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               Al
               chiaro di pipa
 Sul sentiero coperto di neve, impronte di un passo
               lento e stanco, seguite o anticipate da quelle di un
               fedele compagno. Di chi saranno queste
               impronte?
Siamo
               tra la fine del 1800 e i primi del 1900 e storie come
               questa, ricche di amore valori e sentimenti,
               trascorrevano tra antiche case infossate nelle valli
               delle nostre montagne Lombarde, dove a parte la
               brevità della bella stagione, l'inverno era
               lungo freddo e faticoso, e le notti veramente nere.
               Questo dell'inverno era veramente un periodo molto
               tribolato e solo chi possedeva una stalla con animali
               riusciva a non soffrire la fame e il freddo, gli altri
               meno fortunati, se deboli o troppo vecchi, spesso si
               ammalavano con conseguenze a volte molto gravi. I
               ritmi della vita erano scanditi dalle ore di luce del
               giorno e la sera dalla poca luce delle lanterne e per
               quei pochi che l'avevano dalla corrente elettrica. Il
               nostro racconto non nasce, ma continua in contrade
               abbastanza vicine fra loro nella iridescente Valle
               Spluga. Non tanto lontani da queste, si trovavano
               piccoli paesi quali Campodolcino, Tagliaferro, Motta,
               ma per quei tempi e in certe stagioni queste contrade
               nel buio della notte sembravano isole lontane dal
               resto del mondo, e che questi paesi neanche
               esistessero.Le
               impronte sulla neve erano del vecchio Giobatta e del
               suo fedele cane Sorgo. Giobatta era un anziano di
               quasi 80 anni, congiunto da più di 55 anni con
               Maria, padre di 9 figli e nonno di oltre 50 nipoti,
               abitava in una grande casa, già abitata da
               più generazioni. In questa contrada vivevano
               altre 6 famiglie altrettanto numerose e come nella
               famiglia di Giobatta alcuni figli sposati si erano
               trasferiti per motivi di spazio in contrade vicine.
               Altri invece, continuavano ad abitare nella casa
               natia, tanto una camera per dormire e intrattenersi in
               intimità si ricavava sempre. I pasti si
               consumavano tutti insieme nella grande cucina, dove si
               coceva e ci si riscaldava dal fuoco del camino, non
               prima di aver recitato una preghiera di ringraziamento
               e protezione al Signore e alla Madonna. Gli altri
               luoghi invece si condividevano con il resto della
               famiglia. Gran parte delle attività e del tempo
               libero si svolgevano fuori a cercar legna nel bosco e
               per occuparsi della manutenzione, ristrutturazione e
               riparazione di tutto quello che poteva servire per il
               duro faticare montanaro. Quando il freddo si faceva
               insopportabile, ci si rifugiava nella stalla a
               costruire rastrelli, forche e quanto altro si adatta
               al lavoro di questa terra. La stalla era anche momento
               dove i vecchi raccontavano storie che accadevano nei
               dintorni e nel mondo; un mondo allora molto piccolo,
               perché i confini si fermavano la dove la
               distanza per quei tempi diventava incolmabile.
               Riportavano fatti sentiti da qualche cantastorie di
               passaggio, che in occasione di una festa o per far
               tappa nello spostarsi da un paese all'altro, dava uno
               spettacolo in qualche "corte", narrando in modo
               fiabesco eventi tragici o molto importanti realmente
               accaduti e questo era l'unico modo per la gente di
               queste "isole" di uscire dai confini della propria
               valle e conoscere un poco di mondo.In
               autunno tutti andavano a raccogliere noci e castagne,
               vero sostenimento di allora, in vista dell'inverno
               sempre troppo lungo. In modo particolare le castagne
               potevano sostituire il pane e la polenta e si
               prestavano per preparare degli ottimi dolci e
               soprattutto duravano molto tempo, infatti con patate,
               castagne, polenta e poco companatico ci si tirava
               fuori dall'inverno. Il trascorrere della vita
               famigliare e in parte anche della comunità,
               girava intorno a Giobatta, si sa le famiglie allora
               erano a regime patriarcale e tutto dipendeva per
               autorità e per riverente rispetto dal capo
               famiglia, dove era considerata e riconosciuta
               l'importanza dell'esperienza e saggezza del "vecchio",
               il quale sapeva sempre dare buoni consigli, ma anche
               rimproverare duramente se serviva. Alla mamma invece
               toccava il compito di educare i figli nelle buone
               maniere nel rispetto e nella fede, anche se questo lo
               imparavano già seguendo l'esempio dai loro
               genitori. Giobatta sapeva fare molti lavori ed era
               anche molto attento e bravo nell'interpretare i segni
               dal ciclo e della terra, quando era il momento
               favorevole per la semina, per il taglio, per il vino e
               per tanto altro. Diceva sempre che gli animali e la
               natura avevano una loro dignità e un loro
               linguaggio e che lui ci sapeva dialogare, a volte
               sembrava fosse vero tanto era la sua riverenza e
               rispetto per entrambi.Era
               molto apprezzato come fabbro, lavoro che aveva
               imparato dal suo papà ed era ricercato nelle
               contrade vicine e nella valle anche per questo. Spesso
               lo cercavano anche per risolvere questioni legali per
               un consiglio o per riconciliare chi per vari motivi
               non riusciva mettersi d'accordo, magari per una
               eredità mal ripartita, un contratto non
               rispettato, o qualsiasi altra questione di litigio e
               rancore, la sua saggezza era proverbiale, infatti si
               usava dire se lo fa o lo dice Giobatta vuoi dire che
               va ben per tutti. In ogni contrada o fra due se erano
               abbastanza vicine si edificava un capitello, a ricordo
               di una persona, un fatto o semplicemente per avere una
               divinità a proteggere le famiglie. Era un luogo
               dove ci si incontrava per una preghiera e scambiare
               qualche parola, o dove i fidanzati avevano il consenso
               dai rispettivi genitori di potersi intrattenere anche
               dopo l'imbrunire, pensando che per il rispetto del
               Santo non si sarebbero lasciati travolgere da
               eccessive passioni...Nel
               mese di Maggio, attorno a questi capitelli, tutte le
               sere si recitava il Rosario, spesso condotto dalla
               nonna, la signora Maria. Quanta Fede, magari timorosa,
               ma sincera. In una di queste contrade c'era sempre la
               "comare", l'ostetrica di allora, arte anche questa che
               si tramandava da madre in figlia. Figura molto
               importante in quanto nelle stagioni avverse, con
               sempre tanta neve, nei casi di complicanze durante il
               parto, non c'era possibilità di trasferire la
               partoriente in ospedale o di avere in tempi rapidi il
               medico a casa, ecco allora che ci si affidava alla
               Madonna e all'esperienza di questa comare, che spesso
               riusciva a rimediare. Purtroppo nonostante
               l'abilità di questa comare non era un evento
               così raro dove le complicazioni del parto
               causavano seri danni al nascituro provocando lesioni
               fisiche, mentali o peggio la morte. Situazioni
               comunque che gestivano in maniera eroica, con molto
               coraggio e dignità.Giobatta
               abitava nella contrada situata più in basso e
               spesso la sera dopo cena si recava a far visita ad una
               figlia sposata per poi fermarsi da un anziano per un
               grappino, qualche bicchiere di vino e quattro
               chiacchiere, questi abitavano dopo il capitello, in
               una contrada situata poco più in alto, non era
               lontana, ma la strada era irta e scura con ai bordi
               spalle di roccia dalle forme disuguali, il cui
               contorno ormai famigliare come il profilo dei propri
               cari, si affacciava prepotentemente nell'infinito
               della notte. Saliva con il suo solito passo lento e
               sicuro, da vicino lo seguiva il fedele Sorgo, oramai
               vecchio come il suo padrone. L'unica luce nelle sere
               buie senza luna, era il "chiaro di pipa", la brace del
               tabacco. Sembrava quasi che questo lumicino
               volteggiasse indipendentemente nell'oscurità e
               indicasse la strada a chi lo seguiva. Dopo qualche
               ora, ritornava con la notte ancora più nera e
               fredda, sempre con la stessa luce di pipa, che con il
               suo gradevole profumo di tabacco rendeva l'aria fredda
               più sopportabile. Arrivato a casa, dopo aver
               controllato nella stalla che tutto fosse a posto, si
               ritirava a dormire, dove poche ore di sonno erano
               sufficienti e al mattino presto si alzava per una
               nuova giornata.Ad
               ogni stagione le antiche case si intonavano agli umori
               e colori della montagna, fresche e briose in
               primavera, calde e vivaci d'estate, tristi e
               pensierose in autunno, taciturne e monotone
               d'inverno.L'inverno,
               gran dura questa stagione, con poche ore di luce e
               tanto freddo, la montagna che non offre quasi nulla e
               quel poco sempre coperto di neve; quanta malinconia
               nel cuore e negli occhi, giornate dove si
               trascorrevano molte ore a pregare e a ricordare i
               propri cari che non c'erano più, ma che
               vivevano sempre nei cuori e nella mente di chi non li
               aveva dimenticati. Di
               tanto in tanto in questa avversa stagione si dava
               ospitalità, nelle stalle e nei fienili, a
               qualche compagnia di alpini di passaggio dai loro
               spostamenti durante le esercitazioni militari. Questo
               fortunatamente era un periodo senza guerre, le
               sanguinose battaglie dove il valoroso corpo degli
               alpini si sarebbe distinto per eroicità e
               carica umana, sarebbero avvenute anni più
               avanti. In quei tempi gli alpini, anche allora come
               adesso, si sapevano far appressare per il loro
               altruismo e coraggio, soprarutto quando venivano
               chiamati ad intervenire nei casi di calamità
               come valanghe, alluvioni, terremoti o in qualsiasi
               evento dove c'era da sacrificarsi e lavorare in
               condizioni estreme. Era piacevole ricevere la visita
               di questi giovani spensierati e condividere con loro
               qualche pasto caldo e qualche bicchiere di vino. Anche
               un nipote di Giobatta era alpino, nella X compagnia
               Valbrenta a Feltre ed erano rare le volte che poteva
               tornare a casa, quindi la visita di questi soldati era
               momento di fierezza e orgoglio per tutta la contrada,
               venivano infatti accolti come figli o fratelli, le
               giovani fanciulle della contrada venivano controllate
               a vista dalle madri, si sa la divisa con il cappello
               dalla lunga penna rendeva questi giovani ancora
               più attraenti e interessanti. Quando ormai il
               peso degli anni diventò troppo grande, Giobatta
               passava molte ore seduto su una radice cresciuta in
               superficie del grande e vecchio noce, delizia e
               ricchezza della contrada. Malinconico con la sua
               inseparabile pipa, ripercorreva gli anni della sua
               lunga vita, ricordandosi della sua gioventù,
               della sua Maria, che lo aveva preceduto nella casa del
               Signore, del fedele Sorgo che non c'era più e
               di tanti altri che nel tempo lo avevano lasciato. In
               certi momenti era anche contento, quando vedeva che
               tra le antiche case della vecchia contrada si viveva
               ancora con tanta allegria e serenità. Si caro
               vecchio Giobatta hai seminato bene e qualcosa di buono
               rimane; grazie.Ora,
               2007, Giobatta non c'è più, rari
               discendenti abitano ancora le antiche case, dove
               nonostante le ristrutturazioni e gli ammodernamenti,
               rimangono testimonianza e storia di un mondo ormai
               quasi scomparso. Altri ci tornano qualche volta per le
               vacanze, la maggior parte è scesa a vivere
               giù a valle in cerca di una vita più
               comoda e più al passo con i tempi, dove non ci
               si accorge che le comodità che la
               "civiltà" moderna offre, in realtà non
               sono altro che dipendenze da cui non se ne può
               più staccare. Dalla contrada, quando un tempo
               nella notte si vedeva giù nella valle un grande
               mare nero, dove pareva che non esistesse vita al di
               fuori di quel luogo e la fantasia nel buio senza fine
               non trovava confini che la limitasse, ora si vede una
               overdose di luci a testimoniare che la civiltà
               e il progresso hanno sostituito i sogni e la genuina
               realtà, dove il rispetto per la natura è
               stato soppiantato per la rincorsa al futuro,
               dimenticando di vivere il presente e dove la
               considerazione e riverenza per il vecchio sempre
               più spesso diventa pietà e indifferenza.
               Forse in qualche isolata contrada pochi valori
               resistono ancora, finche Dio vorrà. |