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                  Il re che non
                  sapeva di essere un re C'era una volta... un
                  castello incantato, con tanto di torri e torrioni,
                  scale di marmo e stanze a non finire.Ma chi ci abitava,
                  qualcuno dirà?Ebbene, non ci abitava
                  nessuno: era il più bel castello incantato
                  disabitato.Non che non avesse un
                  "Padrone", soltanto che il padrone, ovvero il re,
                  viveva da un'altra parte: non certo in una reggia
                  né in un castello, ma in mezzo ai boschi ad
                  attendere chissà... qualcosa, forse
                  qualcuno, forse un segnale, una voce, un
                  segno.Era un tipo davvero
                  particolare: amava la libertà del vento,
                  l'indipendenza degli uccelli, la frenesia delle
                  formiche, il coraggio del lupo, la bellezza e la
                  leggerezza delle farfalle, lo splendore del sole,
                  il pallore notturno della luna, lo stupore
                  dell'alba mattutina, la luce del mezzogiorno estivo
                  e di tutto ciò che la natura offre nella sua
                  meravigliosa essenza e coesistenza di
                  Vita.Egli amava tutto questo ed
                  ancor di più.Gli era stata data in
                  eredità una reggia, una di quelle forti e
                  sicure, solide, li da resistere in eterno; ma per
                  volere dell'imperatore suo padre gli fu taciuta
                  quest'eredità.Aveva pochi anni, quando,
                  su ordine del padre, fu portato nel bosco
                  più fitto e lasciato da solo con la sua
                  fragile innocenza e la sua tenera pelle di
                  fanciullo, con tra le mani unica eredità
                  tangibile, un tozzo di pane.Ma questo era solo
                  ciò che gli si voleva far credere, in
                  realtà aveva molto di più; intanto
                  non fu mai realmente solo: c'era chi da lontano lo
                  seguiva e lo guidava parlandogli nella notte; c'era
                  chi lo amava pur senza averglielo mai detto; c'era
                  un castello che aspettava di essere abitato ed un
                  cavallo bianco in cerca di un padrone; c'erano dei
                  paggi in attesa d'esempi da seguire e c'era una
                  dama che aspettava il ritorno del suo principe
                  azzurro.Tutte queste cose erano
                  già con lui e dentro di lui, ma lui non lo
                  sapeva.Quando fu solo nel buio
                  del bosco cercò un riparo sicuro dove
                  trascorrere la lunga notte.C'era lì ogni tipo
                  d'albero e d'arbusto: alto, basso, grosso, diritto,
                  nodoso, robusto, ma nessuno di quelli faceva al
                  caso suo, cercava qualcosa che soddisfacesse una
                  certa ansia di... sicurezza, di forza, di potenza,
                  di fragranza notturna, che gli desse quel senso
                  tutto umano di... protezione e voglia di vivere, di
                  coraggio e decisione, che non crescesse solo per
                  sé e che desse cibo, ombra e ristoro
                  contemporaneamente, che desse quella sensazione di
                  sentirsi "a casa propria".Chissà se avrebbe
                  mai trovato un albero così!Certo non aveva
                  nessun'intenzione di arrendersi o di mettersi a
                  piangere, non poteva lasciare che tale desiderio
                  vivesse solo nei suoi sogni, così,
                  nonostante la notte, il buio, il freddo, la paura,
                  l'inconsapevolezza del suo desiderio, frugò
                  per tutto il bosco, finché, quasi sul far
                  dell'alba, ecco immenso, possente, colossale,
                  davanti ai suoi occhi stanchi e spaventati, apparve
                  l'albero più bello, meraviglioso, unico, che
                  avesse mai visto, era ancora più enorme di
                  quanto non avesse potuto immaginare nella sua
                  fantasia di bambino.Al limite della radura,
                  proprio davanti ad alcune gigantesche e nude rocce,
                  stava isolata una poderosa Quercia, alta fin quasi
                  a toccare il cielo, forte più del vento di
                  brughiera, elegante come una poesia di Dante
                  Alighieri, sicura come il sole che sorge al
                  mattino, solida come la terra da cui attingeva
                  energia e vita, immensa come il mondo può
                  apparire agli occhi di un bambino.Nel buio della notte,
                  appena rischiarato da un lontano sfolgorare del
                  sole e da una luna argentina che ancora dominava il
                  cielo, quell'albero gli sembrò la più
                  bella reggia che avesse mai visto e decise, in
                  quello stesso momento, che quella sarebbe stata la
                  sua casa.Si accovacciò
                  nell'incavo tra le radici e la parte più
                  inferiore del tronco; sembrava quasi che quel
                  cantuccio non aspettasse altro che di essere
                  riempito con i fragili pensieri di un bambino e
                  quasi come una culla lo accolse dentro di
                  sé.Rannicchiato e stretto
                  alla terra, tra l'abbraccio delle radici e i rami
                  che dall'alto lo proteggeva, sentì tutta la
                  linfa salire su per il tronco ed invaderlo, quasi
                  ne fosse diventato parte necessaria; sentì
                  tutto il peso del cielo sostenuto dai rami
                  dell'albero; sentì la vita ristorare le sue
                  radici sconosciute e provò un brivido che
                  portò con sé nei giorni a
                  venire.Le sue narici si
                  riempirono del profumo della terra bagnata dalla
                  rugiada mattutina e le sue mani sentirono il vigore
                  della scorza dura, rugosa, eterna sulla quale le
                  sue dita di tenero germoglio cercavano protezione e
                  sicurezza.Non esitò a
                  addormentarsi per la stanchezza e per quella strana
                  sensazione di pace che invade allorquando si trova
                  l'oggetto dei propri desideri.Il risveglio, in pieno
                  mattino, fu una favola.Egli portava già
                  dentro di sé la tenerezza del mattino, la
                  freschezza della brina, il cinguettare degli
                  uccelli, il fruscio del ruscello, il ronzare degli
                  insetti da un fiore all'altro fiore, per cui gli
                  bastò un solo istante per capire che quella
                  era CASA sua, quella in fondo, era l'unica vita
                  possibile per lui, perché lui era vita da
                  vivere così.Tutto il resto del mondo
                  per lui poteva anche non esistere.Appena le sue gambe si
                  furono riposate abbastanza , saltò su
                  più rapido di un grillo e si mise di fronte
                  alla sua quercia alle cui spalle il sole stava
                  sorgendo.In piedi in tutta la sua
                  minuscola statura stette lì ad osservare con
                  i suoi lunghi rami ed i suoi numerosi "abitanti"
                  che la rendevano viva nella trasparenza eterea del
                  mattino; gli sembrava così ancora più
                  immensa, più enorme, maestosa, quasi una
                  sfida alla grandezza del cielo, invidiabile nella
                  struttura articolata e proporzionata nella sua
                  enormità.Si cibò in quel
                  momento dei segreti della Quercia: seduto, adesso,
                  con le gambe incrociate, nel mezzo della sua ombra
                  proiettata sul campo verde la osservava, la
                  guardava, la scrutava a lungo, la prendeva dentro
                  di sé e fu come... dire non è
                  possibile... la sensazione d'essere parte del
                  mondo, d'essere vita nella vita, d'essere figli
                  della terra ed anche radici, corpo, anima che si
                  eleva verso la grandezza del Cosmo che tutto
                  contiene dentro e fuori di sé.Fissò nei suoi
                  occhi il profilo della sua ombra, ogni movimento,
                  ogni sussulto ed ogni sussurro; s'invaghì
                  della sua forza, s'innamorò della sua
                  autorevole presenza, amò l'idea della sua
                  presenza nel suo ancora sconosciuto
                  destino.In un impeto d'affetto e
                  di straripante gioia, le chiese di farle da Madre e
                  di darle come cibo il segreto della sua forza e
                  l'essenza del suo essere quercia.Lei non esitò un
                  istante: ai suoi occhi parve che i rami si
                  abbassassero e l'abbracciassero, stringendolo forte
                  a sé così che il suo cuoricino
                  battesse per due e la sua linfa potesse scorrere
                  dentro le sue esigue vene e segnare la vita che
                  passa ed il segno che lascia così sulla
                  scorza rugosa della Quercia come sul tenero tronco
                  di un glicine in fiore.Fu una scelta condivisa e
                  l'adozione diede i suoi frutti.Il piccolo imparò a
                  riconoscere e ad amare tutti gli amici della grande
                  Quercia, dagli uccellini, agli scoiattoli, agli
                  insetti che vi ronzavano intorno, alle formichine
                  che l'attraversano tutta in cerca di un qualcosa
                  che lui non capì mai.Ma un giorno successe
                  qualcosa che cambiò la vita di entrambi: la
                  Quercia aveva un amico, un amico particolare che
                  sedeva sotto la sua ombra e si riposava sotto il
                  suo enorme tronco poderoso come il suo corpo; un
                  orso che stava assaporando, in quei giorni, le sue
                  ultime ore di sonno invernale.Un mattino, quando il sole
                  era già alto a riscaldare le poche nuvole
                  primaverili, si udì come un "tuono", un
                  rombare strano che fece sussultare tutti gli
                  abitanti del bosco. Nessuno però
                  scappò via, perché sapevano a chi
                  apparteneva quel verso.Nicolin, pensò che
                  stesse per arrivare un temporale, per cui si
                  restrinse ancora un altro po' dentro la sua "tana"
                  e si accoccolò come un ghiro che si prepara
                  per il suo sonno invernale; sopra di lui il sole si
                  oscurò e sentì nuovamente quel
                  "tuono"; capì che c'era qualcosa di strano
                  in quel rumore, ma non ebbe il coraggio di aprire
                  gli occhi, così li strinse ancora un altro
                  po' e aspettò che passasse, ma non
                  passò; un terzo e poi un quarto rombare di
                  cielo lo scossero nelle viscere, perché
                  intanto si era fatto sempre più vicino, ne
                  sentiva quasi "il fiato" su di lui: ma il cielo non
                  respira così forte, pensò il bambino;
                  il cuore gli tremò, ma si fece coraggio ed
                  aprì piano un occhio, poi l'altro;
                  capì che era in pericolo, ma non si mosse,
                  non fece alcun movimento con nessuna parte del
                  corpo, aprì solo i suoi occhi e ciò
                  che gli apparve gli mise un gelo dentro,
                  sembrò che il sangue avesse smesso di
                  scorrere e il cuore di battere, davanti a lui un
                  enorme Orso brandiva le sue poderose zampe verso di
                  lui, avvertì la strana sensazione che fosse
                  arrabbiato proprio con lui.Ma come poteva aver fatto
                  una cosa simile, non sapeva nemmeno che esisteva
                  fino a qualche istante prima, perché ce
                  l'aveva così tanto con lui?Quello che l'orso
                  rivendicava era la sua "tana", quell'incavo ai
                  piedi della Quercia sua amica, il luogo dove da
                  anni passava la sua vita tra un letargo e l'altro;
                  c'era in quell'incavo il suo odore forte, il suo
                  pelo caldo, il suo respiro rabbioso.Il suo istinto gli diceva
                  di stendere la sua zampa e lanciare lontano
                  quell'esserino insignificante e riprendere
                  ciò che gli apparteneva, ma uno stormire
                  improvviso di rami fermò quel pensiero e gli
                  cantò il più bel canto di primavera
                  che avesse mai sentito; fu quella musica che
                  bussò al suo cuore a chiedergli pietà
                  per quel suo indifeso amico ed il suo cuore
                  l'ascoltò.Intanto il piccolo Nicolin
                  si era alzato in piedi e gli stava di fronte,
                  piccolo come una pulce sul dorso
                  dell'elefante.Lo osservò a lungo
                  con gli occhi sbarrati: non aveva mai visto niente
                  di così enorme e di così neri; il
                  fatto strano fu che quell'enormità e quel
                  pelo folto e scuro non gli facevano per niente
                  paura, era come se fra loro ci fosse sempre stato
                  un vincolo segreto che adesso chiedeva di
                  realizzarsi in quell'amicizia che forse sarebbe
                  nata fra di loro.La stessa sensazione
                  l'ebbe anche l'Orso che sentì il suo cuore
                  battere un ritmo strano; guardò la Quercia e
                  poi il bambino, guardò il bambino e poi la
                  Quercia ancora, non capiva che cosa stesse
                  succedendo, ma mise per terra tutte e quattro le
                  sue zampe e come un gattino si avvicinò al
                  piccolo Nicolin guardandolo dritto negli
                  occhi.Furono pochi attimi che
                  scrissero una storia intera e segnarono in modo
                  indelebile le vite di entrambi.In mezzo, tra la Quercia e
                  l'Orso, Nicolin sentì una forza sconosciuta
                  venirgli su ed attraversargli prima le gambe, poi
                  le braccia, fino a penetrargli nella mente e nel
                  cuore, sentì che quella sarebbe stata la sua
                  famiglia e chiese all'Orso di essere suo padre e
                  l'Orso accettò.Insieme andarono a caccia
                  ed insieme si riposarono sotto la grande
                  Quercia.Nicolin imparò ben
                  presto tutti i segreti del bosco: imparò a
                  riconoscere i pericoli guardando il movimento degli
                  animali, a sentire l'arrivo della pioggia, gli
                  odori della selvaggina, a pescare nel ruscello, a
                  difendersi ed anche ad attaccare per spaventare
                  l'avversario.Divenne ben presto forte e
                  robusto nel corpo e nello spirito: aveva il
                  coraggio di guardare il nemico dritto negli occhi
                  vincere lo scontro senza muovere un solo muscolo;
                  la forza nelle gambe per correre più veloce
                  degli altri e l'agilità mentale per
                  escogitare trappole per le prede
                  quotidiane.Osservò sempre
                  attentamente ogni movimento del suo amico orso,
                  comprese ogni sua decisione, ogni sua scelta, ogni
                  suo desiderio; saggiò la potenza dei suoi
                  artigli sicuri, la nobiltà dei suoi
                  pensieri, la vanità del suo specchiarsi
                  nell'acqua dolce del rapido torrente, il suo
                  palpitare ansioso quando lui spariva dalla sua
                  vista per molto tempo ed il suo cercare e frugare
                  nel bosco in cerca delle sue orme sul terreno
                  bagnato; conobbe anche la sua golosità e la
                  forza dell'istinto che cede alle passioni e diventa
                  insidia fatale anche per un poderoso ed invincibile
                  orso come lui.Un giorno, infatti, l'orso
                  annusò nell'aria un odore inconfondibile,
                  irresistibile, tormentoso, impossibile da non
                  seguire; spinto dalla sua incontrollabile
                  golosità, seguì il profumo che l'aria
                  della tarda primavera gli aveva portato fino alle
                  narici.Nicolin non capì
                  subito cosa stesse succedendo, ma sentì
                  nell'aria un brivido e, nonostante il caldo, decise
                  di seguirlo.C'era da quella parte nel
                  bosco un intenso profumo di miele, che sfidava il
                  suo controllo e lo chiamava da lontano a cercarlo,
                  a gustarne il sapore pieno e delicato, intenso e
                  pieno quel non so che, che impedisce qualsiasi
                  controllo si voglia mettere in atto.Ma quella era zona dove
                  l'uomo s'aggirava da padrone ed armato di fucile
                  era sempre pronto a far fuori chiunque vestisse i
                  panni della preda.Appostato fra i rami di un
                  cerro, infatti, un cacciatore, sentì il
                  camminare dell'orso farsi sempre più rapido
                  ed il suo respiro farsi sempre più
                  affannoso.Estasiato da quel odore
                  che ormai riempiva narici e polmoni, l'orso
                  abbandonò per un istante le sue difese,
                  cercò nel tronco l'essenza del suo piacere
                  approfittando della momentanea assenza delle api,
                  affondò la sua zampa pregustando già
                  ciò che avrebbe di sicuro soddisfatto il suo
                  desiderio e la sua passione. Ma quell'attimo gli fu
                  fatale: il cacciatore era già lì
                  pronto, col grilletto alzato, pronto a pregustare
                  quel trofeo niente male che avrebbe fatto salire di
                  molto la sua quotazione personale presso il bar del
                  paese; due colpi mortali alle spalle e fu un unico
                  rantolo ad uscire insieme al sangue che
                  inondò la sua pelliccia bruno-dorata,
                  macchiandola per sempre.I suoi piccoli occhi
                  restarono aperti a guardare il cielo lontano,
                  mentre dalla sua zampa colava quel liquido
                  dolciastro e già a mille e a mille, le
                  formiche erano intorno, decise a non far perdere
                  nemmeno una goccia di quel delizioso cibo degli
                  dei.Il cacciatore prese in
                  fretta la sua testa che con un taglio netto
                  staccò dal resto del corpo e sparì
                  lasciando agli animali del bosco quel corpo ormai
                  inutile.Nicolin era rimasto
                  lì, immobile, incredulo, impotente,
                  perplesso, sgomento.Ogni gesto, ogni parola,
                  ogni pensiero sarebbe stato vano, sarebbe stato
                  inutile proprio come quel corpo inerme con addosso
                  la sua pelle macchiata di sangue.Ecco, proprio la pelle!
                  Era l'unica cosa che avrebbe potuto fare: prendere
                  la sua pelle e coprirsene, per sempre, come cosa
                  viva che avrebbe continuato a vivere in
                  lui.Prese così su di
                  sé la sua morte deciso a ridargli vita
                  dentro di sé, raccolse il suo sguardo perso
                  nel cielo e gli ridiede luce attraverso i suoi
                  occhi, si impadronì dei suoi pensieri e li
                  depose in un luogo sicuro, l'unico luogo dove il
                  fucile dell'uomo non può entrare e non fa
                  paura: nel cuore innocente di un "figlio" che
                  prende su di sé la "pelle" di suo padre e se
                  ne fa carico per tutta la vita, come il dono pi o
                  pose, nel profondo del suo animo, a ricordo di
                  quell'istante in cui la morte, giocando con le
                  passioni, raggiunse il suo scopo
                  assassino.Quel lampo era impregnato
                  di dolci passioni, travolgenti emozioni, sapori
                  gustosi e fantastici sogni, quel lampo era il
                  pericolo ed il segno della rivolta degli istinti
                  contro la ragione; la sua difesa fu per lui prova
                  di coraggio e lo scopo della sua vita a
                  venire.Dopo averlo deposto nella
                  parte più sconosciuta al mondo, ci mise
                  sopra decine e decine di spesse lastre di ghiaccio,
                  così che il tempo non ne rubasse il calore e
                  l'intensità.Nello stesso momento tutto
                  il suo corpo ebbe un brivido di freddo; il sangue
                  si gelò nelle vene e non volle più
                  scorrere come prima, non volle più dare
                  forza a quel "muscolo" che alimenta i sentimenti,
                  il quale continuò a battere senza una
                  ragione, senza più vita, senza più
                  senso.Della pelle ne fece una
                  corazza e se ne vestì; sentì forte il
                  suo peso e temette di non esserne capace, ma
                  sentì anche il suo calore e ciò
                  ridusse la sensazione del suo peso, eccessivo per
                  le sue fragili membra di ragazzino.Il caldo del pelo
                  riempì il vuoto lasciato dalla sua assenza e
                  fu più facile riprendere il
                  cammino.Quella pelle fu per lui
                  certezza e rifugio, arma e difesa, forza e vigore,
                  patto di sangue e d'amore per il quale avrebbe
                  combattuto per tutta la vita. anche se a volte
                  arrancò sotto il suo peso, mai gli venne
                  desiderio di deporla o di sbarazzarsene, anzi,
                  più diventava pesante, più il suo
                  peso lo riempiva di forza e di vigore; ed essendo
                  cosa viva, il suo peso aumentava con l'aumentare
                  della sua forza, in proporzione uguale, quasi una
                  sfida!Quella pelle fu la sua
                  prigione divenuta corazza sostituì la stessa
                  pelle, imprigionando anche quella parte di
                  sé che non aveva mai accettato limiti alla
                  sua libertà; a lei sacrificò la sua
                  stessa ribellione e quel senso di indipendenza che
                  lo aveva accompagnato in tutti quegli anni; per lei
                  rinunciò alla sua libertà e ne fu
                  schiavo volontario a ricordo di quella
                  schiavitù a cui l'uomo è sottoposto
                  dai suoi impulsi, dalle sue passioni nei confronti
                  della sua stessa libertà di scegliere e di
                  vivere.Continuò a credere
                  per anni di essere ancora libero di scegliere e di
                  vivere, ma sentiva giorno dopo giorno, il peso
                  della sua corazza farsi sempre più pressante
                  tanto che ad un certo punto il cuore
                  cominciò ad annaspare e a far sentire la sua
                  stanchezza.Ma l'orgoglio, quella
                  stessa nobiltà che aveva animato il petto
                  dell'orso e la sua testardaggine nel proseguire
                  nonostante tutto, lo avevano reso, non solo
                  schiavo, ma anche cieco, tanto da non saper
                  più riconoscere l'odore di una violetta
                  né stupirsi del cielo mattutino.Continuò ad amare
                  la sua Quercia, ma neanche quello era più
                  amore, era dolore, disperazione, rabbia, delusione,
                  sofferenza sepolta, smarrimento, sconvolgimento,
                  turbamento ed inquietudine
                  incomprensibili.La Quercia, nonostante la
                  sua immensità e la sua immobile certezza di
                  essere e di esistere, la sua inflessibilità
                  ed il suo rigore, non sopportò a lungo la
                  perdita dell'amico e l'assenza dell'altro: il suo
                  primo e più antico amico l'aveva lasciata
                  alla sua secolarità senza più la
                  possibilità di solleticarle la corteccia
                  rugosa e profonda; il secondo, quello che aveva
                  amato di più, era ormai lontano da lei,
                  dall'allegria dei suoi uccellini, dalla frenesia
                  delle sue formiche. Pur sedendo ancora alla sua
                  ombra e raggomitolandosi nel suo incavo, la sua
                  mente era lontana, i suoi pensieri andavano oltre
                  l'orizzonte e sfidavano la sua immobilità,
                  facendole sentire tutta la sua pochezza e la sua
                  impotenza. Così, piano piano, lentamente, si
                  lasciò morire, fino a quando un lampo,
                  ancora un altro lampo, le bruciò il cuore e
                  restò lì a metà, con il cuore
                  incenerito e nero ed i suoi rami nudi e non
                  più tesi verso il cielo, ma pendenti verso
                  l'ombra del suo stesso corpo.Prese allora Nicolin anche
                  la sua ombra e la sua solitudine, la sua amarezza e
                  la sua delusione del mondo e della vita e se ne
                  fece ancora corazza da indossare, a rinforzo della
                  prima, a certezza del suo essere diventato adesso
                  Orso e Quercia, solido, potente, ma freddo, gelido,
                  pieno di vita ma che la vita rinnega. Dominava
                  adesso la Natura e tutti i suoi pericoli, niente
                  aveva più segreti per lui e niente
                  più lo coglieva di sorpresa e lo
                  stupiva.Ma dopo la morte della
                  Quercia, qualcosa in lui era cambiato, qualcosa si
                  agitava con sempre maggiore forza, e premeva,
                  premeva perché qualcuno gli aprisse la porta
                  e ascoltasse la sua voce ribelle. Un'ansia invase
                  il suo spirito e un desiderio cominciò a
                  rombare sempre più forte, proprio come
                  l'urlo dell' di lui.Uscire fuori dal bosco
                  significava ricominciare tutto da capo, significava
                  rimettere tutto in discussione e forse anche
                  scoprire che quelle certezze non erano proprio
                  certezze ma solo momentanee verità che
                  dovevano lasciare il posto ad altre verità
                  anche loro destinate a finire non appena altre se
                  ne fossero affacciate.Era una decisione
                  coraggiosa, la più coraggiosa della sua
                  vita; gli occorreva una forza che non era sicuro
                  d'avere; ciò che più lo faceva
                  soffrire era la mancanza della sua ombra e di
                  quell'odore forte della terra che ormai si portava
                  nelle viscere e nelle mani dalla pelle
                  ambrata.Sentì forte il
                  desiderio di farlo ma non sapeva che direzione
                  prendere, da quale parte uscire da lì; ma
                  l'indecisione fu solo un attimo: aveva imparato
                  dall'orso a fiutare le sue scelte, a lasciarsi
                  guidare dal suo istinto per essere sicuro di non
                  sbagliare mai.Così
                  s'incamminò senza che la Ragione ne sapesse
                  la meta e seguì il cammino del sole e poi
                  quello della luna, fino a quando qualcosa non
                  giunse a dargli certezza e speranza di
                  vita.Qualcosa di misterioso ma
                  la tempo stesso che sapeva di buono e di familiare,
                  d'incomprensibile ma solo apparentemente
                  perché era proprio questo il mistero:
                  ciò che apparentemente sembra misterioso
                  è invece la parte più vera e reale di
                  noi e questo sconvolge più della stessa
                  realtà che poi in fondo è la vera
                  apparenza.Tutto cominciò una
                  mattina quando, davanti ai suoi occhi comparve un
                  esserino quasi trasparente che agitava due lunghe
                  ali bianche; a vederla così sembrava quasi
                  la famosa Trully di Peter Pan, ma era molto
                  più reale, più "umana" di un semplice
                  folletto di bosco.Questo personaggio
                  misterioso cominciò a danzargli davanti agli
                  occhi senza parlare, sembrava quasi invitarlo a
                  seguirlo, come se la sua presenza lì, in
                  quel momento, non fosse casuale.La sua presenza non durava
                  tutto il giorno, ma pochi momenti... pochi momenti
                  di presenza effettiva molti in cui la sua assenza
                  era più forte della sua stessa
                  presenza.Giorno dopo giorno,
                  qualcosa in lui cominciò a cambiare; con
                  l'arrivo della primavera si sciolse in lui il primo
                  pezzettino di ghiaccio che aveva coperto il suo
                  cuore per tanti anni e la prima goccia di rugiada
                  gli inumidì gli occhi dandogli una
                  sensazione strana ma... intensa ed indimenticabile,
                  fu meraviglioso sentire dopo tanti anni il sapore
                  dolce-amaro di una lacrima che scorre sulla
                  pelle.Per molti giorni le cose
                  andarono avanti così ed ogni vola un
                  pezzettino in più si scioglieva fino a
                  quando un mare immenso lo invase; i pezzettini di
                  ghiaccio di tanto in tanto gli procuravano ferite
                  più o meno profonde e dolorose, ma
                  chissà perché, era un dolore diverso,
                  quasi un "dolore buono", necessario.Pian piano il ghiaccio si
                  sciolse ed il sangue ricominciò a scorrere
                  nelle vene, caldo, forte, pieno di vita e di
                  "passione", quella passione che era rimasta sepolta
                  dentro lo scrigno posto in fondo
                  all'anima.Sentì un turbamento
                  incomprensibile, un vuoto che non sapeva d'avere ed
                  un'assenza che non capiva cos'era; ben presto
                  dentro di lui si formò un vortice che
                  sconvolse i suoi sentimenti e le sue emozioni; si
                  trovò senza difese e...cosa strana... senza
                  corazza e non riusciva a capire se fosse più
                  grande la gioia o più devastante
                  l'insicurezza che questa situazione gli
                  dava.Un fiume scorreva
                  impetuoso e si agitava dentro di lui, alternando
                  piena a piena ed alterando ciò che ormai
                  sembrava sicuro, solido ed immutabile; ma
                  ciò che credeva immutabile non poteva essere
                  tale perché non era la realtà, era
                  quella l'altra realtà costruitasi intorno
                  per cui non poteva esser vera e reale e ciò
                  che credeva fosse la vita e fosse la sua sicurezza
                  non poteva esser tale perché la vera
                  realtà era ancora da venire e per
                  affrontarla occorreva trovare un nuovo ritmo, un
                  nuovo equilibrio, quello vero e naturale,
                  perché l'uomo può anche bloccare il
                  corso di un fiume e deviare la sua corsa verso il
                  mare, ma prima o poi, il fiume spinto dalla legge
                  della natura, riprende con forza il suo posto e
                  stravolge quello che l'uomo, nella sua
                  inconsapevolezza, aveva stravolto di lui, per
                  continuare a scorrere nell'alveo destinato al suo
                  cammino, l'unico e vero, quello che nessun uomo
                  può deviare, né fermare, né
                  invertire, senza per questo modificare le leggi
                  immutabili della Natura.Una mattina, senza che lui
                  avesse deciso, almeno non coscientemente, si
                  trovò a seguire quell'esserino che pur non
                  parlando gli aveva detto molto di
                  più.Non oppose resistenza
                  anche se avvertì un senso di disagio nella
                  parte più buia di sé; si sentiva allo
                  scoperto e questo gli dava un senso di gioiosa
                  leggerezza e di strana paura.Mentre camminava seguendo
                  in silenzio quella specie di "farfalla", si
                  ricordò quando, un tempo, aveva amato il
                  volo delle farfalle e il calore del sole e non
                  capiva come avesse fatto in tutti quegli anni a
                  dimenticarlo eppure era sicuro di non essere mai
                  cambiato e di essere rimasto sempre quel "bambino"
                  amante della sua libertà e della sua
                  indipendenza; non si era mai reso conto che si
                  può essere schiavi della stessa
                  libertà e prigionieri della propria
                  indipendenza o di una corazza che finisce col
                  trasformarsi in pelle e confondersi con la pelle
                  vera, che sotto soffre per la mancanza di sole,
                  d'aria, di verità.Lui che non avrebbe mai
                  rinunciato alla sua libertà, l'aveva
                  rinnegata più d'ogni altro, confinando nel
                  profondo sud della sua anima ogni desiderio che di
                  essa giungeva dal cuore ai pensieri.Sentì un fremito
                  febbrile nel constatare tutte queste cose nei suoi
                  pensieri che sentiva ardenti e... quasi dolorosi,
                  di un dolore muto, profondo e terribilmente
                  disperato nell'ansia che avvolgeva il suo desiderio
                  adesso di scoprire la verità... tutta la
                  verità, qualunque essa fosse!Ma la verità giunge
                  solo quando il tempo è maturo.Chissà se lo era
                  anche per lui, adesso, dopo tutti quegli anni
                  passati credendo che fosse quella l'unica e la sola
                  verità possibile della sua vita!Era giunto, intanto, ai
                  margini del bosco; davanti a lui si apriva una
                  stupenda vallata al cui confine intravedeva
                  un'ombra maestosa che non riusciva bene a
                  distinguere se fosse una montagna o
                  qualcos'altro.Si accorse anche di essere
                  rimasto da solo e che quel percorso l'aveva fatto
                  da solo, la strada l'aveva decisa da solo, pur
                  essendo convinto che qualcun altro avesse deciso
                  per lui e l'avesse portato fin
                  lì.Quell'ombra scura che
                  intravedeva al limite dell'orizzonte e
                  s'intrometteva tra il verde del prato e l'azzurro
                  del cielo lo fece sussultare
                  inspiegabilmente.Fu tanta la paura quanto
                  la curiosità che il passo si avviò
                  senza che se ne rendesse conto.Man mano che si avvicinava
                  riusciva a distinguere un pezzettino in più
                  di quell'ombra misteriosa, fino quando si
                  trovò davanti un... meraviglioso e magnifico
                  castello!Era di una bellezza
                  incredibile, proprio come quello delle fiabe, ma
                  qualcosa lo turbò: era vuoto,
                  disabitato!Non un rumore, non un
                  movimento, niente che facesse pensare a qualcosa
                  d'animato o di vivente.Avvicinandosi ancora, fu
                  stupito dal fatto che nonostante non ci fosse anima
                  viva ad abitarlo, tutto era perfettamente in
                  ordine, anche il giardino, le rose, le finestre
                  spalancate come se stessero aspettando
                  qualcuno.Lo stupore iniziale fu ben
                  presto sostituito da un acquietarsi d'emozioni, una
                  serenità mai vissuta, una certezza che per
                  la prima volta gli venne da dentro, una sicurezza
                  quasi come se... si sentisse a casa
                  propria.Ma non volle pensare, gli
                  sembravano impossibili quei pensieri, troppo strani
                  e troppo... fantasiosi, irreali!Giunse così davanti
                  al cancello; vide sulla destra un campanello, vi
                  appoggiò indeciso la mano, ma il suono si
                  diffuse rapido nell'aria invadendo tutto il
                  giardino e poi le mille stanze del castello; il
                  cancello si spalancò immediatamente davanti
                  ai suoi occhi ancora increduli, quasi che una mano
                  invisibile avesse azionato un pulsante a distanza
                  e, prima ancora che se ne rendesse conto, tutta
                  l'aria ebbe un forte fremito e sentì intorno
                  a sé un calore antico, un odore
                  inconfondibile, un'emozione indimenticabile... ma
                  come poteva succedere tutto questo, cosa
                  significava!Il portone del castello si
                  aprì ed una dama, bellissima, apparve
                  vestita da sposa; alla finestra superiore si
                  affacciarono tre visini tondi e curiosi che lo
                  guardavano con sollievo, come se lo avessero
                  aspettato da sempre.Un maggiordomo gli
                  andò incontro e con un fare dignitoso e
                  sereno gli disse:"Bentornato,
                  maestà! L'aspettavamo da tanto, lo sapevamo
                  che sarebbe tornato!".Nicolin non aveva parole,
                  non riusciva neanche a pensare, era tutto
                  così incredibile, tutto così bello,
                  quasi un sogno!In realtà la parte
                  più bella del sogno è il suo
                  risveglio!Nicolin si stava
                  svegliando da un lungo sonno e credeva che il sogno
                  fosse appena incominciato!Avanzò con passo
                  sicuro e si avvicinò alla dama che gli porse
                  la sua mano; si chinò su di lei e
                  sfiorò teneramente la sua pelle delicata;
                  poi si girò verso destra ed incontrò
                  lo sguardo di quei tre visini che lo fissavano con
                  un'aria di felicità incontenibile e
                  provò un non so che di... indicibile
                  emozione fatta di un miscuglio di sentimenti:
                  gioia, paura, stupore, turbamento, felicità,
                  sgomento...Attraversò
                  l'ingresso e si trovò davanti ad un grande
                  specchio; gli sembrò strano trovarlo
                  lì all'ingresso; gli si avvicinò e...
                  davanti ai suoi occhi si formò un'immagine
                  non del tutto sconosciuta.Apparve una figura d'uomo
                  con addosso una pelle d'orso che si rivolse a lui
                  con tono affettuoso:"Figlio, fu mio volere
                  darti ciò che ritenni necessario,
                  perché questo castello avesse un giorno il
                  suo padrone e perché il suo padrone fosse un
                  giorno un re degno di questo castello.Sono stato tuo padre e tu
                  mi hai seguito per i boschi, hai messo il tuo piede
                  nell'orma lasciata dal mio, hai imparato a
                  difenderti e a riconoscere i pericoli, camminando
                  al mio fianco; mi hai amato e mi hai custodito nei
                  tuoi pensieri come qualcosa di prezioso e di forte.
                  Hai portato sulle tue spalle la mia pelle pesante e
                  non ti sei mai lamentato dello sforzo che ogni
                  giorno doveva essere raddoppiato perché il
                  suo peso si faceva sempre più
                  insostenibile.Ma ogni cammino ha una sua
                  meta ed ogni viaggio ha un suo arrivo: ed è
                  questo il momento in cui tu giungi alla tua meta ed
                  io termino il mio cammino!È tempo per te di
                  governare ed è tempo per me di andare e di
                  lasciarti libero di farlo nel modo più
                  giusto e saggio, perché tutto ciò che
                  avevo da insegnarti l'ho fatto, adesso tocca a te
                  fare lo stesso, senza fare però, i miei
                  sbagli ed i miei errori.Riprendo ora su di me la
                  mia pelle, ti restituisco la tua libertà
                  insieme a questo regno che ti è sempre
                  appartenuto e che non hai mai saputo di possedere;
                  dentro di te, adesso, c'è la sapienza
                  dell'orso, la saggezza della quercia, la poesia
                  della natura, la forza delle passioni che adesso
                  sai dominare e di cui sei diventato abile
                  padrone.Questo palazzo è
                  tuo: siine fiero e degno. Ascolta ciò che
                  dentro ti parla e non aver timore; guarda quello
                  che intorno si muove e non temere: adesso sai
                  riconoscere il desiderio di una donna e la dolcezza
                  in un bambino e non hai bisogno
                  d'altro!Sei stato re non per
                  corona, ma per vita vissuta; adesso lo sarai per
                  entrambe le cose e sono sicuro che non deluderai le
                  persone che ti hanno aspettato per una vita intera,
                  una vita ancora tutta da scrivere, da vivere, da
                  sognare.Ancora un'ultima cosa:
                  come in ogni regno, anche in questo c'è un
                  tesoro! Non è nascosto, ma neanche è
                  visibile a tutti.Se lo cercherai nel modo
                  giusto, potrai vivere per il resto della tua vita
                  senza problemi di sorta: esso è inestimabile
                  ma anche inestinguibile, ma sarà compito tuo
                  dargli il valore giusto! Addio, figlio
                  mio".La voce tacque e
                  l'immagine scomparve. Le luci intorno a lui si
                  accesero e tutto apparve nel suo meraviglio
                  splendore.Un raggio di sole invase
                  la stanza ed illuminò nell'angolo una
                  vecchia carrozza.Nicolin si guardò
                  intorno; capiva a malapena quello che gli stava
                  succedendo, ma gli piaceva e ne fu
                  felice.Ripensò al giorno
                  in cui aveva deciso di intraprendere quel viaggio e
                  capì che per ogni scelta da fare c'è
                  già una scelta fatta, per ogni destino da
                  compiersi c'è sempre un desiderio a valle, a
                  monte o nascosto un po' dovunque; capì anche
                  che ogni scelta non è mai una scelta
                  qualunque; capì che il suo destino era stato
                  mosso da un desiderio che aveva posto nei suoi
                  pensieri molti anni prima, ma che poi aveva
                  smarrito nel cammino convinto com'era che i
                  desideri sono solo desideri e non hanno niente a
                  che fare con la vita e con la
                  realtà.Ma ora, di fronte alla
                  realtà, non poteva negare a se stesso che
                  ogni desiderio ha un suo tempo, ogni desiderio non
                  è vano, ogni desiderio è una scelta
                  di vita!Aveva scelto e la sua
                  vita, compiendosi, aveva appena svoltato l'angolo
                  ed iniziava un nuovo cammino tutto da desiderare,
                  tutto da pensare, tutto da vivere.... |