Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Luca Bugna
Con questo racconto ha vinto il nono premio del concorso Marguerite Yourcenar 2003, sezione narrativa

Le due metà
Il mio lavoro è scrutare l'animo umano, lo svolgo da parecchi anni, eppure mai, come in un caso, mi sentii in difficoltà nell'aiutare un mio paziente.
Di lui, ho un ottimo ricordo. Il suo blocco emotivo fu così vicino ad essere mio, come se mi appartenesse, che ebbi ad un certo momento difficoltà nel riconoscere me da lui e lui da me.
Alfredo, questo è il suo nome, si trovò ad un certo punto della sua vita davanti ad un bivio, ad un età dove forse non si è ancora uomo ma si è smesso di essere un ragazzo da tanto tempo, capiva che per l'incolumità della propria ragione doveva scegliere. Sapeva che il proprio futuro non poteva essere un continuo tirar di spada fra le parti che dentro di lui lottavano per emergere.
Fu così, che decise di contattarmi chiedendomi aiuto, con l'umiltà che è solo delle persone fornite di grande intelligenza e cuore generoso.
La prima volta che ci incontrammo, di lui mi colpì lo sguardo. Nei suoi occhi si riusciva a percepire il fatto, che ogni esperienza di vita, non importa quanto bella o brutta fosse stata, rimaneva per lui un ricordo indelebile; grazie a questa sua qualità, appariva più grande, più saggio dei suoi coetanei e più maturo rispetto a persone di ben altra età; comunque diverso.
La prima a farsi conoscere, fu la sua parte istrionica, quella che definirò artistica e sopra le righe; per niente intimorita, mi domandò:
"Ho la sensazione di averla già vista, non riesco a ricordare dove"
"E' possibile, io conosco tante persone", le risposi.
"Perché crede che io debba abbandonare Alfredo?"
"Non lo penso affatto".
"Errore! Non mi dica bugie, io sono la parte intelligente, non lo dimentichi mai Dottore".
Così si era presentata, nel suo solito modo... ogni atteggiamento, ogni frase, doveva servire per creare un piccolo film, uno spettacolo; ed era quello che le riusciva meglio, senza sforzo alcuno.
"Perché è venuta a trovarmi?" le domandai.
"Corre voce che il mio modo di essere, disturbi non poco la vita del mio protetto. Voglio avvertirla caro amico, che sono soltanto calunnie montate ad arte per nascondere la verità, per mascherare quello che a molti è già chiaro".
"Se è lecito chiedere: che cosa, dovrebbe essere già chiaro ai più?".
"Suvvia, chi rende felice Alfredo? Chi lo porta a vette di piacere altissimo nel saper apprezzare tutto ciò che è raffinato, elegante? A fare in modo che si stacchi dalla massa uniforme di imbecillità che tocca la maggior parte della gente? Li guardi".
Ed indicò con un gesto un gruppo di persone in strada che si potevano osservare dalla finestra del mio studio.
"Giovani idioti che parlano di cose non ancora vissute sulla propria pelle, ma solo per sentito dire e si atteggiano a grandi. Dall'altra parte della strada, presti attenzione, quei finti adulti, tali solo per l'anagrafe, visto che non sono mai riusciti a comprendere le esperienze che la vita ha cercato di regalare loro. Poveri imbecilli, fanno pena. Chi crede che sia a dare ad Alfredo quei pochi sprazzi di genialità, che gli rendono la vita meno meschina del solito, che lo fanno sentire soddisfatto, vivo come solo lui vuole sentirsi, e soprattutto diverso dagli stolti di cui il mondo è pieno?".
"Non lo so, mi dica invece perché crede di essere lei a dare tutto questo ad Alfredo".
"Perché io sono il suo eterno sogno di ragazzo, non ancora intaccato dalla quotidianità della vita, che lo obbliga a tenere i piedi ben piantati a terra, a non poter volare dove vorrebbe. Io sono la sua valvola di sfogo, sono quello che in realtà lui ha sempre voluto, vuole, e vorrà essere, fino all'ultimo dei suoi giorni".
"La prego, mi aiuti a capire, perché con una compagna come lei, cosi determinata, Alfredo non è quello che in realtà vuole essere?"
"Provi a domandarlo a quell'altra".
Sentenziò queste ultime parole in modo molto grave, era dispiaciuta, si capiva guardandola, che non avrebbe mai fatto del male al suo protetto, come lei abitualmente lo apostrofava. Nondimeno, ero convinto, che il malessere continuo del nostro protagonista, era dovuto principalmente alla personalità sopra le righe della sua parte istrionica, sicuramente geniale, ma anche difficile da gestire in una società come quella in cui Alfredo viveva.
Cercai per diversi giorni di mettermi in contatto con "l'altra". Si insomma... avete capito di chi sto parlando... la sua parte ragionatrice, pratica, quella che gli dava da vivere, e che pagava tutte le scadenze del quotidiano, che toccano sia me, che voi. Niente da fare, per quanti sforzi facessi, non riuscivo a rintracciarla, ne a farmi raggiungere da lei. Ero dispiaciuto, era necessario che io sentissi personalmente quello che le due metà avevano da dire e da dirsi, ed era l'unico modo per poter aiutare il nostro amico e cercare di renderlo soddisfatto di se.
Finalmente, una sera, trovai quello che andavo cercando da settimane. In un locale, seduto ad un tavolo appartato, da cui poteva controllare la maggior parte dei presenti, vidi Alfredo. In realtà non fu proprio così, certo il corpo era il suo, di questo ne ero sicuro, ma il modo di atteggiarsi, di stare seduto, di osservare la gente nel locale, quello apparteneva a chi stavo inseguendo da tempo.
"Buonasera Alfredo".
"Carissimo Dottore, che piacere vederla; posso invitarla al mio tavolo?".
"Spero di non disturbarla, stava aspettando qualcuno?".
"No, ma quel qualcuno attendeva una sua visita".
"Posso parlare a questa persona, iniziare a farle qualche domanda?"
"Si accomodi dottore, è tutta sua, in fin dei conti ci sperava proprio".
Era stanco, lo si avvertiva chiaramente, era il primo a voler uscire da questo impasse che era la sua esistenza, aveva accompagnato una delle due personalità del suo carattere, nel locale dove abitualmente mi reco dopo una giornata di lavoro. Quell'incontro non era stato un caso, era stato voluto a tutti i costi, il meno che avessi potuto fare era aiutarlo. Ci provai.
"Bellissimo abito, complimenti, ha davvero buon gusto".
"La ringrazio, ma non è merito mio, l'aver classe è appannaggio dell'altra metà, bisogna dargli atto che quando si presenta lo fa con tutti i numeri al posto giusto".
"Chi soddisfa questo tipo di vizio, di vanità, o come preferisce chiamarlo è comunque lei, è grazie al suo lato pratico che qualcuno può godere i frutti della sua determinazione. Non le dà fastidio tutto questo?"
"Perché dovrebbe, io non sarei in grado di vedere la differenza tra un paio di scarpe italiane e delle ciabatte da notte. Dottore, io sono solo una metà, non sono l'interezza di niente. Ho bisogno dell'altra, perché Alfredo possa vivere da persona normale".
"L'altra, come la chiama lei, sta creando non pochi problemi al nostro comune amico. Gli sta offrendo un'esistenza piena di dubbi, di tensioni, di paure".
"L'altra, come la chiamiamo tutti e due, regala al nostro comune amico momenti di grande intensità emotiva, di gioia di vivere, di vera serenità. Caro dottore, è ammirevole il suo impegno, nel voler aiutare Alfredo ad uscire da questo suo impasse interiore. Ma non credo che tarpando l'unica cosa che gli doni la felicità, si riesca a fare qualcosa di buono".
Ero rimasto alquanto sorpreso da questa chiacchierata iniziale, in questo lato del carattere non vi era assolutamente gelosia, invidia, o qualsivoglia sentimento negativo. In lei avevo riscontrato un gran desiderio di essere utile, di poter servire in tutto e per tutto, al che Alfredo potesse arrivare ad essere una persona del tutto soddisfatta di se stesso. Quella sera capii, che dovevo concentrarmi sull'anima guascona e ribelle, e potevo farlo, con la sicurezza di avere al mio fianco un aiuto importante.
La pioggia cadeva incessante, per tutta la mattina non aveva calato d'intensità nemmeno per un minuto. Non ne conosco i motivi, ma l'osservare dalla finestra di una casa, il precipitare continuo dell'acqua, mi ha sempre dato un senso di intimità e di tranquillità. Non ricordo di essermi mai sentito a disagio, oppure provare quel malessere chiamato tristezza, che tocca milioni di persone durante giornate particolarmente uggiose. Sicuramente non amo le fredde giornate di Novembre, tristi e grigie, ma l'acqua no, le gocce d'acqua che colpiscono con intensità le foglie degli alberi, i tetti delle case, hanno su di me un effetto terapeutico, mi infondono calma e quiete. Chissà, forse un ricordo di quando bambino, durante le vacanze estive, salivo alla casa in collina dei nonni, contento di raggiungere un oasi di verde e di tranquillità, dopo essere fuggito dai tentacoli della grande metropoli.
In quei luoghi, la vicinanza del lago, permetteva soprattutto d'estate, continui temporali; magari brevi, ma intensi. Ed era in quei momenti, che bloccato, in compagnia di giovani amici in qualche casa di paese, dai soffitti alti e dai pavimenti ondulati per l'eccessiva umidità, ci si quietava ascoltando lo scrosciare insistente della pioggia, e il tuonare violento dei fulmini tipico dei temporali estivi.
Era sotto questo auspicio, di profonda distensione, che cercavo di trovare un modo per convincere, o di convincermi, che Alfredo doveva rimanere vincolato alle sue due parti; così giustamente diverse, e cosi affettuosamente legate alla sua persona. Non riuscivo ad immaginare, come poter placare, la parte del suo carattere che per definizione, deve uscire dai canoni della normalità. Mi domandavo se fosse giusto mettere le briglia, ad un qualcuno, ad un qualcosa, che per sua natura deve correre libero, e avere la possibilità di sentire il vento scorrere nei capelli, allo stesso modo dell'aria che gioca con la splendida criniera di un cavallo selvaggio al galoppo.
All'improvviso sentii bussare alla porta. Con fastidio, mi accorsi che tutto il soggiorno era in completo disordine, la voglia di non aprire, di fare finta di non essere in casa, fu sopraffatta dalla solita educazione che ordinò alle gambe di avvicinare la mia persona all'uscio di casa, e alla mano sinistra di girare la maniglia della porta e aprire.
Questa volta non so dirvi se fui contento di vedere che sul pianerottolo, in attesa di entrare, vi era la parte di Alfredo che oramai conoscete bene, e che insieme a me avete già incontrato.
"Salve dottore, disturbo?"
"Da quando si fa questi scrupoli?"
"Forse, ho sbagliato giornata, è meglio che ripassi un altra volta".
"No, la prego, si accomodi, la giornata di oggi non c'entra; la verità è che lei non mi piace, quindi una sua visita domani avrebbe lo stesso effetto di quella odierna".
Rimase senza parole, immobile, non riusciva a capire se doveva andarsene, oppure entrare in casa mia. Per la prima volta vidi nei suoi occhi il disagio, e questa situazione, mi turbò non poco.
"Dunque, a cosa devo questa sua visita?".
"Ho bisogno di aiuto dottore, e non so a chi rivolgermi".
"Lei che ha bisogno di aiuto? stento a crederlo, andiamo, non offenda la mia intelligenza; non è forse la sua frase abituale?".
"Bene dottore, se vuole può pure infierire, più di quello che sta facendo in questo momento. Se ritiene che il suo ego possa essere soddisfatto nell'accanirsi contro la mia persona, si accomodi. Resta il fatto, che mi è costato non poco, entrare in casa sua e implorarla di aiutarmi".
"D'accordo, dirò al mio ego di calmarsi per un po', nel frattempo cercherò di premiare il suo sforzo di essere arrivata sin qui, nell'unico modo che conosco, e cioè, ascoltarla".
"No! dottore, questa volta ho bisogno che lei mi parli, ho necessità che lei mi chieda, sono confusa e non riesco a capirne il motivo. Anzi, forse so qual'è il problema, ma per me è così inaccettabile da volerlo rifiutare a tutti i costi".
"Allora, forza, mi parli di quello che per lei è così insostenibile da volerlo eliminare, facendo finta di non conoscerlo".
"Ho sempre pensato di essere l'unica ancora di salvezza per il mio protetto, in una quotidianità spesso così banale, ho creduto che accendere in lui una scintilla di originalità fosse cosa degna, qualcosa che valesse la pena provare. Non avevo capito, che combattere con la vita è un qualcosa
di troppo grande anche per me, ad ogni mio tentativo, la normalità risponde cento volte più forte, fiaccando la resistenza di Alfredo, e la sua voglia di essere uno su tanti, e non, uno dei tanti; rendendolo più debole, avvilito, dopo aver provato gioie immense, di ricadere in un baratro di normalità. Ed ogni volta la parte banale diventa sempre più forte, esaurisce sempre di più il mio ragazzo, ed io con lui, sempre più debole. La prego dottore ci aiuti, ne io ne Alfredo, meritiamo di finire a questo modo".
Tutta la spavalderia di un tempo era scomparsa, rimaneva soltanto una sorta di impotenza, così come un cibo che andato di traverso, inizia a soffocarti, e più cerchi di dimenarti, di tossire, per poterlo ingoiare, più la mancanza di aria e la possibilità di morire di asfissia si fa reale lasciandoti completamente inerme e spaventato; così la realtà di tutti i giorni aveva reso la parte sensibile di Alfredo, sconcertata di non riuscire finalmente ad emergere rispetto al lato metodico e a suo dire banale del suo protetto.
Davanti ai miei occhi, completamente sprofondato nella poltrona, un essere diverso da come di solito ero abituato a vederlo. L'eleganza e la classe nel suo modo di fare, di porsi, sembravano completamente sparite, innanzi a me, ora vi era solo un uomo dall'età indefinibilmente vecchia, che mi guardava con occhi stanchi, e supplichevoli, cerchiati da occhiaie profonde.
La giornata era splendida, sentivo il bisogno di camminare per le strade del mio quartiere, incrociare lo sguardo di persone conosciute, salutarle, magari con un semplice gesto della mano; avere quella sensazione di sicurezza e di tranquillità che si prova quando ci si sente a casa propria senza essere però circondato dalle mura domestiche. Fermarsi a parlare anche per pochi minuti, con i negozianti, del più e del meno; congedarsi da loro con una stretta di mano ed un sorriso.
Ed era con questo desiderio, che scesi in strada e mi avviai istintivamente in direzione del caffè Astoria; davanti agli occhi avevo ancora l'immagine di Alfredo, o forse sarebbe meglio dire della parte di Alfredo che aveva deposto le armi, che si era arresa, sentendosi sconfitta e umiliata.
Ora sorgeva un nuovo problema, come avrebbe fatto il nostro comune amico a vivere senza una delle due parti? La parte metodica era stata chiara "io non sono l'interezza di niente" aveva detto. Possibile, non trovare un equilibrio tra i due mondi interiori di Alfredo? Io stesso ero confuso, non sapevo come convincere le due parti ad amalgamarsi senza per questo, snaturarsi più del dovuto.
Dovevo incontrare Alfredo, era una cosa che andava assolutamente fatta. La sua integrità mentale era in serio pericolo. Impossibile vivere la quotidianità come una persona qualunque senza lo scontro continuo dei due estremi.
D'improvviso, mi venne voglia di entrare dal barbiere, di rilassarmi, completamente immerso nel odore al mentolo della schiuma da barba, e al profumo della lozione che il figaro mi avrebbe steso sul viso massaggiandolo dolcemente e con molto mestiere. Con un pizzico di delusione, vidi che un altro cliente aveva avuto la mia stessa idea e mi aveva preceduto; poco male, avrei aspettato diligentemente il mio turno leggendo un quotidiano del mattino.
"Buongiorno dottore, come sta?"
"Buongiorno a lei Renato, meglio di così non potrei stare, grazie."
Dovevo assolutamente parlare con Alfredo, presto, non dovevo perdere tempo, dovevo salvarlo, quel ragazzo era in serio pericolo. Ma adesso no! ora dovevo soltanto pensare a me stesso, ed alla sensazione di piacere che avrei provato di li a pochi minuti.
Mi rilassai sulla poltrona, ed iniziai a sfogliare il giornale, mi immersi così totalmente nella lettura, e non notai che il cliente precedente era appena uscito dalla porta. Alzai gli occhi e guardai Renato, mi sorrideva e mi parlava, ma non sentivo suoni uscire dalla sua bocca; mi pareva muovesse le labbra al rallentatore.
Mi ci volle qualche secondo per riprendermi, la lettura del quotidiano mi aveva completamente trasportato in un'altra dimensione. Mi accorsi di essere ritornato in me, quando dalla strada sentii arrivare alle mie orecchie il rumore di sottofondo del quartiere; allora guardai Renato con un grande sorriso, e capii quello che un attimo prima mi aveva detto.
"Prego dottor Alfredo, si accomodi sulla poltrona, è il suo turno."

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Premio Marguerite Yourcenar 2003

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