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Maria Teresa Berti

 

2° classificata alla sezione narrativa del concorso Città di Melegnano 1996 col seguente racconto:

 

I FILI

 

Un giorno i fili del mondo si elettrizzarono, si passarono parola e decisero di fare sciopero.

Si vergognarono di essersi fatti sfruttare, di aver legato cioé fino a quel momento gratuitamente le cose del mondo.

Decisero quindi di vendicarsi. Nominarono un rappresentante per ogni categoria e i rappresentanti si diedero appuntamento in un posto che si trovava fuori dal mondo e dal tempo e che offriva il vantaggio di tenere i fili lontani dalle interferenze degli uomini.

Una scarica elettrica si propagò nell'aria, agì da stimolante e i rappresentanti partirono, carichi di buona volontà.

Giunti che furono sul luogo del convegno, si accorsero che molti fili mancavano all'appello, e non poterono fare a meno di rimanere perplessi. Si consolarono al pensiero che crumiri ce ne sono sempre, così come c'è sempre chi non capisce niente. In compenso c'erano i rappresentanti delle categorie che sono in vetta al progresso e sono in fondo quelli che contano di più.

Inizialmente i fili fecero fatica a riconoscersi, perché non erano abituati a vedersi staccati dalle cose. Nascosero l'imbarazzo del primo momento sotto un sorriso, esitante e incoraggiante al tempo stesso. Mentre si davano il benvenuto, si sforzavano di farsi venire in mente in fretta chi mai fosse questo o quel filo, che stava loro davanti; perché, per dire la verità, alla riunione non c'erano soltanto i fili che meritano veramente il nome di fili, come i fili di lana, di seta, di cotone, i fili da macchina, da imbastire, da cucire, ma anche quelli che del filo hanno solo la forma; come il filo del telefono, il filo della luce, il filo del rasoio, il filo dei fagiolini, per non parlare poi di quelli che sono addirittura impalpabili, come il filo del pensiero, il filo di luce, il filo di voce, il filo di speranza, eccetera eccetera.

Quella però era la prima riunione e nessuno volle che finisse in un fiasco, così il filo di ferro tagliò corto a qualunque esitazione, proclamando aperta la seduta e annunciando democraticamente: «Qui non si fanno distinzioni tra fili». Pronunciò la frase in tono solenne, con tutta la sua rigidità metallica &endash; e per far questo non fece naturalmente nessuno sforzo, fatto di ferro com'era. Esso aveva un'ottima opinione di sé, ragione per cui si era sentito in dovere di parlare per primo anche se era stato deciso che in quella riunione non ci sarebbero stati capi e che ciascuno sarebbe stato libero di esprimere il proprio pensiero. Questo punto fu sottolineato, messo in evidenza e talmente ribadito che fece piacere a tutti, anche se contribuì a creare un notevole caos. Infatti dopo quell'annuncio tutti vollero improvvisamente fare a gara per saltar fuori dalla massa, per mettersi in mostra e farsi notare, per far vedere che erano bravi e che riuscivano a stare diritti almeno per tutta la durata della frase che volevano dire e che avevano accuratamente preparato prima e che dicevano a voce alta, sempre più alta. Dopo cinque minuti il chiasso fu tale che non si capì più una sola parola.

Finalmente un filo di cotone giallo, sfrangiato all'estremità, impose il silenzio e dichiarò:«Prima di tutto dobbiamo discutere sulle modalità dello sciopero, sui benefici che trarremo da esso e la sua durata», ed era sul punto di lasciarsi andare, compiaciutissimo del tono professorale che aveva assunto, quando lo raggiunse una frase che lo colpì come una freccia e gli fece cambiar colore, da giallo&endash;oro in verde&endash;bile. «Che noia!». Il filo di cotone, non riuscendo a capire chi avesse fatto quel commento, ricorse all'aiuto del filo del rasoio, che individuò il colpevole e minacciò perfino di tagliarlo, dato che si trattava di un esile filo d'erba, ma non poté farlo perché il filo d'erba era troppo lontano. Allora il filo del rasoio si degnò di spiegargli che quello del filo di cotone era un «linguaggio tecnico» e glielo disse in tono così gelido che il filo d'erba credette di trovarsi ancora sul prato, all'alba, coperto di brina.

«Non farci caso» lo consolò piano il filo del fagiolino che non aveva nessuna velleità di uscire dalla massa e che se ne stava arrotolato come un'orecchietta di topo. «È proprio vero, il filo di cotone giallo è noioso, si ritiene chissà chi, neanche fosse fatto di seta», aggiunse piano e dopo quelle parole si rannicchiò ancor più su se stesso.

«Mi stordiscono», si mise a piagnucolare il filetto di una nota musicale, che aveva fatto uno sforzo eccezionale, staccandosi da uno spartito, per venire alla riunione e adesso era convinto che non ne era valsa la pena. Non riusciva a capire un'acca di tutto quel vociare e criticava quelle che definiva le riunioni moderne anche se esso doveva riconoscere di essere evidentemente un po' vecchio, perché era stato fatto a mano tanti anni fa con inchiostro di china. Diceva di essere troppo abituato all'armonia, per poter sopportare tutti quei fischi, lamentele, commenti e che tutto quel vociare caotico gli dava ai nervi. Del resto, anche il filo della ragnatela era irritatissimo: esso captava ogni onda sonora. Si eccitò e cominciò a dire che se la riunione fosse andata avanti così, a urlacci, non si sarebbe arrivati a nessuna conclusione &endash; e di questo avrebbero approfittato gli uomini, quegli uomini che non poteva soffrire, verso i quali anzi provava una vera e propria avversione: appena vedevano un ragno intento a tessere pacificamente la sua tela, negli angoli dei muri o nelle soffitte, essi si affrettavano a spazzare via, ragno e ragnatela, con un colpo di scopa e un'espressione di disgusto. Non era giusto, diceva il filo della ragnatela. Perciò dovevano essere puniti. Le sue parole caddero come una doccia fredda sull'assemblea. Alcuni attimi di silenzio permisero al filo di piombo di farsi ascoltare.

«Bisognerà stabilire un ordine del giorno, secondo il quale ogni filo dovrà presentare un suo piano d'azione allo scopo di sabotare il normale funzionamento delle cose», disse lentamente, pesando bene le parole, come si conveniva a un filo di piombo. E quelle parole ottennero l'effetto voluto. I fili tacquero per un quarto d'ora, si misero a pensare.

Tutto pareva procedere nel migliore dei modi, quando il silenzio generale fu interrotto dalla sciocca domanda del filo di una matassina da ricamo rosa che a metà dello studio del piano d'azione ebbe un dubbio e non fu capace di tenerlo per sé. Senza preamboli, volle sapere quali vantaggi avrebbe ottenuti se il piano che stava elaborando fosse stato approvato dall'assemblea.

«Insomma, in poche parole, voglio sapere a che servirà questo sciopero» disse tanto ingenuamente da dare l'impressione di essere uno stupido e di non aver ancora capito perché fosse venuto alla riunione. La frase distrasse tutti gli altri. Un filo di polvere strappato ai suoi pensieri, per ripicca sporcò il filo della matassina rosa: avrebbe voluto incenerirlo. Si formarono partiti avversi. Ci fu chi parteggiò per il filo di polvere e chi per il filo da ricamo rosa che andava urlando che non avrebbe potuto più lavorare perché ormai era sporco. Nacque una grande baraonda. Così, per placare le acque, si alzarono finalmente i fili più rappresentativi delle categoria, quelli su cui pesava l'iniziativa, i fili più vecchi e più legati al loro cliché, i fili di ruolo insomma, i quali fecero cadere la sentenza finale come tanti Salomoni.

«Noi non siamo venuti qui per sapere se i fili sono puliti o sporchi», dissero solennemente «ma solo per combattere chi ci sfrutta».

A una tale dichiarazione il sole prese paura e tramontò.

 

Da più di un'ora erano immersi nei loro pensieri, quando un baccano indiavolato li interruppe la porta si aprì a pedate. Entrò una massa di fili di rayon, di nylon, di acrilico, che si dimenava all'impazzata, protestando per non essere stata invitata, dicendo che, del resto, sapeva anche perché. I fili normali avevano paura dei fili di rayon, di nylon, di acrilico perché erano i soli fatti con materiali veramente nuovi, i soli che non avevano niente a che fare con la tradizione e che avrebbero saputo portare un vero scompiglio nel mondo.

«Basta con i piani, basta con l'ordine, bisogna fare la rivoluzione» e tutti i fili si agitavano come invasati.

«Quale ordine?» insinuò qualcuno. «Siamo qui da stamattina e non siamo ancora venuti a capo di niente».

I fili ultrà cercarono di individuare chi avesse parlato, ma non vi riuscirono perché un filo di voce non ha corpo ed essi non avevano tempo di fare ricerche e di andare per il sottile. Perciò risposero al vuoto: «Certo, questa è la prova che il vostro sistema non va» e si misero a dare ordini all'assemblea impaurita, che si strinse in blocco, come un grosso gomitolo ingarbugliato.

«Largo, largo» ordinarono gli ultrà, spingendo i fili di qua e di là «andate nel mondo, agite come meglio vi pare e fra tre giorni venite a riferire sulle vostre azioni».

I fili non osarono protestare e si dispersero rapidamente in tutte le direzioni, come foglie nell'uragano.

E con ciò la seduta fu chiusa.

 

Per tre giorni il mondo fu completamente sconvolto. Uno spettatore interplanetario, che capitò per caso da quelle parti, non si raccapezzò più e credette d'impazzire, non potendo immaginare che il disordine che vedeva fosse semplicemente il risultato dell'azione autonoma di fili, visibili e invisibili.

Infatti, dopo il ritorno dei loro rappresentanti, i fili si erano messi subito all'opera, ciascuno per proprio conto, secondo il proprio estro, senza aspettare un coordinamento dall'alto, dato che avevano ricevuto solo indicazioni vaghe, indicazioni a cui i rappresentanti avevano pensato in fretta, strada facendo, e comunicato ai fili in qualche modo, tanto per non far capire che la riunione era andata come era andata e che si era chiusa come si era chiusa, cioé bruscamente, senza nessuna soluzione concreta.

I fili fatti di materia tangibile, cioé i fili di lana, di seta, di cotone, i vari spaghi e spaghetti, i vari cordoni e cordoncini cominciarono per primi.

«Maledette scarpe» imprecò un impiegato dell'ufficio postale, che era abituato ad andare in ufficio tutte le mattine alla stessa ora, facendo sempre la stessa strada. Aveva calcolato il tempo con una precisione cronometrica, senza naturalmente prevedere imprevisti.

«Che diavolo hanno! Si slacciano ogni momento!». Avrebbe voluto togliersele e camminare scalzo, pur di non arrivare in ritardo. Era così preoccupato per sé che neanche si accorse che la stessa cosa capitava anche agli altri e che ogni tre secondi la gente si fermava e appoggiava i piedi sui muri o sui gradini, per fare la stessa cosa che faceva lui, cioé per allacciarsi le scarpe.

I fili che erano in fase di lavorazione, sui ferri o sui telai, caddero come gocce d'acqua da un grondaia e corsero giù a scaletta lungo il lavoro. Certi rifiutarono di intrecciarsi e non vollero formare nessuna trama e nessun tessuto. Si ingarbugliarono nelle macchine e bloccarono le lavorazioni. Altri si lasciarono andare dai tessuti già fatti, altri allentarono i nodi e nessuna maglia tenne più. Gli uomini si spaventarono. Notarono che i loro golf erano pieni di buchi e che i buchi si ingrandivano a vista d'occhio. Risero finché credettero che il fenomeno capitasse solo agli altri, ma quando si accorsero che anch'essi ne erano vittime, si preoccuparono. Provarono imbarazzo e vergogna, soprattutto quando i vestiti cominciarono a cadere loro di dosso, visto che le cuciture non tenevano più.

La prima ridicola scena avvenne alla riunione del comitato direttivo di una società. I direttori erano seduti intorno a un tavolo rettangolare, Presidente al centro, e discutevano con sussiego. Ogni tanto qualcuno prendeva nota, e aggrottava le sopracciglia. Tutti usavano il solito linguaggio incomprensibile ai non addetti, in un'atmosfera rarefatta. Nessuna frase extra, senonché qualcuno si accorse che il signore che gli stava di fronte era mal rasato. Il direttore si distrasse, guardò gli altri e notò che tutti, chi più chi meno, avevano la barba fatta male. Così, invece di pensare alle cifre su cui si stava discutendo, da uomo abituato a cogliere le occasioni e a sfruttare le situazioni, egli pensò subito di lanciare sul mercato lamette per rasoi e rasoi di una certa qualità.

Ma il suo pensiero saltò subito di palo in frasca, così come quello degli altri partecipanti alla riunione. Il filo del pensiero, con uno sciopero a singhiozzo, andava e veniva nella mente di tutti, intermittente, cosicché non fu possibile seguire un filo logico né trovare la soluzione a quei grossi problemi da cui dipende spesso il destino di molta gente.

Soltanto allora, quando il filo del pensiero si spezzò, i direttori furono distolti dalla loro fertile concentrazione, si accorsero che stavano perdendo i vestiti, si vergognarono, scapparono in fretta e si confusero in mezzo alla folla che cominciava a soffrire dello stesso male, cioé delle cuciture degli abiti che non tenevano più. La folla ingrossò a vista d'occhio, si agitò come un mare in tempesta. Tutti cercarono affannosamente di prendere ciò che capitava loro sottomano, per metterselo addosso, fossero lenzuola o stracci, piume o foglie o pelli.

Scapparono anche le mucche dai prati, i galeotti dai campi di lavoro perché i fili spinati non tenevano più.

Qualcuno cercò di telefonare alla polizia, senza pensare che la polizia non avrebbe potuto fare gran che, vittima essa stessa. Ma l'idea della polizia sembrava bastasse a tranquillizzare tutti. Fu impossibile, perché anche i fili del telefono erano spezzati.

Più i fili si davano alla pazza gioia, più il caos aumentava. Essi agivano in modo del tutto discontinuo, con particolare accanimento verso i soggetti che erano loro antipatici; si spezzavano quando ne avevano voglia e godevano di creare situazioni assurde.

Con i barlumi di logica che ancora restavano loro, gli uomini cercavano di capire la ragione di quel caos, ma siccome non riuscivano a comunicare tra loro, diventavano sospettosi, immaginavano cose assurde, e infine si diedero la colpa vicendevolmente. Poi pensarono che fosse meglio che ognuno vivesse per conto proprio. Così, una muffa prese piede nel mondo, rigogliosissima e una nuova categoria di fili invisibili, quelli dell'antipatia e dell'odio, si irrobustirono in fretta approfittando del fatto che tutti gli altri erano in sciopero. Tentarono di invadere il mondo, mettendosi sullo stesso piano delle ragnatele, che cominciarono a tessere all'impazzata e produssero fili su fili, lunghissimi. Anche questi fecero sciopero, ma alla rovescia, legandosi cioé perfettamente tra loro. Finirono per formare un'immensa coltre grigia che si stese sul mondo e in tre giorni lo coprì tutto.

 

«Urrah! Ce l'abbiamo fatta!» non poterono trattenersi dal gridare, soddisfattissimi, i rappresentanti dei fili ritornati nel luogo di convegno di tre giorni prima.

I risultati ottenuti li avevano resi fieri e sicuri di sé e si misero a raccontare compiaciuti il marasma nel quale avevano gettato il mondo e al quale avevano assistito.

Si formarono gruppetti di fili disparati che non avevano niente in comune tra loro, ma erano però animati dagli stessi entusiasmi.

Tutti si misero a filosofeggiare.

«Gli uomini non possono veramente fare a meno di noi» fu la conclusione unanime dei fili.

«E voi potete fare a meno degli uomini?» insinuò subito qualcuno.

Questo qualcuno naturalmente era il solito filo di voce che non si vedeva e che si prese immediatamente del reazionario e del guastafeste. I fili lo avrebbero scacciato volentieri dal gruppo, ma non potevano farlo perché non riuscivano a vederlo e non sapevano dove fosse nascosto.

«Io vorrei saper una cosa» strillò a un certo momento, con una vocetta acuta il filo della matassina da ricamo rosa. «Adesso che lo sciopero è finito, ditemi quali vantaggi ne abbiamo tratto noi fili».

Poco mancò che qualcuno non lo incenerisse. Alcuni fili gli ordinarono di uscire. Altri lo guardarono con compatimento. Molti fili però pensarono che quella domanda fosse giusta e si vergognarono di non essersela posta prima. Cercarono una risposta che non riuscirono a trovare né subito né dopo. Così nell'ambiente si propagò un disagio sempre più grande e i fili finirono per tacere. Il brusio calò così come calano le luci in teatro prima che si alzi il sipario. Il silenzio si propagò e durò tutta la notte. Soltanto all'alba un filo di luce si fece largo, chiarì le idee e portò sollievo. Poi una voce ruppe il silenzio che era diventato insopportabile e i fili pendettero tutti da quella voce.

«I fili servono a unire» dichiarò la voce in tono grave. Fece una pausa. «Voi fili avete fatto sciopero e avete fatto capire questo agli uomini. Adesso tutti sanno che siete importanti. Questo è ciò che avete ottenuto».

La voce tacque e non si fece più sentire. I fili non osarono ribattere perché erano intimiditi. Vollero però capire di chi fosse la voce, perché non si trattava evidentemente della voce del solito guastafeste. Cercarono il filo di quella voce dappertutto, in mezzo a loro prima, poi nell'universo. Non lo trovarono.

Stavano per arrendersi quando balenò loro l'idea che ci aveva parlato poteva essere il filo della speranza. Capirono che era dentro ognuno di loro.

 

 

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