Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordientiMassimo Smith Con questo racconto ha vinto il settimo premio p.m. del concorso Marguerite Yourcenar 1998 sezione narrativa
- Vendesi
- Ho deciso di notte, dopo due ore di televisione e minuti infiniti di insonnia.
- L'indomani mattina, caffè, niente barba, e pochi spiccioli per acquistare un pezzo di cartone verde con la scritta
- &endash; VENDESI &endash;
- Ci ho scarabocchiato su il mio numero di telefono, e via a lavorare.
- Caffè, un altro, e barba lunga.
- Mi hanno telefonato quasi subito, quarantotto ore per dimenticarmene e uno squillo per ascoltare una voce apparentemente disinteressata che mi chiedeva quanto volessi.
- Gliel'ho detto.
- È venuto all'imbrunire, ha dato un'occhiata alla casa, poi, con provetta perizia mutuata, probabilmente, da una precedente esistenza trascorsa a commerciare tra i vicoli ed i banchi dei venditori ambulanti di un bazar di Algeri, ha cominciato a trattare. Ridacchiava e rosicchiava scampoli di prezzo.
- Ho detto sì.
- Quando è andato via, gli ho sbattuto la porta alle spalle, poi ho pensato che, forse, sarebbe stato meglio uscire con lui.
- Dentro, non ci stavo più bene.
- Dopo una settimana di notti in bianco, un pomeriggio, verso l'ora delle ombre lunghe, sono uscito, ho chiuso a chiave la porta e, fatti pochi passi, ho capito che mi inseguiva.
- Due isolati attraversati frettolosamente, un paio di cadute evitate chissà come, e ho detto buonasera al notaio e al mio mercante da bazar.
- Sorrideva.
- Ho firmato.
- Sorridevano entrambi.
- Sulla via del ritorno ho comperato un paio di panini e una bottiglia di vino, poi di corsa verso i portone, le scale, due mandate per chiudere bene la porta e tutte le luci accese, soprattutto in camera da letto. Ho impiegato l'intera nottata e gran parte di oggi a fare i bagagli; due ore fa ho consegnato le chiavi della casa all'ambulante algerino. Mi ha detto qualcosa, una raffica di parole che riguardavano il buon esito dell'accredito della somma pattuita su mio conto corrente. Gli ho lasciato tutti i bagagli, e mi sono buttato in un taxi, verso la stazione.
- Mi inseguiva.
- Mi insegue.
- È quasi mezzanotte, gironzola da un'ora nei dintorni della biglietteria, senza allontanarmi troppo, le mani a sfondare le tasche della giacca che non riesce a ripararmi dal freddo. La voce di metallo si sveglia nell'altoparlante, e avverte i signori viaggiatori che l'intercity delle ore zero zero undici sul binario sette. Corro, soffoco nel sottopassaggio, riemergo nella nebbia costellata di luci brumose e binari.
- Mi insegue.
- Un tizio infagottato in una uniforme sdrucita come lui, il berretto calato di sghimbescio sulla testa, mi indica con un cenno il vagone. Salgo, mi appoggio con tutto il mio peso al pesante portello: si chiude.
- Respiro.
- Due fischi moltiplicati dall'eco e il treno si muove. Guardo il corridoio del vagone, semibuio, gli scompartimenti oscuri, l'assenza di movimento.
- Schiaccio il viso contro il finestrino e, dalla pensilina, l'uomo in uniforme mi osserva, lo sguardo vitreo, poi distorce la bocca in un sorriso incerto e muove le labbra scandendo in silenzio: «Il vagone è vuoto, si scelga uno scompartimento ed entri».
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