio lungo viaggio? / L'amor, la
fede, la forza, il coraggio: / tutto è
fiorito sopra il mio dolore. / Ero già solo,
ed ero un bimbo buono / che sognava le
fate...»
- Sono versi incerti che
denotano però una sofferenza umana, un
travaglio ancor più evidente nella poesia
Sopra una tomba nella quale regna il rimorso per
aver trascurata la madre quando era ancora in vita.
L'insistito e sentito ricordo appare come una
consolazione ed un riscatto offerto alla madre da
parte del poeta che dedica a lei una delle sue
poesie più belle ed umane. Anche la figura
della matrigna è ricordata con simpatia e
tenerezza: una donna «tutta d'oro dal cuore
alle mani, piena di giudizio e dignitosa, sempre
avvolta in vestiti color verde». Dopo pochi
anni la matrigna muore e Cardarelli nel ricordare
la tragedia si esprime con forte commozione ed una
profonda sincerità che fanno breccia nel
cuore di un uomo che faceva aperta professione di
cinismo.
- Non ancora ventenne
arriva a Roma dove per vivere deve fare i mestieri
più diversi: addetto alle sveglie in un
deposito di orologi, amanuense nello studio di un
avvocato, impiegato nella segreteria della
Federazione metallurgica, contabile in una
cooperativa di marmorari ed infine, dopo un periodo
di disoccupazione e miseria, si trova a fare il
giornalista. Intorno al 1910, oltre a tenere varie
rubriche nel giornale l' Avanti, comincia a
pubblicare nel Marzocco ed in altri periodici. Nel
1916 pubblica il volumetto dei Prologhi, l'opera
d'esordio che esprime già in modo preciso e
sicuro la personalità di Cardarelli. Nel
1919 fonda la rivista Ronda con alcuni amici:
Baldini, Bacchelli, Saffi, Montano, Barilli,
Cecchi, Spadini. La rivista dura solo pochi anni ma
Cardarelli si impegna sia come scrittore che come
animatore e offre una espressione decisa e viva
delle proprie idee critiche. Della rivista e della
sua funzione di «richiamo all'ordine» ed
alle più nobili tradizioni letterarie
parleremo in un successivo articolo dedicandovi lo
spazio che merita.
- Nel 1920 con Viaggi nel
tempo le immagini e gli spunti didascalici
testimoniano l'atteggiamento di vita e d'arte ma
sotto un'incidenza più autobiografica con i
segni di una tensione talvolta disperata. Si passa
dalla sfera della volontà a quella della
fantasia, da una atmosfera desolata ad una
atmosfera tutta familiare. Con Favole e memorie
(1925) Cardarelli sembra portare al punto
conclusivo lo svolgimento iniziato con le
meditazioni liriche dei Prologhi e proseguito negli
apologhi dei Viaggi nel tempo. È un
tentativo in una forma, in un certo senso,
più popolare, di una storia della Creazione
e del Diluvio mentre nella seconda parte del libro
affronta i motivi autobiografici che saranno sempre
più frequenti nella maturità.
- Nel 1929 con Il sole a
picco: le «etrusche cavalcate passano a
galoppo fra le tamerici», e il tema del
ritorno alla terra, il desiderio di andare a
dormire una notte coi morti, di chiudersi fra le
memorie, sono temi già annunciati con una
nuova intimità che diventerà
toccante, direi quasi straziante, in quelle Lettere
non spedite del 1946.
- Dei molteplici aspetti
del Cardarelli, Villa Tarantola (1948) documenta
gli aspetti più confidenziali, i ricordi
della formazione di un autodidatta, i primi passi
della carriera, figure e memorie della
gioventù, sentimenti e incontri che appaiono
decisivi nella storia di un uomo. Le esperienze di
gioventù hanno un risvolto quasi favoloso e
vengono consegnate come pegni della sua sorte dopo
averle portate e guardate dentro di sé per
tanti anni.
- Vincenzo Cardarelli muore
il 18 giugno del 1959 nell'Ospedale del Policlinico
di Roma. Riposa nel cimitero di Tarquinia, di
fronte alla Civita etrusca secondo la
volontà espressa nel proprio testamento. La
Civita etrusca, frequentemente evocata nelle sue
poesie e nelle sue prose, aveva ai suoi occhi il
valore di un simbolo morale e non di un tema
autobiografico perché era stata il faro che
lo aveva guidato durante il suo avventuroso periplo
tra le difficoltà della vita. Cardarelli
è un uomo che ha vissuto e nella solitudine
ed è morto ancor più solo. Gli unici
riconoscimenti che ha raccolto sono stati il premio
letterario Bagutta nel 1929 con il libro Il sole a
picco e nel 1948 il premio Strega per la prosa
Villa Tarantola. In entrambi i casi però si
è trattato di un successo di stima e
sicuramente non di un'affermazione
pubblica.
-
- ***
-
- Lo stile come
necessità assoluta
-
- Vincenzo Cardarelli
è l'autore di una sola opera: il suo stile.
Infatti nell'opera di Cardarelli non è
possibile isolare uno scritto conferendogli un
valore rappresentativo e non è neppure
possibile definirlo un poeta o un prosatore senza
frantumare l'unità interna che cementa tutta
la sua produzione letteraria. Tale unità
è il suo stile. D'altra parte è anche
vero che non vi può essere creazione
letteraria senza uno stile e che lo stile non deve
essere confuso con il concetto retorico dello
«scrivere bene» e della «bella
forma». Si potrebbe dire la stessa cosa per
ogni scrittore autentico e ancor più per
Cardarelli perché il suo stile diventa la
sostanza stessa della sua opera. Tutto ciò
appare ancor più evidente per il fatto che
non lo possiamo catalogare in nessuna delle
categorie letterarie tradizionali: poeta,
prosatore, narratore, moralista, e via
dicendo.
- Cardarelli riesce a
sottrarsi ad ogni definizione proprio perché
ha cercato volutamente di non essere né
l'uno né gli altri, per non rinunciare a
fare dello «stile una necessità
assoluta». Lo stile, per Vincenzo Cardarelli,
è «qualche cosa di obbligatorio, si
presenta come un'imposizione» e lo scrittore
non può far altro che affidarsi allo stile
perché «è un fatto naturale ed
ereditario come il carattere. Non è
possibile modificarlo e neppure sfuggirgli. Esso ci
dà la misura di quello che siamo, delle
nostre qualità, dei nostri limiti e dei
nostri difetti. Lo stile è una dote
rarissima e che ha valore per se stessa.
Giacché lo stile è sinonimo di
personalità, non di altro».
- In Cardarelli lo stile
diventa uno strumento per realizzare la conoscenza
e la conquista del mondo reale ed è come una
presa di possesso di se stesso e della sua
personalità: non un vago esercizio ma un
punto di partenza e, nello stesso tempo,
d'arrivo.
- Come autodidatta vaga per
tutti i campi della cultura, cercando di apprendere
il maggior numero possibile di cose, di colmare i
vuoti interiori, di allargare all'infinito
l'orizzonte intellettuale.
- Si sente simile ad un
gabbiano, sballottato da un luogo all'altro, preso
nel vortice di un perpetuo volo e questa sensazione
di eterna mobilità, questo continuo
vagabondare è sentito profondamente dal
poeta che non riesce a capire dove poter trovare
pace in un mondo che non gli prospetta mai nulla di
certo.
- Questo suo errabondare,
senza mèta e senza fine, a volte regala un
senso di ebbrezza ma in fondo fa invidiare coloro
che trovano, in un determinato luogo, la pace, la
quiete. Alla fine di questo tumultuoso viaggio,
Cardarelli riscopre Tarquinia, ritrova se stesso,
il suo equilibrio come uomo e come scrittore. Dopo
le turbolenze dei distacchi e delle rotture, si
rasserena e si ripiega su se stesso, rivive la
memoria del passato, i ricordi e le sensazioni
dell'infanzia: i ricordi sono «fantasmi
agitati da un vento funebre» e trasformano la
vita in un «cimitero di memorie». Il
poeta con il suo ritorno a Tarquinia sceglie la
strada più ardua e più dolorosa ma il
suo traguardo è la conquista di uno stile
tutto suo, personale, autentico.
- Una scelta moralmente
doverosa e stilisticamente necessaria. Ecco allora
che la sua pena di uomo si placherà nel
momento in cui riuscirà ad essere più
personale ed autentico come scrittore.
- A tale riguardo è
ovvio che lo stile assoluto è un sogno, una
chimera e nessuno scrittore riesce a sottrarsi
completamente alle influenze di un movimento
letterario o di altri autori. Anche Cardarelli non
sfugge a tale destino anche se cercherà con
tutte le sue forze di avvicinarsi il più
possibile a tale mèta.
- Non è un caso che
alla sua morte segue un periodo di dimenticanza
durato alcuni anni ma possiamo affermare con
sicurezza che Cardarelli, pur con tutti i suoi
limiti, ha segnato la letteratura italiana nella
prima metà del secolo costituendo un punto
d'incontro tra la tradizione e l'ordine letterario,
lo spirito di novità e di ricerca. Con la
sua opera ha conservato le radici del fertile
terreno della cultura nazionale pur dimostrandosi
moderno e nuovo, riuscendo a raggiungere un punto
d'equilibrio per ricercare il quale ha subordinato
ogni altra ambizione ed ogni ricerca di un successo
facile quanto effimero.
-
- La Critica
- Giuseppe De Robertis
ricorda il suo incontro con Cardarelli ed «il
modo come diceva le parole, scandendole, e col dito
levato, quasi ad avvertire che a dirle così
c'entrava un po' la gloria d'averle scoperte, oltre
il piacere di pronunciarle brillanti di un'aria
nuova, e tutte viventi. Una novità dunque
accompagnata ogni volta da una dimostrazione
perentoria».
- Un altro ritratto di
Cardarelli lo fornisce Alfredo Gargiulo:
«Nessuno riuscì a intravvedere nel
parlatore, sotto l'abbondante eloquio versato nei
più diversi argomenti, la facoltà
dominante di concentrazione e rigori espressivi,
che poi venne a rivelarsi nello scrittore. E
l'apparente satanico orgoglio, il gesto che mandava
indietro la capigliatura, la bocca amareggiata nel
dire, il riso mai franco, mai cordiale e a fondo
perduto, a qualcuno riuscivano fastidiosi, a
qualche altro addirittura insopportabili». Ma
il primo critico che ha riconosciuto la forte
personalità di Cardarelli ed ha tentato una
definizione della sua poesia e della sua prosa
è stato Emilio Cecchi, sottolineando
l'umanità complessa e profonda del poeta che
nasce fuori dell'arte con ritorni interni e
ricapitolazioni.
- Differente è il
giudizio di Gianfranco Contini per il quale la
poesia di Cardarelli è «un repertorio,
una storiografia d'idee fisse. La sua ispirazione
ha carattere metodico... Si disegna in negativo la
figura dell'uomo di lettere. Uno spirito inattivo e
meditativo dinnanzi allo spettacolo d'una bellezza
vergine».
- Come si può ben
osservare è indubbio che vi sono numerosi e
diversi giudizi critici: a volte tesi a sminuire il
valore della poesia cardarelliana, altre volte
sarcastici e spesso contrastanti. Una parte della
critica ha considerato Cardarelli solo un
prosatore, «non saprebbe che scrivere in
prosa» ha affermato Giuseppe De Robertis,
«proprio per quel senso e quel gusto della
prosa profondamente e dolorosamente
realista».
- Di tutt'altro avviso
Mario Luzi, il quale ha analizzato la struttura del
linguaggio di Cardarelli: «Rapito più
dalla propria voce che dall'immagine, semplifica la
sintassi a quegli elementi che bastano a distendere
il suono mitico, il grande respiro della sua
voce». Ecco allora che la poesia di Cardarelli
si identifica con la personalità, il
carattere del poeta: «Con le sue opere
Cardarelli produce l'esempio così raro di un
poeta in cui i limiti ed i pregi sono tutti
direttamente riferibili alla storia precisa,
inerente dell'uomo».
- In una rievocazione
apparsa su Il Corriere della sera del 15 giugno
1959, Eugenio Montale insiste acutamente
sull'isolamento di Cardarelli. Ricorda l'infanzia
difficile del poeta, la vita solitaria in camere
d'affitto, la scarsa partecipazione all'ambiente
letterario che non lo vede quasi mai intervenire
direttamente ed apertamente sulle varie riviste con
l'unica eccezione della Ronda, e per finire ricorda
il misantropismo di Cardarelli sempre più
accentuato con gli anni, il suo tono sferzante a
volte persino feroce.
- Vincenzo Cardarelli
è rappresentato come un "giudice dal dito
alzato", «scrittore impeccabile che nulla
aveva concesso alle ragioni del Romanticismo,
custode rigido della tradizione, scopritore e
rivendicatore del vero Leopardi dello Zibaldone. Un
geniale autodidattta rinchiuso in una intransigenza
che non offriva vie d'uscita ai discepoli o ai
lettori della rivista "Ronda" e che dopo lo
scioglimento della stessa rivista aveva continuato
una battaglia da isolato. Come poeta lirico i
«Prologhi» e alcune parti dei
«Viaggi nel tempo» esauriscono il
Cardarelli che resterà. Il moralista
precedette sempre il poeta che si mantenne sempre
sulle posizioni del suo intransigente classicismo
integrale. Di lui si può dissentire forse su
tutto ma non si può disconoscergli il culto
di una immagine alta e quasi inaccessibile
dell'Italia, privilegiata e sacra» (Eugenio
Montale).
-
- Considerazioni
finali
- Cardarelli in poesia e
soprattutto nella prosa aspirò ad una
forma poetica che eliminasse ogni
compiacimento e riscattasse la vicenda personale ed
il dato paesistico elevandoli dal piano contingente
a quello di una assorta meditazione. La vicenda
delle stagioni, il fascino della bellezza
adolescenziale sono innalzati a paradigmi del
destino dell'uomo. Da questa visione deriva il tono
meditativo della sua poesia che si svolge con
mirabile esattezza e rigorosità e tende a
sciogliersi entro moduli di chiarezza meditativa e
riflessiva. Tutto è sostenuto sempre da una
ambizione di tono alto e da una ricerca di
compostezza formale: entrambe mirano a superare la
precarietà e l'angustia del dato
giornaliero, l'abbandono a moduli impressionistici.
- Ecco allora delinearsi a
chiare lettere il profilo di un uomo inquieto che
in un perenne dialogo con la memoria acquista
sempre più una dolente coscienza del vivere.
- Essere moderni ed essere
nuovi, senza estirpare le radici che fissano l'arte
e la letteratura alla cultura nazionale: è
in questi termini che possiamo riassumere la
posizione di Cardarelli. Con la sua opera dimostra
che tale equilibrio può essere raggiunto.
Ecco perchè appare ancora
attuale.
- Nei Prologhi, nei Viaggi
nel tempo, in Favole e memorie,
- che molti ritengono a
ragione le sue cose migliori, Vincenzo Cardarelli
realizza un esempio mirabile di prosa d'arte per il
costante impegno stilistico mirante a mantenerle
sempre su un tono di essenziale sobrietà;
per certi toni nella rievocazione di memorie
d'infanzia o di luoghi trasfigurati dalla memoria o
resi suggestivi da dati culturali e letterari; e
per ultimo il fascino del canto che spesso le
anima.
- Quando Cardarelli scopre
la sua vocazione letteraria, tutto il suo tempo e
le sue preoccupazioni vengono assorbite dalle
ricerche stilistiche e poetiche. Nasce il suo
universo poetico costituito dalle sensazioni, dalle
memorie, dai simboli, dalle evocazioni; le persone,
i paesaggi, gli oggetti non hanno una vita propria
ma esistono soltanto in virtù della forza
evocatrice del linguaggio, dell'ordine e del
movimento delle immagini e delle parole. Si muove
tra la ricerca del massimo effetto, la proiezione
della realtà in un mondo favoloso e la
trasposizione simbolica. Cardarelli trova
finalmente la sua esatta misura nelle prose di
memoria e nelle elegie evocative. Negli ultimi anni
inquieti della sua esistenza, densa di angoscia e
di paura, il poeta si volge indietro a considerare
la sua vita e la sua opera che si identificano con
una Tarquinia da «favola» e non certo con
quella vera. È tutto il suo mondo, e in un
certo senso tutta la sua opera, che crollano al
contatto con la realtà. «I dolci
inganni della memoria» non salvano il poeta
dal naufragio. Mentre si avvia lentamente, ma
fatalmente, verso la fine, concluso il ciclo della
creazione artistica, la sua nave cola a picco
proprio in vista delle mura di Tarquinia, nel
grembo della terra genitrice. Un favola che termina
in un dramma ed è solo la pietà che
ferma la mia mano. Unica e dolorosa testimonianza
che intendo riportare è ciò che
Vincenzo Cardarelli scrive in una lettera datata 5
febbraio 1945: «Non ci sono parole per
descrivere la mia posizione, che sarebbe meglio
chiamare tragedia. Sono in casa d'altri, mangio il
pane che sa di sale. Il cimitero è qui a due
passi... Attendo il compimento della mia sorte che
sarà certamente tremenda».
- Questo mio scritto vuole
essere solo una introduzione a Vincenzo Cardarelli.
- Al lettore più
esigente per placare la sete consiglio di andare
direttamente alla fonte e cioè di leggere
l'opera del Cardarelli con un nuovo spirito di
ricerca.
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- Massimo
Barile
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- Bibliografia
- Vincenzo Cardarelli,
Bruno Romani, La Nuova Italia, 1968,
Firenze.
- Storia della letteratura
italiana - Il Novecento -, Garzanti, 1969,
Milano.
- Opere complete, G.
Raimondi, Mondadori, 1962.
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