- Mobile
ordigno di dentate rote
-
- Silenzio.
- Tutto intorno
taceva, eppure lui era ancora lì. Le pareva di
sentirlo mentre le respirava sul collo, pronto a
succhiarle ancora qualcosa, come se non l'avesse
già derubata abbastanza. Non era mai riuscita a
sfuggirgli, mai. Si era solo illusa: lui c'era sempre
stato, sicuro di sconfiggerla fin da quando lei
nemmeno lo conosceva, ubriaca di giovinezza e
d'innocenza. Ricordava ancora bene quei tempi... chi
dimentica le proprie glorie? Tempi di vittoria, tempi
di gioia, tempi passati, che lui le aveva sottratto,
ladro senza scrupoli.
- L'aveva conosciuto
per caso, dopo averne sentito tanto parlare, e da
allora non se n'era mai più liberata. Quante
volte aveva cercato di dimenticarsi di lui, convinta
che presto sarebbe svanito dalla sua memoria, ancora
una volta si erra illusa, e troppo tardi si era
accorta che si scorda solo ciò che si vorrebbe
conservare dentro di sé, mentre tutto il resto
rimane, troppo profondo per essere
cancellato.
- Così lui era
rimasto, ed anzi la sua presenza si era fatta sempre
più insistente, soffocante, ossessionante. La
notte, scossa ancora dagli antichi timori per il buio
mai dimenticati, lo sentiva bisbigliare, monotono,
cantilenante, terrificante. Sembrava ripetesse il suo
nome all'infinito, così da imprimerlo meglio,
nella sua memoria, meticoloso persecutore. E le pareva
di sentirlo ridere, mentre lei si girava e rigirava
insonne, alla ricerca di quella tranquillità
che già sapeva non avrebbe mai trovato.
Accendeva la luce di colpo, ma non serviva a nulla:
lui era costantemente lì, perfettamente
nascosto, introvabile, ma sempre presente, e ladro e
assassino.
- Silenzio.
- Quella notte era
una delle tante che trascorreva origliano i sibili ed
i passi leggeri del suo persecutore, troppo desiderosa
di liberarsene per poter prendere sonno. Uno strano
prurito alla guancia sinistra trascinava
irrefrenabilmente le sue lunghe dita, pesanti sulla
pelle.
- D'improvviso si
alzò e corse velocemente davanti allo specchio,
terrorizzata all'idea che fosse già riuscito a
sfiorarla, e vide un bel castello di sabbia eroso dal
vento implacabile e costante.
- Chi era quella?
Certo non lei, sicuramente non lei... orribilmente
proprio lei. Com'era riuscito a ridurla così,
quel furfante? Con quali terribili armi e quando? Ogni
tentativo di difesa era vano: nonostante tutto lui
riusciva sempre a toccarla.
- Tornò a
sedersi sul letto, il più lontano possibile
dallo specchio, e prese ad emettere lunghi inefficaci
respiri per ritrovare la calma.
- Squarciando il
silenzio, ora il vento fuori urlava forte, dentro lui
sussurrava in continuazione, impercettibile ed
assordante. Al concerto di quella notte presto si
aggiunsero i suoi gemiti sommessi. Aveva paura, molta,
troppa paura, come che cerca disperatamente di
sfuggire ad una condanna che il mondo intero
costantemente gli ricorda.
- Lui le aveva rubato
tutto, aveva spento ogni luce che s'era accesa nella
sua vita, lasciandola al buio, o alla misera luce di
una lampadina.
- Lui era stato
lì, era lì, sarebbe stato sempre
lì, lì accanto a lei, a vendicarsi di
un'offesa sconosciuta, forse dimenticata, forse mai
commessa, vittima innocente... Le sfuggì un
urlo ed i respiri presero a farsi più
affannosi, mentre gocce di gelido sudore le grondavano
dalla fronte, come le capitava da bambina, proprio
quando il vento fuori gridava forte e lei vedeva nel
buio mostri spaventosi pronti a saltarle addosso.
Chiuse gli occhi e per un momento rivide quella
bambina che ora non le assomigliava più molto,
trattenendo un sorriso di tenerezza, che presto si
allargò in un'espressione di
trionfo.
- Il passato, il
caro, il dolce, i pio passato: ecco che cosa non le
avrebbe mai potuto sottrarre! La luce, la luce... le
restava ancora un sottile, debole, vitale spiraglio:
non doveva perderlo. Se lui avesse spento il suo
futuro, lei sarebbe vissuta del riverbero del passato.
Ma stava già dimenticando, abbandonando quei
dolci gregari per strada, per raccoglierne altri,
sempre più amari. Note lontane, ovattate,
sublimi melodie: ricordi. E lei li avrebbe
riconquistati. Per sempre. Non le serviva che tornare
indietro, ai principi: rivedendo lo spartito avrebbe
forse potuto udire di nuovo quelle musiche fatate,
echi lunghi e lontani. Stringeva salda ancora qualche
nota, ma al vecchio paese natale avrebbe ritrovato le
altre, quella notte. Lui l'avrebbe seguita, ne era
sicura, e l'avrebbe per sempre lasciata in pace: nel
passato lui non poteva più nulla... e lei
avrebbe ricordato.
- Subito si
gettò addosso il cappotto e, spenta la luce,
prese le chiavi dell'auto, si precipitò
giù per le scale ed uscì dalla
palazzina. Il vento urlava ancora più forte,
trascinando scheletri di foglie che pareva le si
scagliassero addosso come in un tiro a segno.
Rifugiatasi in macchina, accese il motore e
partì: non era lontana la sua meta, anche se
non vi si era più recata da anni ed anni, da
quando i suoi genitori erano ancora in vita, da quando
lei era diversa, e lui forse già c'era, ma
sapeva non farsi sentire.
- Guidò nella
notte, sfidando il vento, senz'altri pensieri che
quello martellante, ossessionante, soffocante, di
raggiungere quel mondo lontano, dove lui non poteva
più nulla, quel mondo lontano dove lei
l'avrebbe umiliato e sconfitto. Era un folle, un
omicida, un malvagio inclemente, vorace di vite.
Prevedeva le sue mosse e sapeva anticiparle, ma questa
volta non avrebbe potuto nulla: imprevedibile lei
tornava nel passato, l'unico tesoro che lui non
sarebbe mai riuscito a sottrarle.
- Finalmente, quando
fuori era ancora buio e dentro l'agitazione non si era
ancora placata, si trovò su strade a lei
familiari: lo riconosceva bene, quello era il suo
paese.
- Parcheggiata la
macchina vicino al parco, ritornò in balia del
vento, che soffiava ancora furioso. Ora cominciava a
sentire freddo, un freddo viscido che le penetrava
dentro, sotto la pelle, simile al suo
persecutore.
- Si voltò di
scatto e non vide nessuno: "Eccolo, mi ha seguita!",
pensò soddisfatta, mentre le campane della
vecchia chiesa poco distante battevano qualche
rintocco che non seppe contare.
- Rise stringendosi
nel cappotto, infreddolita, e si avvicinò
all'ingresso del parco, ammirando dall'alto della
scalinata la vista dell'area deserta.
- Un sottile brivido
le si infilava su per la schiena, il vago timore che
lui avesse potuto prevederla, e anticiparla, e rubarle
le note. Ma, sollevata, vide felice che nulla era
cambiato. La riconosceva l'altalena su cui si
dondolava sempre dopo la scuola, smaniosa di toccare
le nuvole e costantemente richiamata dalla mamma, che
ripeteva: "È tardi, andiamo!", ma per lei era
sempre presto, troppo presto. E più in fondo
ecco la grande fontana di fronte alla quale
trascorreva innumerevoli pomeriggi, affascinata
dall'allegra danza degli zampilli d'acqua.
- Stava per scendere
i gradini, quando d'un tratto si bloccò: il
tempo per commuoversi, accarezzando da vicino ogni
angolo del passato, sarebbe venuto poi; ora non poteva
che lanciare un'occhiata materna, rivedere di sfuggita
lo spartito, tutto lo spartito... non poteva
soffermarsi molto. Anche la nonna controllava ogni
notte che lei dormisse tranquilla, ma, rimboccate le
coperte, subito si allontanava: anche lei ora sfiorava
appena e poi si ritraeva, benché desiderasse
restare.
- Si stupì di
associare la propria immagine a quella della vecchia
nonna, lei che era stata per l'ultima volta su quei
gradini a vent'anni... e un brivido di colpo la
scosse, più gelido del vento
stesso.
- Camminava spedita,
ascoltando i propri passi sonanti sul selciato, senza
riuscire a distinguere bene quelli del suo
inseguitore: forse, sperava, s'era già arreso
di fronte alla sua tenacia, alla sua forza, al suo
coraggio, a lei che si stava faticosamente
arrampicando su uno spiraglio di luce, a lei che
presto sarebbe arrivata in cima.
- Si voltò
nuovamente, bloccandosi di colpo: non c'era nessuno e
tutt'intorno era silenzio, a parte i lamenti continui
del vento. Riprese la sua faticosa marcia,
avvicinandosi alla scuola e al lungo viale alberato
che portava a casa, abbassando gli occhi, per
proteggerli forse dalla polvere danzante nell'aria,
forse da un'emozione troppo forte. Contò i
propri passi e, sempre fissando il selciato, giunse ai
piedi arrugginiti del grande cancello d'entrata, che
da piccola aveva provato a scavalcare, un giorno che
il tempo a scuola pareva non passare più.
Esitava a sollevare gli occhi, timida, timorosa,
proprio come anni ed anni prima, quando si presentava
puntuale lì davanti ogni mattina.
- Sorrise, vedendosi
ancora così bambina, così lontana
dall'immagine della nonna, e sollevò coraggiosa
lo sguardo di fronte a sé, pronta ad infliggere
il colpo mortale al suo persecutore.
- Le campane stavano
ancora suonando un numero imprecisato di rintocchi
quando, soffocato nella notte, l'urlo di un guerriero
colpito a sorpresa dal nemico che stava per finire.
Oltre il cancello vedeva, come nello specchio, un
altro castello di sabbia, su cui il vento continuava
insensibile a soffiare, ormai quasi totalmente
spazzato via nell'aria. A terra restava ancora qualche
cumulo di pietra, mentre uno sfavillante cartello
annunciava il progetto di costruzione di un vasto
complesso condominiale. Di fronte a sé il buio,
il vuoto... come nel suo futuro. Della vecchia scuola
non restavano che l'imponente cancello ed il muro di
cinta, misere spoglie d'un cadavere seppellito nella
memoria.
- Riprese a sudare
freddo, il cuore in sussulto, il volto contratto in
una strana smorfia di dolore e di terrore: lui era
lì, e rideva, lo poteva sentire. Lei cercava di
appigliarsi al suo passato, ai ricordi di scuola,
mentre lui abbatteva tutto impietoso, divertito nel
vederla vacillare senza scampo.
- Ladro! Le stava
rubando anche il passato: non soddisfatto di
soffocarla nel presente, si apprestava a togliere
ossigeno anche alla fiamma dei ricordi, per lasciarla
al buio. Non sopportava la vista di quello spazio
vuoto, di quei pochi resti a terra straziati: al mare
costruiva sempre castelli di sabbia, ma solo negli
ultimi giorni di villeggiatura, quand'era certa che se
ne sarebbe andata prima di vederli agonizzanti come
antiche rovine.
- Si voltò di
colpo per pulirsi gli occhi di tanto scempio e
fissò dinanzi a sé il lungo viale
alberato, le mani nei capelli, le lacrime agli occhi.
E lui rideva, e le sussurrava all'orecchio: "Io ti
precedo, io corro più veloce di te, più
veloce del vento!". Pareva uno di quei bambini che la
sfidavano nella corsa usciti da scuola, scommettendo
una caramella come premio per il vincitore. Ma qui il
premio non era una semplice caramella: il premio era
lei.
- "Ci si ferma di
fronte a casa mia, in fondo al viale!", diceva sempre
agli sfidanti, quando già stava per lanciarsi
nella corsa.
- "Ci si ferma di
fronte a casa mia, in fondo al viale!", ripeté
quella notte al suo nuovo sfidante e, sentendoselo
nuovamente respirare sul collo, prese a correre
velocissima, come una foglia spinta dal vento,
granello di sabbia di un grande castello leggero
nell'aria. Lei correva, correva, correva, ma lui era
più veloce, lo era sempre stato. Si accorgeva,
mentre l'aria gelida le tagliava la faccia, che il suo
persecutore aveva sempre giocato in velocità,
imbattibile. Lei si era solo illusa di poter correre
più veloce di lui, gli aveva ordinato di
fermarsi, come altre vittime sicuramente avevano
fatto, ma lui, sordo carnefice, non ascoltava mai
nessuno e correva, correva forsennatamente, fingendo
di rallentare, accelerando il passo. Anche lei ora
stava correndo, ma mai come lui. Sarebbe stata
sconfitta, non avrebbe tagliato il traguardo per
prima. E un giorno lui avrebbe ritirato il
premio.
- Giunse in fretta in
fondo al viale, ansante, sfinita, sconfitta. Non
ricordava bene la vecchia casa: rivedeva la facciata
ridente sul grande giardino, qualche stanza, ma nulla
più. Non l'avrebbe mai ricordata: lui l'aveva
già cancellata, trascinata con sé nella
sua lunga, lunghissima marcia. Non si stupì di
trovare al posto dello snello edificio giallo una
squadrata e triste palazzina grigia senza giardino:
già se l'aspettava, in fondo aveva perso la
corsa, lui l'aveva sempre preceduta con le sue gambe
puntute. Non provava rabbia, non ne aveva la forza,
solo paura. Lei aveva sempre avuto paura del buio, ed
ora s'era spenta ogni luce.
- Si sedette lungo il
viale, troppo affaticata per muovere ancora qualche
passo. Non le restava che arrendersi: ogni castello
prima o poi crollava. Per di più un castello di
sabbia.
- Silenzio.
- Solo ancora il
crudele carnefice bisbigliare: "Don, don,
don".
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