- Il
re e il Mendicante
-
- Quando la battaglia
della Porta di Levante fu perduta, gli uomini della
mia Guardia si radunarono attorno a me e fecero
barriera coi loro stessi corpi perché potessi
fuggire. Caddero uno dopo l'altro e non li avrei
lasciati se, ferito e stremato, non avessi compreso
che dovevo tentare di raggiungere il tempio ed
immolarmi là, davanti al nostro
dio.
- Così, mi
trascinai lungo le strade che tante volte avevo
percorso nella gioiosa atmosfera del trionfo ed
arrancai sulla scalinata del tempio macchiando il
marmo bianco del mio sangue.
- Col peso del mio
corpo estenuato, spalancai le grandi porte di bronzo.
La penombra del tempio era bagnata d'argento dalla
luna e la pietra splendeva come opale. Del fuoco dei
sacrifici non erano rimasti che i carboni, ma tutta
Babilonia era preda di fiamme ed io sapevo che, se mi
fossi voltato, avrei veduto la rossa luce del fuoco
che avvampava la notte.
- Soltanto ad
occidente tutto era buio e quieto, sfavillante di
stelle.
- E ad occidente
guardai, prima dell'atto estremo, per un commiato al
mondo. Fu così che lo vidi: sedeva calmo sul
pianale di pietra della finestra da dove entrava la
luna e il lucore dell'astro lo faceva risplendere e lo
rendeva una figura di luce, invece che di
carne.
- Mi spaventai, ma
poi lo riconobbi e mi stupii che fosse il mendicante
che sedeva ogni giorno sui gradini del tempio e che io
feci prima rinchiudere, poi cacciare ed infine,
stancamente, sopportai.
- Sedeva quieto e mi
guardava con serenità, quasi che non temesse
nulla e mi aspettasse.
- "Fuggi", gli dissi
con la voce rotta dal dolore per le troppe ferite.
"Non sai? Non vi sarà morte che sia abbastanza
atroce per i vinti, e tutti verranno passati a fil di
spada: uomini e donne".
- Ma lui sorrise e
disse: "Dove dovrei fuggire, e perché? Io temo
solo Dio e, quanto alla mia sorte, mi è
indifferente. Nulla finisce e nulla inizia, o Re, e
tutto segue la trama superiore che abbiamo ordito noi
stessi prima di nascere e successivamente abbiamo
dimenticato. Ma liberi dal corpo, ricorderemo e ne
comprenderemo il senso. Cosa dovrei temere? Un evento
soltanto: oppormi a quanto decisi su nei cieli,
poiché nella spirituale libertà lo potei
riconoscere come massimo bene!".
- Le sue parole mi
stupirono: nessuno mi aveva mai parlato così,
nessuno mi aveva mai svelato questo segreto più
prezioso dell'oro.
- "Come lo sai?",
chiesi con deferenza, "come hai potuto sapere queste
cose, che io ignoro e che nemmeno i sacerdoti
conoscono?".
- "Ho pensato",
rispose. "Ho meditato a lungo. Mente tu, o Re, regnavi
e combattevi, io ho potuto mendicare e pensare! Per
questo, so". E sorrise, con straordinaria
umiltà.
- Allora comandai:
"Se tu sai queste cose, ti prego di volermele rivelare
per darmi una speranza ed aiutarmi. Perdonami, se puoi
del male che ti ho fatto, del disprezzo col quale ti
ho trattato, del fastidio con cui ti ho sopportato.
Abbi misericordia di me e, se puoi, aiutami a trovare
un poco di consolazione e a vincere il terrore del
trapasso. Io ti imploro, se puoi, di dirmi delle
parole che mi aiutino a credere e a
sperare!".
- Il mendicante
rispose gravemente: "Io non ho nulla da perdonarti, o
Re. La tua azione esteriore mi ha fatto vivere in pace
ed è stata propizia alla mia azione interiore.
Perciò, volentieri ti dirò ciò
che ho capito!".
- Allora io gli
chiesi: "Come puoi dire che non vi è inizio
né fine alcuna?".
- Sorrise, il
mendicante e con la mano mi indicò il disco
d'argento della luna che noi veneravamo e disse:
"Guarda la tua divinità, ed impara da lei;
sorge e tramonta, nasce e sembra sparire. Senza tema,
al mattino si sprofonda nel mare; senza brama, la
notte si leva all'orizzonte; vive nella certezza
dell'eterno e non si cura di ciò che ai nostri
occhi appare nascita e morte. Per noi, ogni notte
nasce e muore, la luna; ma in verità permane e
non viene toccata né dalla brezza estiva,
né dalla burrasca invernale. Quando tramonta,
non è meno serena di quando sorge: va altrove,
e illumina altri spazi, vede altri mondi ma resta
sempre se stessa. E al pari della luna, anche la
nostra anima perennemente nasce e muore, parte e
ritorna senz'essere toccata né dalla gioia
né dal dolore dell'esistere. Da ogni
pellegrinaggio sulla Terra, viene arricchita di una
nuova esperienza, porta un nuovo tesoro su nei cieli,
reca la luce che illumina altre sfere fino a che
è nuovamente pronta a tornare; pronta a
rinascere. E vive eternamente, attraversando
innumerevoli volte vita e morte, come la luna
attraversa senza sosta l'orizzonte. In verità,
è così".
- Ero come incantato
dalla sua voce.
- Caddi in ginocchio
davanti a lui, come davanti al messaggero di Dio. Non
sentivo più nulla, non più paura e
dolore, non più odio per i nemici, pena per le
mie perdite, desiderio di fuga. Restavo lì, e
non provavo altro che una grandissima
pace.
- "Che ne
sarà", gli chiesi "di coloro che ho amato, di
quanti hanno vissuto la loro vita con me, di quanti si
sono sacrificati per amor mio nelle difficoltà
del governo, nelle tante battaglie combattute, nella
tragica realtà della disfatta? Che ne
sarà di loro, e come posso sperare di
rivederli?".
- Il mendicante
sorrise nuovamente indicandomi il disco della luna:
"Guarda", mi disse "Nasce e muore la luna, agli occhi
degli uomini. Ma sempre, intorno, si ritrova i
pianeti, sempre ritrova le costellazioni che ha
percorso l'altro anno. E sempre, insieme, creano
oroscopi favorevoli o nefasti che danno pace o guerra,
ricchi raccolti o carestie, piogge fruttuose o
siccità. Insieme, quasi che rispondessero ad un
accordo remoto, i pianeti e le stelle configurano gli
eventi sulla terra: recitano un cosmico dramma,
un'eterna commedia scambiandosi le parti, le
posizioni, i segni. Tutto si diversifica, tutto
diviene, tutto procede in una perenne evoluzione.
Eppure i corpi celesti sono gli stessi: eternamente
uniti, indivisibili".
- Una strana dolcezza
mi inondò il cuore ed immediatamente lo
scaldò. Dimenticai il freddo che mi invadeva il
corpo, il sangue che fuggiva: mi sentii calmo,
consolato, sereno.
- "La tua
serenità ha contagiato anche me", mormorai al
mendicante "Ti devo molto, moltissimo! E sono in
debito con te: ti ho fatto imprigionare, ti ho
allontanato dalla scale del tempio, ti ho sopportato
con fastidio. Non ho riconosciuto in te l'uomo saggio
che sei. Ed ora è troppo tardi per poter
rimediare". Sospirai, la voce ormai mi usciva con
fatica, le forze mi lasciavano. Dissi quasi in un
rantolo: "Dimmi, ti prego, come posso sperare di
ricambiare quanto hai fatto per me?".
- Sorrise il
mendicante e, mentre io morivo, dolcemente mi disse:
"Ricordati, mio Re, ciò che ti ho detto ora.
Ricordatelo bene, per ricordarlo a me nella prossima
vita. Quando tu sarai il mendicante ed io sarò
il tuo Re".
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