- La
Grotta
-
-
- Ce l'ho fatta,
pensa Paul, rabbrividendo nonostante il sudore che gli
cola dalla fronte. Fa un caldo terribile nella jungla,
tutti bardati con l'attrezzatura subacquea, la bombola
che pesa sulla schiena e le torce in mano. Hanno
dovuto abbandonare le jeep alla fine del sentiero,
l'ultimo pezzo si può percorrere solo a piedi,
attraverso il ponte sospeso di legno e corde, tutto
traballante. Il sole filtra tra le foglie in raggi
sottili, scomposti, e brilla sull'acqua verdissima di
una piccola pozza ai suoi piedi: il cenote, la meta di
un lungo viaggio.
- "Ehi, Paul, ma tu
te l'aspettavi così piccolo? Dici che ci sono
davvero le grotte lì sotto?", gli chiede Tony
perplesso.
- "Certo ragazzi che
ci sono! La pozza è solo l'imboccatura della
caverna, laggiù dove l'acqua è
più blu. L'entrata è stretta, ma dopo
vedrete che camere!", risponde l'istruttore con un
sorriso. "Adesso mettete giù la roba e
riposatevi un attimo, così vi spiego come ci
organizziamo."
- Paul, seduto sul
ciglio del fossato che ospita il laghetto, continua a
fissare l'acqua, ipnotizzato. S'immerge con le bombole
da più di quindici anni, però finora non
era mai riuscito a programmare il viaggio in Messico
per visitare i cenotes, le famose grotte sommerse
d'acqua dolce. Di racconti sulla magia di questo posto
ne ha sentiti tanti, ma, adesso che il sogno di una
vita gli si è materializzato davanti, non
riesce a ricordare più nulla. Ha solo una
voglia matta di lasciarsi cadere nel verde di
quell'acqua per vedere dove porta.
- "Paul non stai
ascoltando il briefing. Guarda che qui non c'è
da scherzare", gli sussurra Tony in un orecchio. Paul
si collega di colpo: l'istruttore sta spiegando il
percorso e come usare le lampade. Si sforza di
concentrarsi.
- "Oh, Cinzia mi ha
detto che se resto lì sotto è meglio,
vuole liberarsi di me. Che stronza! Fa così
perché l'idea della grotta la spaventa. E
Barbara come l'ha presa?" chiede Tony, nervoso e
ciarliero come suo solito, mentre fissa la torcia di
riserva al moschettone.
- "Come vuoi che
l'abbia presa? Sono anni che voglio fare
quest'immersione, è contenta per me. E poi si
fida, lo sa che non ho problemi."
- "Stiamo vicini, mi
raccomando."
- "Sì",
risponde Paul, distratto, continuando a sbirciare
l'acqua.
- "Pronti ragazzi? Al
mio segnale. Mi raccomando tenete bene tutto,
ch'è un bel salto!" urla
l'istruttore.
- L'allegro
cicaleccio della jungla viene scomposto dai tonfi
ripetuti dei sub che saltano in acqua. Paul guarda
sotto e una fitta di delusione gli toglie il respiro:
non si vede niente, è tutto tremolante come una
pellicola sfocata!
- "Tranquilli,
è l'effetto dell'aloclino: l'incontro tra
l'acqua dolce e quella salata, che è più
pesante e tende a stare sul fondo. Troveremo altri
strati come questo, ma solo per brevi tratti, dentro
è limpidissima", spiega la guida, dando voce al
disappunto generale. Paul sospira di sollievo
nell'erogatore. Tony gli stringe la mano, lui ricambia
la stretta, ma si libera un istante dopo. Non vuole
intrusioni, questo momento è solo suo. Si sente
come un re, che rientra in possesso del proprio
palazzo usurpato anni prima.
- Scendono sotto lo
strato torbido e vedono la stretta imboccatura
circolare del cunicolo, l'acqua è diventata
più fredda. Si deve passare in fila indiana,
sfiorando appena le pareti di roccia liscia. Paul
rallenta per evitare le pinneggiate scomposte di Tony,
dietro di lui l'altra guida si assicura che il gruppo
resti compatto. Il passaggio si apre su una camera
immensa, illuminata da inattesi squarci nella roccia,
che lasciano filtrare i raggi del sole. Fughe di
stalattiti e stalagmiti come guglie di una cattedrale
gotica, scintillanti di strani colori ocra, ruggine,
rosa, nella luce verdazzurra. Paul non sente
più il familiare rumore delle bolle e si
accorge che sta trattenendo il respiro. Sorride.
Lacrime salate scendono lungo le guance e restano
intrappolate sotto al naso dentro la maschera. Tony
deve essersi rilassato, perché ha smesso di
stargli incollato: è lì che si rigira
entusiasta come un bambino al parco
giochi.
- Però
c'è troppa luce, pensa Paul. Gli piacerebbe
un'illuminazione discreta, piccole candele negli
angoli, come nelle chiese... Nuota verso una nicchia e
volta le spalle al gruppo per vedere l'effetto.
Sì, il suo faro da solo, insieme al vago
chiarore che filtra da dietro, è perfetto:
lascia essere l'ocra delle rocce e le tenui venature
di colore delle stalagmiti. L'acqua è
così trasparente che sembra non
esistere.
- Il richiamo della
guida lo riporta in fila con gli altri, si cambia
camera. Attraversano una specie di corridoio buio,
quasi una navata, con la volta altissima e le pareti
strette, finché i muri si annullano di nuovo su
una camera a più piani, dove le stalattiti si
sono unite alle stalagmiti, creando uno straordinario
bosco di colonne. Ne aveva sentito parlare, la
chiamano la gabbia d'oro, perché la roccia
tende al giallo paglierino. Si muovono con cautela per
non urtare quelle strutture incredibili, come le
architetture di un tempio extraterrestre. Paul,
infastidito dal gruppo, tende a rintanarsi sempre
più negli angoli, cercando il buio, e
così lo scopre: un passaggio stretto, una
specie di budello che si attorciglia verso l'alto.
Spegne un attimo la torcia e si accorge che dal buco
proviene uno strano chiarore, quasi una magica
fluorescenza. Saranno i minerali di cui è fatta
la roccia, pensa, senza riuscire a staccare lo sguardo
dallo scintillio che man mano si affievolisce. Non sa
come, si ritrova a nuotare lentamente dentro al
passaggio. Controlla il profondimetro: sette metri,
prima erano tredici. Il budello ha smesso di salire,
va in piano per un breve tratto, poi si apre su una
camera buia, senza infiltrazioni di luce esterna. Il
fascio della torcia scopre nicchie e massi dalle forme
morbide e grasse come le sculture di Moore, di un vago
colore rosato. Paul si perde a esplorare i vari angoli
inconsapevole del tempo che passa, ma a un tratto si
rende conto che non sa da dove è entrato. Il
passaggio sembra essere stato inghiottito dalle
pareti, forse la camera è più grande di
quello che sembra. Si è rigirato tante volte da
non riconoscere più la direzione, è
stato così stupido da non fissare la sagola,
proprio come un novellino. Un panico sottile gli si
insinua dal centro dello stomaco, facendolo
rabbrividire. No, bisogna stare calmi, l'uscita deve
essere lì, e poi lo staranno cercando, presto
sentirà il richiamo. Guarda la scorta d'aria:
sì, ce n'è ancora abbastanza, per
fortuna sono solo sette metri di profondità.
S'incolla alla parete e comincia a seguirla piano,
illuminando tutte le nicchie alla ricerca dell'uscita.
Va avanti dieci minuti senza mai ripassare dallo
stesso punto, la torcia si sta affievolendo, questa
camera deve essere immensa, i brividi che partono
dallo stomaco ricominciano, sta correndo adesso, con
le unghie aggrappate alla parete come se potesse
scavarci un buco a mani nude, l'aria secca gli brucia
la gola, si accorge di essere in affanno e si ferma
rantolando fra le bolle. La torcia si spegne del
tutto. Ecco fatto: ora non c'è modo di trovare
l'uscita, si è cacciato in trappola come un
topo. Può solo sperare che lo trovino. Batte
con violenza il coltello sulla bombola, tin, tin,
tin, per almeno un minuto, poi tende le orecchie e
trattiene il fiato nello sforzo di percepire un minimo
rumore: silenzio assoluto, buio assoluto.
- Riprende a
respirare con studiata lentezza. Il tempo è
tutto: più a lungo farà durare l'aria,
maggiori saranno le possibilità che lo
ritrovino... L'idea della morte gli appare estranea,
una cosa che non lo riguarda. Non può succedere
proprio a lui, non così. Rimane immobile e si
concentra sul respiro. Lascia che l'aria entri nella
bocca e scenda lungo la trachea, centimetro dopo
centimetro, quasi fosse materia densa. Cerca di
visualizzare il cuore che rallenta, il sangue che va
in giro come un ruscelletto in pianura, senza sforzo.
I secondi si dilatano e la lancetta fosforescente
dell'orologio sembra impiegarci mille anni a fare il
giro completo del quadrante. Solo adesso si accorge
del buio. Non è denso, come appariva a
un'occhiata superficiale, ma leggero e rarefatto, si
drappeggia su molteplici sfumature, impossibili toni
di nero, improbabili chiarori. Forse sta vaneggiando,
ma gli pare che l'oscurità lo riscaldi come una
coperta, lo protegga da un'angoscia indescrivibile che
l'ha sempre accompagnato fin da bambino, e di cui solo
ora si rende conto. Perde la percezione del suo corpo
nello spazio invisibile, è così immobile
che gli pare di non esserci. Come se fosse sospeso.
Come se volasse. Come se tutto ciò che ha
gravato sulla sua esistenza fino a quel giorno si
sollevasse sopra di lui senza opprimerlo, e non gli
appartenesse più.
- Sua madre, per
esempio, il cui infinito amore gli ha sempre dato
sicurezza, da quando rischiò la vita per
salvarlo nell'incendio della casa dove viveva da
bambino, i vestiti in fiamme, lui al sicuro avvolto
nella coperta, lei a terra semi soffocata dal fumo.
Sua madre a cui avrebbe potuto chiedere qualsiasi
cosa... Tranne che di lasciarlo andare, libero. Sua
madre possessiva e gelosa, nemica giurata di tutte le
donne che ha incontrato.
- Il suo lavoro di
architetto, una missione all'inizio, quando gli
sembrava di poter esprimere nella struttura degli
edifici la forma più segreta dei suoi sogni. Il
suo lavoro di architetto, lotta quotidiana con
muratori e clienti, perché qualcosa di quei
sogni potesse infine materializzarsi a dispetto di
incomprensioni e ignoranza, a dispetto
dell'insopportabile cattivo gusto dei proprietari.
- Persino Barbara,
che lo conosce così bene, che gli legge dentro
l'ansia di andare sempre da qualche parte senza sapere
dove, quell'insoddisfazione congenita che lei ha
cercato di placare in tutti i modi, sopportando la
frustrazione di non riuscirci. Barbara, che lo ama
così tanto... O forse vuole solo possederlo
come sua madre... Barbara, che gli è sempre
sembrato di amare così tanto... Ma forse ama
solo il senso di certezza che lei riesce a dargli.
Tutto questo gli scorre davanti come un film di cui
non è neppure il regista, può sorriderne
o piangerne, ma non gli appartiene davvero. Solo la
bellezza lo riguarda del buio stratificato nelle cui
mille dimensioni si perde senza fatica.
- tin, tin, tin,
... Richiami metallici in lontananza feriscono il
silenzio, un chiarore dorato si materializza dal lato
opposto a circa cento metri da lui. Lo stanno
cercando, quella deve essere l'imboccatura del
cunicolo da cui è arrivato. Con enorme fatica,
quasi fosse paralizzato, Paul porta la mano al
coltello sullo spallaccio del jacket. Basterebbe
batterlo contro la bombola per chiamarli. Basterebbe
nuotare fino al passaggio e seguire i bagliori.
Basterebbe muoversi...
- Le luci scompaiono,
i rumori si perdono nel nulla, il chiarore dorato del
buco fosforescente si affievolisce e ritorna
l'oscurità familiare e silenziosa. L'erogatore
sta diventando duro, ormai è rimasta poca aria,
ma si può respirare ancora più adagio.
L'aria può rotolare dalla bocca alla trachea
come un pesante macigno, il cuore battere a passo di
lumaca, il sangue colare come cera. Adesso ogni
respiro dura duemila anni, la lancetta dell'orologio
si è solidificata all'inizio del suo giro e a
Paul sembra di volare fuori e dentro tutte le
cose.
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