- IL
FERITO
-
- Venne
colpito ai primi di febbraio.
- Non
era mai accaduto, prima di allora, che ci lasciassimo
un ferito alle spalle.
- Niente,
prima di quel giorno, ci aveva impedito di fermare la
nostra ritirata e correre in soccorso di un nostro
compagno.
- Tra
le nevi spumose e la nebbia fitta di cristalli
ghiacciati e taglienti, subimmo la sconfitta
più lacerante, quella che brucia dentro come
sale sulle carni vive e che si alimenta di vittime
innocenti, di quell'angosciante senso d'impotenza che
segue all'abbandono.
-
- Stavamo
arroccati e nascosti sulla pendice del monte da quasi
due anni. Ventuno lunghi e freddi mesi passati in
quota, sempre nello stesso punto a difendere il passo
nella medesima, favorevole posizione. Conoscevamo a
memoria la disposizione dei sassi e il repentino
cambiar di direzione del vento, ci riusciva di
prevedere temporali a distanza di molte ore con
precisione da oracolo e ci riposavamo al sole cocente
del primo pomeriggio.
- Una
sottile abitudine si era impadronita di noi: vivevamo
nell'illusione di una pacata normalità, di
un'effimera sensazione di casa e di tepore
umano.
- Non
più letti soffici ma sacchi a pelo verdi e
consumati, niente scarpe di vernice per il giorno
della festa ma solo scarponi ammorbiditi a forza di
cammino, coi lacci sfibrati e i rivetti
saltati.
- Per
noi non c'erano piatti di ceramica resi eleganti da
miniature di nature morte ma gavette sbiadite e posate
storte.
- Tutto
questo non ci pesava.
- Ci
bastava la tranquillità di stare fuori dalle
grandi manovre, di fare il nostro dovere nei posti che
fin da piccoli avevamo imparato a conoscere ed amare.
In fin dei conti difendevamo sul serio la "nostra
terra" da quelli che ci avevano additato come nemici e
non avremmo osato chiedere di più.
- E
lui era con noi.
- Era
stato al nostro fianco fin dal momento in cui
piantammo la prima tenda dell'accampamento e durante
qualsiasi scaramuccia col nemico.
- Fiero,
orgoglioso ed impassibile.
- Era
con noi nelle serate annegate dal "vin brulè"
scaldato nella marmitta più grossa e seguiva
placido i nostri canti sguaiati, ora malinconici ed
innamorati, ora goliardici ed insensati.
- Saggio,
paziente e rubicondo nel riflesso dei
falò.
- Ci
teneva compagnia mentre, accanto al fuoco, ci si
ritrovava immancabilmente a parlare del nostro
passato, di giorni che sembravano lontani quanto la
luna ma che, in realtà, stavano appena dietro
l'angolo del tempo. E raccontavamo delle nostre
piccole vite, tra un cordiale e una battuta davamo
vita a sfumature di cose banali che solo eventi
eccezionali come la guerra sanno mettere in
risalto.
- Le
storie di casa si trasformavano in dolci favole e le
fanfaronate in una simpatica alternativa alla
verità.
- I
nostri destini stavano quasi totalmente nelle mani di
altri ma, quei momenti, quel senso di convivenza
quotidiana, erano di nostra irrinunciabile
proprietà.
- Nei
piani dei generali eravamo un manipolo di pedine
sacrificabili piazzate a difendere un passo montano di
sottovalutabile rilevanza strategica, sul campo
eravamo un gruppo di amici insostituibili impegnati a
difendere un angolo di paradiso nascosto tra i fianchi
di una montagna.
- Sempre
con lui al nostro fianco.
- Molti
di noi gli si rivolgevano nei momenti di sconforto,
per trovare una motivazione che non fosse un ideale
altrui, una teoria vacillante.
- I
conflitti passano, il loro ricordo diventa mangime per
i libri di storia e becchime per i saccenti che alzano
la voce nei comizi di piazza per ingraziarsi la
folla.
- La
guerra, ogni guerra, è un atto d'odio verso
l'umanità.
- Come
si può calcolare a tavolino l'innocenza delle
persone? Come prevedere chi pagherà lo scotto
delle battaglie?
- Mentre
sentivamo passare i bombardieri degli "alleati",
continuavamo a mantenere le nostre
postazioni.
- Forse
senza saperne nemmeno il perché, forse per
saldare un debito ancestrale con la magia di quei
posti solo sfiorati dall'ingordigia della
civiltà.
- Eravamo
guardie e lo restammo per ventuno mesi. Quanti di noi,
dopo, avrebbero saputo fare altro?
- Germano
sparava sempre ad occhi chiusi per non vedere se
colpiva qualcuno.
- Diceva
che, così, si sentiva in pace con
Dio.
- Pietro
usava nascondersi dietro un grosso masso e continuava
a tremare per ogni colpo che udiva.
- Nessuno
trovò mai il coraggio di
rimproverarlo.
- Italo
si infilava nel sacco a pelo solo dopo diversi
bicchieri di grappa e vino.
- Per
scacciare gli incubi e nient'altro,
sottolineava.
- Sentinelle
dell'esercito o semplicemente uomini strappati al
sogno ingenuo di un futuro qualunque e buttati tra le
nevi perenni con un fucile a tracolla?
- Ci
svegliavamo affamati di certezze, di cose che non
passano.
- Lui,
invece, non aveva mai mostrato debolezze o segni di
cedimento.
- Era
diventato, col passare dei mesi, il nostro simbolo, la
nostra campanilistica bandiera.
- Da
lui imparammo a trarre conforto e calore dalla
bellezza che ci circondava, ad ascoltare il sommesso
canto delle fronde e degli esili ruscelli d'alta
quota, ad interpretare i cinguettii ed i silenzi
irreali.
- Ma
arrivò quel giorno di febbraio a spezzare il
delicato equilibrio di una realtà sfocata. In
fondo, sapevamo che la nostra vellutata
tranquillità non sarebbe potuta durare ancora a
lungo e così, infatti, fu.
- Presero
la nostra postazione, veloci come un lampo e
improvvisi come il boato di un tuono.
- Accompagnati
da ordini lanciati gridando e da rimbombare di
esplosioni.
- Le
pallottole cieche di Germano, la tempra alcolica di
Italo e il coraggio di tutti gli altri non servirono
che a rimandare di pochi attimi la nostra fuga e a far
sì che l'unico colpito fosse proprio
lui.
- Restammo
impietriti nel vedere il colpo di mortaio schiantarsi
a pochi metri dalla sua imponente figura.
- Lo
sconforto ci paralizzò le gambe per alcuni
eterni secondi mentre le schegge di corteccia scura
piroettavano in ogni direzione, come vive ma
impazzite.
- Gli
aghi smeraldo formarono una piccola e fitta nuvola che
tramutò quasi immediatamente in pioggia
andandosi a conficcare nel tappeto bianco ai suoi
piedi.
- Il
vecchio e gigantesco abete rosso manteneva stoicamente
il suo posto, col tronco lacero su un fianco che
mostrava il chiaro del legno vivo e troppi rami
spogliati dal calore e dallo spostamento
d'aria.
- Restò
in piedi, a fronteggiare il nemico inconsapevole ed
irrispettoso della sua presenza.
- E
noi fuggivamo, costretti a lasciare indietro
quell'albero maestoso che ci aveva fatto da tetto per
la pioggia e da scudo per il sole.
- Ai
nostri occhi, era come se lo avessero fatto
prigioniero senza che noi potessimo
difenderlo.
-
- Siamo
tornati a riprenderlo.
- A
distanza di anni, coi nostri maglioni di lana buona e
con scarponcini finalmente adatti ai nostri piedi
martoriati.
- Portarlo
con noi è impossibile ma, il solo fatto di
essere tornati a rivederlo, equivale alla nostra
più alta onorificenza e a dimostrare che, in
fondo, non l'abbiamo abbandonato.
- Non
siamo più le sentinelle di nessuno e lui non
è più prigioniero di nessun nemico, ma
glielo dovevamo.
- Il
suo tronco contorto e ricresciuto ci ricorda il
passato e ravviva gli spigoli ormai ammorbiditi di
ricordi a colori soffusi.
- Non
ci eravamo mai lasciati un ferito alle spalle prima di
quel gelido febbraio e abbiamo voluto perpetuare il
nostro giuramento anche nei suoi
confronti.
- Perché
lo consideriamo un sopravvissuto, uno di
noi.
- E
perché ci svegliamo ancora affamati di cose che
non passano.
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