- Il re che non
sapeva di essere un re
-
- C'era una volta... un
castello incantato, con tanto di torri e torrioni,
scale di marmo e stanze a non finire.
- Ma chi ci abitava,
qualcuno dirà?
- Ebbene, non ci abitava
nessuno: era il più bel castello incantato
disabitato.
- Non che non avesse un
"Padrone", soltanto che il padrone, ovvero il re,
viveva da un'altra parte: non certo in una reggia
né in un castello, ma in mezzo ai boschi ad
attendere chissà... qualcosa, forse
qualcuno, forse un segnale, una voce, un
segno.
- Era un tipo davvero
particolare: amava la libertà del vento,
l'indipendenza degli uccelli, la frenesia delle
formiche, il coraggio del lupo, la bellezza e la
leggerezza delle farfalle, lo splendore del sole,
il pallore notturno della luna, lo stupore
dell'alba mattutina, la luce del mezzogiorno estivo
e di tutto ciò che la natura offre nella sua
meravigliosa essenza e coesistenza di
Vita.
- Egli amava tutto questo ed
ancor di più.
- Gli era stata data in
eredità una reggia, una di quelle forti e
sicure, solide, li da resistere in eterno; ma per
volere dell'imperatore suo padre gli fu taciuta
quest'eredità.
- Aveva pochi anni, quando,
su ordine del padre, fu portato nel bosco
più fitto e lasciato da solo con la sua
fragile innocenza e la sua tenera pelle di
fanciullo, con tra le mani unica eredità
tangibile, un tozzo di pane.
- Ma questo era solo
ciò che gli si voleva far credere, in
realtà aveva molto di più; intanto
non fu mai realmente solo: c'era chi da lontano lo
seguiva e lo guidava parlandogli nella notte; c'era
chi lo amava pur senza averglielo mai detto; c'era
un castello che aspettava di essere abitato ed un
cavallo bianco in cerca di un padrone; c'erano dei
paggi in attesa d'esempi da seguire e c'era una
dama che aspettava il ritorno del suo principe
azzurro.
- Tutte queste cose erano
già con lui e dentro di lui, ma lui non lo
sapeva.
- Quando fu solo nel buio
del bosco cercò un riparo sicuro dove
trascorrere la lunga notte.
- C'era lì ogni tipo
d'albero e d'arbusto: alto, basso, grosso, diritto,
nodoso, robusto, ma nessuno di quelli faceva al
caso suo, cercava qualcosa che soddisfacesse una
certa ansia di... sicurezza, di forza, di potenza,
di fragranza notturna, che gli desse quel senso
tutto umano di... protezione e voglia di vivere, di
coraggio e decisione, che non crescesse solo per
sé e che desse cibo, ombra e ristoro
contemporaneamente, che desse quella sensazione di
sentirsi "a casa propria".
- Chissà se avrebbe
mai trovato un albero così!
- Certo non aveva
nessun'intenzione di arrendersi o di mettersi a
piangere, non poteva lasciare che tale desiderio
vivesse solo nei suoi sogni, così,
nonostante la notte, il buio, il freddo, la paura,
l'inconsapevolezza del suo desiderio, frugò
per tutto il bosco, finché, quasi sul far
dell'alba, ecco immenso, possente, colossale,
davanti ai suoi occhi stanchi e spaventati, apparve
l'albero più bello, meraviglioso, unico, che
avesse mai visto, era ancora più enorme di
quanto non avesse potuto immaginare nella sua
fantasia di bambino.
- Al limite della radura,
proprio davanti ad alcune gigantesche e nude rocce,
stava isolata una poderosa Quercia, alta fin quasi
a toccare il cielo, forte più del vento di
brughiera, elegante come una poesia di Dante
Alighieri, sicura come il sole che sorge al
mattino, solida come la terra da cui attingeva
energia e vita, immensa come il mondo può
apparire agli occhi di un bambino.
- Nel buio della notte,
appena rischiarato da un lontano sfolgorare del
sole e da una luna argentina che ancora dominava il
cielo, quell'albero gli sembrò la più
bella reggia che avesse mai visto e decise, in
quello stesso momento, che quella sarebbe stata la
sua casa.
- Si accovacciò
nell'incavo tra le radici e la parte più
inferiore del tronco; sembrava quasi che quel
cantuccio non aspettasse altro che di essere
riempito con i fragili pensieri di un bambino e
quasi come una culla lo accolse dentro di
sé.
- Rannicchiato e stretto
alla terra, tra l'abbraccio delle radici e i rami
che dall'alto lo proteggeva, sentì tutta la
linfa salire su per il tronco ed invaderlo, quasi
ne fosse diventato parte necessaria; sentì
tutto il peso del cielo sostenuto dai rami
dell'albero; sentì la vita ristorare le sue
radici sconosciute e provò un brivido che
portò con sé nei giorni a
venire.
- Le sue narici si
riempirono del profumo della terra bagnata dalla
rugiada mattutina e le sue mani sentirono il vigore
della scorza dura, rugosa, eterna sulla quale le
sue dita di tenero germoglio cercavano protezione e
sicurezza.
- Non esitò a
addormentarsi per la stanchezza e per quella strana
sensazione di pace che invade allorquando si trova
l'oggetto dei propri desideri.
- Il risveglio, in pieno
mattino, fu una favola.
- Egli portava già
dentro di sé la tenerezza del mattino, la
freschezza della brina, il cinguettare degli
uccelli, il fruscio del ruscello, il ronzare degli
insetti da un fiore all'altro fiore, per cui gli
bastò un solo istante per capire che quella
era CASA sua, quella in fondo, era l'unica vita
possibile per lui, perché lui era vita da
vivere così.
- Tutto il resto del mondo
per lui poteva anche non esistere.
- Appena le sue gambe si
furono riposate abbastanza , saltò su
più rapido di un grillo e si mise di fronte
alla sua quercia alle cui spalle il sole stava
sorgendo.
- In piedi in tutta la sua
minuscola statura stette lì ad osservare con
i suoi lunghi rami ed i suoi numerosi "abitanti"
che la rendevano viva nella trasparenza eterea del
mattino; gli sembrava così ancora più
immensa, più enorme, maestosa, quasi una
sfida alla grandezza del cielo, invidiabile nella
struttura articolata e proporzionata nella sua
enormità.
- Si cibò in quel
momento dei segreti della Quercia: seduto, adesso,
con le gambe incrociate, nel mezzo della sua ombra
proiettata sul campo verde la osservava, la
guardava, la scrutava a lungo, la prendeva dentro
di sé e fu come... dire non è
possibile... la sensazione d'essere parte del
mondo, d'essere vita nella vita, d'essere figli
della terra ed anche radici, corpo, anima che si
eleva verso la grandezza del Cosmo che tutto
contiene dentro e fuori di sé.
- Fissò nei suoi
occhi il profilo della sua ombra, ogni movimento,
ogni sussulto ed ogni sussurro; s'invaghì
della sua forza, s'innamorò della sua
autorevole presenza, amò l'idea della sua
presenza nel suo ancora sconosciuto
destino.
- In un impeto d'affetto e
di straripante gioia, le chiese di farle da Madre e
di darle come cibo il segreto della sua forza e
l'essenza del suo essere quercia.
- Lei non esitò un
istante: ai suoi occhi parve che i rami si
abbassassero e l'abbracciassero, stringendolo forte
a sé così che il suo cuoricino
battesse per due e la sua linfa potesse scorrere
dentro le sue esigue vene e segnare la vita che
passa ed il segno che lascia così sulla
scorza rugosa della Quercia come sul tenero tronco
di un glicine in fiore.
- Fu una scelta condivisa e
l'adozione diede i suoi frutti.
- Il piccolo imparò a
riconoscere e ad amare tutti gli amici della grande
Quercia, dagli uccellini, agli scoiattoli, agli
insetti che vi ronzavano intorno, alle formichine
che l'attraversano tutta in cerca di un qualcosa
che lui non capì mai.
- Ma un giorno successe
qualcosa che cambiò la vita di entrambi: la
Quercia aveva un amico, un amico particolare che
sedeva sotto la sua ombra e si riposava sotto il
suo enorme tronco poderoso come il suo corpo; un
orso che stava assaporando, in quei giorni, le sue
ultime ore di sonno invernale.
- Un mattino, quando il sole
era già alto a riscaldare le poche nuvole
primaverili, si udì come un "tuono", un
rombare strano che fece sussultare tutti gli
abitanti del bosco. Nessuno però
scappò via, perché sapevano a chi
apparteneva quel verso.
- Nicolin, pensò che
stesse per arrivare un temporale, per cui si
restrinse ancora un altro po' dentro la sua "tana"
e si accoccolò come un ghiro che si prepara
per il suo sonno invernale; sopra di lui il sole si
oscurò e sentì nuovamente quel
"tuono"; capì che c'era qualcosa di strano
in quel rumore, ma non ebbe il coraggio di aprire
gli occhi, così li strinse ancora un altro
po' e aspettò che passasse, ma non
passò; un terzo e poi un quarto rombare di
cielo lo scossero nelle viscere, perché
intanto si era fatto sempre più vicino, ne
sentiva quasi "il fiato" su di lui: ma il cielo non
respira così forte, pensò il bambino;
il cuore gli tremò, ma si fece coraggio ed
aprì piano un occhio, poi l'altro;
capì che era in pericolo, ma non si mosse,
non fece alcun movimento con nessuna parte del
corpo, aprì solo i suoi occhi e ciò
che gli apparve gli mise un gelo dentro,
sembrò che il sangue avesse smesso di
scorrere e il cuore di battere, davanti a lui un
enorme Orso brandiva le sue poderose zampe verso di
lui, avvertì la strana sensazione che fosse
arrabbiato proprio con lui.
- Ma come poteva aver fatto
una cosa simile, non sapeva nemmeno che esisteva
fino a qualche istante prima, perché ce
l'aveva così tanto con lui?
- Quello che l'orso
rivendicava era la sua "tana", quell'incavo ai
piedi della Quercia sua amica, il luogo dove da
anni passava la sua vita tra un letargo e l'altro;
c'era in quell'incavo il suo odore forte, il suo
pelo caldo, il suo respiro rabbioso.
- Il suo istinto gli diceva
di stendere la sua zampa e lanciare lontano
quell'esserino insignificante e riprendere
ciò che gli apparteneva, ma uno stormire
improvviso di rami fermò quel pensiero e gli
cantò il più bel canto di primavera
che avesse mai sentito; fu quella musica che
bussò al suo cuore a chiedergli pietà
per quel suo indifeso amico ed il suo cuore
l'ascoltò.
- Intanto il piccolo Nicolin
si era alzato in piedi e gli stava di fronte,
piccolo come una pulce sul dorso
dell'elefante.
- Lo osservò a lungo
con gli occhi sbarrati: non aveva mai visto niente
di così enorme e di così neri; il
fatto strano fu che quell'enormità e quel
pelo folto e scuro non gli facevano per niente
paura, era come se fra loro ci fosse sempre stato
un vincolo segreto che adesso chiedeva di
realizzarsi in quell'amicizia che forse sarebbe
nata fra di loro.
- La stessa sensazione
l'ebbe anche l'Orso che sentì il suo cuore
battere un ritmo strano; guardò la Quercia e
poi il bambino, guardò il bambino e poi la
Quercia ancora, non capiva che cosa stesse
succedendo, ma mise per terra tutte e quattro le
sue zampe e come un gattino si avvicinò al
piccolo Nicolin guardandolo dritto negli
occhi.
- Furono pochi attimi che
scrissero una storia intera e segnarono in modo
indelebile le vite di entrambi.
- In mezzo, tra la Quercia e
l'Orso, Nicolin sentì una forza sconosciuta
venirgli su ed attraversargli prima le gambe, poi
le braccia, fino a penetrargli nella mente e nel
cuore, sentì che quella sarebbe stata la sua
famiglia e chiese all'Orso di essere suo padre e
l'Orso accettò.
- Insieme andarono a caccia
ed insieme si riposarono sotto la grande
Quercia.
- Nicolin imparò ben
presto tutti i segreti del bosco: imparò a
riconoscere i pericoli guardando il movimento degli
animali, a sentire l'arrivo della pioggia, gli
odori della selvaggina, a pescare nel ruscello, a
difendersi ed anche ad attaccare per spaventare
l'avversario.
- Divenne ben presto forte e
robusto nel corpo e nello spirito: aveva il
coraggio di guardare il nemico dritto negli occhi
vincere lo scontro senza muovere un solo muscolo;
la forza nelle gambe per correre più veloce
degli altri e l'agilità mentale per
escogitare trappole per le prede
quotidiane.
- Osservò sempre
attentamente ogni movimento del suo amico orso,
comprese ogni sua decisione, ogni sua scelta, ogni
suo desiderio; saggiò la potenza dei suoi
artigli sicuri, la nobiltà dei suoi
pensieri, la vanità del suo specchiarsi
nell'acqua dolce del rapido torrente, il suo
palpitare ansioso quando lui spariva dalla sua
vista per molto tempo ed il suo cercare e frugare
nel bosco in cerca delle sue orme sul terreno
bagnato; conobbe anche la sua golosità e la
forza dell'istinto che cede alle passioni e diventa
insidia fatale anche per un poderoso ed invincibile
orso come lui.
- Un giorno, infatti, l'orso
annusò nell'aria un odore inconfondibile,
irresistibile, tormentoso, impossibile da non
seguire; spinto dalla sua incontrollabile
golosità, seguì il profumo che l'aria
della tarda primavera gli aveva portato fino alle
narici.
- Nicolin non capì
subito cosa stesse succedendo, ma sentì
nell'aria un brivido e, nonostante il caldo, decise
di seguirlo.
- C'era da quella parte nel
bosco un intenso profumo di miele, che sfidava il
suo controllo e lo chiamava da lontano a cercarlo,
a gustarne il sapore pieno e delicato, intenso e
pieno quel non so che, che impedisce qualsiasi
controllo si voglia mettere in atto.
- Ma quella era zona dove
l'uomo s'aggirava da padrone ed armato di fucile
era sempre pronto a far fuori chiunque vestisse i
panni della preda.
- Appostato fra i rami di un
cerro, infatti, un cacciatore, sentì il
camminare dell'orso farsi sempre più rapido
ed il suo respiro farsi sempre più
affannoso.
- Estasiato da quel odore
che ormai riempiva narici e polmoni, l'orso
abbandonò per un istante le sue difese,
cercò nel tronco l'essenza del suo piacere
approfittando della momentanea assenza delle api,
affondò la sua zampa pregustando già
ciò che avrebbe di sicuro soddisfatto il suo
desiderio e la sua passione. Ma quell'attimo gli fu
fatale: il cacciatore era già lì
pronto, col grilletto alzato, pronto a pregustare
quel trofeo niente male che avrebbe fatto salire di
molto la sua quotazione personale presso il bar del
paese; due colpi mortali alle spalle e fu un unico
rantolo ad uscire insieme al sangue che
inondò la sua pelliccia bruno-dorata,
macchiandola per sempre.
- I suoi piccoli occhi
restarono aperti a guardare il cielo lontano,
mentre dalla sua zampa colava quel liquido
dolciastro e già a mille e a mille, le
formiche erano intorno, decise a non far perdere
nemmeno una goccia di quel delizioso cibo degli
dei.
- Il cacciatore prese in
fretta la sua testa che con un taglio netto
staccò dal resto del corpo e sparì
lasciando agli animali del bosco quel corpo ormai
inutile.
- Nicolin era rimasto
lì, immobile, incredulo, impotente,
perplesso, sgomento.
- Ogni gesto, ogni parola,
ogni pensiero sarebbe stato vano, sarebbe stato
inutile proprio come quel corpo inerme con addosso
la sua pelle macchiata di sangue.
- Ecco, proprio la pelle!
Era l'unica cosa che avrebbe potuto fare: prendere
la sua pelle e coprirsene, per sempre, come cosa
viva che avrebbe continuato a vivere in
lui.
- Prese così su di
sé la sua morte deciso a ridargli vita
dentro di sé, raccolse il suo sguardo perso
nel cielo e gli ridiede luce attraverso i suoi
occhi, si impadronì dei suoi pensieri e li
depose in un luogo sicuro, l'unico luogo dove il
fucile dell'uomo non può entrare e non fa
paura: nel cuore innocente di un "figlio" che
prende su di sé la "pelle" di suo padre e se
ne fa carico per tutta la vita, come il dono pi o
pose, nel profondo del suo animo, a ricordo di
quell'istante in cui la morte, giocando con le
passioni, raggiunse il suo scopo
assassino.
- Quel lampo era impregnato
di dolci passioni, travolgenti emozioni, sapori
gustosi e fantastici sogni, quel lampo era il
pericolo ed il segno della rivolta degli istinti
contro la ragione; la sua difesa fu per lui prova
di coraggio e lo scopo della sua vita a
venire.
- Dopo averlo deposto nella
parte più sconosciuta al mondo, ci mise
sopra decine e decine di spesse lastre di ghiaccio,
così che il tempo non ne rubasse il calore e
l'intensità.
- Nello stesso momento tutto
il suo corpo ebbe un brivido di freddo; il sangue
si gelò nelle vene e non volle più
scorrere come prima, non volle più dare
forza a quel "muscolo" che alimenta i sentimenti,
il quale continuò a battere senza una
ragione, senza più vita, senza più
senso.
- Della pelle ne fece una
corazza e se ne vestì; sentì forte il
suo peso e temette di non esserne capace, ma
sentì anche il suo calore e ciò
ridusse la sensazione del suo peso, eccessivo per
le sue fragili membra di ragazzino.
- Il caldo del pelo
riempì il vuoto lasciato dalla sua assenza e
fu più facile riprendere il
cammino.
- Quella pelle fu per lui
certezza e rifugio, arma e difesa, forza e vigore,
patto di sangue e d'amore per il quale avrebbe
combattuto per tutta la vita. anche se a volte
arrancò sotto il suo peso, mai gli venne
desiderio di deporla o di sbarazzarsene, anzi,
più diventava pesante, più il suo
peso lo riempiva di forza e di vigore; ed essendo
cosa viva, il suo peso aumentava con l'aumentare
della sua forza, in proporzione uguale, quasi una
sfida!
- Quella pelle fu la sua
prigione divenuta corazza sostituì la stessa
pelle, imprigionando anche quella parte di
sé che non aveva mai accettato limiti alla
sua libertà; a lei sacrificò la sua
stessa ribellione e quel senso di indipendenza che
lo aveva accompagnato in tutti quegli anni; per lei
rinunciò alla sua libertà e ne fu
schiavo volontario a ricordo di quella
schiavitù a cui l'uomo è sottoposto
dai suoi impulsi, dalle sue passioni nei confronti
della sua stessa libertà di scegliere e di
vivere.
- Continuò a credere
per anni di essere ancora libero di scegliere e di
vivere, ma sentiva giorno dopo giorno, il peso
della sua corazza farsi sempre più pressante
tanto che ad un certo punto il cuore
cominciò ad annaspare e a far sentire la sua
stanchezza.
- Ma l'orgoglio, quella
stessa nobiltà che aveva animato il petto
dell'orso e la sua testardaggine nel proseguire
nonostante tutto, lo avevano reso, non solo
schiavo, ma anche cieco, tanto da non saper
più riconoscere l'odore di una violetta
né stupirsi del cielo mattutino.
- Continuò ad amare
la sua Quercia, ma neanche quello era più
amore, era dolore, disperazione, rabbia, delusione,
sofferenza sepolta, smarrimento, sconvolgimento,
turbamento ed inquietudine
incomprensibili.
- La Quercia, nonostante la
sua immensità e la sua immobile certezza di
essere e di esistere, la sua inflessibilità
ed il suo rigore, non sopportò a lungo la
perdita dell'amico e l'assenza dell'altro: il suo
primo e più antico amico l'aveva lasciata
alla sua secolarità senza più la
possibilità di solleticarle la corteccia
rugosa e profonda; il secondo, quello che aveva
amato di più, era ormai lontano da lei,
dall'allegria dei suoi uccellini, dalla frenesia
delle sue formiche. Pur sedendo ancora alla sua
ombra e raggomitolandosi nel suo incavo, la sua
mente era lontana, i suoi pensieri andavano oltre
l'orizzonte e sfidavano la sua immobilità,
facendole sentire tutta la sua pochezza e la sua
impotenza. Così, piano piano, lentamente, si
lasciò morire, fino a quando un lampo,
ancora un altro lampo, le bruciò il cuore e
restò lì a metà, con il cuore
incenerito e nero ed i suoi rami nudi e non
più tesi verso il cielo, ma pendenti verso
l'ombra del suo stesso corpo.
- Prese allora Nicolin anche
la sua ombra e la sua solitudine, la sua amarezza e
la sua delusione del mondo e della vita e se ne
fece ancora corazza da indossare, a rinforzo della
prima, a certezza del suo essere diventato adesso
Orso e Quercia, solido, potente, ma freddo, gelido,
pieno di vita ma che la vita rinnega. Dominava
adesso la Natura e tutti i suoi pericoli, niente
aveva più segreti per lui e niente
più lo coglieva di sorpresa e lo
stupiva.
- Ma dopo la morte della
Quercia, qualcosa in lui era cambiato, qualcosa si
agitava con sempre maggiore forza, e premeva,
premeva perché qualcuno gli aprisse la porta
e ascoltasse la sua voce ribelle. Un'ansia invase
il suo spirito e un desiderio cominciò a
rombare sempre più forte, proprio come
l'urlo dell' di lui.
- Uscire fuori dal bosco
significava ricominciare tutto da capo, significava
rimettere tutto in discussione e forse anche
scoprire che quelle certezze non erano proprio
certezze ma solo momentanee verità che
dovevano lasciare il posto ad altre verità
anche loro destinate a finire non appena altre se
ne fossero affacciate.
- Era una decisione
coraggiosa, la più coraggiosa della sua
vita; gli occorreva una forza che non era sicuro
d'avere; ciò che più lo faceva
soffrire era la mancanza della sua ombra e di
quell'odore forte della terra che ormai si portava
nelle viscere e nelle mani dalla pelle
ambrata.
- Sentì forte il
desiderio di farlo ma non sapeva che direzione
prendere, da quale parte uscire da lì; ma
l'indecisione fu solo un attimo: aveva imparato
dall'orso a fiutare le sue scelte, a lasciarsi
guidare dal suo istinto per essere sicuro di non
sbagliare mai.
- Così
s'incamminò senza che la Ragione ne sapesse
la meta e seguì il cammino del sole e poi
quello della luna, fino a quando qualcosa non
giunse a dargli certezza e speranza di
vita.
- Qualcosa di misterioso ma
la tempo stesso che sapeva di buono e di familiare,
d'incomprensibile ma solo apparentemente
perché era proprio questo il mistero:
ciò che apparentemente sembra misterioso
è invece la parte più vera e reale di
noi e questo sconvolge più della stessa
realtà che poi in fondo è la vera
apparenza.
- Tutto cominciò una
mattina quando, davanti ai suoi occhi comparve un
esserino quasi trasparente che agitava due lunghe
ali bianche; a vederla così sembrava quasi
la famosa Trully di Peter Pan, ma era molto
più reale, più "umana" di un semplice
folletto di bosco.
- Questo personaggio
misterioso cominciò a danzargli davanti agli
occhi senza parlare, sembrava quasi invitarlo a
seguirlo, come se la sua presenza lì, in
quel momento, non fosse casuale.
- La sua presenza non durava
tutto il giorno, ma pochi momenti... pochi momenti
di presenza effettiva molti in cui la sua assenza
era più forte della sua stessa
presenza.
- Giorno dopo giorno,
qualcosa in lui cominciò a cambiare; con
l'arrivo della primavera si sciolse in lui il primo
pezzettino di ghiaccio che aveva coperto il suo
cuore per tanti anni e la prima goccia di rugiada
gli inumidì gli occhi dandogli una
sensazione strana ma... intensa ed indimenticabile,
fu meraviglioso sentire dopo tanti anni il sapore
dolce-amaro di una lacrima che scorre sulla
pelle.
- Per molti giorni le cose
andarono avanti così ed ogni vola un
pezzettino in più si scioglieva fino a
quando un mare immenso lo invase; i pezzettini di
ghiaccio di tanto in tanto gli procuravano ferite
più o meno profonde e dolorose, ma
chissà perché, era un dolore diverso,
quasi un "dolore buono", necessario.
- Pian piano il ghiaccio si
sciolse ed il sangue ricominciò a scorrere
nelle vene, caldo, forte, pieno di vita e di
"passione", quella passione che era rimasta sepolta
dentro lo scrigno posto in fondo
all'anima.
- Sentì un turbamento
incomprensibile, un vuoto che non sapeva d'avere ed
un'assenza che non capiva cos'era; ben presto
dentro di lui si formò un vortice che
sconvolse i suoi sentimenti e le sue emozioni; si
trovò senza difese e...cosa strana... senza
corazza e non riusciva a capire se fosse più
grande la gioia o più devastante
l'insicurezza che questa situazione gli
dava.
- Un fiume scorreva
impetuoso e si agitava dentro di lui, alternando
piena a piena ed alterando ciò che ormai
sembrava sicuro, solido ed immutabile; ma
ciò che credeva immutabile non poteva essere
tale perché non era la realtà, era
quella l'altra realtà costruitasi intorno
per cui non poteva esser vera e reale e ciò
che credeva fosse la vita e fosse la sua sicurezza
non poteva esser tale perché la vera
realtà era ancora da venire e per
affrontarla occorreva trovare un nuovo ritmo, un
nuovo equilibrio, quello vero e naturale,
perché l'uomo può anche bloccare il
corso di un fiume e deviare la sua corsa verso il
mare, ma prima o poi, il fiume spinto dalla legge
della natura, riprende con forza il suo posto e
stravolge quello che l'uomo, nella sua
inconsapevolezza, aveva stravolto di lui, per
continuare a scorrere nell'alveo destinato al suo
cammino, l'unico e vero, quello che nessun uomo
può deviare, né fermare, né
invertire, senza per questo modificare le leggi
immutabili della Natura.
- Una mattina, senza che lui
avesse deciso, almeno non coscientemente, si
trovò a seguire quell'esserino che pur non
parlando gli aveva detto molto di
più.
- Non oppose resistenza
anche se avvertì un senso di disagio nella
parte più buia di sé; si sentiva allo
scoperto e questo gli dava un senso di gioiosa
leggerezza e di strana paura.
- Mentre camminava seguendo
in silenzio quella specie di "farfalla", si
ricordò quando, un tempo, aveva amato il
volo delle farfalle e il calore del sole e non
capiva come avesse fatto in tutti quegli anni a
dimenticarlo eppure era sicuro di non essere mai
cambiato e di essere rimasto sempre quel "bambino"
amante della sua libertà e della sua
indipendenza; non si era mai reso conto che si
può essere schiavi della stessa
libertà e prigionieri della propria
indipendenza o di una corazza che finisce col
trasformarsi in pelle e confondersi con la pelle
vera, che sotto soffre per la mancanza di sole,
d'aria, di verità.
- Lui che non avrebbe mai
rinunciato alla sua libertà, l'aveva
rinnegata più d'ogni altro, confinando nel
profondo sud della sua anima ogni desiderio che di
essa giungeva dal cuore ai pensieri.
- Sentì un fremito
febbrile nel constatare tutte queste cose nei suoi
pensieri che sentiva ardenti e... quasi dolorosi,
di un dolore muto, profondo e terribilmente
disperato nell'ansia che avvolgeva il suo desiderio
adesso di scoprire la verità... tutta la
verità, qualunque essa fosse!
- Ma la verità giunge
solo quando il tempo è maturo.
- Chissà se lo era
anche per lui, adesso, dopo tutti quegli anni
passati credendo che fosse quella l'unica e la sola
verità possibile della sua vita!
- Era giunto, intanto, ai
margini del bosco; davanti a lui si apriva una
stupenda vallata al cui confine intravedeva
un'ombra maestosa che non riusciva bene a
distinguere se fosse una montagna o
qualcos'altro.
- Si accorse anche di essere
rimasto da solo e che quel percorso l'aveva fatto
da solo, la strada l'aveva decisa da solo, pur
essendo convinto che qualcun altro avesse deciso
per lui e l'avesse portato fin
lì.
- Quell'ombra scura che
intravedeva al limite dell'orizzonte e
s'intrometteva tra il verde del prato e l'azzurro
del cielo lo fece sussultare
inspiegabilmente.
- Fu tanta la paura quanto
la curiosità che il passo si avviò
senza che se ne rendesse conto.
- Man mano che si avvicinava
riusciva a distinguere un pezzettino in più
di quell'ombra misteriosa, fino quando si
trovò davanti un... meraviglioso e magnifico
castello!
- Era di una bellezza
incredibile, proprio come quello delle fiabe, ma
qualcosa lo turbò: era vuoto,
disabitato!
- Non un rumore, non un
movimento, niente che facesse pensare a qualcosa
d'animato o di vivente.
- Avvicinandosi ancora, fu
stupito dal fatto che nonostante non ci fosse anima
viva ad abitarlo, tutto era perfettamente in
ordine, anche il giardino, le rose, le finestre
spalancate come se stessero aspettando
qualcuno.
- Lo stupore iniziale fu ben
presto sostituito da un acquietarsi d'emozioni, una
serenità mai vissuta, una certezza che per
la prima volta gli venne da dentro, una sicurezza
quasi come se... si sentisse a casa
propria.
- Ma non volle pensare, gli
sembravano impossibili quei pensieri, troppo strani
e troppo... fantasiosi, irreali!
- Giunse così davanti
al cancello; vide sulla destra un campanello, vi
appoggiò indeciso la mano, ma il suono si
diffuse rapido nell'aria invadendo tutto il
giardino e poi le mille stanze del castello; il
cancello si spalancò immediatamente davanti
ai suoi occhi ancora increduli, quasi che una mano
invisibile avesse azionato un pulsante a distanza
e, prima ancora che se ne rendesse conto, tutta
l'aria ebbe un forte fremito e sentì intorno
a sé un calore antico, un odore
inconfondibile, un'emozione indimenticabile... ma
come poteva succedere tutto questo, cosa
significava!
- Il portone del castello si
aprì ed una dama, bellissima, apparve
vestita da sposa; alla finestra superiore si
affacciarono tre visini tondi e curiosi che lo
guardavano con sollievo, come se lo avessero
aspettato da sempre.
- Un maggiordomo gli
andò incontro e con un fare dignitoso e
sereno gli disse:
- "Bentornato,
maestà! L'aspettavamo da tanto, lo sapevamo
che sarebbe tornato!".
- Nicolin non aveva parole,
non riusciva neanche a pensare, era tutto
così incredibile, tutto così bello,
quasi un sogno!
- In realtà la parte
più bella del sogno è il suo
risveglio!
- Nicolin si stava
svegliando da un lungo sonno e credeva che il sogno
fosse appena incominciato!
- Avanzò con passo
sicuro e si avvicinò alla dama che gli porse
la sua mano; si chinò su di lei e
sfiorò teneramente la sua pelle delicata;
poi si girò verso destra ed incontrò
lo sguardo di quei tre visini che lo fissavano con
un'aria di felicità incontenibile e
provò un non so che di... indicibile
emozione fatta di un miscuglio di sentimenti:
gioia, paura, stupore, turbamento, felicità,
sgomento...
- Attraversò
l'ingresso e si trovò davanti ad un grande
specchio; gli sembrò strano trovarlo
lì all'ingresso; gli si avvicinò e...
davanti ai suoi occhi si formò un'immagine
non del tutto sconosciuta.
- Apparve una figura d'uomo
con addosso una pelle d'orso che si rivolse a lui
con tono affettuoso:
- "Figlio, fu mio volere
darti ciò che ritenni necessario,
perché questo castello avesse un giorno il
suo padrone e perché il suo padrone fosse un
giorno un re degno di questo castello.
- Sono stato tuo padre e tu
mi hai seguito per i boschi, hai messo il tuo piede
nell'orma lasciata dal mio, hai imparato a
difenderti e a riconoscere i pericoli, camminando
al mio fianco; mi hai amato e mi hai custodito nei
tuoi pensieri come qualcosa di prezioso e di forte.
Hai portato sulle tue spalle la mia pelle pesante e
non ti sei mai lamentato dello sforzo che ogni
giorno doveva essere raddoppiato perché il
suo peso si faceva sempre più
insostenibile.
- Ma ogni cammino ha una sua
meta ed ogni viaggio ha un suo arrivo: ed è
questo il momento in cui tu giungi alla tua meta ed
io termino il mio cammino!
- È tempo per te di
governare ed è tempo per me di andare e di
lasciarti libero di farlo nel modo più
giusto e saggio, perché tutto ciò che
avevo da insegnarti l'ho fatto, adesso tocca a te
fare lo stesso, senza fare però, i miei
sbagli ed i miei errori.
- Riprendo ora su di me la
mia pelle, ti restituisco la tua libertà
insieme a questo regno che ti è sempre
appartenuto e che non hai mai saputo di possedere;
dentro di te, adesso, c'è la sapienza
dell'orso, la saggezza della quercia, la poesia
della natura, la forza delle passioni che adesso
sai dominare e di cui sei diventato abile
padrone.
- Questo palazzo è
tuo: siine fiero e degno. Ascolta ciò che
dentro ti parla e non aver timore; guarda quello
che intorno si muove e non temere: adesso sai
riconoscere il desiderio di una donna e la dolcezza
in un bambino e non hai bisogno
d'altro!
- Sei stato re non per
corona, ma per vita vissuta; adesso lo sarai per
entrambe le cose e sono sicuro che non deluderai le
persone che ti hanno aspettato per una vita intera,
una vita ancora tutta da scrivere, da vivere, da
sognare.
- Ancora un'ultima cosa:
come in ogni regno, anche in questo c'è un
tesoro! Non è nascosto, ma neanche è
visibile a tutti.
- Se lo cercherai nel modo
giusto, potrai vivere per il resto della tua vita
senza problemi di sorta: esso è inestimabile
ma anche inestinguibile, ma sarà compito tuo
dargli il valore giusto! Addio, figlio
mio".
- La voce tacque e
l'immagine scomparve. Le luci intorno a lui si
accesero e tutto apparve nel suo meraviglio
splendore.
- Un raggio di sole invase
la stanza ed illuminò nell'angolo una
vecchia carrozza.
- Nicolin si guardò
intorno; capiva a malapena quello che gli stava
succedendo, ma gli piaceva e ne fu
felice.
- Ripensò al giorno
in cui aveva deciso di intraprendere quel viaggio e
capì che per ogni scelta da fare c'è
già una scelta fatta, per ogni destino da
compiersi c'è sempre un desiderio a valle, a
monte o nascosto un po' dovunque; capì anche
che ogni scelta non è mai una scelta
qualunque; capì che il suo destino era stato
mosso da un desiderio che aveva posto nei suoi
pensieri molti anni prima, ma che poi aveva
smarrito nel cammino convinto com'era che i
desideri sono solo desideri e non hanno niente a
che fare con la vita e con la
realtà.
- Ma ora, di fronte alla
realtà, non poteva negare a se stesso che
ogni desiderio ha un suo tempo, ogni desiderio non
è vano, ogni desiderio è una scelta
di vita!
- Aveva scelto e la sua
vita, compiendosi, aveva appena svoltato l'angolo
ed iniziava un nuovo cammino tutto da desiderare,
tutto da pensare, tutto da vivere....
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