| 
               L'ACROBATA
               DELLE NUVOLE
 
UN'
               AURORA INSOLITA
 Sembrava una delle tante albe che sussurravano
               dolcemente l'arrivo del nuovo giorno.
Eppure,
               tra i pianori e dirupi del Pizzo Stella, ancora
               sonnacchioso, Nembo si era accorto che il cielo aveva
               regalato al bosco un piccolo incanto:un'aurora
               boreale."Peccato"
               pensò &endash; "che debba finire così in
               fretta
".Di
               lì a poco infatti, i crinali sarebbero
               lentamente stati salutati dal sole gentile e quello
               spettacolo sarebbe svanito, il cui ricordo sarebbe
               stato custodito da quello stambecco e dal
               bosco.Nembo
               amava le sue valli e ne assaporava ogni più
               piccolo angolo. Era uno stambecco ancora giovane. Le
               zampe corte sorreggevano un corpo muscoloso,
               dall'aspetto pesante: come tutti gli stambecchi non
               era elegante come un cervo, né delicato come un
               capriolo.Ciò
               che più lo distingueva dagli altri, era la
               macchia bianca a forma di nuvola sul muso.Si
               narrava nel bosco che gli stambecchi avessero ricevuto
               in passato molta attenzione dagli esseri umani: erano
               raffigurati negli stemmi di antiche famiglie nobiliari
               e le imponenti corna a mezzaluna erano usate per
               creare calici o amuleti che tenessero lontano gli
               spiriti maligni.Nembo
               non aveva paura degli esseri umani. In fondo era stato
               proprio uno di loro a soccorrerlo quando, ancora
               piccolo, durante una pioggia prolungata, era crollata
               improvvisamente una roccia, uccidendo i suoi fratelli
               e i suoi amici, mentre lui era rimasto ferito ad una
               zampa.Era
               stato lì tutta la notte, aspettando di morire
               nella sua valle come i suoi fratelli. Invece era
               giunta una ragazza, una guardia forestale, che aveva
               chiamato immediatamente i soccorsi.Venne
               portato ancora frastornato in quello che gli umani
               chiamano centro di riabilitazione; la ragazza gli
               aveva parlato, lo aveva accarezzato a lungo
Nembo
               era riuscito a sentire il calore di quelle mani
               così piccole, ricordava i suoi occhi blu, blu
               come i riflessi dell'aurora boreale di quella
               mattina.Ormai
               erano passate molte lune da quella volta, ma Nembo si
               ricordava molto bene di quella ragazza, pur non
               sapendo come si chiamasse.La
               sua zampa certo era guarita, ma non il suo cuore, che
               era rimasto laggiù, in quella valle, con i suoi
               fratelli e compagni. "Avrei preferito morire anch'io"
               - pensò- "ora sono costretto a vivere qui,
               sull' Altopiano Primalpe perché la mia zampa
               zoppica e non potrò mai essere uno stambecco
               come gli altri
" .I
               precipizi tagliati a picco, le muraglie rocciose, i
               declivi, le paurose spaccature tra pietre taglienti e
               poi
 il cielo. Insomma vivere dove solo gli
               stambecchi riescono: sul tetto del mondo. Lui
               certo non avrebbe potuto, la zampa non glielo
               permetteva
o forse era un altro il
               motivo? Forse
               Nembo si sentiva in colpa per essersi salvato, per non
               essere riuscito ad aiutare i suoi fratelli, i suoi
               amici. Ora era solo uno stambecco
               incapace.Aveva
               smesso di sognare. Aveva rinunciato alla sua
               vetta.
 
 
LORENA Da lassù il lago di Montespluga era tutto
               un'increspatura d'argento che le montagne, coperte da
               un bosco di larici arancione e oro, dividevano dal
               cielo.
Le
               nuvole parevano soffermarsi su di esse, così
               basse che pareva toccarle.L'estate
               era ormai finita:la stagione dei colori era proprio
               cominciata.A
               Lorena piaceva quella stagione: tutta la natura
               sembrava scivolare dolcemente verso i silenzi di
               ghiaccio; eppure anche in quei silenzi le montagne le
               parlavano: di favole d'infanzia, di splendidi elfi e
               folletti dispettosi, di mulattiere percorse da uomini
               e donne del passato, con le loro speranze e i lori
               timori. Invidiava in fondo queste montagne che
               vedevano il passato, il presente, il
               futuro.Anche
               lei aveva lasciato qualcosa alla sue montagne: si
               ricordava ancora del piccolo stambecco con una macchia
               bianca sul muso, incastrato in quella roccia e della
               gioia mista a tristezza egoistica nel liberarlo una
               volta guarito."Ora
               è libero
" pensò.Libertà
               di sentirsi vivi e perché no, di sognare.
 
 
UN
               SOGNO ANCORA LONTANO"Sei solo una stupida capra!" esordì
               Forticorna, capobranco degli stambecchi.
"Stai
               sempre qui, a Primalpe perché non sei capace di
               affrontare "La Grande Vetta" !Sei
               un inutile e pauroso stambecco! Non assomigli per
               niente ai tuoi fratelli così forti e
               coraggiosi".Nembo
               non aveva replicato. Non perché non ne fosse
               capace, ma credeva che in fondo fosse vero. Non era
               riuscito a salvare i suoi cari e non era uno stambecco
               come gli altri, era diverso.Dopo
               l'episodio con Forticorna, Nembo si era messo a
               riposare ai piedi di un grande abete."La
               Grande Vetta", il Monte Suretta: che bello sarebbe
               stato raggiungerla: da lì lo sguardo si perdeva
               su tutto il mondo, il vento lo avrebbe potuto
               ascoltare magari portando con sé un messaggio
               dei suoi cari.Così
               vicina e allo stesso tempo così lontana, come
               tutti i sogni.GLI
               SCRIGNI DEL MONDOChe
               strana la vita: a volte le risposte non arrivano mai,
               le difficoltà sembrano portarti lontano dai
               sogni; poi accade qualcosa, attraverso vie
               inaspettate.Nembo
               stava dormendo sotto il grande abete, lontano dal
               resto del branco, quando dal prato emersero due
               zampette bianche e soffici: era un coniglio
               selvatico."Ciao!
               Tu devi essere Nembo, vero?""Come
               fai a sapere il mio nome?""Ti
               ho riconosciuto dalla macchia bianca sopra il muso.
               Sai, conoscevo i tuoi fratelli e mi parlavano spesso
               di te: erano stambecchi forti e coraggiosi, con
               splendide corna. Io li invidiavo perché non
               possiedo corna simili con cui difendermi o combattere,
               né ampie ali come i falchi per volare e
               sfuggire al mondo e nemmeno le zanne poderose di un
               orso. Io so solo correre veloce e per questo gli umani
               definiscono le persone poco coraggiose "conigli", in
               segno di disprezzo"."I
               tuoi fratelli mi rispettavano, sai?" - continuò
               il coniglio - "per loro scavavo buche sotterranee dove
               nascondere scorte di erbe pregiate e succulente per i
               freddi inverni, amavano ascoltare i miei racconti
               sulle fate e sugli elfi, ammiravano la mia
               velocità
 Da loro ho capito come la
               diversità sia la più grande ricchezza.
               Ognuno di noi cela uno scrigno unico da condividere
               con chi ci vuole bene".Nembo
               ascoltava quel simpatico coniglietto
               attentamente."Grazie
               a loro" - continuò il coniglietto- "ho imparato
               ad accettarmi, amare ciò che faccio, a correr a
               perdifiato per Primalpe e quando sarò
               abbastanza forte, percorrerò le Pianure a sud,
               dove conoscerò altri conigli e animali con
               tanti scrigni da raccontare. Realizzerò il mio
               sogno.Accadrà
               anche a te e mi racconterai della "Grande Vetta"; ci
               ritroveremo qui proprio sotto a questo abete. Fino ad
               allora rincorri i tuoi sogni! A presto!"."Aspetta!"
               urlò Nembo - "come ti chiami?""Soffione,
               perché il mio pelo è soffice e bianco
               come quel fiore e perché sono veloce come un
               soffio di vento. Questo è il nome che mi hanno
               dato i tuoi fratelli" rispose."Grazie
               Soffione. Ti prometto: raggiungerò la "Grande
               Vetta", come i miei fratelli e porterò il tuo
               entusiasmo con me. Ci ritroveremo qui!".Un
               amico credeva nel suo sogno, quando lui stesso non ci
               aveva mai creduto."Affronterò
               l'inverno con forza," - disse fra sé- "il
               Signore dei Ghiacci fermerà il tempo, il freddo
               pungerà gli occhi, mi procurerò il cibo
               da solo e forgerò il mio corpo. Quando la
               primavera risveglierà lo spirito del bosco,
               partirò verso la "Grande Vetta"".Guardò
               verso la notte: le stelle si mostravano al mondo
               secondo disegni ignoti, eppure anche loro non erano
               lì per caso. A loro si rivolgevano tutti gli
               esseri della terra, disorientati ma pieni di
               speranze.
 
 
IL
               RITORNOEccola la primavera:un'acrobazia di colori, un esordio
               inaspettato.
Lorena
               ogni volta rimaneva stupefatta: faceva da tanto tempo
               la guardia forestale, tuttavia quel tripudio di nuova
               vita la sorprendeva ogni volta.La
               montagna con il suo bosco aveva mantenuto il consueto
               appuntamento.Quest'anno
               le era stato affidato un incarico più
               importante: sorvegliare tutta l'area del Monte
               Suretta. C'era infatti il pericolo di possibili frane
               e slavine a causa dello scioglimento dei
               ghiacci.Era
               contenta del nuovo incarico e impaziente di partire
               alla scoperta di un angolo non ancora conosciuto.
 
 
VEDERE
               CON IL CUOREIl cammino non era che all'inizio: occorreva prestare
               attenzione ai guadi dei ruscelli e ai crepacci, anche
               se Nembo sapeva cosa lo aspettava.
Il
               pascolo d'altura era la prima tappa, dopodiché
               avrebbe raggiunto il lago Nero e infine il Monte
               Suretta.A
               causa della sua zampa, scivolò più volte
               nei piccoli guadi, ma si rialzò sempre
               imperturbabile.La
               "Grande Vetta" però sembrava ancora troppo
               lontana. Pensò quindi di fermarsi a riposare al
               pascolo d'altura. Stava per arrivare alla grande
               distesa erbosa, quando s'incastrò in un
               crepaccio."Maledetta
               zampa!" esclamò singhiozzando per il
               dolore."Non
               maledire ciò che un giorno potrebbe portarti in
               alto
" intervennero due voci squillanti. Erano
               due caprette gemelle del gregge poco
               distante."Ora
               ti aiutiamo" - "Bucaneve spingi di qua!" disse una -
               "E tu Ranuncolo tira di là!" disse
               l'altra."Ecco
               fatto sei libero!""Stai
               andando alla Grande Vetta tutto da solo,
               vero?""Già,
               ci siete mai state?""Certo
               che no! Noi siamo semplici caprette da pascolo, non ci
               arrampichiamo su ripidi pendii.""Come,"
               - replicò Nembo, "vi accontentate di questo
               angolo di prato? Non desiderate vedere il
               mondo?""Vedere
               dici?" - replicò una delle due caprette nere e
               Nembo si accorse che era cieca da un
               occhio."Molti
               pensano che solo ciò che si vede sia il mondo:
               con un solo occhio ho imparato non solo ad apprezzare
               di più il mio piccolo mondo, ma ad accorgermi
               di cose che prima , con due occhi non vedevo. Ho
               imparato a conoscer il mondo attraverso gli occhi
               degli altri, attraverso i loro racconti, le loro
               emozioni. Quando la strada è incerta e faccio
               fatica a vedere, c'è Ranuncolo che mi dà
               una mano!" .Intervenne
               Ranuncolo stesso: "e se non riesco a capire i segreti
               del bosco, Bucaneve mi mostra la vera realtà
               delle cose
questa è la nostra vita: dare
               il latte al nostro pastore, senza chiedere nulla in
               cambio se non dell'erba verde e un sole accogliente.
               Ognuno vive per qualcosa e per qualcuno: di qualunque
               cosa si tratti, mai smettere di sognare, di aspirare
               alla vetta più alta, anche se gli ostacoli ce
               lo impediscono. Buona fortuna!" ."Grazie
               Bucaneve e Ranuncolo, tornerò un giorno
               portandovi ciò che ho visto con gli occhi e col
               cuore" . All'orizzonte
               nuvole cariche di pioggia portavano il sibilo del
               vento. Nembo non aveva paura.
 
 
LA
               TEMPESTALorena si infilò un giubbotto più
               pesante che la tenesse calda: sapeva che sarebbe
               arrivato un bel temporale. Le nuvole che prima erano
               all'orizzonte, avevano oscurato il sole e una cupa
               ombra avvolgeva il versante della
               montagna.
Il
               lume del rifugio brillava ma era troppo distante: si
               sarebbe accampata nel bosco per quella notte.
               D'altronde non era la prima volta che si ritrovava a
               trascorrere la notte in montagna.Divenne
               buio presto e il temporale sfogò tutta la sua
               forza.Fu
               svegliata dalle sferzate di vento che soffiavano negli
               spiragli della tenda e finirono col scaraventarla a
               qualche metro di distanza, col risultato che la tenda
               cadde a valle. Invano il tentativo di recuperarla; il
               suolo era inzuppato dalla pioggia e Lorena
               scivolò per terra più volte."Devo
               essermi lussata una spalla
non ci voleva
               proprio!".Che
               fare? Poteva solo aspettare al riparo
tra i
               bagliori dei lampi le sembrò di scorgere una
               grotta nella roccia
Cadde sfinita a terra,
               aspettando e sperando che qualcuno del soccorsi
               sarebbe venuto a cercarla, altrimenti sarebbe scesa a
               valle il mattino seguente.
 
 
IL
               RITROVO DI DUE VECCHI AMICIIl temporale aveva colto di sorpresa anche Nembo che
               decise di non proseguire verso il Monte Suretta.
               Tuttavia era deluso: ogni volta che trovava degli
               amici e riacquistava l'entusiasmo veniva ripagato con
               ostilità dalla montagna.
Si
               stava quasi arrendendo, poi vide una grotta per
               ripararsi: occorreva anche pazienza per inseguire un
               sogno, non bastava solo la volontà e il
               desiderio, anzi queste a volte possono finire col
               bruciare le tappe. Decise si entrare nell'anfratto
               incuriosito dall'odore di un animale, un odore che
               aveva già sentito: un fulmine illuminò
               il pallido viso della ragazza che dormiva. Nembo ebbe
               un sussulto
era lei, l'amica che lo aveva salvato
               da piccolo!Non
               ci pensò due volte: si sdraiò accanto a
               quel corpo intirizzito e freddo, cercando di scaldarla
               e di sorvegliare la grotta: l'avrebbe protetta anche
               con quella zampa.
 
 
ARRIVERDERCI
               GUARDIANOIl mattino seguente il sole era tornato a rallegrare
               il bosco e asciugare la montagna dall'acqua; le
               squadre di soccorso stavano già cercando
               Lorena.
Nella
               grotta intanto i raggi del sole stavano risvegliando
               la ragazza
quando li aprì vide quel muso
               con la macchia bianca: stette ferma in silenzio per un
               bel po', incredula
Poi
               dai suoi occhi blu uscirono delle lacrime e
               abbracciò Nembo: "Ma
               sei proprio tu? Che gioia, come sei cresciuto, uno
               splendido stambecco! Non
               ti sei dimenticato di me!" . Nembo
               si rese conto di aver reso felice una persona, non una
               qualsiasi, un' amica che lo aveva salvato quando
               ancora era un cucciolo e che aveva creduto in lui
               prima degli altri. Ed ora, proprio lui, con una zampa
               zoppicante, l'aveva salvata!Nembo
               percepì dei rumori; stavano arrivando i
               soccorritori, quindi uscì dalla grotta cercando
               di attirare la loro attenzione tenendo nella bocca la
               sciarpa della ragazza.I
               soccorritori lo videro e capirono; Nembo non poteva
               rimanere : doveva proseguire verso l'ultima tappa, da
               solo, alla "Grande Vetta", realizzando il suo sogno
               che ora poteva condividere con i suoi
               amici.La
               ragazza fissò quegli occhi gialli e gli
               accarezzò la fronte:"Eri
               un cucciolo, ma hai sognato grande. Ora potrai
               salutare il tetto del mondo, ascolterai il vento,
               parlerai alle stelle. Sarai l'acrobata delle nuvole:
               ricordati sempre che chi non sogna grande resta
               piccolo".Nembo
               uscì dalla grotta, girandosi ancora una volta
               verso Lorena. Era un arrivederci.Con
               un grande salto si inerpicò sulla nuda pietra,
               roccia dopo roccia, salto dopo salto. Le sue zampe
               parevano danzare, volare su quel ripido
               pendio.Ecco
               la cima: davanti a lui tutto ciò che era stato
               dietro: la Valle Spluga, gli amati boschi, la
               solitudine, gli amici Soffione, Bucaneve e Ranuncolo,
               il cammino difficile.Al
               cospetto dei ghiacciai abbaglianti le vicine creste
               smorzavano l'effetto dei venti, portatori di storie
               lontane. In basso a valle il sereno specchio d'acqua
               di Montespluga rifletteva il cielo terso.In
               quel silenzio che tutto ammantava, Nembo pensava ai
               suoi fratelli, che insieme alle nuvole vaporose lo
               guardavano orgogliosi. "Ora
               so
 lo spirito, le aspirazioni di libertà
               e soprattutto i grandi sogni di ognuno possono
               raggiungere le vette più alte
"
               
               
                  
                |