Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Michela Torcellan
Con questo racconto ha vinto il decimo premio del concorso Concorso Letterario Fonopoli 1999 sezione narrativa
 
 
L'uomo di Murlo
 
I turisti accaldati e distratti che arrivano all'antico borgo fortificato, erto tra le melodiose ondulazioni delle colline toscane, lo notano appena, molti di loro sono stranieri e non ne comprendono nemmeno il biascichio. Gli studiosi di archeologia lo guardano divertiti e gli chiedono se serva ricordo di qualche ritrovamento, i compaesani lo rispettano perché l'hanno sempre visto, come la rocca e le mura. Ma nessuno sembra prenderlo veramente sul serio e ne ascolta le storie. Eppure, quando cerca di trascinare qualche avvenente signora nella sua cantina sotterranea, scavata nel tufo, quel vecchio dalla faccia incartapecorita si rianima nel promettere il piacere di un vino genuino, dorato, fresco, dal profumo di rose.
Un giorno di ottobre, forse per i fumi della vendemmia, il nonno del castello, seduto nel suo antro, borbottava strane storie, con accanto due biondone scandinave arrivate fin lassù in mountain bike e da lui convinte a visitare, dopo il museo, anche quel suo antro.
"Erano altri tempi - ricordava - quando obbedire significava veramente qualcosa! E il mio signore non ammetteva repliche, lui era il dio supremo di tutto il territorio, lui comandava migliaia di contadini schiavi che portavano i raccolti nel suo palazzo: frumento, uva, olive orzo, farro, fave, ortaggi. E poi i pastori che pascolavano le sue greggi: migliaia di capi che punteggiavano di bianco intere vallate! Mai visto tanto ben di Dio! Era lui, Larth Vaithati, il padrone, il Signore, il Papa, il principe, il re. Non esistevano sfumature a quei tempi! E io ero il suo uomo di fiducia".
Sapendo quanto fosse sfuggente nel parlare di ciò che lo riguardava direttamente, sentendo quella voce levarsi dal sottosuolo, ci nascondemmo dietro lo stipite dell'ingresso e lo lasciammo dire. Che pensasse pure di non essere ascoltato: almeno raccontava cose interessanti e non i soliti discorsi di vino e di sesso. Dopo aver ingoiato ancora qualche sorsata del suo inimitabile nettare, riprese con foga: "Mi chiamava di continuo, si fidava solo di me, gli organizzavo le corse dei cavalli che tanto gli piacevano, gli portavo le donne più belle con cui sollazzarsi (a quei tempi non facevano tante storie, come ora!), mi occupavo della produzione del vino che è un'arte eccelsa, non da tutti. Ero insomma il ministro incontrastato dei suoi piaceri. Aveva altri dipendenti: cerimonieri per il culto, di cui era ministro, contabili per le rendite fondiarie, guardiani per la disciplina da mantenere e giudici per la giustizia da amministrare. C'era chi processava e tagliava teste per lui, chi gli contava le staia di grano e le giare d'olio e seguiva l'accumulo delle derrate, chi si occupava del culto che, in suo nome, si estendeva anche agli antenati, quei bamboccioni dalle facce stralunate - li avete visti in museo - che dovevano continuamente essere ricordati, onorati, placati. Ma chi gli forniva la chiave della vita ero io; gli altri erano solo squallidi tirapiedi. Però ero anche un po' cialtrone, sapete? E spesso, quando passavo presso le stanze della sua sposa, la giovane Velia dalla pelle di giglio, la spiavo mentre si bagnava e sbavavo dietro alle sue cosce d'avorio e alla sua peluria dorata, tutte cose riservate solo a lui e per la cui vista mi avrebbe di certo messo a morte". Per sottolineare il concetto, il vecchio dava grandi manate sui fianchi delle sue ospiti che, nella loro lingua, protestavano vistosamente.
"Vedete come fate le preziose, Avete la testa piena di stupidaggine, come quelli che fanno gli scavi, cercano le necropoli, sperano di trovare le tombe piene d'oro, come se quelle aspettassero loro. Come le donne del resto! Bisogna prenderle, anzi predarle, quando si può; un momento dopo potrebbe già essere troppo tardi. Aaah! Sedetevi, ignoranti! Lunghe e sceme! Non valete un millesimo di ciò che era Velia Vaihati sposa del principe, non l'unica si capisce, ma la vera sposa, la regina di questi luoghi. Aveva quarant'anni meno di lui, eppure non aveva fatto tante storie, sapeva con chi aveva a che fare e cercava di compiacerlo in tutto e guadagnarsi la sua preferenza. Non voleva certo che il suo vecchio marito smettesse di amarla! Tutto fino a quando non capitò qui quel mercante che arrivava da Vulci, uno che viaggiava, smerciava roba greca e anche al mio signore quella roba piaceva, anche se diceva di non averne bisogno perché le sue officine producevano anche quella. Ma non era mica la stessa cosa! I vasi, avevi un bel dire che non si notasse la differenza! Se erano fatti a Corinto saltava agli occhi, eccome! Naturalmente tutti dicevamo che non era vero, che quelli di Vaithati erano i migliori, che "sembravano usciti dalla fornace degli dei". Ma era tutta piaggeria. In realtà la Grecia ci dava dei punti. Il mercante tornò più volte. Era giovane, bruno, vigoroso, non aveva paura di nulla, risaliva la valle dell'Ombrone senza scorta armata e cantava. Lo si sentiva arrivare da sotto, per via di quella voce melodiosa che cantava arie di taverna. Lo odiavo, ma il mio signore lo stimava, lo onorava, forse lo temeva o lo invidiava perché possedeva oggetti più belli dei suoi. Ma più di tutti lo amava Velia che si illuminava appena sentiva la sua voce che l'eco le riportava dalla valle sottostante. La spiavo come non mai. Lui alloggiava all'officina dei vasi e dormiva con gli artigiani: Una notte vidi delle ombre in giardino: mi precipitai fuori, silenzioso e rapace, come un falco. Li scoprii che facevano l'amore nel bosco e li odiai entrambi, di un odio che voi cristiani non potete capire perché non avete mai capito l'amore!. Una delle turiste chiese un altro po' di nettare e commentò: "Capito! Tu dice noi no capire amore? Anche now gente ama, pazzi per amore!".
Il vecchio tacque, gli occhi lucidi, un po' fissi, forse per il vino. "No, non è la stessa cosa, vichingona mia. Lo so, ti ci metti d'impegno, fai del tuo meglio, in questi tempi tristi. Ma allora l'amore aveva il sapore del sale e del miele al tempo stesso, non il gusto sciapo di ora… Io per amore sono arrivato a tutto: al tradimento, al delitto. Sì perché ho avvertito il mio signore di quanto era successo e, insieme, abbiamo spiato i due amanti la notte precedente la partenza di lui. Anche Larth Vaithati vide quello che io già avevo visto e forse il mondo, quel mondo di cui era padrone assoluto, gli crollò addosso. Fece arrestare subito i due adulteri e il giorno dopo il giovane mercante fu squartato nel cortile centrale del palazzo, senza che a nessuno fosse data spiegazione della condanna. A Velia pensai io. Il mio signore mi ordinò di ucciderla nel modo più indolore, tanto aveva già sofferto nell'assistere all'orrendo supplizio del suo amante. La portai nel bosco, di notte, con le catene ai piedi e ai polsi e le conficcai uno stiletto nel cuore. Ne portai il cadavere tra le mie braccia al cospetto del mio signore e la distesi ai suoi piedi. La guardò con infinita tristezza e disse: "Peccato! Era tanto bella!"; solo questo. Pochi giorni dopo iniziò la demolizione del palazzo. Larth Vaithati rinunciò al suo regno, che ruotava attorno a lui, alle sue prerogative dinastiche e divine, ai suoi piaceri e alle sue follie. Fece distruggere tutto e spargerlo in giro, poi mi chiamò. "Vado via, resterai tu a guardare le rovine del mio palazzo fino al mio ritorno!".
Così disse e per me gli ordini non si discutono. Lasciò altri ad amministrare le terre e le greggi, io solo fui il custode della sua vita perduta, una vita che fu pari solo agli dei".
A questo punto il vecchio cominciò a piangere senza ritegno, tanto che le due ragazze, dopo aver cercato invano di confortarlo, messe in imbarazzo da tale scena, si allontanarono in punta dei piedi, passandoci accanto e notando con stupore la nostra presenza. Scendemmo a nostra volta, in punta dei piedi, nella cantina fresca e odorosa gurdandolo con perplessità. Si accorse allora di noi.
"Ma voi non siete le due di prima!".
"No! Volevamo solo qualche litro di vino". Si alzò, travasò in silenzio da una botte, ci disse il prezzo, pagammo, tutto in silenzio.
"Signor Mino - gli chiesi alla fine, non reggendo alla curiosità - Ma lei è davvero il custode del palazzo etrusco? Allora lei è qui da duemilacinquecento anni!".
"Ti piacerebbe saperlo, vero, imbrattacarte da strapazzo? Vieni nel bosco con me e te lo dirò!". Gli occhi, prima malinconici e languorosi, si erano fatti feroci.
"Nossignore! Io sono di quelle che fanno tante storie!". Dovetti rassegnarmi a non conoscere il seguito del racconto.

 

Concorso Letterario Fonopoli 1999 a sez. narrativa
 
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ins. 29 settembre 2000