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               PassaggiI Erano
               partiti una mattina d'autunno. Avevano previsto tutto,
               preparato tutto. Le valigie erano pronte e gli amici
               salutati la sera prima, l'uno dopo l'altro, in fretta,
               davanti ad una birra o semplicemente attraverso il
               filo elettrico del telefono.Erano
               diversi loro due, ma partivano insieme verso la stessa
               meta. L'uno accompagnava l'altra. L'uno introduceva
               l'altra in quella nuova isola scoperta qualche anno
               prima e nella quale si era stabilito sperando un
               giorno di poterci sbarcare assieme alle persone che
               amava. Lei si lasciava condurre, fiduciosa e sicura.
               Sicura delle sue parole. Sicura della sua forza.
               Sicura anche di non lasciare dietro niente, di non
               provare rimpianto o tristezza alcuni. Abituato
               a quel tipo di viaggio, lui aveva previsto tutto.
               Partenza verso le nove in modo da evitare
               incolonnamenti asfissianti ed arrivo previsto intorno
               alle diciannove, se tutto filava liscio.Abituato
               alla partenza lui aveva deciso di prepararsi per
               primo, di svegliarsi presto in modo da regalarle
               più tempo, nella sua casa, prima dell'addio.
               Sapeva lui che quei pochi infinitesimi minuti prima
               della partenza erano fondamentali e che per niente al
               mondo bisognava privarsene. Bisognava andare in fretta
               prima, questo si, ma poi, gli ultimi minuti dovevano
               essere conservati intatti. Il tempo doveva rallentare
               ed i sensi dilatarsi per poter registrare tutti gli
               odori ed i colori di quel mondo amoroso e sicuro e
               bello e caldo e vero chiamato casa. Quando
               arrivò da lei, la trovo quasi pronta. Ne fu
               stupito, era certo che avrebbe dovuto spingerla ad
               accelerare il ritmo come sempre doveva fare con lei.
               Ed invece no, era quasi pronta. Sembrava voler
               lasciare al più presto quell'universo
               conosciuto e prevedibile per tuffarsi in quella nuova
               galassia da tempo sognata e presto raggiungibile.
               Sembrava felice di partire. Sembrava. Eppure lei lo
               sapeva bene che il distacco sarebbe stato doloroso.
               Sapeva che nonostante la sua partenza fosse necessaria
               e voluta, il momento di passaggio da una galassia
               all'altra era dolorosissimo. Corto ma doloroso. Sapeva
               che lasciando il suo mondo lo avrebbe visto
               allontanarsi progressivamente. Sapeva che avrebbe
               assistito al suo dissolversi lento e costante davanti
               ai suoi occhi. Spettatrice della sua agonia. Sapeva
               che, prima di poter davvero iniziare a godere della
               sua nuova libertà, doveva vestirsi di nero ed
               assistere al funerale del suo passato. Tutta
               la famiglia trasportò un pezzo di lei fuori
               dalla porta di casa fino alla macchina. Lui li
               raccoglieva e li sistemava ordinatamente: gli occhi
               davanti, i polmoni accanto, il cuore nascosto
               giù in fondo ai sedili ...Tutto
               era pronto. Abbracci come morse. Sorrisi umidi.
               Genitori coraggiosi che da lontano sorridono al tuo
               allontanamento ma che nel cuore, in fondo, piangono
               lacrime silenziose.Una
               mano che si agita in lontananza, il sole che la
               illumina, un palazzo che infine la
               nasconde.E
               poi tutto è strada e cielo. Una
               volta lasciata la città ed entrati in
               autostrada si sentivano quasi più leggeri,
               liberati dalle catene che li tenevano fissi ad ogni
               angolo, ad ogni pezzo di cemento. Temevano di non
               riuscire a staccarsi dal piombo dei ricordi, dal
               passato nascosto ad ogni angolo. Credevano di esserci
               riusciti, di aver vinto la battaglia contro il timore
               di cambiare. Ma l'agonia, crudele, non aveva ancora
               terminato il suo compito. La terra, più bella
               che mai, organizzava spettacoli struggenti davanti ai
               loro occhi. Le colline sfilavano via verdi e tonde
               dall'altra parte di quello schermo di vetro posto tra
               due vite. Ad intervalli regolari sparivano dalla loro
               vista, ed ogni scomparsa era una fitta acuta nello
               stomaco, un dolore che pian piano saliva su fino alla
               gola dove si trasformava in nodo duro e velenoso per
               infine evaporare negli occhi nascosti dietro delle
               lenti scure.Cavallo
               bianco sfrecciava stanco sull'asfalto. Conosceva bene
               la sua strada ma preferiva lasciarsi guidare docile
               dalle mani buone del suo padrone. Lui guardava dritto
               davanti a sé, non gustava il trasformarsi del
               paesaggio, non soffriva davanti allo scomparire dei
               colori e delle luci familiari. No. Fissava dritto
               davanti a sé come se non volesse mai perdere di
               vista la sua meta, come se il suo cuore si fosse
               indurito negli anni trascorsi a viaggiare, a percorre
               la stessa avventura, a vivere gli stessi struggenti
               addii alla terra natale. Come un capitano di mare
               saggio e sicuro, odoroso di mare, rugoso, manteneva la
               rotta, odorava il vento, spalancava gli occhi e
               tendeva la pelle riarsa dal sole, si assicurava che
               l'equipaggio ci fosse, presente ed attento ... ma
               l'unico membro dell'equipaggio era lei, assente e
               disattenta.Anche
               lei era abituata a viaggiare ma era la prima volta che
               affrontava un distacco via asfalto. D'abitudine
               preferiva librarsi nell'aria per vedere il suo paese
               allontanarsi dall'alto. Vederlo rimpicciolire e poi
               sparire era più facile che vederlo passare ed
               andare via per sempre. Dall'alto il suo paese le
               sembrava meno vero, meno reale, cosicché anche
               il dolore appariva meno acuto. Ma vedere così
               le sue colline sfuggire alla vista, vedere quei tratti
               di mare apparire tra la terra e poi scomparire
               all'istante era troppo, davvero troppo. Non piangeva
               ma sapeva che se lui le avesse parlato allora non
               sarebbe più riuscita a controllare la sua
               agonia. Sapeva che bastava che lui invadesse con un
               tocco o con un suono il lento viaggiare dei suoi
               pensieri per vederli sciogliersi in un fiume d'acqua
               bagnata.Lui
               continuava a guidare in silenzio. La lasciava
               tranquilla conoscendo il suo timore. La lasciava
               perdersi tra i ricordi del passato, tra gli odori
               dell'unico mondo conosciuto ... le permetteva di
               gustarsi quegli ultimi sprazzi di sole prima del
               grigio e del buio.
               
               
II Usciti
               dalla regione il paesaggio cambiava. Il mare e le
               colline lasciavano il posto a vaste campagne anonime.
               Piatte. L'agonia era finita. La sacralità del
               distacco vissuta. Ora era possibile reintrodurre il
               rumore senza offendere il silenzio."Bacio"
               lui le disse senza staccare gli occhi dalla strada.
               Lei passò la mano tra i suoi capelli e,
               avvicinandosi, lo accontentò. "Dov'è
               il mondo che uno cerca?""Non
               lo so. So solo che lo si cerca nello spazio, ed invece
               è nel tempo che lo si trova." Il
               viaggio non è un'entità definita.
               È un essere in metamorfosi continua. È
               un ideale che ognuno adatta alla sua vita, al suo
               coraggio, alle sue virtù.Lui
               andava per paura di arrivare. Andava per andare, non
               per arrivare. Andava perché sapeva che andando
               non sarebbe mai arrivato. Voleva vivere nel processo.
               Nel passaggio. Voleva esistere esistendo e non
               essendo. Voleva vivere dirigendosi verso un "non dove"
               la cui fine era un nuovo inizio. Voleva che la sua
               vita fosse una trasmigrazione continua. Da uccello a
               lupo, da lupo a falco, da falco a cane fedele, da cane
               fedele a toro, da toro ad orso, da orso a
               ...Non
               poteva che esistere così, bruciando. Bruciava,
               bruciava, bruciava come il vecchio Jack e quella sua
               pazza compagnia. Era una focolare caldo, una candela
               accesa nell'angolo di una stanza buia, un falò
               in una notte d'estate. Ma bruciava sempre, questo si,
               bruciava. Ed invecchiava più velocemente degli
               altri.Lei
               andava chiedendosi che mondo volesse. Andava
               domandandosi dove volesse andare. Aveva bisogno di
               quel dove lei. Di quel "dove" che lui invece
               rifiutava. Si chiedeva quale sarebbe stato il mondo
               che alla fine l'avrebbe accolta per prendersi cura di
               lei, per starle accanto, per vederla crescere,
               ri-crescere, per vederla partire da bambina per
               diventare donna. Dove ? dov'era il suo paradiso ?
               Aveva bisogno di un luogo d'arrivo, lei. Di uno scopo
               anche se provvisorio. Aveva bisogno di punti di
               riferimento. Li voleva belli e chiari, ma un po'
               fragili, in modo da poterli distruggere nel momento in
               cui non le sarebbero più piaciuti. Se lui
               bruciava veloce, lei centellinava i pezzi di legno per
               ravvivare la sua fiamma. Voleva bruciare anche lei,
               si, ma lentamente. Voleva essere sicura che la fiamma
               non si potesse spegnere e che le riserve di legno
               fossero lì, pronte per l'inverno. Voleva
               assicurarsi di questo bagaglio perché si
               conosceva. Bene. Sapeva che il tempo di un anno le
               bastava per esaurire un'emozione ed allora si
               preparava ad accoglierne delle nuove prima ancora di
               aver vissuto quella appena incontrata. Era
               così. Per tutto. Se entrava in un negozio per
               comprare dei pantaloni, passava delle ore scegliendo
               tra più modelli. I suoi gusti erano troppo ampi
               per poterla guidare verso un unico e solo esemplare.
               Lei cercava e guardava e provava ed esaminava ed alla
               fine si stancava di quella stessa ricerca e tornava a
               casa a mani vuote. Sazia di quella indigestione di
               colori e forme e materiali. Era un po' così
               anche nella vita di tutti i giorni. Pensare alle
               possibili opzioni la stancava talmente che alla fine
               non agiva.Partiva
               per questo. Partiva per cambiare. Partiva per imparare
               ad agire. Partiva per imparare a scegliere. Partiva
               per imparare a bruciare come lui. Come lui o un po'
               meno forse, perché il suo fuoco la spaventava.
               Bruciava troppo in fretta per lei. Avevano
               lo stesso passo, la stessa cadenza. Solo lui andava un
               po' più veloce, ma questo non importava, il
               ritmo era identico. Le avrebbe insegnato lui ad
               accelerare. Le avrebbe insegnato lui a "cercare per
               non trovare". Le avrebbe insegnato lui a cercarsi nel
               tempo e non nello spazio.Amava
               quel piccolo fiore, seduto accanto sé, eccitato
               ed intimidito da qualsiasi cosa. Sapeva che aveva
               talento e che lui poteva aiutarla a diventare quello
               che lei sognava essere. Sapeva che un giorno l'avrebbe
               vista danzare su di un tavolo davanti alla massa
               insonnolita dei suoi vecchi amici. Sapeva che un
               giorno sarebbe stata lei, resa forte dalla sua
               iniziazione, a salvarlo. Voleva avere accanto a
               sé qualcuno che potesse correggerlo. Lei ne era
               capace. Voleva che lei si potesse arricchire delle sue
               forze e detestare le sue debolezze per imparare ad
               educarlo, lui che da solo non ce la faceva. Lui, orso
               perso nel bosco e reso feroce dalla mancanza di
               cibo.La
               rendeva forte lui, ora e domani, cosicché un
               giorno avrebbero danzato assieme, felici.
               
               
III Quanti
               anni hai?Otto.Allora
               sei troppo piccola per giocare con
               noi. "A
               cosa pensi?""Eh?""A
               cosa pensi?""Pensavo
               ... ricordavo una cosa che una bambina mi ha detto
               quando avevo otto anni. Volevo degli amici, eravamo in
               Francia con mamma e papà ... non conoscevo
               nessuno così mi sono avvicinata ad un gruppo di
               bambine che giocavano assieme ed una di loro, bella e
               bionda, mi ha mandata via dicendo che ero troppo
               piccola per giocare con loro. Da allora ho smesso di
               cercare degli amici, ho lasciato sempre che fossero
               loro a trovarmi ..."Quella
               bambina era una stronza.""Si
               lo so. L'ho pensato anch'io a otto anni. O meglio,
               devo aver pensato che quella bambina era un po'
               bastarda, ecco.""No,
               no bastarda. Stronza. Sono sicuro che in questo
               momento sarà circondata da manichini ben
               vestiti che sputano discorsi confezionati e si muovono
               al ritmo dei loro telefoni cellulari e dei loro tacchi
               a spillo. Si circonda di persone perché
               è terrorizza dallo stare sola e la gente la
               frequenta per il ruolo sociale che assicura e non
               perché la rispetta. La sera, nel suo grande
               letto, sola, pensa ai vestiti che metterà il
               giorno dopo ed alle rughe che non sa come far
               scomparire. Si gira e si rigira, non prende sonno. Si
               alza, va in bagno, si guarda allo specchio
               ..."...
               E piange.""Dio,
               sei crudele.""Ma
               no, è solo che lei mi ha fatta tanto piangere
               ed ora voglio vendicarmi."E
               va bene, la facciamo piangere."E
               piange.""E
               piange." La
               temperatura era salita durante il viaggio. Si erano
               allontanati da casa e nonostante il cielo diventasse
               sempre più grigio e gli alberi sempre
               più spogli, la temperatura aumentava. Lui
               sapeva bene cosa li attendeva. Mano a mano che
               risalivano quel vecchio stivale del loro paese, la
               trasformazione del paesaggio era accompagnata dal
               trasformarsi di tante altre piccole cose. Dettagli che
               ti cambiano la vita. I colori diventavano più
               opachi. Il cielo meno blu. La pasta della pizza
               più gommosa. La schiuma del cappuccino meno
               soffice e spessa. Il caffè più caro.
               Dettagli fondamentali. Lei presto ne avrebbe
               fatto l'esperienza, e lui non voleva avvertirla.
               Doveva scontrarsi con quel nuovo mondo da sola, cadere
               e poi rialzarsi. Lui non l'avrebbe aiutata ma sarebbe
               stato lì, accanto, a guardarla. A darle il
               coraggio di rialzarsi grazie alla sua sola
               presenza.La
               temperatura era aumentata e cavallo bianco soffriva.
               Il suo padrone, illuso e ceco continuava a spingere
               l'acceleratore, acceso... Cavallo bianco voleva
               fermarsi. Era stanco. Vecchio e stanco, non più
               adatto a quel tipo di avventure. Protestò ma
               lui non lo sentì. Protestò ancora ma
               niente, lui non vedeva. Allora la ribellione fu
               prepotente e definitiva.
               
               
IV Del
               fumo grigio usciva dal ventre di cavallo bianco. Lui
               se ne accorse per primo. Lei guardava ancora dietro di
               sé, al cielo che abbandonava. Poi si
               girò e vide. Bisognava fermarsi.La
               radio continuava a suonare mentre la velocità
               diminuiva. Tutto sembrava mantenere in vita il buon
               ronzino, le spie luminose non si accendevano, la biada
               era in serbatoio, eppure il fumo continuava ad uscire.
               Era come se cavallo bianco, furioso contro il suo
               padrone per lo sforzo eccessivo al quale lo
               sottoponeva, avesse deciso di ribellarsi liberando dei
               fumi bollenti dalle narici. Gli zoccoli scalpitarono
               per l'ultima volta. I polmoni smisero di respirare.
               Tirò il freno a mano.Scese
               e aprì il nero ventre della bestia sofferente.
               Il male era invisibile per il gran fumo. Dopo qualche
               minuto riuscì a perdersi dentro i suoi
               intestini. La principessa era scesa e guardava
               incuriosita. Vedeva soffrire il loro compagno
               d'avventure ma non era per questo affatto preoccupata.
               Sapeva che il principe si sarebbe preso cura di lui,
               che non avrebbe permesso che uno stalliere qualsiasi
               decretasse la morte della suo purosangue. Lo osservava
               allora seguendo quei gesti miracolosi di uomo, quei
               gesti che profumavano di sapere e di tradizione e di
               storia. Rispettava quella sicurezza, quel conoscere
               ogni particolare del suo mezzo di trasporto, quel
               capire all'istante il male e la cura da operare alla
               svelta. Il suo corpo di principessa la proiettava anni
               luce da quella galassia fatta di grasso e fumo. Ferma
               a due metri dal luogo del delitto si sentiva lontana,
               come su di un'altra terra. Il chirurgo era a lavoro,
               abito bianco e guanti. Lei non poteva aiutarlo. Sapeva
               che lui non avrebbe chiesto il suo aiuto."Puoi
               tenermi la bottiglia per favore?""Io?""Si
               tu, e chi altro?""Ok
               ..." Lo
               guardava lavorare. Le sue mani nere a tratti
               sfioravano quelle bianche di lei nell'atto di prendere
               la bottiglia. Del grasso toccava per la prima volta la
               sua pelle. Guardandosi in quella scena, osservandosi
               dall'esterno, come tra il pubblico di un teatro, si
               giudicava. Per un attimo aveva visto il parcheggio
               riempirsi di gente, ognuna con la propria sedia di
               legno portata da casa, come per assistere ad uno
               spettacolo di paese. Lei era tra il pubblico e si
               godeva la scena della principessa alle prese con lo
               sporco e gli odori della vita comune. Con i colori ed
               i gesti del mondo vero. Si giudicava severa. Capiva
               che per anni era vissuta in un castello di vetro
               pulito e disinfettato. Le sue mani erano lisce e
               morbide. I suoi capelli lucidi e lunghi. L'impatto con
               la nuova vita che si accingeva ad inaugurare le
               ricordava il mondo che lasciava e le dava segni di
               quello tutto nuovo in cui muoveva i primi passi. Era
               un avvertimento, lei lo sapeva. Guardava. Rideva.
               Apprezzava lo spettacolo divertita. Non aveva voglia
               di scappar via ... "Ehi,
               ma che fai dormi? L'acqua!""Scusa
               ..."Cavallo
               bianco sembrava non volerne sapere di rimettersi in
               marcia. La diagnosi del cavaliere era inesorabile e
               precisa: niente più acqua. Bisognava farlo bere
               ed in fretta, anche se questo non sarebbe bastato a
               rimetterlo in sesto completamente per la lunga marcia
               notturna. Bisognava curarlo appena, giusto quel poco
               per poterlo riportare indietro ed affidarlo alle mani
               di un esperto. I piani si sconvolgevano di ora in
               ora.Il
               pensiero di tornare in dietro le sfiorò la
               mente ... ad un attimo di sconforto seguì un
               sentimento di pura gioia irrefrenabile. Il cavaliere
               inveiva, faceva di tutto per rimettere in sesto la sua
               bestia e per arrivare dritto alla sua meta. Lei
               invece, guardava cavallo bianco e lo ringraziava in
               silenzio. Complici, si capivano loro due. Non erano
               pronti. Avevano bisogno ancora di qualche ora prima di
               lasciare per sempre la loro terra. L'idea di
               ripercorrere all'indietro quella stessa strada che
               poco prima credeva di abbandonare definitivamente le
               riempiva il cuore di calore ed entusiasmo. Rivedere le
               colline salutate con una lacrima poco prima ... era
               come rivedere un amico che si credeva partito per
               sempre ... quelle stesse colline sembravano ridere, il
               loro colore non era più lo stesso. Rimesso
               in sesto grazie a litri e litri d'acqua e ad una buona
               dose di biada, cavallo bianco ripartì. Era
               però ancora sotto sforzo, per questo il ritmo
               di galoppo non era quello dell'andata. Innervosito e
               preoccupato il cavaliere non spingeva più
               l'acceleratore, ma lasciava l'animale guidarsi da solo
               verso casa. Questo, sebbene stanco, non dava
               più segni di cedimento ... lei sorrideva
               consapevole della verità di quella malattia. In
               fondo, sebbene avesse vissuto per anni nel suo mondo
               facile e pulito, aveva imparato anche lei che quando
               un asino non vuole muoversi non c'è nulla da
               fare. Tornati
               a casa inaspettatamente ma provvisoriamente passarono
               la serata separati. Si diedero appuntamento per il
               giorno dopo alla stessa ora per il secondo tentativo
               di volo. Cavallo bianco riposava soddisfatto nella sua
               stalla.L'atmosfera
               che la accolse quella sera si rivelò strana.
               Assimilato l'addio di quella mattina, digerito il
               sapore degli ultimi abbracci, degli ultimi baci, degli
               ultimi sguardi era strano rivedersi. Si sentivano
               tutti galleggiare in una dimensione astratta, al di
               là dello spazio e del tempo. Si riconoscevano
               sconosciuti. La gioia del ritorno aveva fatto subito
               posto alla tristezza della prossima partenza, una
               tristezza ancora più difficile da sopportare
               visto che era stata già difficilmente messa da
               parte quella stessa mattina. L'idea di rivivere per la
               seconda volta il distacco faceva male a tutti. E la
               principessa quella stessa notte, nel suo letto tanto
               desiderato, capiva. Capiva perché durante il
               viaggio il cavaliere aveva tenuto gli occhi fissi
               davanti a sé. Capiva perché gli era
               sembrato insensibile alla bellezza del luogo che
               lasciavano. Capiva la sua rabbia nel dover riprendere
               il cammino a ritroso. Capiva.La
               sua iniziazione era iniziata. Il viaggio verso il suo
               nuovo mondo le aveva già insegnato qualcosa
               prima ancora di cominciare. Aveva imparato lei, quel
               giorno, che ogni partenza è un addio. E che
               ogni addio diventa insopportabile se vissuto una
               seconda volta. Aveva capito che il momento più
               duro della acquisizione dell'indipendenza non era la
               vita di tutti i giorni, vissuta sola lontana da casa.
               Era invece il momento del distacco, quando le mani si
               agitano in lontananza illuminate dal sole, e ti dicono
               addio.
               
               
                  
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