Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Marina Vio
Con questo racconto è risultata segnalata dalla Giuria del Premio Vittorio Tolasi - Orzinuovi, sezione narrativa
Il re e il Mendicante
 
Quando la battaglia della Porta di Levante fu perduta, gli uomini della mia Guardia si radunarono attorno a me e fecero barriera coi loro stessi corpi perché potessi fuggire. Caddero uno dopo l'altro e non li avrei lasciati se, ferito e stremato, non avessi compreso che dovevo tentare di raggiungere il tempio ed immolarmi là, davanti al nostro dio.
Così, mi trascinai lungo le strade che tante volte avevo percorso nella gioiosa atmosfera del trionfo ed arrancai sulla scalinata del tempio macchiando il marmo bianco del mio sangue.
Col peso del mio corpo estenuato, spalancai le grandi porte di bronzo. La penombra del tempio era bagnata d'argento dalla luna e la pietra splendeva come opale. Del fuoco dei sacrifici non erano rimasti che i carboni, ma tutta Babilonia era preda di fiamme ed io sapevo che, se mi fossi voltato, avrei veduto la rossa luce del fuoco che avvampava la notte.
Soltanto ad occidente tutto era buio e quieto, sfavillante di stelle.
E ad occidente guardai, prima dell'atto estremo, per un commiato al mondo. Fu così che lo vidi: sedeva calmo sul pianale di pietra della finestra da dove entrava la luna e il lucore dell'astro lo faceva risplendere e lo rendeva una figura di luce, invece che di carne.
Mi spaventai, ma poi lo riconobbi e mi stupii che fosse il mendicante che sedeva ogni giorno sui gradini del tempio e che io feci prima rinchiudere, poi cacciare ed infine, stancamente, sopportai.
Sedeva quieto e mi guardava con serenità, quasi che non temesse nulla e mi aspettasse.
"Fuggi", gli dissi con la voce rotta dal dolore per le troppe ferite. "Non sai? Non vi sarà morte che sia abbastanza atroce per i vinti, e tutti verranno passati a fil di spada: uomini e donne".
Ma lui sorrise e disse: "Dove dovrei fuggire, e perché? Io temo solo Dio e, quanto alla mia sorte, mi è indifferente. Nulla finisce e nulla inizia, o Re, e tutto segue la trama superiore che abbiamo ordito noi stessi prima di nascere e successivamente abbiamo dimenticato. Ma liberi dal corpo, ricorderemo e ne comprenderemo il senso. Cosa dovrei temere? Un evento soltanto: oppormi a quanto decisi su nei cieli, poiché nella spirituale libertà lo potei riconoscere come massimo bene!".
Le sue parole mi stupirono: nessuno mi aveva mai parlato così, nessuno mi aveva mai svelato questo segreto più prezioso dell'oro.
"Come lo sai?", chiesi con deferenza, "come hai potuto sapere queste cose, che io ignoro e che nemmeno i sacerdoti conoscono?".
"Ho pensato", rispose. "Ho meditato a lungo. Mente tu, o Re, regnavi e combattevi, io ho potuto mendicare e pensare! Per questo, so". E sorrise, con straordinaria umiltà.
Allora comandai: "Se tu sai queste cose, ti prego di volermele rivelare per darmi una speranza ed aiutarmi. Perdonami, se puoi del male che ti ho fatto, del disprezzo col quale ti ho trattato, del fastidio con cui ti ho sopportato. Abbi misericordia di me e, se puoi, aiutami a trovare un poco di consolazione e a vincere il terrore del trapasso. Io ti imploro, se puoi, di dirmi delle parole che mi aiutino a credere e a sperare!".
Il mendicante rispose gravemente: "Io non ho nulla da perdonarti, o Re. La tua azione esteriore mi ha fatto vivere in pace ed è stata propizia alla mia azione interiore. Perciò, volentieri ti dirò ciò che ho capito!".
Allora io gli chiesi: "Come puoi dire che non vi è inizio né fine alcuna?".
Sorrise, il mendicante e con la mano mi indicò il disco d'argento della luna che noi veneravamo e disse: "Guarda la tua divinità, ed impara da lei; sorge e tramonta, nasce e sembra sparire. Senza tema, al mattino si sprofonda nel mare; senza brama, la notte si leva all'orizzonte; vive nella certezza dell'eterno e non si cura di ciò che ai nostri occhi appare nascita e morte. Per noi, ogni notte nasce e muore, la luna; ma in verità permane e non viene toccata né dalla brezza estiva, né dalla burrasca invernale. Quando tramonta, non è meno serena di quando sorge: va altrove, e illumina altri spazi, vede altri mondi ma resta sempre se stessa. E al pari della luna, anche la nostra anima perennemente nasce e muore, parte e ritorna senz'essere toccata né dalla gioia né dal dolore dell'esistere. Da ogni pellegrinaggio sulla Terra, viene arricchita di una nuova esperienza, porta un nuovo tesoro su nei cieli, reca la luce che illumina altre sfere fino a che è nuovamente pronta a tornare; pronta a rinascere. E vive eternamente, attraversando innumerevoli volte vita e morte, come la luna attraversa senza sosta l'orizzonte. In verità, è così".
Ero come incantato dalla sua voce.
Caddi in ginocchio davanti a lui, come davanti al messaggero di Dio. Non sentivo più nulla, non più paura e dolore, non più odio per i nemici, pena per le mie perdite, desiderio di fuga. Restavo lì, e non provavo altro che una grandissima pace.
"Che ne sarà", gli chiesi "di coloro che ho amato, di quanti hanno vissuto la loro vita con me, di quanti si sono sacrificati per amor mio nelle difficoltà del governo, nelle tante battaglie combattute, nella tragica realtà della disfatta? Che ne sarà di loro, e come posso sperare di rivederli?".
Il mendicante sorrise nuovamente indicandomi il disco della luna: "Guarda", mi disse "Nasce e muore la luna, agli occhi degli uomini. Ma sempre, intorno, si ritrova i pianeti, sempre ritrova le costellazioni che ha percorso l'altro anno. E sempre, insieme, creano oroscopi favorevoli o nefasti che danno pace o guerra, ricchi raccolti o carestie, piogge fruttuose o siccità. Insieme, quasi che rispondessero ad un accordo remoto, i pianeti e le stelle configurano gli eventi sulla terra: recitano un cosmico dramma, un'eterna commedia scambiandosi le parti, le posizioni, i segni. Tutto si diversifica, tutto diviene, tutto procede in una perenne evoluzione. Eppure i corpi celesti sono gli stessi: eternamente uniti, indivisibili".
Una strana dolcezza mi inondò il cuore ed immediatamente lo scaldò. Dimenticai il freddo che mi invadeva il corpo, il sangue che fuggiva: mi sentii calmo, consolato, sereno.
"La tua serenità ha contagiato anche me", mormorai al mendicante "Ti devo molto, moltissimo! E sono in debito con te: ti ho fatto imprigionare, ti ho allontanato dalla scale del tempio, ti ho sopportato con fastidio. Non ho riconosciuto in te l'uomo saggio che sei. Ed ora è troppo tardi per poter rimediare". Sospirai, la voce ormai mi usciva con fatica, le forze mi lasciavano. Dissi quasi in un rantolo: "Dimmi, ti prego, come posso sperare di ricambiare quanto hai fatto per me?".
Sorrise il mendicante e, mentre io morivo, dolcemente mi disse: "Ricordati, mio Re, ciò che ti ho detto ora. Ricordatelo bene, per ricordarlo a me nella prossima vita. Quando tu sarai il mendicante ed io sarò il tuo Re".
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Premio Vittorio Tolasi Orzinuovi 2002
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Ins. 12-02-2003