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               Sullo
               stesso treno Prima
               di aprire gli occhi, riguardò con la mente il
               volto di lei.I
               capelli biondi, sottili, che le cadevano su
               metà fronte fino a coprirle quasi del tutto un
               occhio, il naso piccolo, ben disegnato, l'ovale
               perfetto del viso solo un poco turbato dagli zigomi
               forti e dall'angolo della mascella volitiva,
               decisa.Era
               diventata un'abitudine quotidiana, oramai, questo
               ripasso del viso di lei, un rito mattutino che era
               nato nella stagione dell'innamoramento, in tempi
               lontanissimi, e al tramonto del quale, per qualche
               strano capriccio, o magia, era inspiegabilmente
               sopravvissuto.Così
               che, ad amore già morto e sepolto da tempo
               immemorabile (così gli pareva che fosse) uno
               sguardo con gli occhi della mente al volto di lei era
               ancora il primo atto di ogni risveglio.Anche
               di questo.Perché,
               evidentemente, doveva essersi
               addormentato.Quanto
               a lungo avesse dormito e quando, di preciso, gli fosse
               accaduto di scivolare nel sonno, non avrebbe saputo
               dire lui, giovane manager in brillante ascesa, partito
               finalmente per una mini-vacanza estiva con lei dopo
               l'ennesimo assurdo scambio di scaramucce: un duello
               elegante e corretto nella forma, ma saturo dell'astio
               e dei veleni che restano a due che stanno insieme
               oramai solo in virtù del passato e per la forza
               della consuetudine.Non
               sapeva nemmeno con precisione perché si trovava
               lì, ora; non avrebbe saputo ricostruire, uno ad
               uno, i passaggi dello scontro all'arma bianca che lo
               aveva condotto, alla fine, su quel treno affollato e
               scomodo.Si
               era deciso per la vacanza insieme (Il lavoro! Sempre
               il lavoro! Per l'ufficio il tempo lo trovi, ma tre
               giorni, dico tre giorni per me!!) e poiché lui
               chiaramente avrebbe preferito il Nord, le Alpi e il
               fresco, lei non aveva perso l'occasione di vendicarsi
               della (infelice) frase sfuggita a lui al momento della
               capitolazione (E va bene, andiamo in vacanza, ma sappi
               che lo faccio solo per te!). Un errore, si era reso
               conto, pagato subito (Se lo fai per me, almeno che sia
               un posto che piace a me, non ti pare?), e al caro
               prezzo dell'ultima destinazione alla quale avrebbe mai
               pensato: Lipari. Posto sperduto, caldo e soffocante
               già in questi giorni di inizio estate, e quel
               che più conta, malamente servito dalla rete di
               telefonia mobile.E,
               visto che a causa di un altro suo scivolone strategico
               lei era riuscita ad indovinare quali erano i tre
               giorni più densi di impegni per lui, e quindi
               ad essere assolutamente intransigente sulla data di
               partenza, a lui non era rimasto che impuntarsi
               testardamente sul mezzo di trasporto, memore di una
               frase carpita al volo durante un dialogo tra amiche:
               "Il treno, quanto lo odio!"Aveva
               perso su tutta la linea e quel viaggio in treno
               costituiva per lui, per così dire, il goal
               della bandiera.Era
               emerso alla coscienza con nella mente il viso di lei,
               e dunque, doveva trattarsi di un risveglio.
               Già, ma quando si era addormentato?Il
               treno sfrecciava via da ore nella campagna, rumoroso e
               scomodo, di tanto in tanto, nello sferragliare delle
               ruote sui binari, si avvertiva qualche scossone di
               scambio affrontato male, o il lento piegarsi della
               carrozza a una curva più lunga.Forse
               l'aveva cullato proprio il dondolio, associato al
               ritmico sobbalzare delle ruote sulle congiunzioni dei
               binari.Si
               sentiva bene.Stranamente
               bene.Prima
               di aprire del tutto gli occhi fece un rapido esame
               della sua condizione di benessere fisico. Anche questa
               era un'abitudine inveterata, quasi una mania innocente
               di fare, al risveglio, un veloce check-up dei suoi
               malesseri.Lei
               si divertiva a prenderlo in giro per questo, ridendo
               delle sue piccole idiosincrasie.All'inizio,
               almeno.Dopo
               un po' di tempo avevano smesso di ridere insieme dei
               suoi "mille milioni di malanni", più o meno
               quando per lei erano diventati "fisime assurde",
               indegne anche solo di costituire argomento di
               conversazione.E
               così, la saltuaria cervicalgia (ce l'hanno
               tutti!), il dolore trafittivo al petto (non è
               ancora ora di avere un infarto!), la tosse stizzosa
               (però ci fumi su!), i piccoli dolori
               crampiformi ai più svariati quadranti
               dell'addome (somatizzi!) erano stati banditi come
               indesiderati e noiosi: roba della quale non parlare
               più, capitolo chiuso.Così
               se li ripassava mentalmente da solo, i suoi mali,
               rassicurandosi del fatto di riuscire a tenere
               più o meno a bada l'intensità dei
               sintomi e, contemporaneamente, di ritrovarli sempre
               tutti quanti i suoi malini, senza che ne fosse andato
               perduto, o dimenticato, neppure uno.Ora,
               però, si sentiva bene.Non
               aveva male al collo, né senso di tosse
               imminente, né crampettini sparsi qua e
               là per la pancia. Soprattutto gli era
               completamente passato il dolore al petto, quello che
               gli aveva fatto più fedelmente compagnia nelle
               ultime settimane e che aveva costituito, fra le altre
               cose, l'ultimo e più notevole fra gli
               innumerevoli motivi di litigio con lei."Noto,
               dico noto, che ultimamente il tuo infartino
               settimanale sta raggiungendo lo status di forma di
               vita evoluta! Non dico che sappia parlare e ragionare,
               ma certo è che comincia a capire le situazioni!
               Ti arriva giusto giusto quando devi portarmi a
               ballare, o se ti chiedo di aiutarmi a spostare un
               mobile. Non ti ho mai visto rientrare in anticipo
               dallo stadio, o abbandonare una riunione in Ufficio
               per causa sua: si vede che conosce i tuoi gusti, e li
               rispetta!" Era
               davvero passato, il dolore.Se
               ne era andato così, senza lasciare
               traccia.E
               pensare che proprio alla partenza del treno, proprio
               mentre caricava i bagagli nel caldo soffocante del
               pomeriggio estivo (E come no! State insieme da tre
               anni, tu e il tuo attacco cardiaco, figuriamoci se non
               ti viene in aiuto proprio ora che è il momento
               di farmi "gentilmente" notare che le mie valigie sono
               pesanti perché ho portato via troppa roba!
               Piuttosto che darti la soddisfazione di morire davanti
               al folto pubblico del Binario 3, me le carico io, le
               valigie!), alla terza valigia lo aveva colto una fitta
               violenta, come una morsa che si stringe dentro il
               petto, forte da rendergli difficile il respiro, lunga
               da farlo sudare freddo.
               Ora, non sentiva più niente.Aprendo
               gli occhi, gli sarebbe piaciuto girare il viso verso
               di lei, vedere nel suo sguardo la domanda più
               dolce e più attesa: "Come stai?", e
               risponderle, pieno di amore, "Bene, grazie, è
               tutto passato". Ma
               non la vide.Al
               suo posto, (Di fronte a te, no, poi allunghi le gambe
               e mi disturbi, alla tua destra no, c'è il
               finestrino; non vorrai che mi metta vicino alla porta
               dello scompartimento, vero? Vabbè, mettiti un
               po' dove ti pare!), al suo posto lei non
               c'era.Faceva
               fatica a distinguere i contorni dello scompartimento
               perché, (chissà perché?) si era
               fatto, attorno, come un semibuio (già notte era
               impossibile che fosse, forse una galleria) al quale i
               suoi occhi si adattavano molto lentamente.Più
               con il senso emotivo che con la vista, avvertì
               che lei non c'era.Lei,
               se ne era andata.Appena
               se ne rese conto, andò alla ricerca della
               sottile ansia consueta, del piccolo star male di
               quando lei lo piantava in asso per qualche futile
               motivo, del senso di colpa che gli lasciava da gestire
               quando riusciva a far girare le cose in modo che lui
               credesse che era stato un suo sbaglio a farla andare
               via, a farla allontanare anche per poco, anche solo
               per andare a pisciare.Non
               trovò nulla.Stava
               bene.Lei
               non c'era, eppure stava bene.Se
               ne era andata quasi certamente in seguito a una
               mancanza sua (grave come avere tirato la tenda del
               finestrino o lieve come non avere tirato la tenda, non
               importa) e ciò nonostante, lui si sentiva
               bene.Era,
               forse, la prima volta che gli accadeva di sentirsi
               così.Nel
               semibuio che regnava dentro lo scompartimento gli
               parve di intravedere delle ombre, come di figure
               umane, sedute.Più
               che vederle (ché non riusciva a distinguere
               chiaramente le immagini, per quanti sforzi facesse,
               gli era quasi impossibile mettere a fuoco lo sguardo;
               tutto ciò che percepiva era sfumato e confuso,
               come accade in certi sogni, quando si è
               mangiato o bevuto troppo, la sera prima), più
               che vederle ne avvertiva la presenza.Né
               sapeva dire con certezza quanti fossero, i suoi nuovi
               compagni di scompartimento (tre, forse quattro,
               sicuramente più di uno): l'unica certezza era
               costituita dal fatto che lei, lì, non
               c'era.E
               che lui, forse anche per questo (temerlo o sperarlo?
               Sei sempre il solito, incapace di prendere una
               posizione che sia una, anche nelle piccole cose! Cambi
               sempre idea, anche sui dubbi. Una volta tanto, prendi
               una "indecisione", e che sia quella!!) comunque fosse,
               lui stava bene.
               Nel senso che nulla più gli dava fastidio:
               l'assillo delle grane sul lavoro, il ricordo dei
               litigi con lei, la paura di avere un brutto male in
               qualche organo al minimo sintomo o, in mancanza di
               sintomi, di averne uno peggiore, subdolo, in forma
               asintomatica.Non
               ne era certo, (figuriamoci!) perché non l'aveva
               mai sperimentato prima, ma se avesse dovuto
               descriverla a qualcuno, avrebbe definito quella sua
               nuova sensazione come: Pace. Non era troppo presto,
               né tardi, non faceva caldo, né umido,
               né freddo, l'aria non era troppo stagnante
               né c'era troppo vento, e questo meraviglioso
               coesistere di circostanze favorevoli gli parve fosse
               un fatto reale, immanente, proprio del momento e non
               dovuto solamente alla mancanza del giudizio negativo
               che, della situazione, avrebbe comunque dato lei, se
               ci fosse stata.Anche,
               e soprattutto, gli piaceva, di quella situazione
               incantata, il silenzio (Ma a te non dà fastidio
               'sto silenzio? Almeno dì qualcosa! E non
               parlare solo per l'imbarazzo di tacere! Se non hai
               niente da dire, meglio che tu te ne stia zitto, a
               volte!), già l'assenza della voce fredda e
               tagliente di lei contribuiva a rendere magica
               l'atmosfera, ma era qualcosa di più profondo,
               di più intenso ciò che lui, nel silenzio
               assoluto dello scompartimento, coglieva.Come
               un'immobilità sospesa, come se tutto il treno
               non toccasse più i binari, né
               sobbalzasse sugli scambi, né subisse l'attrito
               dell'aria, né si inclinasse nelle curve
               più lunghe.Silenzio.E,
               nel silenzio, gli parve che i suoi pensieri fossero
               quasi udibili, che, pur senza che avesse detto una
               sola parola loro, gli ospiti nuovi dello
               scompartimento (alla partenza c'erano solo loro due,
               lo ricordava benissimo. A lui non sarebbe dispiaciuto
               cercarne uno più affollato, si sa com'è
               il bello del treno, quattro chiacchiere, una
               barzelletta, il tempo passa prima, ma lei no, meglio
               da soli così possiamo tenere accesa la luce
               anche di notte, e alzare il condizionamento come
               vogliamo noi, col caldo che fa, dài spegni la
               luce, uffa, fa anche troppo fresco qua dentro!) che
               loro, i compagni di viaggio, lo stessero quasi
               ascoltando.Avvertiva
               questa attenzione, questa placida compartecipazione ai
               suoi sentimenti; era come se anche loro, indistinti
               nel buio, gli facessero sentire con la loro pacifica
               presenza, i loro singoli pensieri.Da
               quanto tempo si era svegliato?Anche
               questo, non avrebbe saputo dire.Certo,
               un bel po' ormai, visti i pensieri che nel frattempo
               avevano fatto in tempo a frullargli per la testa; ma
               non di certo ore (non poteva essere già notte)
               e forse nemmeno troppi minuti: è logico, se no,
               visto che ancora dura il buio, quanto sarebbe lunga
               questa galleria?E
               il treno, come fa il treno a muoversi così,
               senza rumore, si direbbe quasi senza incontrare
               attrito, senza un sobbalzo, un piegamento, uno
               scossone?E
               lei, dov'è?Non
               fuma, non gliene frega niente del paesaggio, non si
               ferma a parlare con gli estranei, non ha libri da
               leggere e in galleria non si può telefonare:
               possibile ci stia mettendo tanto tempo per pisciare?
               Non aveva detto una parola, ma evidentemente il
               turbine dei suoi pensieri aveva preso una foga tale da
               colmare la lacuna del silenzio fisico, e giungere alla
               coscienza dei suoi compagni di viaggio (due o tre?
               Chissà, forse di più, forse decine tutti
               lì, quasi invisibili, forse infiniti)
               perché avvertì, come in risposta, un
               flusso di pensiero provenire dalle figure mute e
               avvolgerlo pian piano, con dolcezza, fino ad andargli
               dentro lentamente, e giungere al suo stato di
               coscienza. "Non
               c'è luce, ma non perché è di
               notte, ché non ci sono più la notte e il
               giorno, qui, per noi.Non
               è una galleria che sta attraversando il treno;
               ed è per questo che non c'è rumore,
               né attrito, né l'ombra di un sobbalzo:
               perché, qui, non c'è più nemmeno
               il treno.Non
               senti più i dolori del risveglio perché
               tu non ti sei svegliato.Lei,
               non è andata via un minuto, o un'ora, per poi
               tornare, perché qui nessuno va, da nessuna
               parte. Non senti più quel tuo male di petto
               perché non ci sei più tu per
               avvertirlo.E
               non stare a chiederti se è giusto per te
               andare, o non andare, a cercarla.Qui,
               nessuno, in nessun luogo, và.Qui,
               solo e per sempre, si sta.Noi
               per primi e tu, casualmente, per ultimo, siamo
               destinati rimanere sempre, qui, quello che siamo.
               D'infarto, di giorni o di malinconia, tutti
               Morti." |