| 
               Per
               Anna  So bene che non si
               può fumare qui dentro. Ma per questa volta
               credo proprio che non rispetterò la
               regola.Non ho intenzione
               di uscire. Non più.È la prima
               volta che mi accorgo di quanto sia bella la pioggia
               quando si è al riparo. Persino il tempo grigio
               oggi mi piace, mi rasserena. Quando ero piccolo
               detestavo la pioggia perché infangava i campi e
               perché era sempre gelida. Che senso aveva
               guardarla da casa quando era solo una nemica dei
               giochi, delle corse... Ma oggi no. Va bene
               anche così. Una fitta pioggerellina che bagna
               tutto. Deve piovere, ovunque, su tutto il mondo,
               perché lei stamattina è
               morta. Piove su queste
               aiuole curate dal portiere, piove sulla rampa dei
               garage, piove sulla strada. Fa anche freddo ma non ho
               intenzione di salire a casa.Voglio fumare
               ancora qualche sigaretta qui nell'androne. Forse dopo
               chiamerò Alfonso e chi di dovere...Non voglio che me
               la portino via, non subito almeno. Voglio riassaporare
               per l'ultima volta la sensazione di rientrare a casa e
               crederla viva. Sono vedovo, da
               un'ora. La malattia è stata implacabile. Che tu
               sia maledetta, l'hai ammazzata in tre mesi.
               Cinquantaquattro anni di matrimonio contro tre
               mesi. Povera Anna. Povera
               la mia Anna. Non mi importa
               niente di quello che succederà ora. Forse
               Alfonso saprà capirmi, del resto anche lui
               è un vedovo. Sono passati dodici anni da quando
               è morta sua moglie. Lui ha sempre reagito come
               una persona forte. Ha continuato a fare la stessa
               vita. Ma è mio fratello e quindi ora la sua
               comprensione me la deve! Cosa vogliono gli
               altri? Credono di sapere sempre tutto? Io certe cose
               non le so, non le capisco, ma sento che sono
               sbagliate. Macchine e macchinari... diavolerie. Solo
               sofferenze.E Anna non deve
               soffrire inutilmente. Non doveva soffrire
               mai. Chi ha cuore
               capisce queste cose. Nelly ha cuore e
               l'ha capito da subito. Da quando Anna è a
               letto, Nelly non è più voluta uscire. Ho
               dovuto sempre pregarla per portarla fuori e dopo
               cinque minuti mi guardava con gli occhi che sembravano
               dire "non perdiamo tempo! Non perdiamo tempo qui, per
               strada! Torniamo subito da lei! Ce n'è poco, ce
               n'è poco!" appena rientrati si accucciava sul
               tappeto della camera da letto, immobile, tutto il
               giorno, con il muso tra le zampe, a fissare la
               padrona. Solo io e lei sappiamo che vuol
               dire. Ecco i bambini del
               terzo piano, i figli della signora Grandi. Che casino
               che fanno! Lei è più carina del
               fratellino, assomiglia più al padre. Spero che
               non mi leggano in faccia quello che provo, loro hanno
               tutta una vita davanti. Spero che non facciano
               domande.Ad Anna piacevano.
               Diceva che erano svegli, soprattutto la
               piccola."Andate, andate
               pure. Io salgo dopo".Molto dopo.
               È ancora presto.Ancora una
               sigaretta. Ha quasi smesso di
               piovere. Potrei uscire all'aria fredda ma mi sento i
               piedi bloccati, le gambe ferme.Voglio starle
               vicino, ecco perché non esco. Sto bene
               qui.Nelly è
               incredibile. Sembra che sappia tutto. Oggi non ha
               fretta, per niente. È rimasta sotto la pioggia,
               ferma in mezzo all'erba.Lo sa che se ne
               è andata e sta pensando. Prenditi tutto il
               tempo che vuoi, piccola. Ho sempre pensato
               che sarei stato io il primo ad andarmene.Ho sempre pensato
               che lei mi sarebbe stata vicina fino all'ultimo
               giorno, che forse avrei sofferto un po' ma che me ne
               sarei andato con un sorriso, stringendole la mano. Il
               pensiero che potesse succedere il contrario lo
               scacciavo subito, come se fosse un enorme buco buio
               davanti a me.Non voglio entrarci
               neanche adesso, ora che dopo tre mesi è
               diventato sempre più largo fino a prendere
               tutto, la casa, il giorno, la notte. Quest'anno i
               termosifoni sembrano riscaldare anche meno degli altri
               inverni. Colpa delle tubature o della
               vecchiaia.Non sono riuscito a
               scaldarle la mano neanche tenendola tra le
               mie. Sono vedovo. Mia
               moglie è morta stamattina. L'ho uccisa
               io.Sono un...
               com'è che si dice... un uxoricida. Non avrei mai
               creduto che potesse finire tutto così. L'altro
               ieri ho tirato fuori gli album delle fotografie da
               sopra l'armadio. "Da vecchi si
               diventa malinconici". Non è vero, non è
               vero per niente. Né io né Anna abbiamo
               mai sfogliato quei libri per anni. Si vede che era
               destino che non li guardassimo più
               insieme.Chissà se ha
               capito tutto quello che le ho detto... chissà
               se era cosciente. Le ho raccontato tutte le foto, una
               per una SignoreDioSanto, e ho sentito che quando
               piangevo mi stringeva la mano, l'ho
               sentito."Qui era quando eri
               vestita con il vestito bianco su in montagna e c'erano
               Pietro, Teresa e Alfonso davanti casa... Qui invece
               era quel giorno in cui siamo andati alla fiera e tu
               eri felice perché...".Dentro quattro
               libri c'era quasi tutto di noi.Ma forse è
               servito solo a me, per vederla diversa da come la
               vedevo nel letto. A lei serviva altro, maledetto
               male.Tu sei tutta la mia
               vita, Anna e l'ho capito mentre te ne
               andavi. Da quando Anna si
               è ammalata, la signora Paola mi fa tutti i
               giorni la stessa domanda."No, signora.
               Nessuna novità".Il marito di Paola
               era un ferroviere, Gino. È morto nell'88, mi
               pare. Lei ha portato il lutto per due anni, poi si
               è lasciata convincere dalla figlia a rimettersi
               quei grossi maglioni di altri colori. È giusto
               così.Io il lutto me lo
               sento nelle mani e nella bocca."No, vada. Grazie.
               Arrivederci".Che forza che ha
               ancora. Se non fosse per la schiena, Paola porterebbe
               su la spesa senza l'ascensore. Gino era più
               grande di lei ma si vedeva che era più debole.
               Paola è del '28, come Alfonso. Classe di ferro,
               lui dice. Può darsi. Non mi sento in
               colpa per quello che ho fatto. Mi sento felice. A
               mente fredda non saprei spiegarlo. Ma il cuore mi
               batte forte, come un ragazzo, innamorato per
               l'eternità. L'ho fatto per Anna, solo per
               Anna.È stato
               tutto così naturale, così...
               giusto.Sono entrato nella
               camera e ho aperto le tende, per far entrare un po' di
               luce.Ho posato la tisana
               sul comodino e ho chiuso l'ultimo album di fotografie.
               Sulla pagina aperta c'era una mia foto con Nelly, sei
               o sette anni fa. L'aveva fatta Anna. Ho preso l'album
               e l'ho lasciato sulla poltrona.L'ho guardata, come
               tutte le mattine.Quella sul letto
               era ancora lei, ma dopo, cosa sarebbe diventata?
               Lontano da me, senza di me. Anna me lo diceva con i
               suoi tremiti, i suoi gemiti silenziosi.Restami
               vicino.Io l'ho
               fatto. La sua mano fredda
               e la fronte calda per la febbre mi hanno sciolto tutto
               il pianto che avevo trattenuto.Un pianto forte, un
               pianto di anni vissuti insieme e troncati di
               netto.Volevo accarezzarla
               e volevo che quel momento fosse eterno, per sempre,
               immutabile.Mi sono buttato su
               di lei e l'ho abbracciata, singhiozzando.L'ho
               baciata.Ho premuto la mia
               bocca sulla sua e le ho accarezzato i
               capelli.Poi, come se
               obbedissi ad un comando, ho messo la mia mano sul suo
               petto.Sentivo il cuore
               battere, piano, lentamente. Ho passato l'altra
               mano dai suoi capelli alla fronte e con le dita ho
               stretto le narici.Ho aspettato, tra
               le lacrime, senza staccare le labbra dalle
               sue. Sotto la mia mano
               il suo cuore ha smesso di battere. Ho sollevato la
               testa e sono rimasto a guardarla a lungo, a pochi
               centimetri dal viso.Le ho asciugato le
               guance e ho sorriso."Anna, la mia
               Anna", ripetevo. Anna se n'era
               andata, per sempre. Io l'ho solo
               aiutata ad aprire la porta. |