LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
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Nino Casalino

 
 
Ballata
 
Croci di legno umili e tozze,
storte dal tempo
son chiodate a cocci dimessi,
alte e protervie
a sfidare le travi crepate del tetto.
 
Inchiodate alla pietra malsana,
con rabbia e timore
da uomini muti
e senza speranza,
di notte non visti,
ombre nell'ombra,
le croci son tante.
 
Or le braccia si toccano,
girano in tondo a saltelli,
radenti a quei cocci
di morta terraglia;
assorda il rumore deforme
di mille stampelle
di zoppi risorti per rabbia.
 
Assorda e t'assale
quel suono inumano
di croci straziate di chiodi e di funi;
sulla pietra scalfita
battono il tempo,
un tempo perduto
di suoni perduti.
 
Le hanno appese di notte
ognuno la propria
han dentro la rabbia, la stessa,
di quegli uomini assurdi
ombra nell'ombra.
 
 
 
Croce di ruggine
 
Ombrate stanze deformi,
dall'umida luce,
s'ammucchian assurde;
e lontano, i castagni vomitano vento.
 
Timido in alto al ciel s'espone,
un piccolo squarcio quadrato
a risucchiar l'avanzo
che il cielo cede,
di timorosa luce.
 
Timida croce, la griglia
infigge ai lati le sue braccia corrose,
a difesa di un alito sordo
di miseria stagnante,
che grida, al silenzio perenne
che accompagna la morte.
 
Mulina il ronzar
di uno sciame di mosche d'estate
che cede a quel grigio;
a volte l'uccello si ferma, e rifugge;
e il sol s'arresta innanzi alla croce
che suda ruggine e pianto.
 
 
 
Alito di morte
 
Esce, dalla polvere che stagna,
fra le sgranate pietre,
la morte tremula,
che sale, e s'abborda al letto;
ha il color della terraglia.
 
Giallo il drappo
che sbrindella al suolo
e gialla l'aria che avvolge il vecchio;
finge il torpor, la morte
che s'accuccia accanto
e ne imita il respiro.
 
In quella stanza angusta,
dove il suon s'attenua ed indugia,
è tempo che aliti la morte
che, svogliata attende;
l'ultimo ansar è suo.
 
Tempo è passato dal primo vagir del vecchio;
nessun ricorda,
solo la morte, celata
fra le ombrate crepe, rammenta.
Conosce l'odor dell'ultimo sudore
ed or si scuote;
è ora, s'avventa; è suo.
Ma poi dolce e piena di cura
lo ricopre del suo silenzioso drappo,
come la madre il figliol
dal tremor del tuono.
 
Piange quel muro, e l'ultime lacrime
scivolano lente;
gocce giallastre
riflettono il baglior dei ceri.
 
 
 
Scheggia di Dio
 
Si sfalda la pietra, all'interno
percorsa da sguardi di volti,
glabri e consunti;
nere figure rose dal tempo
s'appiattano in tondo.
 
Ondeggiano ombre,
sembianze di donne
assise su logori legni;
suono ne esce,
che non s'arresta
or roco, or sonoro
come l'acqua che rotola,
fra le nodose gole
e, tosto, s'allarga al piano
o come il vento
che fruga gli abissi.
 
Litanìe senza senso,
percorrono in tondo
quei muri corrosi
e cercan l'uscita
per consumarsi,
al sol che cala.
 
In fondo si dirada l'ombra
su una ruvida pietra d'altare
che coglie i suoni,
e le pause paurose
di figure pervase
da una fede confusa.
 
Su quella pietra pura, pende
una croce grande e contorta
di inumano dolore;
scheggia impazzita
di un Dio povero e perso,
colta dall'ombra;
ultimo asilo
di stanche memorie.
 
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agg. 8 febbraio 2002