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               DOMENICHINO
 
Domenichino
               si alzò, come al solito, all'alba; la casa era
               silenziosa. Scese le scale di legno,cercando di fare
               meno rumore possibile, ma un leggero scricchiolio lo
               accompagnò lo stesso. Non voleva  svegliare
               Rosa e i bambini che ancora potevano dormire un poco.
               La cucina l'accolse con il tepore che vi era rimasto
               dalla sera precedente, ma subito si affrettò ad
                accendere il camino; la legna era già pronta e
               prese subito  fuoco,   crepitando allegramente. Si
               guardò intorno:quella stanza era il vedere
               tanti segni del passato:la zangola in un angolo, la
               culla sua e dei fratelli,che ora conteneva i lavori di
               cucito di Rosa;sulla mensola del camino c'erano,invece
               le fotografie dei nonni suoi e della moglie   Segno
               della sollecitudine di Rosa  erano i due giubbetti dei
               bambini sulla spalliera della sedia davanti al camino,
               perché potessero essere indossati caldi per
               andare a scuola. Ma ,guardando in giro, Domenichino
               sospirò:una tristezza infinita lo possedeva e
               non si dissolse neppure quando, sentendo  il verso
               della Bianchina, si avviò verso la stalla per
               mungerla,accolto  con sollievo  dalla mucca, era quasi
               una persona di famiglia. Rientrando,gettò uno
               sguardo alla montagna di fronte ;le cime erano
               già spruzzate di neve, ma i pendii avevano le
               mille sfumature d'autunno. Le galline di Rosa
               chiedevano di essere liberate dal pollaio, chiocciando
               sempre più vivacemente; aprì la
               porticina e gettò loro il becchime: Intanto
               Gigi e  Lisa,i suoi bambini già si erano seduti
               a tavola per fare colazione;Rosa li serviva e
               offrì anche a lui il caffè fumante. Si
               scambiarono uno sguardo, pieno di ansia e  di
               preoccupazione;Intanto era arrivato il bus che avrebbe
               portato i bambini a scuola; uscirono subito,
               chiacchierando allegramente. Anche quello,
               pensò Domenichino, era un servizio, che fra
               poco sarebbe stato tolto....i bambini in paese erano
               sempre di meno. Usciti i bambini,Rosa e il marito si
               guardarono ancora più smarriti: la situazione
               era senza via d'uscita....Ormai
               non avevano più soldi, neppure per la spesa
               quotidiana. Finora erano riusciti a vivere
               decentemente: il  raccolto dei due appezzamenti che
               Domenichino coltivava, la legna del
               bosco,l'allevamento di caprette di cui si occupava
               Rosa,erano la base della loro economia domestica.
               Inoltre Domenichino era conosciuto in tutto il
               circondario per la sua abilità di artigiano.
               Veniva chiamato ovunque per tirare su un muro,riparare
               un attrezzo,lavorare il legno e il ferro,cose
               quest'ultime che sapeva fare con arte e maestria. Ma
               il paese come i dintorni, si andava via via
               spopolando:erano più le case disabitate che
               quelle aperte...anche Rosa aveva contribuito finora al
               bilancio domestico;abile sarta era ricercata per la
               sua precisione  e fantasia nel paese e in quelli
               vicini;si recava poi,ogni settimana,a ritirare presso
               alcuni negozi di abbigliamento della cittadina
               vicina,capi da riparare,da accorciare,da sistemare. Ma
               la crisi ,dovuta allo spopolamento della valle,si era
               fatta sentire anche lì,il lavoro era via via
               diminuito fino a cessare del tutto. Per completare
               l'opera,l'ultima nevicata aveva fatto cadere parte del
               tetto della stalla;Domenichino non aveva
               l'attrezzatura necessaria per ripararlo: era stato
               indispensabile chiamare un'impresa,avevano dovuto
               contrarre un debito con la banca...finora le rate
               erano state pagate,ma adesso non sapevano più
               come fare. Ormai era deciso:Domenichino sarebbe sceso
               nella grande città in cerca di lavoro. La sera
               insieme  a Rosa comunicò la decisione ai
               figli,che non dissero nulla,ma andarono fuori a
               giocare per non fare vedere le loro lacrime. Al
               mattino presto,Domenichino prese la corriera per la
               cittadina vicina,da dove partiva il treno per la
               grande città. Dal finestrino guardava scorrere
               il paesaggio:i suoi monti erano ormai una linea
               lontana all'orizzonte,mentre già si profilava
               la periferia disordinata. Domenichino era abbastanza
               sereno;per una settimana circa avrebbe dormito da un
               cugino che poteva ospitarlo solamente sino al ritorno
               del figlio dall'università. Poi sicuramente
               avrebbe trovato un lavoro. Fu accorto calorosamente
               dai parenti,ma capì subito,dalle dimensioni
               dell'abitazione,che avrebbe al più presto
               dovuto cercarsi un'altra sistemazione. Dopo tre giorni
               era in una pensioncina di fronte alla stazione e
               ancora stava cercando lavoro. Sembrava che a nessuno
               interessassero le sue abilità. Alla fine,si
               decise,visto che i soldi si volatilizzavano,ad
               accettare un lavoro temporaneo ai mercati generali.
               Scaricava,all'alba,grandi casse di frutta e verdura
               nell'area umida e piena di smog...ma,alla fine,anche
               quel lavoro finì come i suoi pochi risparmi.
               Domenichino non sapeva più cosa fare:aveva
               lasciato domande ovunque,appeso avvisi a tante
               portinerie,ma non succedeva nulla. A casa,diceva
               sempre che tutto andava per il meglio,per non
               angustiare Rosa,già sola e in
               difficoltà. Ormai era autunno inoltrato,un
               autunno ben diverso,nella grande città,da
               quello dei suoi monti. Gli alberi dei parchi avevano
               anch'essi i bei colori autunnali,ma la nebbia fitta e
               mista a smog rendeva l'aria irrespirabile e il freddo
               penetrava nelle ossa. Ma il suo problema era un
               altro...non aveva più denaro,neppure quello
               necessario per passare un'altra notte alla pensione.
               Camminava senza meta,con il bagaglio in mano,pensando
               tristemente che avrebbe dovuto passare quella notte
               all'aperto o all'albergo dei poveri. Ad un tratto
               alzò gli occhi:si trovava in una stradina
               stretta,circondata da alberi,sembrava una via di
               paese. A destra si scorgevano al di là di un
               alto muro le fronde variopinte degli olmi e il verde
               dei pini. Si fermò meravigliato:quello era un
               vero grande parco che circondava una villa,di cui si
               scorgeva il tetto di tegole rosse.
               Sospirò,pronto a proseguire,quando alla sua
               destra,scorse un portoncino aperto,che immetteva ad un
               capanno per gli attrezzi. Spinto dalla stanchezza
               e,comportandosi non certamente con la discrezione che
               gli era abituale,entrò;il capanno era aperto:in
               mezzo ad una accozzaglia di strumenti di lavoro e di
               vecchi oggetti,c'era una stuoia. Domenichino vi si
               stese per riposarsi un poco prima di riprendere il
               cammino e,vinto della stanchezza si addormentò.
               Si svegliò all'alba,sentendo latrare dei cani,
               sembravano incattiviti e alla porta del capanno,che
               ora era chiusa. Domenichino si alzò,scosse la
               polvere dei vestiti, pronto ad andarsene al più
               presto, quando il suo sguardo cadde su un vecchio
               ferro da stiro a carbonella,di quelli che usava sua
               nonna,era tutto traforato ai  lati e sul manico aveva
               delle iniziali... Un bel vecchio esemplare,prodotto da
               qualche bravo artigiano,peccato che fosse arrugginito
               e sbilenco;lo prese in mano per guardarlo meglio.
               Intanto i latrati dei cani si facevano più
               vicini...la porta del capanno si spalancò e
               apparve un uomo,probabilmente il
               giardiniere,accompagnato da una donna dai corti
               capelli grigi che,a stento,tratteneva due Labrador,che
               volevano  avventarsi sull'intruso. Allo stupore
               iniziale, seguì uno stringato interrogatorio da
               parte della signora, che si rivolgeva, indignata al
               giardiniere e insospettita verso Domenichino, che
               tremava come una foglia; sapeva di non avere nessuna
               giustificazione. La signora ora guardava con interesse
               il ferro da stiro, che Domenichino teneva fra le mani.
               Quello sguardo accusatore suscito nell'uomo un guizzo
               improvviso di coraggio. Iniziò con foga a
               raccontare la sua storia... la nostalgia per i suoi
               monti, per la sua casa la sua abilità di
               artigiano, i vari tentativi per trovare
               lavoro...Con
               stupore del giardiniere, che la conosceva,
               inflessibile e severa la donna sembrò
               credergli, e, alla fine lo invitò a seguirla
               nello studio, situato al pianterreno della villa. Lo
               fece attendere, telefonò, forse chiede
               informazioni e poi riapparve per comunicare con un
               certo distacco che Domenichino avrebbe potuto lavorare
               come aiuto giardiniere e alloggiare nelle due stanze
               situate sopra il garage; aggiunse poi, con un sorriso
               ironico che avrebbe potuto disporre di tutto il
               ciarpame contenuto nel capanno e farne ciò che
               voleva. Non solo, ma incaricò l'Amministratore
               di dare a Domenichino, vedendolo così malmesso
               un anticipo in denaro. Domenichino non poteva essere
               più felice e si affretto a comunicare la
               notizia alla moglie. Nei giorni seguenti lavorò
               con lo scrupolo e la precisione che gli erano
               abituali, questo di giorno, ma, alla sera si dedicava
               con passione a restaurare ad uno ad uno gli oggetti
               che aveva trovato nel capanno. Non solamente il ferro
               da stiro era divenuto una splendida fioriera, ma aveva
               restituito il primitivo splendore ad una culla di
               legno e aveva fatto riacquistare i colori originai ad
               un ritratto di bimbo ignoto dell'ottocento. Ogni tanto
               contemplava i suoi tesori ed era incerto se mostrare
               il frutto del suo lavoro alla sua benefattrice. Un
               giorno si decise e, vedendola passare, l'invitò
               ad entrare nel capanno. Quella si stupì
               piacevolmente e non poté fare a meno di
               elogiare la su bravura,m anzi gli propose di allestire
               una piccola mostra, affinché anche le sue
               amiche potessero ammirare quei piccoli capolavori. Da
               allora non ebbe più pace: tutte le Signore
               portavano oggetti vecchi o antichi da sistemare o
               restaurare. Fu la stessa proprietaria che ad un certo
               punto lo dispensò dal lavoro di giardiniere
               perché potesse dedicarsi  completamente a
               quello di restauratore, gli lasciò anche l'uso
               del capanno, riservandosi il privilegio di essere la
               sua prima e più importante committente. Nel
               giro di un anno l'abile artigiano riuscì ad
               aprire una bottega tutta sua, fece venire in
               città la famiglia e si conquistò una
               discreta agiatezza.Aveva
               presso di se anche alcuni lavoranti, ai quali, con
               maestria e passione, insegnava la sua
               arte.Anche
               i figli una volta cresciuti scelsero delle
               professioni, che in qualche modo, ricalcavano le orme
               paterne.Lisa
               divenne un'abile pittrice ceramista, il maschio,
               affascinato dal mondo antico, un valente archeologo
               che si stava facendo una certa fama nell'ambiente
               degli studiosi.Domenichino
               e Rosa invecchiavano serenamente uniti e allietati
               dalla presenza di figli e nipoti. Ma una fredda
               mattina d'inverno, Domenichino trovò Rosa
               accanto a se addormentata per sempre.La
               sua vita non fu più la stessa, si faceva, in
               lui, sempre più acuta la nostalgia dei suoi
               monti, dell'aria pura di quei luoghi, dei colori del
               suo paese. Dopo qualche tempo, comunicò ai
               figli che aveva preso la decisione di tornare
               lassù, in montagna.Essi,
               all'inizio si opposero, ma quando videro che il padre
               era irremovibile si rassegnarono; presero contatto con
               una cugina, che, rimasta vedova con una bimba, si
               trovava in ristrettezze perché si prendesse
               cura di lui e della casa. Domenichino però
               aveva un piano; si era sempre sentito come un
               traditore  nei confronti della sua gente, aveva
               profuso abilità ed impegno per tutta la vita
               attiva in un altro luogo ed il suo paese si era sempre
               più spopolato ed era divenuto ancor più
               povero. Decise allora che avrebbe trasformato il
               fienile e la stalla in un laboratorio e avrebbe
               insegnato la sua arte ai giovani della vallata che
               avessero dimostrato desiderio di imparare. Espose il
               suo programma non solamente ai figli, che, dopo
               qualche tentennamento l'approvarono, ma anche al
               Sindaco, ai politici e ai notabili della
               zona.Ottenne
               aiuti e finanziamenti e l'idea divenne realtà.
               Ormai una decina di giovani lavoravano con lui, una
               mostra di lavori aveva riscosso grande successo ed il
               paesino era divenuto meta di comitive che visitavano
               l'esposizione permanente dei vecchi oggetti recuperati
               e dei nuovi rifatti sugli antichi modelli. La valle
               era finalmente viva, animata ed operosa. In
               particolare un ragazzo, Luigi, detto il Luis, aveva
               preso da Domenichino tutto ciò che era
               necessario per dirigere l'attività.Il
               vecchio era in pace con se stesso e alla sera,
               sfogliando i ricordi, intesseva lunghe conversazioni
               con Rosa: voleva andare con lei, là dove si
               stava in pace. Era la notte di Natale, il giorno dopo
               sarebbero arrivati i suoi figli con le loro famiglie.
               Domenichino guardava seduto accanto al camino le
               vecchie fotografie di famiglia e, come al solito
               conversava con la moglie, come se l'avesse accanto.
               Gli sembrò di vederla e si accasciò
               sulla poltrona. Lo trovarono così, sereno, con
               un'espressione giovanile sul volto. Per gli altri,
               quello fu un triste Natale, ma per Domenichino forse
               fu la festa più grande.  
               
 
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