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               ordigno di dentate rote Silenzio.Tutto intorno
               taceva, eppure lui era ancora lì. Le pareva di
               sentirlo mentre le respirava sul collo, pronto a
               succhiarle ancora qualcosa, come se non l'avesse
               già derubata abbastanza. Non era mai riuscita a
               sfuggirgli, mai. Si era solo illusa: lui c'era sempre
               stato, sicuro di sconfiggerla fin da quando lei
               nemmeno lo conosceva, ubriaca di giovinezza e
               d'innocenza. Ricordava ancora bene quei tempi... chi
               dimentica le proprie glorie? Tempi di vittoria, tempi
               di gioia, tempi passati, che lui le aveva sottratto,
               ladro senza scrupoli.L'aveva conosciuto
               per caso, dopo averne sentito tanto parlare, e da
               allora non se n'era mai più liberata. Quante
               volte aveva cercato di dimenticarsi di lui, convinta
               che presto sarebbe svanito dalla sua memoria, ancora
               una volta si erra illusa, e troppo tardi si era
               accorta che si scorda solo ciò che si vorrebbe
               conservare dentro di sé, mentre tutto il resto
               rimane, troppo profondo per essere
               cancellato.Così lui era
               rimasto, ed anzi la sua presenza si era fatta sempre
               più insistente, soffocante, ossessionante. La
               notte, scossa ancora dagli antichi timori per il buio
               mai dimenticati, lo sentiva bisbigliare, monotono,
               cantilenante, terrificante. Sembrava ripetesse il suo
               nome all'infinito, così da imprimerlo meglio,
               nella sua memoria, meticoloso persecutore. E le pareva
               di sentirlo ridere, mentre lei si girava e rigirava
               insonne, alla ricerca di quella tranquillità
               che già sapeva non avrebbe mai trovato.
               Accendeva la luce di colpo, ma non serviva a nulla:
               lui era costantemente lì, perfettamente
               nascosto, introvabile, ma sempre presente, e ladro e
               assassino.Silenzio.Quella notte era
               una delle tante che trascorreva origliano i sibili ed
               i passi leggeri del suo persecutore, troppo desiderosa
               di liberarsene per poter prendere sonno. Uno strano
               prurito alla guancia sinistra trascinava
               irrefrenabilmente le sue lunghe dita, pesanti sulla
               pelle.D'improvviso si
               alzò e corse velocemente davanti allo specchio,
               terrorizzata all'idea che fosse già riuscito a
               sfiorarla, e vide un bel castello di sabbia eroso dal
               vento implacabile e costante.Chi era quella?
               Certo non lei, sicuramente non lei... orribilmente
               proprio lei. Com'era riuscito a ridurla così,
               quel furfante? Con quali terribili armi e quando? Ogni
               tentativo di difesa era vano: nonostante tutto lui
               riusciva sempre a toccarla.Tornò a
               sedersi sul letto, il più lontano possibile
               dallo specchio, e prese ad emettere lunghi inefficaci
               respiri per ritrovare la calma.Squarciando il
               silenzio, ora il vento fuori urlava forte, dentro lui
               sussurrava in continuazione, impercettibile ed
               assordante. Al concerto di quella notte presto si
               aggiunsero i suoi gemiti sommessi. Aveva paura, molta,
               troppa paura, come che cerca disperatamente di
               sfuggire ad una condanna che il mondo intero
               costantemente gli ricorda.Lui le aveva rubato
               tutto, aveva spento ogni luce che s'era accesa nella
               sua vita, lasciandola al buio, o alla misera luce di
               una lampadina.Lui era stato
               lì, era lì, sarebbe stato sempre
               lì, lì accanto a lei, a vendicarsi di
               un'offesa sconosciuta, forse dimenticata, forse mai
               commessa, vittima innocente... Le sfuggì un
               urlo ed i respiri presero a farsi più
               affannosi, mentre gocce di gelido sudore le grondavano
               dalla fronte, come le capitava da bambina, proprio
               quando il vento fuori gridava forte e lei vedeva nel
               buio mostri spaventosi pronti a saltarle addosso.
               Chiuse gli occhi e per un momento rivide quella
               bambina che ora non le assomigliava più molto,
               trattenendo un sorriso di tenerezza, che presto si
               allargò in un'espressione di
               trionfo.Il passato, il
               caro, il dolce, i pio passato: ecco che cosa non le
               avrebbe mai potuto sottrarre! La luce, la luce... le
               restava ancora un sottile, debole, vitale spiraglio:
               non doveva perderlo. Se lui avesse spento il suo
               futuro, lei sarebbe vissuta del riverbero del passato.
               Ma stava già dimenticando, abbandonando quei
               dolci gregari per strada, per raccoglierne altri,
               sempre più amari. Note lontane, ovattate,
               sublimi melodie: ricordi. E lei li avrebbe
               riconquistati. Per sempre. Non le serviva che tornare
               indietro, ai principi: rivedendo lo spartito avrebbe
               forse potuto udire di nuovo quelle musiche fatate,
               echi lunghi e lontani. Stringeva salda ancora qualche
               nota, ma al vecchio paese natale avrebbe ritrovato le
               altre, quella notte. Lui l'avrebbe seguita, ne era
               sicura, e l'avrebbe per sempre lasciata in pace: nel
               passato lui non poteva più nulla... e lei
               avrebbe ricordato.Subito si
               gettò addosso il cappotto e, spenta la luce,
               prese le chiavi dell'auto, si precipitò
               giù per le scale ed uscì dalla
               palazzina. Il vento urlava ancora più forte,
               trascinando scheletri di foglie che pareva le si
               scagliassero addosso come in un tiro a segno.
               Rifugiatasi in macchina, accese il motore e
               partì: non era lontana la sua meta, anche se
               non vi si era più recata da anni ed anni, da
               quando i suoi genitori erano ancora in vita, da quando
               lei era diversa, e lui forse già c'era, ma
               sapeva non farsi sentire.Guidò nella
               notte, sfidando il vento, senz'altri pensieri che
               quello martellante, ossessionante, soffocante, di
               raggiungere quel mondo lontano, dove lui non poteva
               più nulla, quel mondo lontano dove lei
               l'avrebbe umiliato e sconfitto. Era un folle, un
               omicida, un malvagio inclemente, vorace di vite.
               Prevedeva le sue mosse e sapeva anticiparle, ma questa
               volta non avrebbe potuto nulla: imprevedibile lei
               tornava nel passato, l'unico tesoro che lui non
               sarebbe mai riuscito a sottrarle.Finalmente, quando
               fuori era ancora buio e dentro l'agitazione non si era
               ancora placata, si trovò su strade a lei
               familiari: lo riconosceva bene, quello era il suo
               paese.Parcheggiata la
               macchina vicino al parco, ritornò in balia del
               vento, che soffiava ancora furioso. Ora cominciava a
               sentire freddo, un freddo viscido che le penetrava
               dentro, sotto la pelle, simile al suo
               persecutore.Si voltò di
               scatto e non vide nessuno: "Eccolo, mi ha seguita!",
               pensò soddisfatta, mentre le campane della
               vecchia chiesa poco distante battevano qualche
               rintocco che non seppe contare.Rise stringendosi
               nel cappotto, infreddolita, e si avvicinò
               all'ingresso del parco, ammirando dall'alto della
               scalinata la vista dell'area deserta.Un sottile brivido
               le si infilava su per la schiena, il vago timore che
               lui avesse potuto prevederla, e anticiparla, e rubarle
               le note. Ma, sollevata, vide felice che nulla era
               cambiato. La riconosceva l'altalena su cui si
               dondolava sempre dopo la scuola, smaniosa di toccare
               le nuvole e costantemente richiamata dalla mamma, che
               ripeteva: "È tardi, andiamo!", ma per lei era
               sempre presto, troppo presto. E più in fondo
               ecco la grande fontana di fronte alla quale
               trascorreva innumerevoli pomeriggi, affascinata
               dall'allegra danza degli zampilli d'acqua.Stava per scendere
               i gradini, quando d'un tratto si bloccò: il
               tempo per commuoversi, accarezzando da vicino ogni
               angolo del passato, sarebbe venuto poi; ora non poteva
               che lanciare un'occhiata materna, rivedere di sfuggita
               lo spartito, tutto lo spartito... non poteva
               soffermarsi molto. Anche la nonna controllava ogni
               notte che lei dormisse tranquilla, ma, rimboccate le
               coperte, subito si allontanava: anche lei ora sfiorava
               appena e poi si ritraeva, benché desiderasse
               restare.Si stupì di
               associare la propria immagine a quella della vecchia
               nonna, lei che era stata per l'ultima volta su quei
               gradini a vent'anni... e un brivido di colpo la
               scosse, più gelido del vento
               stesso.Camminava spedita,
               ascoltando i propri passi sonanti sul selciato, senza
               riuscire a distinguere bene quelli del suo
               inseguitore: forse, sperava, s'era già arreso
               di fronte alla sua tenacia, alla sua forza, al suo
               coraggio, a lei che si stava faticosamente
               arrampicando su uno spiraglio di luce, a lei che
               presto sarebbe arrivata in cima.Si voltò
               nuovamente, bloccandosi di colpo: non c'era nessuno e
               tutt'intorno era silenzio, a parte i lamenti continui
               del vento. Riprese la sua faticosa marcia,
               avvicinandosi alla scuola e al lungo viale alberato
               che portava a casa, abbassando gli occhi, per
               proteggerli forse dalla polvere danzante nell'aria,
               forse da un'emozione troppo forte. Contò i
               propri passi e, sempre fissando il selciato, giunse ai
               piedi arrugginiti del grande cancello d'entrata, che
               da piccola aveva provato a scavalcare, un giorno che
               il tempo a scuola pareva non passare più.
               Esitava a sollevare gli occhi, timida, timorosa,
               proprio come anni ed anni prima, quando si presentava
               puntuale lì davanti ogni mattina.Sorrise, vedendosi
               ancora così bambina, così lontana
               dall'immagine della nonna, e sollevò coraggiosa
               lo sguardo di fronte a sé, pronta ad infliggere
               il colpo mortale al suo persecutore.Le campane stavano
               ancora suonando un numero imprecisato di rintocchi
               quando, soffocato nella notte, l'urlo di un guerriero
               colpito a sorpresa dal nemico che stava per finire.
               Oltre il cancello vedeva, come nello specchio, un
               altro castello di sabbia, su cui il vento continuava
               insensibile a soffiare, ormai quasi totalmente
               spazzato via nell'aria. A terra restava ancora qualche
               cumulo di pietra, mentre uno sfavillante cartello
               annunciava il progetto di costruzione di un vasto
               complesso condominiale. Di fronte a sé il buio,
               il vuoto... come nel suo futuro. Della vecchia scuola
               non restavano che l'imponente cancello ed il muro di
               cinta, misere spoglie d'un cadavere seppellito nella
               memoria.Riprese a sudare
               freddo, il cuore in sussulto, il volto contratto in
               una strana smorfia di dolore e di terrore: lui era
               lì, e rideva, lo poteva sentire. Lei cercava di
               appigliarsi al suo passato, ai ricordi di scuola,
               mentre lui abbatteva tutto impietoso, divertito nel
               vederla vacillare senza scampo.Ladro! Le stava
               rubando anche il passato: non soddisfatto di
               soffocarla nel presente, si apprestava a togliere
               ossigeno anche alla fiamma dei ricordi, per lasciarla
               al buio. Non sopportava la vista di quello spazio
               vuoto, di quei pochi resti a terra straziati: al mare
               costruiva sempre castelli di sabbia, ma solo negli
               ultimi giorni di villeggiatura, quand'era certa che se
               ne sarebbe andata prima di vederli agonizzanti come
               antiche rovine.Si voltò di
               colpo per pulirsi gli occhi di tanto scempio e
               fissò dinanzi a sé il lungo viale
               alberato, le mani nei capelli, le lacrime agli occhi.
               E lui rideva, e le sussurrava all'orecchio: "Io ti
               precedo, io corro più veloce di te, più
               veloce del vento!". Pareva uno di quei bambini che la
               sfidavano nella corsa usciti da scuola, scommettendo
               una caramella come premio per il vincitore. Ma qui il
               premio non era una semplice caramella: il premio era
               lei."Ci si ferma di
               fronte a casa mia, in fondo al viale!", diceva sempre
               agli sfidanti, quando già stava per lanciarsi
               nella corsa."Ci si ferma di
               fronte a casa mia, in fondo al viale!", ripeté
               quella notte al suo nuovo sfidante e, sentendoselo
               nuovamente respirare sul collo, prese a correre
               velocissima, come una foglia spinta dal vento,
               granello di sabbia di un grande castello leggero
               nell'aria. Lei correva, correva, correva, ma lui era
               più veloce, lo era sempre stato. Si accorgeva,
               mentre l'aria gelida le tagliava la faccia, che il suo
               persecutore aveva sempre giocato in velocità,
               imbattibile. Lei si era solo illusa di poter correre
               più veloce di lui, gli aveva ordinato di
               fermarsi, come altre vittime sicuramente avevano
               fatto, ma lui, sordo carnefice, non ascoltava mai
               nessuno e correva, correva forsennatamente, fingendo
               di rallentare, accelerando il passo. Anche lei ora
               stava correndo, ma mai come lui. Sarebbe stata
               sconfitta, non avrebbe tagliato il traguardo per
               prima. E un giorno lui avrebbe ritirato il
               premio.Giunse in fretta in
               fondo al viale, ansante, sfinita, sconfitta. Non
               ricordava bene la vecchia casa: rivedeva la facciata
               ridente sul grande giardino, qualche stanza, ma nulla
               più. Non l'avrebbe mai ricordata: lui l'aveva
               già cancellata, trascinata con sé nella
               sua lunga, lunghissima marcia. Non si stupì di
               trovare al posto dello snello edificio giallo una
               squadrata e triste palazzina grigia senza giardino:
               già se l'aspettava, in fondo aveva perso la
               corsa, lui l'aveva sempre preceduta con le sue gambe
               puntute. Non provava rabbia, non ne aveva la forza,
               solo paura. Lei aveva sempre avuto paura del buio, ed
               ora s'era spenta ogni luce.Si sedette lungo il
               viale, troppo affaticata per muovere ancora qualche
               passo. Non le restava che arrendersi: ogni castello
               prima o poi crollava. Per di più un castello di
               sabbia.Silenzio.Solo ancora il
               crudele carnefice bisbigliare: "Don, don,
               don".  |