- William
-
- Fu dopo l'incidente o dopo l'ultimo Prozac non
ricordo, vago senza meta per strade di quartieri
sconosciuti, in compagnia di un gatto sciancato e di
una nebbia che ovatta tutti i rumori, sento fragori di
metallo provenire da fabbriche dalle mille luci, fango
e lamiere arrugginite, cavi tranciati scintillano
nella notte, sirene impazzite, capannoni sorvegliati
da rotwailer assassini e guardiani ubriachi, fra poco
comincerà il primo turno di lavoro, arriveranno
gli operai dai volti scuri bestemmiando per il
freddo.
- Cammino solo, formica tra formiche, ascolto
vecchi narrare storie ingiallite dal tempo superstiti
della Grande Guerra contro la vita, mi rigiro nel
letto di questo mio decennio: sacchetti della spesa
gonfi di pubblicità, stamattina dallo spioncino
della porta ho visto dei Testimoni di Jeova conversare
con il serial-killer che abita di fianco a me, odore
di fritto mi arriva da un take-away cinese, modelle
anoressiche girano con borse nere, cyber-punk vestiti
di plastica aggiungono un po' di LSD nel depuratore
dell'acqua.
- «William, William! Fermati!» mi urla
un signore. «Non mi riconosci? Sono Tinazzi
Sergio dell'ufficio progettazioni, dovei sei finito?
tutti ti cercano!».
- Ho dei ricordi confusi del passato, cerco di
metterlo a fuoco... Sì! ora lo riconosco, era
uno di quegli scheletri in giacca e cravatta con cui
lavoravo; già dove lavoravo, era un mattina di
pioggia, guardavo fuori dalla finestra dell'ultimo
piano di un motel Agip sulla Milano-Genova, c'era una
conferenza ed io cominciai ad imbrattare i muri dei
cessi con frasi senza senso, avevo raggiunto il punto
di rottura, ricordo le facce degli ingegneri
giapponesi che cercavano di tradurre le mie cazzate
scritte lì sui muri; li salutai con un inchino
e me ne andai; non tornai più in ufficio, non
tornai più a casa da Elena, non tornai
più indietro.
- Ora condivido un appartamento con la mia follia
ma sono libero, la mattina mi fermo a parlare di
filosofia con due barboni, poi vado al parco, incido
su un vecchio tronco l'ultimo sogno fatto, povero
albero foglio silenzioso dei miei sfoghi; assaporo la
vita che gli altri rifiutano, da una radio un dee-jay
dice che è tutto Ok, assaporo la vita che gli
altri schivano; senza fretta seduto su un tetto,
sdraiato su una panchina, abbracciato ad una fermata
dell'autobus.
- A volte vado in metropolitana e vedo uomini
insetto che si nutrono di paura guardare nel vuoto,
nessuno fiata, tutti col capo chino, nessuno caga i
mendicanti, nessuno vive; allora risalgo in superficie
e cerco di assorbire tutto: odori sguardi suoni colori
umori; fisso per ore un falò, ogni
crepitìo del fuoco è un crepitìo
della mia anima, io sono William, io sono vivo! Di
fianco a me la città scorre veloce, ragazzi
indecisi se andare a vedere Alien 198 o Arma Letale
12, ectoplasmi in coda a un bancomat, tossici si
offrono come cavie per testare nuovi medicinali; tutti
corrono nei loro bunker per vedere il nuovo telefilm;
ritmi elettronici muovono le teste di adolescenti,
niente melodia solo ritmi ossessivi, sogni plastici
frutto di droghe sintetiche, si nutrono con
hamburgers, ketchup e violenza, ingabbiati e pronti
per un nuovo videogioco, ribellione sfogata al sabato
sera correndo in macchina dopo la dose di musica
techno, la domenica passata a smaltire, le ore
regalate al nulla, felicità artificiale davanti
ad un nuovo record a Formula Uno.
- Nel buio della mia stanza concerto di pensieri,
nessuna notizia filtra, la civiltà lontana
anni-luce, i miei sogni al potere, le mani e le
braccia inutili appendici sono un fiume di emozioni,
liquido umorale chiuso in un corpo per caso, ribelle
al re Tempo, sfuggente come il mercurio; ho scomposto
me stesso ma devo ancora ritrovarmi, dolce abbandono
febbricitante, guardo l'inverno e l'inverno guarda me,
beato abbandono, un'altra giornata dedicata solo a me
stesso.
-
-
-
- Neon
-
- Nulla si crea tutto si distrugge, ecco
ciò che penso mentre mi allontano dal motel
vicino alla superstrada, l'ultima lettera della
scritta Hotel si accende e si spegne quasi a tempo;
lei incazzata con le calze di seta rigate in piedi, io
seduto sul letto che guardo la Tv via satellite; si
accende una sigaretta e mi guarda fisso, faccio finta
di trafficare con il mio cellulare, lei aspetta di
sentire qualche parola da parte mia, da parte
dell'uomo con cui ha appena scopato: «È
stato bellissimo Lucia, ti chiamo presto» sono le
uniche cose che riesco a dire, ce ne andiamo con due
macchine diverse e mi accorgo che non ci siamo
scambiati i numeri di telefono.
- Un'altra storia inutile, un'altra storia da
raccontare agli amici al bar, oggi al lavoro in trip
da lavoro stavo per fondere il mio FC; cerco di non
pensare a Marta, ma oggi è una giornata
d'autunno e le foglie arrossiscono come il suo viso le
prime volte che la toccavo, avrei voluto prenderla per
mano e camminare per i sentieri del mondo, dal deserto
del Sahara fino al polo nord dove avremmo sciolto i
ghiacciai con le nostre risa, invece il freddo ha
sconfitto noi, ha spento il fuoco che stava per
divampare, guardo le foglie a terra, non hanno
più colore, le calpesto sputandoci sopra.
- Appoggiato al bancone di un bar di periferia,
mi ricordo di esserci entrato solo perché mi
piaceva la scritta al neon blu; il bicchiere è
pieno il barman mi sorride, una cantante blues urla
disperata il suo amore; di fianco a me ombre discutono
di politica, fisso le etichette delle bottiglie di
superalcolici, cerco di capire il testo della canzone
ma la cantante usa uno slang che non capisco,
sorseggio il mio cocktail che profuma di oblio, una
delle ombre al mio fianco comincia a parlarmi poi si
ferma mi chiede una sigaretta e ricomincia, continua a
ripetere «Fottuta città di ghiaccio»
non riesco a capire un cazzo di quello che dice mi
limito ad annuire ogni tanto; «Di dove sei?»
mi chiede «Di Andromeda» gli rispondo
chiedendo un altro cocktail, brindiamo alla pace fra i
mondi. Continuo a bere, le immagini si appannano e si
dilatano grottescamente, barcollando raggiungo un
telefono cerco di chiamare il mio migliore amico ma il
numero non mi viene proprio in mente, mi viene da
piangere esco di corsa mi stringo nel mio giubbotto di
pelle, lampioni mi ricordano l'esistenza della mia
ombra, puttane all'angolo della strada mi ricordano
l'esistenza del vizio, il freddo mi ricorda
l'esistenza della morte; ricordo le pazze corse fra le
curve del suo corpo, ti sei dissetata con le mie
lacrime; lampeggianti della polizia mi fanno
riprendere contatto col presente, mi fermo ad un
baracchino mangio un hotdog in compagnia di qualche
magnaccia poi torno a casa mi guardo allo specchio e
rido dell'ubriaco che ho di fronte; una macchia sulla
cravatta l'unico ricordo di questa serata.
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