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                  Ca valait le
                  coup!
                  
                  
                     (L'ultimo treno)  Ho un ricordo ancora nitido di quel viaggio
               Torino-Parigi.Allora non diedi alcuna importanza né ai
               paesaggi, né alle mie sensazioni. Solo un
               pensiero contava: "andare", senza poi capire cosa
               significasse davvero. Non credevo certo che avrei
               portato per sempre dentro di me ciò che invece,
               in quel momento, speravo di dimenticare.La scelta dello scompartimento fu del tutto
               casuale: mi ritrovai di fronte a un vecchio signore
               francese in abiti scuri, accuratamente stirati. Il
               signor Dupont (il nome lo avrei appreso di lì a
               poco scrutando la targhetta della sua valigia) mi
               squadrava da sotto gli occhiali e le sue fattezze
               rimandavano in alcune rare espressioni a una
               gioventù remota. Quell'omino con gli occhi
               rotondi e vispi sembrava uscito dal romanzo di
               Bulgakov, ma io mi sentivo così poco Margherita
               che, sicuramente, non avrebbe potuto innamorarsi di
               me.Il treno era partito e quel suo dondolio senza
               inizio né fine mi cullava, cristallizzando i
               ricordi in un'immobilità ineluttabile. Ormai
               rassegnata a una momentanea assenza di passioni,
               sentii il vecchio francese che &endash; senza alzare
               lo sguardo dal suo minuscolo libro &endash; sussurrava
               parole confuse, con toni e accenti assai poco
               parigini. "Ca valait le coup!" pareva dicesse e
               francamente non capivo a cosa si riferisse
 ma,
               in un istante, i pensieri cominciarono ad affollarsi
               prepotenti e difficili da arginare.Valeva forse la pena cercare con avidità
               e affanno quella che era solo una sensazione di
               felicità, pur sapendo che l'uomo vi anela al di
               là di ogni ragione?
 O valeva forse la
               pena lottare contro inesorabili mulini a vento, come
               un cuore in inverno o come l'attesa di Godot? No, non
               era questo che intendeva. Io lo sapevo: avevo visto
               bruciare mille volte sogni, idee e progetti e quel
               fumo nauseante e denso aveva per mille volte riempito
               i miei occhi. Mi sentivo profondamente amareggiata da
               tutta la mia vita, che aveva seguito i suoi percorsi
               senza mai chiedermi niente e che continuava a fuggire
               inesorabile, benché la inseguissi
 cosa
               voleva ora quest'inerme omino, che probabilmente non
               capiva niente di italiano e che, sicuramente, non
               capiva niente di me?
 Non l'avrei più
               ascoltato! Mi rimisi così a fissare il
               finestrino e, al di là del vetro, oltre i tetti
               e la campagna, c'ero io nel ricordo più vivo
               che mai."Signora, è una bambina!". Nella mente
               tuonava ancora la voce roca di quel dottore rosso come
               Malpelo e anche se il dolore di quell'evento
               stupefacente mi aveva lasciato senza volontà,
               il vaglio di Daria, prima velato e poi fortissimo, era
               un'esplosione di gioia, una neve in agosto, una
               pioggia nel deserto.Che bella Daria! Mia, tutta mia nella sua
               innocenza disarmante, totalmente dipendente da me e
               io, finalmente, davvero grande per qualcuno. In quella
               stanza bianca e sempre uguale, Daria splendeva di un
               candore tutto ocre, che solo i neonati sanno
               sprigionare. Anch'io sentivo riflessa in me un po' di
               quella luce: era sicuramente catartico l'amore che ci
               univa. Il mio cuore scoppiava di una gioia mai
               assaporata: avrei voluto chiudermi in casa e cullare
               Daria per ore: sole e insieme, mentre il mondo restava
               fuori, volgare, vuoto e ormai inutile. Io non avevo
               più peccati, né pensieri cattivi,
               né ricordi dolorosi e sicuramente Dio non
               avrebbe messo più muri sulla mia strada o sassi
               nelle mie scarpe! Ma non fu così.Infatti quanto durò quella sensazione di
               pienezza e di slancio? Forse un istante
 E
               può un solo istante di gioia riempire tutta la
               vita di un uomo?
 Neppure il sognatore
               dostoevickijano, perso in improbabili notti bianche,
               trovò mai risposta a questo dolore.Dupont si era addormentato e il peso dei
               ricordi cominciava a strapparmi al reale per tirarmi
               verso un baratro troppe volte conosciuto
 Mi
               alzai e, cercando nella borsa posta sul ripiano
               superiore, trovai la rivista che avevo comprato a
               Porta Nuova, proprio in previsione dei momenti
               difficili, di quei momenti cioè, in cui avrei
               dovuto chiedere in prestito volti ed eventi,
               perché la mia vita e il suo scorrermi davanti
               mi erano insopportabili. Tutte quelle facce saltavano
               dalle pagine dei giornali e mi riempivano i pensieri,
               senza lasciare alcuna traccia nella mia memoria:
               figure vane, bellissime, inutili."Ca valait le coup!". Sbottò
               improvvisamente il mio compagno di viaggio, come se si
               fosse svegliato da un sonno a lungo protratto. Mi
               sorprese e il disagio che sempre deriva
               dall'incomprensione mi fece reagire con insofferenza:
               perché ripeteva questa frase in mia presenza,
               ma senza rivolgersi a me?
Avrei voluto cambiare scompartimento, ma
               qualcosa mi trattenne lì. In fondo il signor
               Dupont mi incuriosiva: era francese, ma insieme aveva
               l'aria di un vecchio ebreo tedesco e, da quel che
               ispiravano i suoi occhi, era un uomo che aveva
               duramente lottato per sé e per le persone
               amate. Sicuramente sua moglie era simpatica, forte e
               robusta, serena e solida, sicura come una gatta, ma
               dolce come un uccellino. Si amavano e si aspettavano
               ogni sera per piegare con cura gli abiti smessi e
               infilarsi insieme nel piccolo letto di legno, per
               raccontarsi la giornata, come la prima volta che si
               erano amati. Dupont, da come brillavano i suoi piccoli
               occhi neri, doveva amare con semplicità, ma con
               quella passione e quella sincerità che sono
               solo di certi uomini: Aldo era così.Aldo era di Arezzo e ci teneva alle sue origini
               toscane, forse perché, in questo modo, si
               sentiva legati a certi poeti, angoli e monumenti
               d'arte e di memoria. Quando mi disse che era
               architetto, pensai subito &endash; come un'adolescente
               innamorata del professore &endash; che avrei voluto
               farmi arredare la casa dalle sue idee. Già dal
               primo istante sognavo di infilarmi nel suo maglione
               grigio, di trovare pace nei suoi occhi scuri e nel
               fatto che l'avevo sognato fin da piccola. Aldo mi
               parlava con dolcezza e per me, al tavolo di quella
               pizzeria, c'eravamo solo noi due: gli amici intorno
               non contavano più nulla: solo le sue parole, i
               suoi sguardi, i suoi intenti. Che bello era vivere e
               forse, per un uomo come lui, una vita sola non sarebbe
               bastata. Il giorno del nostro matrimonio fu un
               disastro: pioggia e vento e avemmo perfino un piccolo
               incidente con l'auto. Ma la sera, da soli, nel letto
               dell'hotel "I due campanili" ci scambiammo parole e
               promesse che parevano note e colori su una calle
               veneziana.Dupont mi sorrise, pareva aver seguito tutti i
               miei pensieri e voler porre rimedio alle lacrime che
               ora non riuscivo più a trattenere
 "Ca
               valait le coup
 c'est vrai?" 
 Non lo so,
               non lo so se è vero, perché la nebbia
               era troppo fitta, l'ospedale troppo lontano, mentre il
               cervello restava sull'asfalto. Quella telefonata nella
               notte aveva spaccato in due tutta la mia vita. Quanto
               tempo era passato dallo squillo del telefono alla
               distruzione del mondo? Un sitane.Aldo era steso sul letto, bianchissimo,
               immobile, lontano. Quando entrai in quella stanza
               capii che non avrei più sentito la sua voce,
               armato i suoi pensieri: era finita. La vita sena di
               lui era insopportabile: il letto vuoto, il senso di
               inutilità, il suono della sua voce che mi
               chiamava da una stanza all'altra ma solo
               nell'immaginario. Perché avere quei giorni per
               poi freddarmi il cuore con uno schianto in
               autostrada?A cosa era servito esserci stata quella sera in
               pizzeria e nel suo maglione? La casa era deserta e il
               cuore statico: asessuato come una foglia, immobile
               come un quartiere di periferia in una domenica
               d'agosto.Dupont riprese a sonnecchiare e notai che
               portava al polso un orologio di foggia antica che,
               forse per uno strano riflesso della luce o forse solo
               per suggestione, sembrava essere privo di numeri e
               lancette
 ma in quel momento il tempo non
               contava: passato e presente si intrecciavano a DNA
               dentro di me. Tutta la voglia di vivere era andata via
               e dentro solo "il deserto arido di un cuore malato" e
               un'assenza lasciata in eredità. Vivere a volte
               è un peso, un dovere logorante, un inutile
               appuntamento quotidiano.Il treno si era fermato: gare de Lyon. Presi la
               valigia velocemente e mentre stavo per scendere,
               Dupont mi appoggiò la sua manina ossuta sul
               braccio sussurrandomi con dolcezza "Ca valait le
               coup
 je suis sur". Sorrise, ricambiai, ma lui si
               risedette come se volesse proseguire quel viaggio,
               arrivato invece alla sua conclusione. Solo ora capivo
               il senso di quelle parole.Parigi era bellissima, illuminata dai raggi
               viola che filtravano tra le nuvole grigie. Daria mi
               aspettava sorridendo e, forse per la prima volta, mi
               accorsi che aveva gli stessi occhi di suo padre, gli
               stessi gesti, la stessa forza di Aldo. Sì,
               valeva la pena avere vissuto, amato, sofferto e mentre
               questi pensieri affollavano la mia mente eccitata, mi
               voltai per cercare un'ultima volta lo sguardo di
               Dupont. Adesso ero di nuovo pronta ad aspettarmi, ad
               affrontare i muri sulla strada, i sassi nelle scarpe e
               qualsiasi altra cosa mi avesse voluto riservare quella
               giornata francese di maggio.  |