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               LA
               COSCIENZA DEI TRONCHI NODOSI Solo
               quando ci guarderemo indietro e riusciremo a sorridere
               senza amarezza potremo dormire il sonno
               giusto.Andrea
               ne era convinto ormai da anni ma l'aver trovato le
               parole che definivano il suo stato gli dava una certa
               soddisfazione.Amava
               le parole, ci si perdeva per costruire le sue
               convinzioni, altre non riusciva a crearsene, quelle
               che l'avrebbero fatto vivere sul serio, le boe cui
               aggrapparsi per non affogare. Così, anche
               constatare di aver pensato la parola definire l'aveva
               perso, definire, rendere definitivo, il suo stato
               allora era definitivo, senza oltre, senza spazio al di
               là. Ancora si convinse che l'unica via era
               tenersi stretta la disperazione come unica speranza, e
               rise dell'ossimoro, almeno rise.Il
               momento in cui Andrea rideva era di tanti anni fa, lo
               sappiamo, ma solo adesso ne possiamo parlare,
               c'è un momento giusto, così giusto da
               essere necessario, per dire, non solo parlare, dire,
               soltanto adesso possiamo raccontare quel pomeriggio
               che Andrea rise, di lacrime non aveva più.
               Il
               venti maggio del 1979 Andrea uscì di casa
               subito dopo il pranzo, sicuro, e bello. La pelle calda
               di tutte le primavere, l'anima calda dell'amore,
               già non ricordava le notti della paura, le
               notti del dolore, già dimenticava la tristezza,
               se mai si dimentica, no, non per sempre.Andrea
               andava da Alessandra, è bello, si diceva, il
               pomeriggio di maggio, è bello, si diceva, il
               sangue buono che scorre adesso nel cuore cervello
               spirito o chissà altro, niente parole,
               oggi.Si
               incontrarono alla fine del sentiero che tagliava i
               campi dalla strada al lago. Gli ulivi non erano tristi
               quel pomeriggio di maggio, solo pensosi, e Andrea ,
               adesso possiamo dirlo, adesso è il momento,
               Andrea avrebbe dovuto chiedersi perché, magari
               chiederlo a loro, parli ad un ulivo e ti risponde chi
               hai dentro, sicuro. Avrebbe dovuto, peccato che la
               vita sia fatta di indicativi, il condizionale è
               di altre realtà.Si
               volle, da più parti, tutti i casi e tutte le
               fortune decisero, si volle l'odore di un pomeriggio di
               maggio perso nella campagna per distrarre Andrea. Si
               scelse, da più parti, i buoni e i cattivi
               decisero, il sole arancione, il cielo, proprio come
               deve essere, celeste, la collina doveva stingere la
               terra scura nel verde del lago, senza dire del
               canneto, che canta coi suoi pennacchi mossi dal vento
               del venti maggio 1979.Alessandra
               era già là, sdraiata, ma lei sembrava un
               po' sospesa, non siamo tutti uguali, le parole sono
               meno dei nostri pensieri, lei era sospesa, ecco, sulla
               breve lingua d'erba tra il grano e le canne, era suo
               quel verde, lo diceva sempre, quasi
               preoccupata.Non
               sorrideva, Andrea già piangeva, perché
               lei non sorrideva, il sangue era denso adesso, non
               sapeva scorrere, mani e piedi freddi, freddo nei
               pensieri.Adesso
               possiamo dirlo,  possiamo raccontare la pena. Adesso
               è il momento necessario, di parlare del dolore
               che vinse, dei sogni malati che decisero che quella
               sarebbe stata la vita di Andrea.Alessandra
               parlava, se mai fosse veramente lei, che voce era
               quella, cos'era quella serietà, non così
               avevano promesso, non così l'aspettava tutti i
               giorni.Alessandra
               parlava, di cosa, non capiva.Pochi
               minuti e Andrea aveva già smesso di ascoltarla.
               Si sentiva spettatore di un altro se stesso che
               rifletteva, si osservava e gli arrivavano le parole di
               Alessandra, senza distoglierlo.Si
               immaginò su una poltrona a teatro, sulla scena,
               ancora lui, recitava la sua parte, non sapeva dare
               spessore, dicevano voci critiche esterne, ma lui
               sapeva che spessore c'era in quel sogno di vita, lui
               che pensava di saper essere solo naturale, sì,
               naturale, come se fosse naturale allontanarsi
               così dalla vita che credeva giusta per
               sé.Alessandra
               parlava, di cosa, non capiva, e Andrea si
               incamminò. No, non se ne andò, non
               sapeva lasciare Alessandra sola sull'erba, ma sapeva
               nascondersi, se non ai suoi occhi, alla vista di occhi
               d'anima, quelli che vedono i desideri, i desideri di
               Alessandra ora non sapevano e Andrea si
               incamminò lungo la sua strada, quella del suo
               sangue, la sola che gli permettesse di sperare in una
               salvezza.Lungo
               la strada incontrò presto Urbani.Tipico,
               Urbani. Non gli riuscì di trovare altre parole
               per descriverlo.Era
               un pescatore, doveva essere un po' basso, tarchiato,
               era un pescatore, doveva essere abbronzato, non poteva
               non avere la pelle provata dal sole e dal sale, sono
               poche le vocali per continuare il gioco, sono pochi i
               minuti per rimediare al danno di un silenzio, pochi
               gli anni per fuggire.Urbani
               era un simbolo. Ci perdoni l'uomo, diamo sempre un
               senso ad un uomo e dimentichiamo che l'unico
               significato è quello di essere, il resto
               è arbitrio, decisione di chi guarda, di chi
               scrive, cosa pensa l'uomo che guardiamo, cosa pensava
               Urbani che sorrideva come sa sorridere un pescatore,
               che sorrideva come solo un bambino sa vedere un
               sorriso, cosa pensava, chi scrive e guarda non
               può saperlo, ma adesso possiamo parlarne,
               adesso è il momento di raccontare il maggio di
               Andrea, no, non era francese, ma le disgrazie ci
               furono, adesso possiamo dirlo. Simbolo di un periodo
               della sua vita, di molte delle radici della sua vita,
               Urbani lo incontrò per strada, gli sorrideva
               come aveva fatto sempre, e nella luce buona dei suoi
               occhi si abbandonò per un attimo al calore di
               quegli anni. Era
               di mattina presto, forse luglio; quelle mattine in cui
               una voce non ci sveglia, ci porta solo in un altro
               sogno; quelle mattine in cui il futuro prossimo, di
               più, imminente, è l'unica vita che
               conosciamo e la pienezza di questa coscienza basta ad
               aver fede.Dieci
               anni, il mare, quello stesso mare che sempre aveva
               guardato ma nel quale non era ancora entrato; la
               barca, le nasse, gli oggetti che lo avevano riempito
               in ore, giorni di curiosità, timidezza di
               sapere e amore.Oggetti
               che erano, in quel momento, da usare, senza
               perché, senza domande.Non
               trovava immagini nette di quella mattina; solo le
               suggestioni di una atmosfera sopravvivono al tempo,
               viziate.Ma
               la strada era lunga, si rialzò. Già
               stanco.Alessandra
               parlava. Parlava sempre, sempre, quando anche il mai
               è troppo, e lei sempre.Anche
               il sole se ne vergognava e cominciò a scivolare
               via, facile dire che stesse tramontando, no, il venti
               maggio del 1979 il sole ebbe paura e scivolò
               via. Quando
               il giallo scurisce e si fonde nel nero delle ombre
               lunghe, quando si gira lo sguardo e ci si accorge che
               l'acqua del lago è fredda, si riconosce l'acqua
               fredda, quando cerchiamo un corpo per scaldarci, non
               per sudare ancora, è ora, di lasciare, di
               fuggire, di tacere, l'ultima parola è quella
               che vale, stiamo attenti all'ultima, non c'è
               ritorno, è ora di andare a casa, la cena
               è pronta, sarebbe meglio rimandare, sarebbe
               meglio inventare un finale tutto nostro, sarebbe
               meglio, ma non c'è mai un condizionale a
               disposizione, quelli stanno in altri mondi, in questo
               si vive di indicativi, Andrea non fuggì,
               Alessandra continuò a parlare. Adesso possiamo
               dirlo, adesso; ci vogliono anni per dire che il sole
               fugge.Si
               sistemò meglio sull'erba, come si fa ad essere
               tragici se si sta scomodi, tragico, chissà mai
               perché gli venne in mente, stava solo
               passeggiando, Alessandra parlava, Andrea si era
               perso.Salutato
               da poco Urbani, in fondo era morto, appunto, si
               potrebbe dire, i morti ce li abbiamo dentro, ma gli
               riuscì di salutarlo, quando si accorse di non
               riconoscere la strada.Da
               più parti si volle, decisero il caso e la
               disperazione, tutti i venti portarono Andrea,
               ché il pensiero è Andrea, nel
               sogno.Ancora
               una volta smarrì la strada del ragionamento,
               del ricordo, almeno, il ricordo a volte non è
               invenzione pura, è stato vero, un tempo,
               è credibile, a volte; ma smarrì anche
               quello, solo Urbani aveva resistito, ma non c'era
               più, ora, ancora più morto, la biologia
               non conta nella vita, i fantasmi si ripresentarono,
               forti, Andrea sentì freddo, si strinse a se
               stesso, le ombre non erano più lunghe, non ne
               avevano bisogno, c'era una sola ombra, e da quella si
               arrampicava la voce di Alessandra, Alessandra parlava,
               da un'ora ormai parlava, Andrea si scosse, un attimo,
               ma insomma, sognò, cosa sta dicendo da
               un'ora.Stava
               appunto pensando di interromperla, voleva capire,
               adesso possiamo dirlo, siamo testimoni che Andrea
               voleva capire. Ma da più parti, gli ottoni di
               Mesecina e le lacrime decisero, da più parti si
               volle il ritorno della musica per perderlo
               ancora.Prima
               che la musica gli rubasse il respiro riuscì a
               cogliere qualche parola, stanchezza, appiattimento,
               libertà. Peccato che fosse già buio,
               peccato che l'unica luce fosse quella, sdegnosa, di
               mezza luna, tutta sarebbe stata troppo bella.
               Sarebbero bastate due ore, due ore prima avrebbe
               potuto guardare Alessandra che si lasciava sfuggire
               quelle parole, se mai fosse veramente lei, che voce
               era quella, cos'era quella serietà, non
               così avevano promesso, non così
               l'aspettava tutti i giorni. Due ore prima, con la
               luce, forse avrebbe potuto rispondere.Ma
               era buio ormai, la voce gli arrivava da luoghi che non
               conosceva, gli ulivi nascosti non potevano aiutarlo,
               non poteva riprendere fiato nell'acqua verde, non
               distingueva i pennacchi; le parole che lo colpirono le
               sentiva appartenenti al buio, come rispondere al nero
               della campagna di maggio, come rispondere ai suoni di
               un canneto già invecchiato, la biologia non
               conta nella vita, nascita e morte sono solo di chi
               scrive, di chi guarda, di Andrea che nel buio sentiva
               Alessandra parlare di una nuova vita, senza di lui,
               chissà chi decise, chissà chi ci si
               agita dentro per farci dire addio, a noi stessi, in
               fondo, chissà a che disgrazie andremo incontro,
               e disgrazie ci furono.I
               rovi, le more ancora verdi, si mossero, rumorosi. O
               forse no, il rumore fu lieve ma gli uomini sono sempre
               pronti a tremare, un'emozione ci fa sentire vivi,
               quando non ne siamo capaci ce la inventiamo, si vive
               aggrappati ai condizionali, e ai rumori di una notte
               sbagliata, saremmo dovuti fuggire prima, quando le
               ombre erano corte, e la cena calda, le nonne sanno
               quando deve essere pronta la cena, le nonne sanno
               tutto, siamo noi che non conosciamo le nonne, siamo
               noi distratti, siamo noi, vittime delle vocali,
               distrutti.I
               rovi si mossero, rumorosi, ormai ci crediamo,
               Alessandra ebbe un fremito, è il freddo, disse,
               Andrea sorrise che già piangeva, adesso
               possiamo dirlo, adesso è il momento di
               raccontare di quella volta che Andrea sorrise, con
               tutta l'amarezza dei ricordi, e abbracciò
               Alessandra, rigida, abbracciò Andrea, morto, e
               diede un'ultima occhiata al di là del buio,
               sulla strada su cui si era perduto poco prima, e
               abbracciò Urbani.Sapeva
               di sale, e di sole, sapeva di mare, sorrideva come
               solo lui sapeva, e Andrea sentì la ferita  di
               tutte le assenze, sentì la pena di tutte le
               parole non dette, sentì l'amore struggente e
               lacerante per le anime incontrate che gli scivolavano
               tra le dita.Non
               avendo altro abbracciò Urbani, e lo strinse
               forte per paura di perderlo, Urbani, l'uomo, non il
               simbolo.Il
               venti maggio del 1979 la campagna entrò negli
               occhi di Andrea, la biologia, che pure, l'abbiamo
               detto, non conta, si prese la sua rivincita. Adesso
               possiamo dirlo. Ci vuole un pomeriggio, tardo
               pomeriggio, possibilmente di ottobre, proprio come
               adesso, ci vogliono foglie rosse, il sangue deve pure
               poter uscire, si stanca di scavarci dentro, foglie per
               farlo riposare, foglie rosse. Ci vuole, allora, un
               pomeriggio di ottobre, ci vogliono anni per svezzare
               il ricordo. Adesso la memoria è libera, siamo
               noi figli della memoria, come figlie nostre sono le
               nonne, che sanno tutto, se solo sapessero come
               parlarci, prima, prima che la cena si freddi, non
               quando sono morte.Sono
               passati ventiquattro anni.I
               bambini nati allora hanno avuto il tempo di stancarsi,
               gli sposi di allora hanno avuto il tempo di ferirsi, i
               vecchi di dimenticarsi, i cani di morire.Oggi
               è il quattordici di ottobre, abbiamo
               controllato il colore delle foglie, abbiamo
               controllato con cura l'intensità della
               penombra, sì, è tardo pomeriggio. E'
               giusto, allora, adesso è il momento. E Dio oggi
               non si arrabbierà. Oggi no, oggi nessun dio si
               offenderà se racconteremo l'intimità di
               un'anima. Se possiamo addormentarci all'ombra di un
               ulivo per respirare la coscienza di tronchi
               sofferenti, se possiamo mangiare l'arancione dei cachi
               per pulirci la bocca dagli incubi della terra nera e
               grassa, allora possiamo anche raccontare la morte, o
               almeno una morte, dell'anima di Andrea, non la rubiamo
               a Dio, ce ne prenderemo cura per un po', tanto alla
               fine chissà dove andrà, alla fine non
               pensiamoci ora, un qualche dio ci avvertirà del
               momento, magari bisognerà anche
               ringraziarlo.Alessandra
               restava ferma, si lasciava abbracciare e anche se
               voleva solo che Andrea se ne andasse non riusciva a
               staccarlo, il corpo non rispondeva, il corpo sa
               decidere, c'è il sangue nel corpo,
               chissà che non sia proprio il corpo
               l'anima.Ci
               fu un momento, un solo lunghissimo momento in cui la
               campagna, Andrea questo vide, tutta la campagna
               divenne la sua vita. Tutto quello che lo circondava,
               quanto è grande la campagna a maggio, quanto
               è forte la campagna nella notte del venti
               maggio millenovecentosettantanove, tutta la vita che
               gli respirava attorno, respiro da nonna che dorme,
               divenne la sua vita. E
               Andrea ebbe la sventura di rivedere tutta la sua
               vita.Un
               attimo dopo dovette decidere. Poco tempo, il respiro
               cominciava a svanire, poco tempo già morente
               per scegliere tra la realtà e la
               pazzia.Seppe
               scegliere la realtà, o forse la pazzia lo
               spaventò, e abbandonò
               l'abbraccio.Alessandra
               ebbe un brivido di nuovo, è il freddo disse, ma
               noi sappiamo che tremò per scrollarsi di dosso
               il sollievo macchiato di stupore e
               nostalgia.Si
               guardarono a lungo, e non aveva più senso.
               Adesso, con un po' di vergogna, possiamo dirlo. Gli
               occhi, è vero, si incrociavano ma non trovavano
               più le anime. Non è vero che la biologia
               non conta, abbiamo mentito, l'abbiamo fatto tante
               volte, la biologia è forte, si guardavano solo
               per una propensione dei nervi, non si vedevano, in una
               notte di maggio se non guardi il cuore di qualcuno non
               vedi nulla, Andrea e Alessandra non c'erano più
               l'uno all'altra. Andrea
               si alzò faticosamente, addosso tutta la
               stanchezza della strada di sogni che aveva percorso,
               la stanchezza della voce che gli entrava dentro senza
               senso, la fatica di parlare con Urbani. In quel
               momento, niente è più inopportuno della
               memoria, peggio se confusa, gli venne in mente la
               malattia di Urbani.Venire
               in mente, ancora si distrasse con le parole, è
               vero, non siamo noi che ricordiamo, è il
               passato che viene, il passato che ha vita propria, il
               passato di cui ognuno di noi è figliol prodigo,
               il passato che si addormenta tra le rughe delle nonne,
               ma dorme con un occhio solo.La
               malattia di Urbani era stata solo una notizia, una
               notizia inutile, Urbani era già morto,
               chissà se ha ringraziato. Ma Andrea era
               piccolo, aveva sognato troppi pochi anni per vedere le
               immagini che sentiva raccontarsi, non vide più
               Urbani.Ora
               però non vedeva Alessandra e immaginò la
               malattia. Immaginò il pescatore a letto, il
               cancro al cervello, dicevamo che la biologia non
               conta, abbiamo mentito, l'abbiamo fatto tante volte.
               Vide il sorrise dell'uomo che si spegneva, no, non
               può andare così, vide l'uomo che si
               spegneva, il sorriso non poteva morire, il sorriso
               resta, il sorriso che fa vedere i denti, il sorriso
               morde per sempre.Andrea
               rifiutò la seduzione della pazzia, Andrea
               scelse la lucidità, la
               realtà.Adesso
               possiamo dirlo. Adesso siamo liberi, possiamo
               raccontare di quando, da più parti si volle,
               forse gli ulivi, o i cachi, decisero che Andrea
               scegliesse la lucidità.Accarezzò
               la bocca di Alessandra, aperta, paura e meraviglia
               fanno aprire la bocca e chiudono la gola, illudono e
               imprigionano le parole, e chi dice che la biologia non
               conta, accarezzò gli occhi di Alessandra, occhi
               costretti a chiudersi, occhi d'anima che s'arrende
               perché ha già vinto.Poi
               la lucidità si annebbiò di
               curiosità, di che colore sarà l'anima
               che vola via, rossa di disperazione, blu di
               incoscienza, verde di fedele speranza?Chissà
               se Alessandra ringrazierà, quale dio
               ringrazierà per averla avvertita del
               momento.Curiosità
               di bambino, imbarazzante, o da piccolo uomo
               disgraziato. E disgrazie ci furono.Avrebbe
               dovuto chiedersi Andrea perché gli ulivi
               fossero pensosi. Avrebbe dovuto mangiare l'oliva
               acerba e correre via, a sputare l'anima amara di chi
               non è ancora pronto per noi, a sputare il
               destino di sventura. Gli andò incontro invece,
               non lo riconobbe mascherato da pennacchio di canna,
               corse da Alessandra, non seppe più parlare e,
               finalmente, scelse la realtà, inorridito dalla
               violenza della follia, scelse la
               lucidità.Nella
               sua realtà sapeva che Alessandra stava male,
               aveva assorbito il suo dolore, e sapeva come salvarla
               dalla malattia. Non c'era altro rimedio, nella sua
               realtà, non c'era soluzione diversa, nella sua
               lucidità, che uccidere il dolore.E'
               un peccato, questo pensò, adesso possiamo
               dirlo, ventiquattro anni ci hanno resi liberi, a volte
               ci hanno ucciso, ma la biologia non conta, perdonateci
               ancora. E' un peccato che il dolore sia lo spirito del
               corpo, è un vero peccato che non si possa
               uccidere la disperazione e salvare il corpo, questo
               pensò.Scostò
               le mani dagli occhi di Alessandra e le fece scivolare
               sul collo. Sorrise, anche, ed era il sorriso del dio
               che avverte del momento. Chissà se Alessandra
               ha ringraziato.Oggi
               è il quattordici ottobre; abbiamo raccontato il
               pomeriggio che Andrea rise, ché di lacrime non
               ne aveva più. Chissà
               poi perché l'abbiamo fatto, a cosa serve oggi
               il funerale di un'anima morta ventiquattr'anni fa, a
               cosa serve a chi scrive, e a chi legge, sapere che
               Andrea scelse la lucidità. Forse
               l'abbiamo fatto per Andrea, che oggi è tornato
               a guardare i pennacchi, è tornato a cercare
               Urbani nel verde di uno stagno; per spiegargli che le
               nonne sanno tutto, e la cena calda è
               amore.Forse
               l'abbiamo fatto perché Andrea ha perso la
               ragione, ora, e la cerca tra le crepe della nostra
               corteccia.Forse
               l'abbiamo fatto per ricordargli che si sarebbe dovuto
               chiedere perché eravamo pensosi quel pomeriggio
               del venti maggio 1979.  |