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               LA
               BALLERINA Era
               una coda interminabile, io ero tra le ultime. La coda
               si affacciava in un'enorme sala d'attesa, dove mi
               ritrovai ad aspettare con ansia, insieme ad almeno
               altre cento ragazze, che quella porticina, là
               in fondo alla sala, si aprisse. Oltre quella porta ci
               sarebbe stato il mio tanto agognato futuro. Era il
               provino per ottenere un posto come ballerina al corpo
               di ballo della scala. C'era una distesa di tutù
               rosa, di bianche e striminzite gambette che
               ondeggiavano nervose in rigoroso silenzio. Quante
               volte guardai quelle buffe scarpette di raso rosa, con
               quella ridicola bombatura delle punte. Le mie erano
               rovinate da anni e anni di studio. Anni e anni di
               pianti, di cadute, di storte alle caviglie. L'emozione
               era tale che sentivo il battito del mio cuore
               provenire direttamente dalla gola, avevo le mani
               sudate e non riuscivo a star ferma. Ripassavo
               mentalmente il pezzo che avevo preparato, due passi a
               sinistra, volteggio in aria, un salto carpiato, una
               lieve passeggiata sulle punte. Ogni volta che la porta
               si spalancava il mio cuore trasaliva, tornando quasi
               alla sua originaria posizione solo dopo che la porta
               veniva richiusa. Allora tutte ci guardavamo. I nostri
               occhi erano pieni di speranza, i nostri volti pallidi
               e tirati. Come i nostri corpi. Tanti piccoli
               fantasmini di pelle e nervi. Nessuna di noi parlava,
               in fondo eravamo tutte nemiche. Chiunque di noi
               avrebbe potuto sottrarre il posto alle altre. La
               tensione era tale che ogni volta che qualcuna usciva
               nessuna di noi osava chiederle come fosse andata. A
               volte non sarebbe stato comunque necessario, in quanto
               molte fanciulle uscivano correndo e le loro mani
               reggevano lacrime di sconfitta. Allora i nostri volti
               si contraevano in smorfie di dolore. Qualcuna alzava
               gli occhi al cielo, altre pregavano. Io pensavo a mia
               nonna, fu lei ad incoraggiarmi. Ricorderò
               sempre la sua voce che con dolcezza mi esortava a non
               arrendermi. "La vita di una ballerina è dura"
               mi disse una volta "ma l'applauso dopo il balletto
               è una ricompensa talmente grande che non ti
               resta addosso neanche il minimo segno della fatica".
               Mia nonna era stata una ballerina, era l'unica in
               famiglia che poteva veramente capirmi. Per quello ero
               sola al provino. Mia madre non era con me.Attesi
               per ore, ormai il trucco mi si era praticamente
               sciolto. I capelli che avevo raccolto con tanta cura
               alla mattina ormai avevano preso un'altra forma.
               Finalmente la porticina si aprì per me. Quando
               sentii il mio nome scattai subito in piedi e mi
               diressi quasi correndo verso la persona che aveva
               pronunciato il mio nome. "Calma" mi disse la signora
               "risparmia le fatiche per dopo". Il suo tono era
               autorevole ma il sorriso che ne seguì era
               confortante. Entrai in un salone immenso, almeno
               così mi parve. Il legno del parquet era scuro e
               tirato a lucido, tre lati della sala erano
               completamente ricoperti di specchi. Vidi la mia
               immagine riflessa decine di volte e mi agitai. Una
               voce mi ricondusse alla realtà "Da questa parte
               signorina". Mi voltai. Dietro ad un lungo tavolo pieno
               di fogli e di bottiglie d'acqua, erano sedute delle
               signore piuttosto anziane. Avevano anche loro il volto
               di chi aveva provato, molti anni prima, la mia stessa
               tensione. Per ultimo c'era un uomo, teneva un sigaro
               spento tra i denti. Mi fissavano tutti quanti. Una di
               loro prese la parola. Mi fece una breve introduzione,
               ero così agitata che non capii nulla di quello
               che mi disse. Riconobbi solo le parole che mi
               chiedevano che pezzo avessi portato. Con la voce un
               po' rauca risposi. Mi fece cenno con le sue mani
               affusolate, quasi completamente rivestite di gioielli,
               di accomodarmi al centro della sala e di dare il via
               alla pianista non appena mi fossi sentita pronta a
               cominciare. Cominciai. All'inizio sentivo le mie gambe
               pesanti, come se la forza di gravità si fosse
               triplicata. Poi la musica mi rapì. Non ero
               più lì. Mi trovavo in volo e potevo
               toccare le nuvole, sentire la carezza del vento.
               Potevo planare e la leggerezza del volo mi permetteva
               di muovere tutto il mio corpo in armonia. Sorvolavo
               città, fiumi, montagne. Non volevo più
               tornare giù. Ma dovevo tornare. Così
               finii il mio pezzo atterrando nella realtà.
               Feci un inchino e attesi un loro cenno. Rimasero in un
               silenzio che mi mozzò il fiato. Poi una disse
               "Bene, bene signorina". Mi ricomposi e potei
               così scorgere i loro volti. Si guardavano l'un
               l'altro annuendo. "Le faremo sapere qualcosa entro due
               settimane". Tentai di chiedere qualcosa, ma mi
               interruppero. "Può accomodarsi, prego". Uscii
               dalla stanza con attaccate alla gola tutte le domande.
               Come sono andata, vi sono piaciuta, ho qualche
               speranza?Tornai
               nella sala d'attesa. Un'altra ragazza venne
               inghiottita dalla porta da cui uscivo. Ritrovai le mie
               cose. Mi cambiai e uscii dal palazzo. Fuori pioveva.
               Guardai la scalinata che mi separava dalla strada. Mi
               sembrava interminabile. Ero spossata. Raggiunsi casa
               lentamente. Come se tutto ad un tratto fossi in una
               pellicola girata al rallentatore. I piedi ancorati
               all'asfalto, sembravano sprofondarvi ad ogni passo.
               Quando richiusi alle mie spalle la porta di casa, mia
               madre mi fissò ma non pronunciò parola.
               Lei disapprovava il mio desiderio di fare la
               ballerina. Voleva che io studiassi per diventare
               medico, come papà. Io chinai il capo e
               sussurrai: "Sì mammina, è andato bene.
               Sento che mi chiameranno". Mi misi sul letto.
               Appoggiata sui gomiti guardavo fuori dalla finestra.
               Pioveva ancora. Trascorse
               una settimana. I miei genitori partirono per un
               viaggio fuori stagione. Oramai ero grande e potevo
               stare da sola. Avevo già sedici anni. Non
               accolsi il fatto che mi lasciassero per la prima volta
               da sola né con gioia né con
               risentimento. Mi era del tutto indifferente, com'era
               indifferente ciò che mi trasmettevano anche
               quando loro erano presenti. Passai la maggior parte
               del mio tempo tra esercizi in palestra, la scuola e il
               letto della mia cameretta. Fuori la pioggia non dava
               tregua agli automobilisti, il traffico era
               perenne.Immersa
               nei miei pensieri, sognavo la telefonata, la conferma
               e il mio primo ballo alla scala. Sognavo gli
               ammiratori che mi lanciavano rose sul palco, che mi
               mandavano mazzi profumatissimi di fiori nel
               camerino.Tra
               i miei pensieri si fece spazio un rumore consueto, era
               lo squillo del telefono. Solitamente era mamma a
               rispondere, per cui lasciai squillare attendendo la
               sua voce che mi chiamava "Antonietta, al telefono!".
               Mi resi conto però che quel giorno avrei dovuto
               rispondere io. Il cuore mi si ribaltò. Saltai
               giù dal letto e col fiatone risposi. Era la
               signora con le mani ingioiellate che chiedeva di me.
               Mi disse che avevo superato la prima selezione e che
               insieme ad altre tre finaliste ero invitata a
               presentarmi il giorno dopo. Chiaramente accettai.
               Scappai in palestra per ripassare il mio
               pezzo.Questa
               volta non c'era alcuna coda. La signora con i gioielli
               ci accolse e ci spiegò come sarebbero andate le
               cose. "Questa è la selezione finale. Verrete
               scelte in due. La prima entrerà nel corpo di
               ballo come ballerina effettiva, la seconda
               dovrà rimanere a disposizione per un'eventuale
               sostituzione. Bene, incominciamo".Fui
               chiamata per ultima. Appena entrai la signora con le
               mani ingioiellate fece un cenno alla giuria.
               Dopodiché iniziò il mio volo. Ogni volta
               che partivo ero rapita, la passione per la danza mi
               divorava. Non pensavo ad altro che alla danza. Quando
               ebbi finito, i signori della giuria si guardarono
               compiaciuti. Mi fecero un applauso scambiandosi
               sguardi con la signora ingioiellata, la quale prese la
               parola: "Bene, bene signorina. La chiameremo al
               più presto entro questa settimana per darle una
               risposta definitiva."Uscii
               dal palazzo, questa volta la scalinata mi sembrava un
               enorme distesa di panna montata sulla quale io
               saltellai senza sporcarmi. Tornata a casa piansi di
               gioia e di dolore, poiché non potevo raccontare
               alla nonna che cosa meravigliosa stesse per
               succedermi, io sarei diventata una ballerina! Mi
               chiusi in casa. Non andai neanche a scuola nell'ansia
               di non rispondere alla chiamata.Due
               giorni dopo il telefono squillò. Mi feci il
               segno della croce prima di rispondere. Ma quella che
               mi rispose non era la voce calda della signora
               ingioiellata. Era la mamma. Cercai di liquidarla in un
               attimo dicendole che stavo bene e che non avrebbe
               dovuto preoccuparsi. Temevo che se avessimo tenuto il
               telefono occupato a lungo avrei perso l'unica chiamata
               che aspettavo. La mamma mi disse che sarebbero tornati
               presto e mi chiese di fare delle commissioni. Io mi
               irritai, poiché mamma sapeva che quasi tutti i
               pomeriggi io andavo a lezione di danza. Glielo
               ricordai facendole presente che quindi non avrei avuto
               tempo sufficiente. Lei si adirò, mi disse che
               avevo cose ben più importanti da fare che
               andare in quella stupida scuola. Mi disse che dovevo
               smetterla di illudermi, che non sarei mai stata una
               ballerina. Concluse minacciandomi una pesante
               punizione se non le avessi fatto trovare quanto mi
               richiedeva.Ero
               disperata. Non avrei voluto lasciare casa neanche per
               un secondo. Ma io conoscevo le punizioni di mamma.
               Così guardai l'orologio. Era l'ora di pranzo.
               Calcolai che se avessi fatto una corsa avrei potuto
               sbrigare alcune faccende quel giorno e il resto il
               giorno successivo. Contavo sul fatto che per l'ora di
               pranzo nessuno avesse intenzione di
               telefonare.Mi
               infilai il cappotto. Presi qualche spicciolo e mi
               precipitai giù per le scale, girai tutti i
               negozi, ma stavo perdendo tempo, non trovavo quanto mi
               aveva richiesto mamma. Capii che per trovare quello
               che cercavo avrei dovuto perdere tutto il pomeriggio.
               L'ansia mi prese il petto. Guardai la strada, i
               marciapiedi brulicavano di gente indaffarata e le auto
               sfrecciavano veloci suonando ai passanti che si
               azzardavano ad attraversare la strada. Accartocciai
               nella mano destra il foglio con l'elenco delle
               commissioni. Strinsi le labbra e decisi che forse era
               meglio una punizione di mamma piuttosto che perdermi
               la telefonata. Attraversai velocemente la strada per
               raggiungere l'autobus che stava arrivando sull'altro
               lato.Questa
               volta un clacson suonò per me. La pioggia mi
               batteva forte in faccia, non amavo l'ombrello. Ebbi
               solo il tempo di sentire una fragorosa frenata e mi
               ritrovai in volo. Caddi a terra come una marionetta
               gettata sul palco. L'uomo scese dalla macchina ed un
               nugolo di persone si formò davanti a me. Un
               uomo si fece largo nella piccola folla. Mi
               guardò. Mi mise una mano sul polso e una sulla
               gola. Guardò gli altri scuotendo la testa e mi
               chiuse gli occhi. Una donna urlò. In attesa
               dell'ambulanza mi poggiarono su una poltrona, al
               riparo della pioggia. Ero spettatrice di un film in
               cui si parlava di me. E lì mi vidi per l'ultima
               volta.Esanime
               giacevo sulla poltrona di vimini. Intorno, rispettosi,
               i viandanti abbassavano la voce.I
               miei capelli sciolti, nascondevano il pallore del mio
               volto ma le mie membra, immobili, raccontavano di un
               corpo che non c'era più.Intanto
               un telefono squillava in una casa vuota. Ad ogni
               squillo vibrava la cornetta, vibravano i vetri delle
               finestre e i piatti della credenza. Il suono vagava
               per le stanze cercando qualcuno. La mano ingioiellata
               che aveva composto il numero attese nervosamente che
               qualcuno all'altro capo rispondesse.Non
               ci fu incanto, non ci fu danza. Ci fu solo silenzio ed
               esso si accaparrò, come una prima donna, la
               parte da protagonista. |