- "L'incomprensione"
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- Era lì,
davanti a me, con l'aria di chi volesse
interrogarmi.
- Quel quadro, che
mancava a Napoli da più di tre anni, si
veniva dipingendo in tanti minuziosi particolari
che apparivano trasognati e immersi in una
misticità irraggiungibile.
- Il silenzio,
poi, insieme all'odore aromatico che si inspirava
dall'aria gelida, all'assenza di anime, al bianco
che eccedeva su tutto, generava un'atmosfera
sinistra che lasciava riflettere, penetrando
prepotentemente nella sfera mentale con l'intento
di scatenare quel senso di vacuità che fa
nascere tanti interrogativi, tante
insicurezze.
- L'essere seduto
su quella panchina del parco pubblico del quartiere
Scampia era l'ultima cosa a cui pensavo,
perché la neve che cadeva lieve, tramutando
la natura che mi circondava, mi possedeva,
manovrandomi in un'ipnosi intensa,
irripetibile.
- Dentro di me
ruggiva un'emozione che vagava tra felicità
e tristezza ma, nel profondo dell'animo, sentivo
che la malinconia dominava vincendo su
tutto.
- Immaginavo il
corso dei fiocchi di neve e come ciò
assomigliasse alla parabola esistenziale, a quella
nascita(nelle nuvole), crescita(nell'aria) e
dileguarsi(in terra) che avveniva per ogni uomo, ma
quello che più mi colpiva di quel quadro
naturale era l'insolubilità dei suoi
elementi.
- Le due magnolie
poste a pochi metri dal porticato erano ricoperte
da un cappello bianco che nascondeva il loro
sopire, mentre il gruppo di acacie, che viveva ad
oriente del giardino, si stava spogliando dei suoi
fiori gialli.Il laghetto artificiale, invece, che
aggirava in lungo e in stretto il parco sfociando
nell'estremo occidentale, era immobile, celato da
un velo ghiacciato
e il resto era
completamente incappucciato dal manto
nevoso.
- Era tutto
diverso in quel pomeriggio di febbraio, tutto
così tetro, così spento, e anch'io ne
facevo parte, anche se non volevo, se desideravo
starne fuori, come il bambino che era appena
arrivato e che più in là urlava e si
rallegrava lanciando palle di neve
nell'aria.
- Aveva un
paltò rosso che gli sfiorava le caviglie e
quasi sempre v'inciampava quando s'abbassava a
raccogliere la neve dal suolo.Calzava alti stivali
a uosa che si abbarbicavano alle gambe fin sopra le
ginocchia e un cappello di lana rosa che, nel
frattempo, era diventato biancastro.
- Barcollava
innanzi e indietro divertendosi e, anche se cadeva
e ricadeva, a causa di quell'abbigliamento che
avrei potuto facilmente indossare io, continuava a
giocare, senza perdere l'assiduo sorriso stampato
sul visino rossiccio.
- Sentivo il
bisogno di chiamarlo, di averlo accanto a me, ma
l'ipnosi di quel quadro naturale me lo
impediva.Ormai non potevo più varcare i suoi
confini, non potevo più modificare lo stato
delle cose e fu proprio a causa di quell'impotenza
che iniziai a sentirmi solo e che la malinconia non
fu solo un presentimento, ma cruda
realtà.
- Dovevo andar via
da quel luogo.
- Mi alzai dalla
panchina aggiustandomi la sciarpa e, abbottonandomi
il cappotto, presi ad incamminarmi verso
l'uscita.Versai, mentre camminavo, lo sguardo nel
canale che seguiva a manca, ma anche l'acqua
appariva spenta, non si dava infatti al solito
gorgogliare.
- Mancavano ormai
pochi metri all'uscita, quando intravidi sul muro
che avevo davanti e che precedeva la biforcazione
del corridoio, un ombra informe, macabra,
irreale.
- Non feci in
tempo a voltarmi, perché un lancinante
dolora mi lacerò il cranio facendomi
stramazzare a terra.
- Riuscii,
comunque, a tenere gli occhi aperti e a
contraddistinguere le peculiarità di
quell'ombra misteriosa riflessa sul
muro.
- Aveva una
fisionomia tarchiata che non conteneva nulla di
umano, una parte superiore dove la testa era
difficilmente decifrabile e un particolare che mi
fece rabbrividire: aveva un'anima, sì, il
suo corpo custodiva il soffio vitale; scorsi,
infatti, dalla probabile bocca, l'alito che si
condensava in nuvole di fumo.
- Tentai allora,
contraendomi alla forza del panico, di voltarmi e
ci riuscii anche, solo che quell'ombra era
scomparsa e prolungando lo sguardo quasi per
confortarmi in direzione del bambino, notai che
anche lui non c'era più.
- A quel punto
chiusi gli occhi per pochi istanti, con i pensieri
raccolti in una staticità anormale e, quando
li riaprii, anche se dinanzi si stava annebbiando
tutto, scrutai un fiocco di neve che, portato dal
vento, cadde proprio all'altezza del mio
viso.
- Restò
lì, sul cemento, finché non persi i
sensi, con sul viso quel sorriso che, come il
quadro naturale e molte altre cose, si "smarrisce"
nell'incomprensione.
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