- L'ultimo
sogno
-
- Riteneva
che la cosa che le era riuscita meglio durante tutta
la sua esistenza fosse nutrire sensi di colpa,
molteplici ed indirizzati a tutte le persone alle
quali, familiari e amici, era stata legata. Allo
stesso modo e con identica convinzione credeva che la
cosa peggiore che le era capitata fosse di non aver
avuto mai, nel corso di tutti i suoi anni, quel
livello di stima in se sufficiente a permetterle di
vivere in modo per lo meno accettabile.
- Forse
per questo aveva sempre lasciato che altri decidessero
per lei, convinta com'era di non poter mai giudicare
correttamente e riuscire a stabilire cosa fosse giusto
da ciò che non lo era.
- Forse
per questo aveva impiegato la maggior parte del tempo
della sua vita a sognare. Questa era stata la sua
attività prevalente, praticamente quotidiana,
alla quale si era dedicata con tenacia e costanza,
riservandole almeno qualche minuto anche nei giorni
più densi d'impegni. Rappresentava un'abitudine
giornaliera come il lavarsi ed il vestirsi, il
mangiare ed il dormire, altrettanto essenziale e
necessaria per la sua sopravvivenza.
- Nessuno
glielo aveva insegnato, né suggerito, ma fin da
bambina si era trastullata felicemente in questa
pratica vitale. Importante puntualizzare che si
trattava innegabilmente di sogni; non deliri,
né allucinazioni, tanto meno incubi, ma vere e
proprie visioni compiute in stato di perfetta veglia
in ogni luogo le fosse possibile estraniarsi, almeno
per un po', dal mondo circostante per abbandonarsi
alle sue piacevoli fantasie. Certo, da piccola le
erano capitate occasioni più frequenti; in
seguito, man mano che era cresciuta aveva cercato di
ritagliare dai suoi impegni, sempre più
ingombranti e pressanti, spazi e tempi per mantenere
viva quest'attività. Poi era accaduto che
intorno ai trent'anni, in coincidenza con il
matrimonio e la nascita dei suoi figli, incominciasse
a ritenerla inopportuna e a considerarla una sorta di
superflua e quasi sconveniente distrazione da
eliminare dalle sue abitudini. Era riuscita
così a farne a meno, provando a convincersi che
nella realtà ci fossero sufficienti motivi di
letizia da non rendersi più necessario
ricorrere ad artefici fantasiosi per colorarla di
gaiezza.
- Così
per qualche tempo se lo era proibito, ma non senza
difficoltà. Poi aveva ricominciato come se non
avesse mai finito, probabilmente come accade ad un
fumatore incallito che riesce per un po' a smettere,
ma alla prima difficoltà fruga nel pacchetto di
sigarette, ormai abbandonato in fondo al cassetto, per
lasciarsi infine andare con rinnovata voluttà
ad aspirare a fondo una boccata di fumo.
- Possedeva
senz'altro, pregio tutt'altro che comune, la
genialità dell'immaginazione. Ciò le
aveva permesso di trascorrere quasi cinquant'anni di
sogni senza dover ricorrere a noiose repliche, ma
creandone ad ogni occasione di nuovi ed emozionanti.
Aveva fatto tutto nei sogni, tutto quello che avrebbe
voluto se l'intreccio disarmonico dei fatti e delle
circostanze non l'avessero convogliata su quella vita
piuttosto che in un'altra. Le aveva percorse le altre
strade, tutte, sui binari leggeri e duttili della
fantasia; modellabili, morbidamente pieghevoli,
modificabili ad un sospiro, ad una brezza leggera, ad
una carezza del sole, ad un brivido di freddo o di
piacere. Aveva esplorato ogni via con le sue varianti,
deviazioni, biforcazioni, vicoli, divaricazioni. Si
era deliziata ad immaginare come la vita avrebbe
potuto compiere un tragitto diverso compiendo un passo
appena più in là, quel giorno, in quel
momento; ma anche - perché no? - un po'
più avanti e in un istante differente. Un
incontro, dieci incontri, cento, mille e la sua
esistenza sarebbe stata dissimile, vissuta in un altro
luogo, scandita da momenti diversi, con un lavoro
diverso, popolata da pensieri e persone
diverse.
- E
se sognare è un momento di libertà e di
gioia, perché non immaginare ogni incontro
più significante di quelli realmente avvenuti,
ogni tempo più suggestivo di quello vissuto,
ogni luogo più accogliente di quello
effettivamente abitato, ogni professione più
soddisfacente di quella esercitata. Aveva vissuto
così in diverse epoche storiche, compiendo
lavori interessanti, impegnandosi in tutte quelle
attività piacevoli che sapeva le sarebbero
state sempre precluse, godendo appassionate storie
d'amore, intense e profonde, con uomini comprensivi e
sensibili, abitando in case accoglienti e città
ridenti. Non nutriva in quei momenti sensi di colpa
nei confronti di alcuno ed aveva un'alta opinione di
se stessa; questo le aveva permesso di percorrere con
sicurezza le vite godute in sogno. Era stata tutto
quello che è immaginabile con intelligenza ed
estro, sempre positiva e, nonostante le inevitabili
difficoltà di cui non mancava di ornare le sue
storie, vincente in ogni caso. E felice.
- Sognare
le aveva consentito di sopravvivere ai numerosi brutti
momenti della sua vita, semplicemente annegando nelle
sue visioni i pensieri molesti e le preoccupazioni
quotidiane. E, visto che spesso non aveva tempo, aveva
imparato presto a farlo in ogni momento possibile,
mentre conduceva l'auto - per esempio - per andare al
lavoro; quando i figli le ripetevano la lezione di
storia, assicurandole quella nenia monotona che la
cullava con facilità fuori dalla realtà;
intanto che scorreva i ripiani del supermercato;
mentre era in sosta davanti a un ostinato semaforo
rosso; laddove si lasciava scorrere sul corpo l'acqua
calda della doccia ed in tante altre occasioni ancora
in cui - con il tempo e la pratica quotidiana era
diventata bravissima in questo - riusciva a
disarticolare la mente dal corpo.
- Il
giorno in cui compì cinquant'anni scoprì
con sgomento di aver percorso tutte le strade
possibili, di aver attraversato ogni ponte, di aver
nuotato tutti i fiumi e navigato tutti i mari, di aver
valicato ogni monte e transitato per tutti gli
incroci. Nessuna variabile possibile: tutte le vite
erano state sognate. La prese allora il panico, si
sentì disorientata ed avvilita. Cosa avrebbe
sognato ora? Era stata tutto ciò che era
possibile, in ogni tempo ed in ogni luogo
immaginabile: cosa avrebbe fatto, come sarebbe
riuscita a difendersi dal mondo? Chi era?
- Visse
così un momento di angosciato sconforto,
sentendo ora tutto l'insostenibile peso e percependo
l'evidente squallore di giorni tutti grigi e uguali.
Il risveglio al mattino, e poi in un vorticoso
turbinio: panni da lavare, stendere e stirare; piatti
da lavare, da sporcare e rilavare; moduli da
compilare, correggere e verificare; pasti da preparare
e consumare; spostamenti frenetici nel traffico
convulso; richieste assillanti, pretese insistenti,
reclami, istanze...
- Sentì
che nulla di tutto ciò era ormai sopportabile
senza sogno. Si disse che da persona matura e
ragionevole - come a cinquant'anni si dovrebbe essere!
- avrebbe dovuto trovare la forza per tirare avanti
-come fan tutti del resto... - nella coscienza e
colpevolezza della propria responsabilità nei
confronti di figli, marito e datore di
lavoro.
- Non
vi riuscì e naufragò inesorabilmente in
una palude di inadeguatezza e sensi di colpa. Non era
in grado di riconoscersi in questa donna, lei che
avrebbe potuto essere - e lo era stata! - un'altra, ed
un'altra e un'altra ancora, tutte così diverse.
E tutte migliori, coraggiose ed abili, ingegnose ed
intelligenti. Nella sua realtà capì che
non era capace di esserlo e non sarebbe stata mai in
grado di diventarlo.
- Quando
accadde nessuno riuscì a capire perché.
Appena poco prima aveva fatto colazione e preparato il
ragù per il pranzo, si era affacciata sul
balcone per sbattere un tappeto e aveva innaffiato i
gerani, conversato con la vicina di casa e risposto
amabilmente all'ennesimo sondaggio telefonico,
prenotato una visita dal dentista e steso la crema
antirughe sul viso, riordinato l'armadio dei figli e
controllato le bollette. Era andata a fare il pieno di
benzina e ritirato alcuni indumenti in smacchiatoria,
si era recata al previsto colloquio con gli insegnanti
dei figli e a fare provviste di acqua e latte, aveva
evaso in ufficio il consueto numero di pratiche e
ridendo aveva bevuto il caffè durante il break
insieme alle colleghe.
- Nessuno
può sapere che l'aria primaverile, colpendole
il viso mentre usciva dopo il lavoro, le aveva
ricordato quanto effimere fossero le sue promesse e
fragile come vetro quel confine, così tanto
spesso varcato, tra il sogno e la realtà.
Lacerata improvvisamente dalla crudezza della
convinzione che ormai fosse giunto il momento
improrogabile, decise allora di oltrepassarlo ancora
una volta per un sogno, l'ultimo, risolutivo e
definitivo, superando una volta per tutte il limite di
demarcazione dal quale - ne era fermamente decisa -
non sarebbe più tornata indietro.
- Abbracciò
con un ultimo sguardo la città incorniciata
dalle montagne ancora innevate e si diresse finalmente
felice e impaziente in direzione del
fiume.
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