- Passaggi
- I
-
- Erano
partiti una mattina d'autunno. Avevano previsto tutto,
preparato tutto. Le valigie erano pronte e gli amici
salutati la sera prima, l'uno dopo l'altro, in fretta,
davanti ad una birra o semplicemente attraverso il
filo elettrico del telefono.
- Erano
diversi loro due, ma partivano insieme verso la stessa
meta. L'uno accompagnava l'altra. L'uno introduceva
l'altra in quella nuova isola scoperta qualche anno
prima e nella quale si era stabilito sperando un
giorno di poterci sbarcare assieme alle persone che
amava. Lei si lasciava condurre, fiduciosa e sicura.
Sicura delle sue parole. Sicura della sua forza.
Sicura anche di non lasciare dietro niente, di non
provare rimpianto o tristezza alcuni.
-
- Abituato
a quel tipo di viaggio, lui aveva previsto tutto.
Partenza verso le nove in modo da evitare
incolonnamenti asfissianti ed arrivo previsto intorno
alle diciannove, se tutto filava liscio.
- Abituato
alla partenza lui aveva deciso di prepararsi per
primo, di svegliarsi presto in modo da regalarle
più tempo, nella sua casa, prima dell'addio.
Sapeva lui che quei pochi infinitesimi minuti prima
della partenza erano fondamentali e che per niente al
mondo bisognava privarsene. Bisognava andare in fretta
prima, questo si, ma poi, gli ultimi minuti dovevano
essere conservati intatti. Il tempo doveva rallentare
ed i sensi dilatarsi per poter registrare tutti gli
odori ed i colori di quel mondo amoroso e sicuro e
bello e caldo e vero chiamato casa.
-
- Quando
arrivò da lei, la trovo quasi pronta. Ne fu
stupito, era certo che avrebbe dovuto spingerla ad
accelerare il ritmo come sempre doveva fare con lei.
Ed invece no, era quasi pronta. Sembrava voler
lasciare al più presto quell'universo
conosciuto e prevedibile per tuffarsi in quella nuova
galassia da tempo sognata e presto raggiungibile.
Sembrava felice di partire. Sembrava. Eppure lei lo
sapeva bene che il distacco sarebbe stato doloroso.
Sapeva che nonostante la sua partenza fosse necessaria
e voluta, il momento di passaggio da una galassia
all'altra era dolorosissimo. Corto ma doloroso. Sapeva
che lasciando il suo mondo lo avrebbe visto
allontanarsi progressivamente. Sapeva che avrebbe
assistito al suo dissolversi lento e costante davanti
ai suoi occhi. Spettatrice della sua agonia. Sapeva
che, prima di poter davvero iniziare a godere della
sua nuova libertà, doveva vestirsi di nero ed
assistere al funerale del suo passato.
-
- Tutta
la famiglia trasportò un pezzo di lei fuori
dalla porta di casa fino alla macchina. Lui li
raccoglieva e li sistemava ordinatamente: gli occhi
davanti, i polmoni accanto, il cuore nascosto
giù in fondo ai sedili ...
- Tutto
era pronto. Abbracci come morse. Sorrisi umidi.
Genitori coraggiosi che da lontano sorridono al tuo
allontanamento ma che nel cuore, in fondo, piangono
lacrime silenziose.
- Una
mano che si agita in lontananza, il sole che la
illumina, un palazzo che infine la
nasconde.
- E
poi tutto è strada e cielo.
-
- Una
volta lasciata la città ed entrati in
autostrada si sentivano quasi più leggeri,
liberati dalle catene che li tenevano fissi ad ogni
angolo, ad ogni pezzo di cemento. Temevano di non
riuscire a staccarsi dal piombo dei ricordi, dal
passato nascosto ad ogni angolo. Credevano di esserci
riusciti, di aver vinto la battaglia contro il timore
di cambiare. Ma l'agonia, crudele, non aveva ancora
terminato il suo compito. La terra, più bella
che mai, organizzava spettacoli struggenti davanti ai
loro occhi. Le colline sfilavano via verdi e tonde
dall'altra parte di quello schermo di vetro posto tra
due vite. Ad intervalli regolari sparivano dalla loro
vista, ed ogni scomparsa era una fitta acuta nello
stomaco, un dolore che pian piano saliva su fino alla
gola dove si trasformava in nodo duro e velenoso per
infine evaporare negli occhi nascosti dietro delle
lenti scure.
- Cavallo
bianco sfrecciava stanco sull'asfalto. Conosceva bene
la sua strada ma preferiva lasciarsi guidare docile
dalle mani buone del suo padrone. Lui guardava dritto
davanti a sé, non gustava il trasformarsi del
paesaggio, non soffriva davanti allo scomparire dei
colori e delle luci familiari. No. Fissava dritto
davanti a sé come se non volesse mai perdere di
vista la sua meta, come se il suo cuore si fosse
indurito negli anni trascorsi a viaggiare, a percorre
la stessa avventura, a vivere gli stessi struggenti
addii alla terra natale. Come un capitano di mare
saggio e sicuro, odoroso di mare, rugoso, manteneva la
rotta, odorava il vento, spalancava gli occhi e
tendeva la pelle riarsa dal sole, si assicurava che
l'equipaggio ci fosse, presente ed attento ... ma
l'unico membro dell'equipaggio era lei, assente e
disattenta.
- Anche
lei era abituata a viaggiare ma era la prima volta che
affrontava un distacco via asfalto. D'abitudine
preferiva librarsi nell'aria per vedere il suo paese
allontanarsi dall'alto. Vederlo rimpicciolire e poi
sparire era più facile che vederlo passare ed
andare via per sempre. Dall'alto il suo paese le
sembrava meno vero, meno reale, cosicché anche
il dolore appariva meno acuto. Ma vedere così
le sue colline sfuggire alla vista, vedere quei tratti
di mare apparire tra la terra e poi scomparire
all'istante era troppo, davvero troppo. Non piangeva
ma sapeva che se lui le avesse parlato allora non
sarebbe più riuscita a controllare la sua
agonia. Sapeva che bastava che lui invadesse con un
tocco o con un suono il lento viaggiare dei suoi
pensieri per vederli sciogliersi in un fiume d'acqua
bagnata.
- Lui
continuava a guidare in silenzio. La lasciava
tranquilla conoscendo il suo timore. La lasciava
perdersi tra i ricordi del passato, tra gli odori
dell'unico mondo conosciuto ... le permetteva di
gustarsi quegli ultimi sprazzi di sole prima del
grigio e del buio.
- II
-
- Usciti
dalla regione il paesaggio cambiava. Il mare e le
colline lasciavano il posto a vaste campagne anonime.
Piatte. L'agonia era finita. La sacralità del
distacco vissuta. Ora era possibile reintrodurre il
rumore senza offendere il silenzio.
- "Bacio"
lui le disse senza staccare gli occhi dalla strada.
Lei passò la mano tra i suoi capelli e,
avvicinandosi, lo accontentò.
-
- "Dov'è
il mondo che uno cerca?"
- "Non
lo so. So solo che lo si cerca nello spazio, ed invece
è nel tempo che lo si trova."
-
- Il
viaggio non è un'entità definita.
È un essere in metamorfosi continua. È
un ideale che ognuno adatta alla sua vita, al suo
coraggio, alle sue virtù.
- Lui
andava per paura di arrivare. Andava per andare, non
per arrivare. Andava perché sapeva che andando
non sarebbe mai arrivato. Voleva vivere nel processo.
Nel passaggio. Voleva esistere esistendo e non
essendo. Voleva vivere dirigendosi verso un "non dove"
la cui fine era un nuovo inizio. Voleva che la sua
vita fosse una trasmigrazione continua. Da uccello a
lupo, da lupo a falco, da falco a cane fedele, da cane
fedele a toro, da toro ad orso, da orso a
...
- Non
poteva che esistere così, bruciando. Bruciava,
bruciava, bruciava come il vecchio Jack e quella sua
pazza compagnia. Era una focolare caldo, una candela
accesa nell'angolo di una stanza buia, un falò
in una notte d'estate. Ma bruciava sempre, questo si,
bruciava. Ed invecchiava più velocemente degli
altri.
- Lei
andava chiedendosi che mondo volesse. Andava
domandandosi dove volesse andare. Aveva bisogno di
quel dove lei. Di quel "dove" che lui invece
rifiutava. Si chiedeva quale sarebbe stato il mondo
che alla fine l'avrebbe accolta per prendersi cura di
lei, per starle accanto, per vederla crescere,
ri-crescere, per vederla partire da bambina per
diventare donna. Dove ? dov'era il suo paradiso ?
Aveva bisogno di un luogo d'arrivo, lei. Di uno scopo
anche se provvisorio. Aveva bisogno di punti di
riferimento. Li voleva belli e chiari, ma un po'
fragili, in modo da poterli distruggere nel momento in
cui non le sarebbero più piaciuti. Se lui
bruciava veloce, lei centellinava i pezzi di legno per
ravvivare la sua fiamma. Voleva bruciare anche lei,
si, ma lentamente. Voleva essere sicura che la fiamma
non si potesse spegnere e che le riserve di legno
fossero lì, pronte per l'inverno. Voleva
assicurarsi di questo bagaglio perché si
conosceva. Bene. Sapeva che il tempo di un anno le
bastava per esaurire un'emozione ed allora si
preparava ad accoglierne delle nuove prima ancora di
aver vissuto quella appena incontrata. Era
così. Per tutto. Se entrava in un negozio per
comprare dei pantaloni, passava delle ore scegliendo
tra più modelli. I suoi gusti erano troppo ampi
per poterla guidare verso un unico e solo esemplare.
Lei cercava e guardava e provava ed esaminava ed alla
fine si stancava di quella stessa ricerca e tornava a
casa a mani vuote. Sazia di quella indigestione di
colori e forme e materiali. Era un po' così
anche nella vita di tutti i giorni. Pensare alle
possibili opzioni la stancava talmente che alla fine
non agiva.
- Partiva
per questo. Partiva per cambiare. Partiva per imparare
ad agire. Partiva per imparare a scegliere. Partiva
per imparare a bruciare come lui. Come lui o un po'
meno forse, perché il suo fuoco la spaventava.
Bruciava troppo in fretta per lei.
-
- Avevano
lo stesso passo, la stessa cadenza. Solo lui andava un
po' più veloce, ma questo non importava, il
ritmo era identico. Le avrebbe insegnato lui ad
accelerare. Le avrebbe insegnato lui a "cercare per
non trovare". Le avrebbe insegnato lui a cercarsi nel
tempo e non nello spazio.
- Amava
quel piccolo fiore, seduto accanto sé, eccitato
ed intimidito da qualsiasi cosa. Sapeva che aveva
talento e che lui poteva aiutarla a diventare quello
che lei sognava essere. Sapeva che un giorno l'avrebbe
vista danzare su di un tavolo davanti alla massa
insonnolita dei suoi vecchi amici. Sapeva che un
giorno sarebbe stata lei, resa forte dalla sua
iniziazione, a salvarlo. Voleva avere accanto a
sé qualcuno che potesse correggerlo. Lei ne era
capace. Voleva che lei si potesse arricchire delle sue
forze e detestare le sue debolezze per imparare ad
educarlo, lui che da solo non ce la faceva. Lui, orso
perso nel bosco e reso feroce dalla mancanza di
cibo.
- La
rendeva forte lui, ora e domani, cosicché un
giorno avrebbero danzato assieme, felici.
- III
-
- Quanti
anni hai?
- Otto.
- Allora
sei troppo piccola per giocare con
noi.
-
- "A
cosa pensi?"
- "Eh?"
- "A
cosa pensi?"
- "Pensavo
... ricordavo una cosa che una bambina mi ha detto
quando avevo otto anni. Volevo degli amici, eravamo in
Francia con mamma e papà ... non conoscevo
nessuno così mi sono avvicinata ad un gruppo di
bambine che giocavano assieme ed una di loro, bella e
bionda, mi ha mandata via dicendo che ero troppo
piccola per giocare con loro. Da allora ho smesso di
cercare degli amici, ho lasciato sempre che fossero
loro a trovarmi ...
- "Quella
bambina era una stronza."
- "Si
lo so. L'ho pensato anch'io a otto anni. O meglio,
devo aver pensato che quella bambina era un po'
bastarda, ecco."
- "No,
no bastarda. Stronza. Sono sicuro che in questo
momento sarà circondata da manichini ben
vestiti che sputano discorsi confezionati e si muovono
al ritmo dei loro telefoni cellulari e dei loro tacchi
a spillo. Si circonda di persone perché
è terrorizza dallo stare sola e la gente la
frequenta per il ruolo sociale che assicura e non
perché la rispetta. La sera, nel suo grande
letto, sola, pensa ai vestiti che metterà il
giorno dopo ed alle rughe che non sa come far
scomparire. Si gira e si rigira, non prende sonno. Si
alza, va in bagno, si guarda allo specchio
...
- "...
E piange."
- "Dio,
sei crudele."
- "Ma
no, è solo che lei mi ha fatta tanto piangere
ed ora voglio vendicarmi."
- E
va bene, la facciamo piangere.
- "E
piange."
- "E
piange."
-
- La
temperatura era salita durante il viaggio. Si erano
allontanati da casa e nonostante il cielo diventasse
sempre più grigio e gli alberi sempre
più spogli, la temperatura aumentava. Lui
sapeva bene cosa li attendeva. Mano a mano che
risalivano quel vecchio stivale del loro paese, la
trasformazione del paesaggio era accompagnata dal
trasformarsi di tante altre piccole cose. Dettagli che
ti cambiano la vita. I colori diventavano più
opachi. Il cielo meno blu. La pasta della pizza
più gommosa. La schiuma del cappuccino meno
soffice e spessa. Il caffè più caro.
Dettagli fondamentali. Lei presto ne avrebbe
fatto l'esperienza, e lui non voleva avvertirla.
Doveva scontrarsi con quel nuovo mondo da sola, cadere
e poi rialzarsi. Lui non l'avrebbe aiutata ma sarebbe
stato lì, accanto, a guardarla. A darle il
coraggio di rialzarsi grazie alla sua sola
presenza.
- La
temperatura era aumentata e cavallo bianco soffriva.
Il suo padrone, illuso e ceco continuava a spingere
l'acceleratore, acceso... Cavallo bianco voleva
fermarsi. Era stanco. Vecchio e stanco, non più
adatto a quel tipo di avventure. Protestò ma
lui non lo sentì. Protestò ancora ma
niente, lui non vedeva. Allora la ribellione fu
prepotente e definitiva.
- IV
-
- Del
fumo grigio usciva dal ventre di cavallo bianco. Lui
se ne accorse per primo. Lei guardava ancora dietro di
sé, al cielo che abbandonava. Poi si
girò e vide. Bisognava fermarsi.
- La
radio continuava a suonare mentre la velocità
diminuiva. Tutto sembrava mantenere in vita il buon
ronzino, le spie luminose non si accendevano, la biada
era in serbatoio, eppure il fumo continuava ad uscire.
Era come se cavallo bianco, furioso contro il suo
padrone per lo sforzo eccessivo al quale lo
sottoponeva, avesse deciso di ribellarsi liberando dei
fumi bollenti dalle narici. Gli zoccoli scalpitarono
per l'ultima volta. I polmoni smisero di respirare.
Tirò il freno a mano.
- Scese
e aprì il nero ventre della bestia sofferente.
Il male era invisibile per il gran fumo. Dopo qualche
minuto riuscì a perdersi dentro i suoi
intestini. La principessa era scesa e guardava
incuriosita. Vedeva soffrire il loro compagno
d'avventure ma non era per questo affatto preoccupata.
Sapeva che il principe si sarebbe preso cura di lui,
che non avrebbe permesso che uno stalliere qualsiasi
decretasse la morte della suo purosangue. Lo osservava
allora seguendo quei gesti miracolosi di uomo, quei
gesti che profumavano di sapere e di tradizione e di
storia. Rispettava quella sicurezza, quel conoscere
ogni particolare del suo mezzo di trasporto, quel
capire all'istante il male e la cura da operare alla
svelta. Il suo corpo di principessa la proiettava anni
luce da quella galassia fatta di grasso e fumo. Ferma
a due metri dal luogo del delitto si sentiva lontana,
come su di un'altra terra. Il chirurgo era a lavoro,
abito bianco e guanti. Lei non poteva aiutarlo. Sapeva
che lui non avrebbe chiesto il suo aiuto.
- "Puoi
tenermi la bottiglia per favore?"
- "Io?"
- "Si
tu, e chi altro?"
- "Ok
..."
-
- Lo
guardava lavorare. Le sue mani nere a tratti
sfioravano quelle bianche di lei nell'atto di prendere
la bottiglia. Del grasso toccava per la prima volta la
sua pelle. Guardandosi in quella scena, osservandosi
dall'esterno, come tra il pubblico di un teatro, si
giudicava. Per un attimo aveva visto il parcheggio
riempirsi di gente, ognuna con la propria sedia di
legno portata da casa, come per assistere ad uno
spettacolo di paese. Lei era tra il pubblico e si
godeva la scena della principessa alle prese con lo
sporco e gli odori della vita comune. Con i colori ed
i gesti del mondo vero. Si giudicava severa. Capiva
che per anni era vissuta in un castello di vetro
pulito e disinfettato. Le sue mani erano lisce e
morbide. I suoi capelli lucidi e lunghi. L'impatto con
la nuova vita che si accingeva ad inaugurare le
ricordava il mondo che lasciava e le dava segni di
quello tutto nuovo in cui muoveva i primi passi. Era
un avvertimento, lei lo sapeva. Guardava. Rideva.
Apprezzava lo spettacolo divertita. Non aveva voglia
di scappar via ...
-
- "Ehi,
ma che fai dormi? L'acqua!"
- "Scusa
..."
- Cavallo
bianco sembrava non volerne sapere di rimettersi in
marcia. La diagnosi del cavaliere era inesorabile e
precisa: niente più acqua. Bisognava farlo bere
ed in fretta, anche se questo non sarebbe bastato a
rimetterlo in sesto completamente per la lunga marcia
notturna. Bisognava curarlo appena, giusto quel poco
per poterlo riportare indietro ed affidarlo alle mani
di un esperto. I piani si sconvolgevano di ora in
ora.
- Il
pensiero di tornare in dietro le sfiorò la
mente ... ad un attimo di sconforto seguì un
sentimento di pura gioia irrefrenabile. Il cavaliere
inveiva, faceva di tutto per rimettere in sesto la sua
bestia e per arrivare dritto alla sua meta. Lei
invece, guardava cavallo bianco e lo ringraziava in
silenzio. Complici, si capivano loro due. Non erano
pronti. Avevano bisogno ancora di qualche ora prima di
lasciare per sempre la loro terra. L'idea di
ripercorrere all'indietro quella stessa strada che
poco prima credeva di abbandonare definitivamente le
riempiva il cuore di calore ed entusiasmo. Rivedere le
colline salutate con una lacrima poco prima ... era
come rivedere un amico che si credeva partito per
sempre ... quelle stesse colline sembravano ridere, il
loro colore non era più lo stesso.
-
- Rimesso
in sesto grazie a litri e litri d'acqua e ad una buona
dose di biada, cavallo bianco ripartì. Era
però ancora sotto sforzo, per questo il ritmo
di galoppo non era quello dell'andata. Innervosito e
preoccupato il cavaliere non spingeva più
l'acceleratore, ma lasciava l'animale guidarsi da solo
verso casa. Questo, sebbene stanco, non dava
più segni di cedimento ... lei sorrideva
consapevole della verità di quella malattia. In
fondo, sebbene avesse vissuto per anni nel suo mondo
facile e pulito, aveva imparato anche lei che quando
un asino non vuole muoversi non c'è nulla da
fare.
-
- Tornati
a casa inaspettatamente ma provvisoriamente passarono
la serata separati. Si diedero appuntamento per il
giorno dopo alla stessa ora per il secondo tentativo
di volo. Cavallo bianco riposava soddisfatto nella sua
stalla.
- L'atmosfera
che la accolse quella sera si rivelò strana.
Assimilato l'addio di quella mattina, digerito il
sapore degli ultimi abbracci, degli ultimi baci, degli
ultimi sguardi era strano rivedersi. Si sentivano
tutti galleggiare in una dimensione astratta, al di
là dello spazio e del tempo. Si riconoscevano
sconosciuti. La gioia del ritorno aveva fatto subito
posto alla tristezza della prossima partenza, una
tristezza ancora più difficile da sopportare
visto che era stata già difficilmente messa da
parte quella stessa mattina. L'idea di rivivere per la
seconda volta il distacco faceva male a tutti. E la
principessa quella stessa notte, nel suo letto tanto
desiderato, capiva. Capiva perché durante il
viaggio il cavaliere aveva tenuto gli occhi fissi
davanti a sé. Capiva perché gli era
sembrato insensibile alla bellezza del luogo che
lasciavano. Capiva la sua rabbia nel dover riprendere
il cammino a ritroso. Capiva.
- La
sua iniziazione era iniziata. Il viaggio verso il suo
nuovo mondo le aveva già insegnato qualcosa
prima ancora di cominciare. Aveva imparato lei, quel
giorno, che ogni partenza è un addio. E che
ogni addio diventa insopportabile se vissuto una
seconda volta. Aveva capito che il momento più
duro della acquisizione dell'indipendenza non era la
vita di tutti i giorni, vissuta sola lontana da casa.
Era invece il momento del distacco, quando le mani si
agitano in lontananza illuminate dal sole, e ti dicono
addio.
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